Categorie
degustati da noi vini#02

Capriano del Colle Doc Bianco Superiore 2015 “Otten:2”, Cantina San Michele

Chi l’ha detto che la Botrytis cinerea sia peculiarità dei soli vini Tokaji, Sauternes, Trockenbeerenauslese (ce l’avete fatta a pronunciarlo?) o dei muffati di Orvieto? In Italia, un po’ a sorpresa, ecco i benefici della “Muffa Nobile” in un micro areale della provincia di Brescia: la Doc Capriano del Colle.

La prova? La straordinarietà e unicità di “Otten:2“, vino prodotto da Cantina San Michele con uve Trebbiano provenienti dai vigneti di proprietà del piccolo comune lombardo. Solo uno dei vini presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino luminoso. Al naso note di frutta surmatura, precise e composte, senza la minima sbavatura. In bocca una gran concretezza, suggellata dal gioco tra freschezza e rotondità. Vino importante, estremamente gastronomico. Lunghissimo.

Un Trebbiano davvero sorprendente nelle due fasi, distinte eppure molto ben amalgamante, capaci di creare un quadro di gran equilibrio: quella “dura”, calcarea; e quella  “morbida” e suadente, conferita dalla Botrytis cinerea.

LA VINIFICAZIONE
Solo una parte delle uve è stata colpita dalla “Muffa nobile”, permettendo a Cantina San Michele una vendemmia tardiva utile alla concentrazione e all’ampiezza dei profumi. Le uve sono state sottoposte a una pressatura soffice.

La fermentazione di Otten:2 è avvenuta in vasche di acciaio a temperatura controllata, per 15 giorni. L’affinamento si è protratto in vasche di cemento, prima di un ulteriore riposo del nettare in bottiglia, per 12 mesi.

Dopo la fondazione avvenuta nel 1982, Cantina San Michele ha avviato un percorso virtuoso che ha trovato compimento all’inizio degli anni Duemila. Il vero anno anno della svolta è stato però il 2011, quando l’azienda agricola è finita nelle mani dei cugini Elena e Celeste Danesi.

I due giovani si sono posti l’obiettivo di valorizzare la produzione del Monte Netto, noto anche come Montenèt, nel dialetto bresciano, o “Monte di Capriano”. Una piccola collina di 133 metri di altezza, caratterizzata da un terreno di sabbia grigia, ghiaia e calcare. Un’area naturale protetta da Regione Lombardia, che vi ha istituito un Parco.

Categorie
eventi

“L’opera in Masseria”: Primitivo di Manduria protagonista al Festival della Valle d’Itria


TARANTO –
Abbandonarsi al piacere di una sera d’estate, ascoltando la grande opera nelle masserie pugliesi e sorseggiando un calice di Primitivo di Manduria. Un sogno che diventa realtà con la sezione ‘L’opera in Masseria‘ proposta dalla 45° edizione del Festival della Valle d’Itria, insieme al Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria.

Dal 21 luglio al 1° agosto, cinque masserie fra i trulli delle provincie di Brindisi e Taranto, saranno la cornice ideale per la messa in scena di due intermezzi buffi napoletani del Settecento: “L’ammalato immaginario” di Leonardo Vinci e “La vedova ingegnosa” di Giuseppe Sellitti. Il tutto potrà essere ascoltato bevendo un calice di Primitivo di Manduria, l’unico vino presente all’interno del Festival.

IL PROGRAMMA

Si tratta di una delle iniziative più legate al territorio e che caratterizza maggiormente la proposta culturale del Festival. Nel 2019, per la prima volta, il progetto sarà itinerante. Le masserie interessate saranno cinque: Del Duca di Crispiano (21 luglio), Belvedere di Mottola (23 luglio), Palesi di Martina Franca (25 luglio), Cassina Vitale di Ceglie Messapica (27 luglio) e San Michele a Martina Franca (1 agosto).

Una programmazione pensata per celebrare l’incontro tra due intense esperienze sensoriali: la visione dell’opera e la degustazione del vino di qualità. Un connubio che negli anni ha visto crescere la partecipazione ed i consensi di un pubblico sempre più attento e competente.


