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Distilleria didattica e botte all’Albero della vita per i 150 anni di Fondazione E. Mach

Distilleria didattica e botte all'Albero della vita per i 150 anni di Fondazione E. Mach
Si è svolta oggi, presso la Fondazione Edmund Mach (FEM), la cerimonia conclusiva delle celebrazioni per i 150 anni dalla fondazione dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. L’evento ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali e della società civile e ha segnato un importante momento di riflessione sul futuro dell’agricoltura e dell’innovazione. Momento clou della giornata è stato l’inaugurazione della nuova distilleria didattica, che rappresenta un ulteriore passo avanti per la formazione degli studenti e la promozione della tradizione distillatoria locale. È stata inoltre presentata una botte celebrativa per i 150 anni dell’Istituto. Nell’anno del 150esimo di FEM e del centenario della nascita di Bruno Kessler, presidente dell’istituto agrario dal 1957 al 1978, l’azienda agricola della Fondazione Edmund Mach ha prodotto una bottiglia a lui dedicata, in edizione limitata. L’etichetta porta il nome “Bruno”. Si tratta di un Rebo Trentino Doc 2023, vino rosso rubino con riflessi violacei, prodotto nei campi di Fontane Basse, a San Michele all’Adige.

LA DISTILLERIA DIDATTICA FEM

Nell’ambito della cerimonia è prevista l’inaugurazione della nuova distilleria dell’Azienda agricola sperimentale di San Michele. Si tratta di un impianto pensato con una decisa valenza didattica che migliorerà sensibilmente anche le prestazioni di quello funzionante fino ad oggi. L’edificio esistente era stato costruito dalla PAT – Servizio opere igienico sanitarie all’estremità nord del campus, con funzioni di depuratore sperimentale sui reflui della cantina. Oggi la struttura ritorna finalmente ad essere utilizzata.

Grazie alle nuove funzionalità progettate per lo spazio da destinare alla nuova distilleria, il volume dell’ex-depuratore potrà essere usato per le attività di preparazione, distillazione ed imbottigliamento. «Una novità importante, rispetto alla situazione attuale – evidenzia Fondazione Edmund Mach – è che la progettazione della distilleria è stata ottimizzata in funzione dello svolgimento di attività formative e didattiche, aggiungendo così un nuovo tassello alle potenzialità curriculari degli studenti dell’Istituto di San Michele all’Adige.

LA BOTTE “L’ALBERO DELLA VITA”

Per ricordare i 150 anni dalla fondazione dell’Istituto Agrario il Comitato organizzatore ha scelto una raffigurazione ideale dell’albero, in forma di “albero della vita”, «per il ruolo insostituibile che hanno per Fondazione Edmund Mach, uomini le piante». L’immagine della pianta stilizzata vuole testimoniare il patto tra uomini ed alberi che ha sempre guidato l’attività di formazione e ricerca dell’Istituto Agrario. Le radici raccontano le sfide alle quali l’Istituto Agrario ha dovuto far fronte fin dalla sua origine, come le malattie della vite giunte dall’America, o quelle del baco e del gelso. Le foglie indicano il futuro, rappresentato dal miglioramento genetico delle piante attraverso le ricerche sul genoma, dall’impiego del telerilevamento per una viticoltura di precisione, dalla robotica in campo e dalla possibilità di prevedere in anticipo i regimi climatici e ridurne l’impatto.

«Questi strumenti moderni, offerti dalla conoscenza – spiega la Fondazione in una nota – rappresentano il contributo che la FEM vuole dare alla comunità trentina (e non solo) per migliorare la sostenibilità ambientale dell’agricoltura». Ai lati del tronco dell’albero, in un abbraccio simbolico, il profilo del convento agostiniano del 1874 e quello del Palazzo della Ricerca e Conoscenza del 2024. La botte celebrativa, realizzata dallo scultore Egidio Petri, sarà posizionata nella cantina storica, cuore dell’ex monastero agostiniano di San Michele, che ospita le altre botti che ripercorrono i grandi momenti e personaggi che hanno caratterizzato la vita dell’Istituto in questi 150 anni di storia. Si tratta della 18esima botte. Una tradizione, quella delle botti intarsiate, che è iniziata per l’Istituto di San Michele negli anni Cinquanta. Non manca, naturalmente, la botte dedicata al fondatore, Edmund Mach.