Gli appuntamenti
21 luglio Masseria del Duca – Crispiano (Taranto)
23 luglio Masseria Belvedere – Mottola (Taranto)
25 luglio Masseria Palesi – Martina Franca (Taranto)
27 luglio Masseria Casina Vitale – Ceglie Messapica (Brindisi)
1° agosto Masseria San Michele – Martina Franca (Taranto)

Biglietti
da 15€ a 25€ / vivaticket.it
biglietteria@festivaldellavalleditria.it

[URIS id=32964]

Categorie
Approfondimenti

Corso in viticoltura ed enologia, la tesi di laurea da oggi “nasce” in azienda

È stato presentato oggi, alla Fondazione Edmund Mach, in occasione dell’insediamento del comitato di indirizzo composto da diversi esponenti del mondo produttivo trentino, il nuovo progetto di tesi di laurea del Corso di laurea in viticoltura ed enologia che prevede una forte partnership tra studenti e aziende. Un modello basato su progetti di sperimentazione e ricerca al servizio del territorio, per un corso di studi che vuole sempre più legarsi al territorio e impegnato nel fornire risposte concrete alle esigenze di ricerca delle aziende e del mondo del lavoro.

L’evento “Coltiva il tuo futuro” organizzato dal Centro Agricoltura Alimenti Ambiente, struttura accademica congiunta FEM-UniTrento, si è svolto nell’aula magna alla presenza dell’assessore provinciale alla università e ricerca, Sara Ferrari, del presidente FEM, Andrea Segrè, del rettore di UniTrento, Paolo Collini, accanto alla direttrice del C3A, Ilaria Pertot, al responsabile del corso di laurea, Massimo Bertamini, ed al neocostituito Comitato di indirizzo.

L’evento ha visto partecipare i rappresentanti del mondo agricolo e dell’industria, docenti e studenti con l’obiettivo di fare un bilancio del percorso vitienologico FEM dal 1991 ad oggi e del primo anno accademico del corso triennale.

Il corso di laurea in Viticoltura ed Enologia è stato incardinato al C3A a settembre 2017, primo risultato concreto della convenzione tra Fondazione Mach e Università di Trento per l’istituzione del Centro congiunto.

“Questo corso è il frutto di quasi trent’anni di lavoro. Tutto è partito nel 1991 con l’istituzione della professione di enologo. Siamo stati i primi in Italia ad ospitare la scuola speciale per il rilascio del titolo, prova del fatto che abbiamo fin da subito creduto in questa figura”, ha spiegato il presidente della Fondazione Edmund Mach, Andrea Segrè.

Negli anni si è continuato a credere e ad investire su questa iniziativa formativa: dalla convenzione con Geisenheim per la doppia laurea, a quella con l’Università di Udine e l’Università di Trento per il corso interateneo. “Il C3A è un tassello prezioso di questo cammino, che ci permette di chiudere il cerchio della filiera formativa a San Michele, dall’istruzione superiore al dottorato, valorizzando al massimo i legami con il territorio”, ha aggiunto Segrè.

Nell’anno accademico in corso sono stati attivati il primo ed il secondo anno di corso, con un numero massimo programmato di 75 studenti. La maggior parte degli matricole proviene dal Trentino-Alto Adige e dal Nord-Est. Alla prima prova selettiva del aprile hanno partecipato 232 iscritti, a testimonianza dell’interesse verso l’indirizzo. Le prossime prove selettive sono previste il 16-17 luglio e il 30-31 agosto per assegnare gli ultimi posti disponibili.

“L’occasione di oggi, che promuoviamo insieme alla Fondazione Mach, è per noi un’occasione duplice – ha commentato il rettore Paolo Collini – perché da un lato sottolinea il forte radicamento che il nostro Ateneo ha sul territorio trentino e la voglia di proseguire nella collaborazione con le realtà produttive locali. La composizione del Comitato d’indirizzo, con nomi importanti del settore, ne è esempio concreto”.

“Dall’altro – continua Collini – questo evento mette l’accento su alcune delle tante opportunità che rendono la formazione all’Università di Trento davvero completa e internazionale. Così come avviene per la ricerca, che sta dando sempre maggiori soddisfazioni anche al nostro C3A, così anche nell’alta formazione vogliamo coltivare una dimensione internazionale. E permettere ai nostri studenti e studentesse, ad esempio, di svolgere la propria tesi all’estero va in questa direzione”.

L’assessore Sara Ferrari ha spiegato: “Considero il Centro Agricoltura, Alimenti e Ambiente (C3A), aperto a San Michele grazie ad un accordo tra Università di Trento e Fondazione Edmund Mach una delle azioni importanti di questa legislatura. Un centro che rappresenta uno sforzo verso una più efficace rete della ricerca e i cui risultati ricadranno su più attori e sul territorio, con sicuro vantaggio per le tante famiglie che vivono di agricoltura e per i loro figli, che potranno ora beneficiare della nuova e importantissima opportunità della laurea in Viticoltura ed Enologia”.

Durante l’evento è stato presentato il Comitato di indirizzo, organismo con funzioni consultive impegnato a rafforzare le relazioni con il mondo economico, sociale e produttivo. Inoltre il Comitato opera per allineare il percorso formativo con gli sbocchi lavorativi e individuare le iniziative necessarie per anticipare le esigenze future. Un trait d’union, in sostanza, tra la didattica, la ricerca e le esigenze del territorio.

Un nuovo modello di tesi di laurea. Tra i segni di riconoscimento del corso di laurea c’è poi un’innovazione didattica costituita da un nuovo modello di tesi basato su progetti di sperimentazione e ricerca al servizio del territorio. L’elaborato finale, centrato su un obiettivo sperimentale proposto da un’azienda, una cantina, ma anche da un’industria o da un ricercatore, viene prodotto da un team di studenti, seguito da uno o più docenti in collaborazione con il proponente.

“In questo modo lo studente viene stimolato a confrontarsi con la realtà esterna e a risolvere, con un approccio scientifico, un problema proposto dal mondo produttivo” ha puntualizzato llaria Pertot, direttrice del C3A “inoltre, pur lavorando individualmente, lo studente può sperimentare le peculiarità ed i vantaggi del lavoro in team”.

Categorie
news ed eventi

La Terra Trema, i calici no: i migliori vini degustati al Leoncavallo

Trovarsi alla Terra Trema ogni anno è come passare una serata con gli amici lontani, con cui ti ritrovi raramente. Legno. Luci soffuse. Musica in sottofondo. Un buon bicchiere di vino. E chiacchiere. Tante chiacchiere. In particolar modo se, per te, è il sesto anno consecutivo. Ma siamo alla 12° edizione. La numero 10 al Leoncavallo di Milano. E si vede. Finalmente il bicchiere non è quello classico, da degustazione della festa del paese. E’ un calice!

Gli amici sono quelli di sempre, ma ogni anno conosci qualcuno di nuovo. Perché la manifestazione conta ben 90 produttori, in media, all’anno. Tutti Vignaioli, contadini, amanti della terra. Del suo profumo e del suo calore. Lo trasmettono. Anche solo da come ti parlano. Tutto attorno, un ambiente che li mette a loro agio. Come in campagna. Nulla di sfarzoso.

Niente distoglie il visitatore da quei faretti. Puntati solo su di loro. I protagonisti. Al fianco dei loro vini. Bisogna solo avvicinarsi e parlare. Non aspettano altro che raccontarti la loro passione. La loro fatica.

LA DEGUSTAZIONE
L’inizio è quello di sempre, con i vignaioli che poi si incontrano anche in cantina, durante l’anno. Si parte col Pecorino dell’Azienda Agricola Fiorano di Cossignano (AP), il Donna Orgilla 2015. Giallo paglierino con riflessi verdognoli, naso floreale ed erbaceo, caldo figlio di un’annata tosta. In bocca sapido e molto minerale. E’ capitato negli anni di degustare magnum con qualche anno sulle spalle. E questa vigna riesce col tempo a sfoderare evoluzioni Riesliniane.