I 150 ANNI DI FEM – FONDAZIONE EDUMND MACH A SAN MICHELE ALL’ADIGE

La storia dell’Istituto iniziò il 12 gennaio 1874, quando la Dieta regionale tirolese di Innsbruck deliberò di attivare a San Michele all’Adige una scuola agraria con annessa stazione sperimentale. Alla direzione dell’Istituto fu posto Edmund Mach, giovane e brillante assistente dell’Istituto enologico e pomologico di Klosterneuburg (Vienna). Fin dalle origini, con un’intuizione che rimarrà a connotare tutta la storia successiva dell’istituzione, lo statuto prevedeva la simbiosi tra formazione agricola e sperimentazione in azienda, a favore del progresso dell’agricoltura trentina. Sotto la magistrale regia di Mach, la scuola di San Michele e la stazione sperimentale si affermarono come istituto modello e la loro fama varcò ben presto i confini regionali.

Dopo Edmund Mach si susseguirono altri validi direttori, fra i quali spiccano le figure di Enrico Avanzi, professore accademico che diede un forte impulso scientifico all’Istituto e al quale si deve l’importante attività nel settore cerealicolo, frutticolo e viticolo, nelle quali fu supportato dall’opera infaticabile di Rebo Rigotti, ricercatore di grande talento che seppe spaziare in molteplici campi, in particolare nel miglioramento genetico della vite (si deve a lui l’incrocio che fu poi battezzato con il suo nome, “Rebo”). Alla fine degli anni Cinquanta emerse la figura di Bruno Kessler che, nella duplice veste di Presidente della Provincia autonoma di Trento e dell’Istituto Agrario, seppe sviluppare le attività dell’ente.

Nella storia recente la data più significativa è il primo gennaio 2008. L’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, ente funzionale della Provincia autonoma di Trento, si trasformò in una Fondazione, il cui nome tributò i dovuti meriti al suo primo e storico direttore, Edmund Mach. Nacque, quindi, un nuovo ente di interesse pubblico con personalità giuridica di diritto privato, assorbendo anche le attività del Centro di Ecologia Alpina, contribuendo così ad ampliare il mandato a favore della ricerca ambientale. Istruzione e formazione, trasferimento tecnologico e ricerca nei settori agricolo, ambientale e agroalimentare si delineano così come i tre pilastri della nuova organizzazione. La Fondazione Mach è oggi una “cittadella dell’agricoltura”, un unicum a livello nazionale: sempre più impegnata a diffondere gli studi nei settori di competenza ma allo stesso tempo radicata sul territorio. Da 150 anni la missione è sempre la medesima: supportare l’agricoltura, l’ambiente e il territorio affrontando mediante l’innovazione le nuove sfide quotidianamente proposte.

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Migliori Piwi italiani 2023: i risultati della III Rassegna di Fondazione Mach


Si sono tenute ieri le premiazioni della III Rassegna vini Piwi, concorso che ha sancito quali siano i Migliori Piwi italiani 2023. I numeri forniti dagli organizzatori – Fondazione Mach di San Michele all’Adige (Trento) – confermano la crescita del movimento dei vitigni resistenti in Italia, con 110 etichette in gara in sette categorie, rispetto agli 82 vini iscritti da 37 cantine alla II Rassegna, nel 2022. I vini Piwi sono ottenuti da uve prodotte da piante selezionate per avere dei caratteri di resistenza alle principali malattie fungine. Richiedono dunque un numero ridotto di interventi fitosanitari da parte del viticoltore.