Da lasciare a bocca aperta. Peccato che Paolo, co-titolare dell’azienda, non ne abbia portate in degustazione. Altro Pecorino di casa è il Giulia Ermina, con fermentazione in tonneaux francese e maturazione “sur lies” per 12 mesi, più 8 di affinamento in bottiglia. Una piccola chicca, per chi ama il sentore terziario appena percettibile del legno, sempre ben bilanciato da una buona acidità. Vero e proprio contraltare della freschezza di Donna Orgilla.

Nuova tappa ma ancora Pecorino. Stavolta Il Fiobbo di Vini Aurora ad Offida (AP). Questo è un gioiellino e basta. Perfetto, intrigante, complesso nei sentori gusto-olfattivi ma allo stesso tempo beverino. Anche qui riflessi verdognoli tipici del vitigno. Naso di mela verde, agrumi, fieno ed erbe aromatiche. Finale rinfrescante.

Facciamo un passo più a nord, sempre Marche. Stavolta quella del Verdicchio. Corrado Dottori di Cupramontana (AN). Azienda La Distesa, è in ritardo. Il banchetto è ancora vuoto. E allora ne approfittiamo per assaggiare i Verdicchio di La Marca di San Michele, che porta il Capovolto 2015 e il PassoLento 2014, in magnum. Capovolto 2015 è quello che non ti aspetti. Annata calda, siccitosa. Ma la vendemmia è stata anticipata di più di un mese, con inizio a fine agosto. E qui si trova la chiave di tutto. Qui non c’è macerazione e non c’è passaggio in legno.

Solo acciaio. E 8 mesi sulle fecce nobili. E’ un vino che esprime il varietale del Verdicchio. Da bere a secchi in estate. PassoLento 2014 è invece il fratello maggiore… inizia la fermentazione in acciaio poi passa  in botti di rovere da 10 hl dove finisce la fermentazione e matura per 9 mesi sulle fecce fini. Poi attende altri 9 mesi in bottiglia. E’ molto più complesso e strutturato con un corpo caldo nonostante l’annata fresca, di 13% vol. Un vino che ancora deve evolvere.

Lasciamo le Marche e andiamo in Sicilia, regione rappresentata a La Terra Trema da ben 15 produttori. Nino Barraco e Marilena Barbera fanno da capofila. Barraco schiera una batteria di 10 e forse più vini in degustazione. Uno più buono dell’altro. Merita una nota particolare il rosso Milocca 2006 da vendemmia tardiva di Nero D’Avola. Una perla. Affinato in castagno da 205 litri per 24 mesi. C’e tutto: pepe, cacao, ciliegie, anice stellato. In bocca dolce e sapido, suadente. Tra i bianchi, non si può scegliere. Ognuno ha le proprie peculiarità. Il Catarratto, lo Zibibbo in secco, il Grillo. Sono tutti deliziosi. Acidità e sapidità la fanno da padrona, ma non coprono mai i varietali. Qui Nino Barraco ha trovato la giusta alchimia.

Da Marilena Barbera è facile perdere la testa. Per lei, per il suo amore per il proprio lavoro, per la sua terra. E per i suoi vini. Inzolia 2015 è quasi salmastro. E per Marilena questa è la chiave. Ammette infatti che il sale stimola le papille gustative e le rende più recettive ai sentori. Rendendo la beva molto più interessante e appagante. Ma da Marilena Barbera, quest’anno, c’è una sorpresa: l’Arèmi, blend con una piccola percentuale di Zibibbo. Vino imbottigliato quella stessa mattina, come racconta entusiasta la vignaiola, proprio per portarne un campione alla fiera. Niente vendita. Ma è facile immaginare che chiunque l’abbia assaggiato si sia appuntato il numero della cantina. Per ordinarne un bancale. Un vino che non puoi non amare: fresco, sapido, con quella nota aromatica dello Zibibbo di Menfi, nel sud più profondo.

Lasciamo Marilena Barbera ma rimaniamo in Sicilia. Per una scoperta. 2012 Etna Rosso – Eno-trio, Nerello Mascalese in purezza da vigne a piede franco in contrada Calderara. Versante nord-ovest dell’Etna. E’ amore a prima olfazione.

Età media delle piante: 80-90 anni. Rese da 600g/1kg per pianta. Siamo al top. Affinamento in tonneaux e barrique di secondo, terzo passaggio per 12-18 mesi, più altri 6 in bottiglia. Boom. Naso commovente, con frutto dolcissimo e speziato, ciliegia, china, noce moscata, carbone, fumo e questa dolcezza intossicante che fa pensare alle pesche mature.

Notevole, veramente notevole. Bocca (per fortuna) idem: il tannino morbido accarezza il palato, poi è dolce, setoso e lungo. Poi un Traminer Aromatico, da vigne a 1000m d’altezza sull’Etna. Anche qui siamo su rese bassissime, ma con densità di impianto leggermente superiore al Nerello. Vino elegante, aromatico, delicato. Con note floreali, fruttate e con sentori di spezie. Altra bel prodotto.

Risalendo lo stivale cadiamo nella tentazione di qualche bella bollicina. Di Lambrusco, però. Il vino giusto, per spezzare e preparare il palato ai rossi corposi. Denny Bini è un personaggio da amare. Un Emiliano Doc, di Reggio. La Rosa dei Venti lo puoi bere anche a colazione. Lambrusco varietà Grasparossa, rosato rifermentato in bottiglia. Macerazione di 2 ore senza controllo. Secco, leggermente amaro, con un accenno di tannino. Bellissimo. Ponente 270 Lambrusco dell’Emilia, “come lo si fa a Reggio”, ci racconta. Cinque giorni di macerazione, mischiando tutte le varietà di Lambrusco: Lambrusco Grasparossa, Malbo Gentile, Lambrusco Salamino, Lambrusco di Sorbara. Pieno, ma morbido. Libeccio 225, il suo Lambrusco, il Grasparossa. Qui siamo a 10 giorni di macerazione , il colore lo rivela. Rifermentato in bottiglia. Bel corpo e una bevibilità che non ti stanca mai. Un po’ come La Terra Trema. Imperdibile, l’anno prima. Come l’anno dopo.

Categorie
news ed eventi

La vite del futuro sopravvive alla Botrytis Cinerea. E migliora la complessità del vino

Venti nuove varietà di vite selezionate dai ricercatori della Fondazione Edmund Mach si presentano al mondo vitienologico trentino. Questa mattina ricercatori e produttori si sono dati appuntamento, a San Michele, per degustare e valutare insieme i vini prodotti da questi nuovi genotipi che provengono dalla selezione di oltre 30 mila semenzali
e sono il frutto di una paziente ed impegnata attività di miglioramento genetico tradizionale che dura da oltre 10 anni. Si tratta di 12 varietà rosse e otto varietà bianche, coltivate nei vigneti sperimentali di San Michele. Nel 2014 erano stati presentati i primi quattro vitigni selezionati dai ricercatori di San Michele tolleranti alla botrite (Iasma eco 1, Iasma Eco 2, Iasma Eco 3, Iasma Eco 4) . Oggi protagoniste sono varietà che presentano caratteristiche differenti: tolleranti alla botrite, che si adattano meglio al clima, che danno cioè la possibilità di raccogliere le uve in periodi più adatti, con timbri aromatici differenti e quelle che sono in grado di aumentare la complessità del vino. L’incontro di oggi ha visto partecipare molti rappresentanti del mondo viticolo ed enologico: dai produttori singoli agli associati, come il Consorzio vini e i Vignaioli, per arrivare ai rappresentanti del mondo vivaistico, incluso il Consorzio Innovazione Vite, accanto ai funzionari della Provincia autonoma di Trento. Erano presenti il direttore generale, Sergio Menapace, il vicepresidente Gabriele Calliari, alcuni consiglieri di amministrazione, la dirigenza e la squadra di ricercatori impegnata nell’attività di miglioramento genetico. “Ora stiamo raccogliendo i dati necessari alla predisposizione di un dossier che andrà a sua volta sottoposto al Ministero per l’iscrizione nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite – spiega Marco Stefanini, coordinatore della piattaforma miglioramento genetico della vite – un risultato che è stato possibile grazie al lavoro di diverse professionalità: da quelli che hanno permesso di realizzare l’incrocio, seguirlo e allevarlo, selezionarlo, fino ad arrivare a chi ha fornito i dati, lo ha microvinificato e infine degustato”.

Categorie
Vini al supermercato

Dolcetto d’Alba Cantina del Parroco, Azienda San Michele Neive

(4 / 5) Etichetta curiosa quella del Dolcetto d’Alba Cantina del Parroco Azienda San Michele, che opera a Neive, nel pieno della zona di produzione del Barbaresco, in provincia di Cuneo, Piemonte. La cantina San Michele, di fatto, è quanto lasciato in eredità dall’Arciprete Don Giuseppe Cogno, Parroco di Neive, che nel 1973 diede vita assieme ad altri tre viticoltori del paese a una cantina che aveva come scopo “la produzione di grandi vini a prezzi altamente competitivi”. Oggi finisce sotto esame il Dolcetto d’Alba dell’annata 2014. Nel calice si presenta di un rosso rubino intenso. Al naso evidenzia le caratteristiche note floreali di geranio, ciclamino e viola. Presente anche una componente olfattiva fruttata, che richiama le fragoline di bosco e la mora. Curioso come questa bottiglia regali all’olfatto anche una percezione inaspettata per il vitigno Dolcetto: parliamo dello zafferano, che si riesce a percepire quando il vino si apre completamente nel calice. Al palato, il Dolcetto d’Alba Cantina del Parroco risulta invece didattico, con richiami alla mora, alle fragoline di bosco e al lampone, con finale ammandorlato tendente all’amarognolo e lievemente speziato (liquirizia dolce). Una bottiglia da consumare a tutto pasto, dagli antipasti di salumi ai primi e alle portate di carne non troppo elaborate. E’ Claudio Cavallo a spiegare come si ottiene questo vino: “La tecnica di vinificazione – dichiara l’enotecnico dell’Azienda San Michele – è quella classica, in acciaio inox, a temperatura controllata, che oscilla tra i 27 e i 28 gradi. I rimontaggi avvengono in maniera regolare, ma non insistita. All’ottenimento dell’estrazione del colore voluto delle vinacce si procede a una svinatura anticipata, per non arricchire troppo il vino attraverso un contatto prolungato con le bucce, mantenendo così i caratteri fruttati e di freschezza tipici del Dolcetto”. Missione più che compiuta.

Prezzo pieno: 9,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

Categorie
visite in cantina

Piemonte, alla Erede di Chiappone Armando rivive il vitigno autoctono Freisa d’Asti

Dall’alto della collina, sulla terrazza panoramica di Cascina San Michele, lo spettacolo è di quelli che mozzano il fiato. Vigneti che si perdono a vista d’occhio, baciati da un Sole che abbraccia l’intero arco alpino. Siamo in provincia di Asti, lungo strada San Michele, sopra Nizza Monferrato. Un antico borgo dove il tempo sembra essersi fermato, se non ci fosse il campanile di una piccola chiesetta a scandirlo di rintocchi.

Qui, il vignaiolo ed enologo Daniele Chiappone ha raccolto il testimone dello zio Armando, classe 1908, fondatore di quella che oggi è l’azienda vitivinicola Erede di Chiappone Armando. Una piccola realtà, che nel mondo globalizzato odierno si potrebbe ascrivere alla fantascienza.

Già, perché accanto a Daniele ci sono solamente il padre e la madre Diliana, oltre alla sorella Michela. In quattro, a dividersi la fatica e il sudore (ma anche le grandi soddisfazioni) di 10 ettari di vigneti di proprietà più 2 in affitto, situati nel circondario di Cascina San Michele.

Dodici ettari di passione, e una bella fetta di coraggio. Alla Erede di Chiappone Armando, mezzo ettaro è dedicato infatti a un vitigno autoctono piemontese, sempre più raro e prezioso: il Freisa d’Asti. Un uvaggio poco noto al ‘grande pubblico’, che regala tuttavia vini rossi fermi di grande carattere e pregio.

Nulla a che vedere, insomma, con quelli che giungono sulle tavole degli italiani grazie alla grande distribuzione organizzata, dove il Freisa è presente nella sua versione vivace (vedi il Duchessa Lia), rinfrescante e di facile beva. Sanpedra è il nome di fantasia che Daniele ha voluto dare alla sua Freisa d’Asti Doc.

Di colore rosso rubino con riflessi granati e viola, regala al naso sensazioni floreali e di erba, ben bilanciate con quelle di spezia. In bocca è un vino rotondo, di gran carattere, con tannini eleganti ed equilibrati. A guidare alla degustazione è praticamente l’intera famiglia Chiappone, nella sala ad hoc di Cascina San Michele.

L’annata di questo splendido Freisa è la 2009, dotata di gran carica alcolica: 14,5%. Delizioso l’accostamento di questa bottiglia alla selvaggina, ma anche alla carne cruda del posto, come l’incomparabile salsiccia di Bra battuta al coltello.

“La filosofia aziendale – spiega Daniele Chiappone – è quella di voler produrre vini di elevatissima qualità e personalità, che rispecchino le caratteristiche di tipicità del territorio. Questo in pratica si traduce in un lavoro meticoloso e tempestivo nella gestione del vigneto e nelle operazioni di vinificazione in cantina. Così facendo si vuole avere sempre il massimo di qualità nel vigneto, in modo da poterlo poi ritrovare in bottiglia”.

Il progetto per il futuro è quello di ampliare la superficie vitata, ma senza snaturare la filosofia ormai più che centenaria dell’azienda. “Seguiamo e seguiremo per la gestione della lotta ai parassiti vegetali e animali della vite un piano agroalimentare regionale di lotta integrata – spiega Daniele Chiappone – che prevede un continuo controllo sull’uso e sui quantitativi dei prodotti di sintesi da parte della stessa Regione Piemonte”.

Alla Erede di Chiappone Armando, oltre al fiore all’occhiello costituito dal Freisa d’Asti, tra l’altro segnalato dalla stessa associazione Slow Food per l’alto livello di qualità raggiunto, si coltivano principalmente Barbera, Dolcetta e Favorita.

Ottimo il Barbera d’Asti superiore Nizza Doc “Ru”, un vino nuovo dal momento che la sottozona di produzione Nizza è nata nel 2000, raggruppando 18 territori comunali con caratteristiche viticole omogenee. La Erede di Chiappone Armando produce poi “Brentura”, un Barbera d’Asti piacevole, con note di frutta fresca e acidità ben bilanciata, in cui spicca la “fruttosità” dei migliori Barbera. Anche il Dolcetto D’Asti “Mandola” è fruttato e presenta la tipica sensazione di mandorla, che conferisce morbidezza alla bevuta.
C’è poi il Monferrato bianco doc “Valbeccara”, che ricorda il Cortese e la Favorita. Ed è possibile trovare anche l’inconsueto rosso da tavola “Stagera”, un passito di Barbera: le uve, dopo un primo appassimento in vigna, vengono raccolte e fatte appassire ancora in cascina.
Ne scaturisce un vino di grande struttura, ottimo per l’abbinamento con i formaggi e la pasticceria. “San Michele” è il nome del vino aromatizzato Barbera Chinato, dolce e amaricante. Chiude il quadro la grappa di Barbera d’Asti Nizza, ottenuta per affinamento di vinacce Barbera Nizza in rovere francese: incredibilmente morbida, al naso regala frutta fusa a note di cacao dolce e vaniglia.
Exit mobile version