I VITIGNI RESISTENTI PIWI IN ITALIA

A livello europeo queste varietà sono state ammesse in diverse Dop. In Italia, diverse regioni non hanno ancora autorizzato la coltivazione delle uve Piwi, nemmeno per produrre vino generico, da tavola, o Igt. Il Registro Nazionale delle Varietà di Vino comprende al momento 36 varietà Piwi e la superficie coltivata è di poche migliaia di ettari. La regione più progressista è il Veneto, con il numero più elevato di ettari.

MIGLIORI PIWI ITALIANI 2023 – VINI BIANCHI

CLASSIFICA VINO CANTINA
1 Weinberg Dolomiten Solaris IGT 2022 Weingut tenuta Ploner
2 Arconi Bianco 2022 Terre di Ger
3 Planties Weis mitterberg IGT 2022 St. Quirinus

MENZIONI PER:

Limine Bianco IGP Venezia Giulia 2022 Terre di Ger
Cigno Bianco 2022 Parco del Venda
Mybrid 2022 Postumia vini
Athol 2022 Az. Agr. Sartori Michele
Solaris 2022 Az. Menel Giuliano
M’ama 2022 Soc. Agr. Albafiorita
Sauvignon Nepis Igt Veneto Piwi Bio Vegano 2022 Le Carline
Balbo 2022 Ca’ da Roman
Natus 2021 Cantina Ritterhof
Bronner IGT mitterberg 2022 Gruberhof
Souvignier Gris IGT Veneto 2021 Soc. Agr. Gentili
Johanniter 2022 Az. Agri. El Zeremia di Zadra Lorenzo
Igt Vigneti delle Dolomiti Piwi 2022 “White rock” Vivallis
Aromatta Villa Persani – Clementi Silvano
Ca de la Luce 2021 Rocche dei Vignali
La Ciòla 2022 Az. Agr. Bondaion

MIGLIORI PIWI ITALIANI 2023 – VINI ROSSI

CLASSIFICA VINO CANTINA
1 Olympus 2022 Cantina Trezero di Gri Alessio
2 El Masut 2021 Terre di Ger
3 Rosso Resiliens Piwi Bio Vegano 2022 Le Carline

MENZIONI PER:

Caliere 2021 Terre di Ger
Urano 2020 Le Carezze
Plonties Rot Mitterberg Igt 2019 St. Quirinus
Rosso Igt Veneto senza solfiti aggiunti 2022 “Kontiki” Cantina Pizzolato

MIGLIORI PIWI ITALIANI 2023 – MACERATI / ORANGE WINE

CLASSIFICA VINO CANTINA
1 Igt Veneto Rebellis 2021 Gianni Tessari
2 Florea Igt Venezia Giulia 2022 Conte D’Attimis Maniago
3 JoHanniter Souvigner Gris s.a. Cantina Delaiti

MENZIONI PER:

Gisla 2021 Ca’ da Roman
Rukh 2022 Nove Lune
Amber 2022 Pietramatta

MIGLIORI PIWI ITALIANI 2023 – VINI FRIZZANTI

CLASSIFICA VINO CANTINA
1 Zero infinito Cremisi 2022 Pojer e Sandri
2 Crun Solaris biologico 2022 Az. Agr. Sartori Michele
3 Re Baco 2022 Il Brolo

MENZIONI PER:

Solaris 2022 Cantina Trezero di Gri Alessio
Zero infinito 2022 Pojer e Sandri
Bianco della Rocca 2021 Viticoltori Alto Appennino Emiliano

MIGLIORI PIWI ITALIANI 2023 – SPUMANTI METODO ITALIANO / CHARMAT

CLASSIFICA VINO CANTINA
1 4.07 Organic Spumante Brut Cantina Montelliana e dei Colli Asolani
2 Johanniter 2022 Cà de Andol
3 Iris 2022 Le Carezze

MENZIONI PER:

Johanniter Spumante Brut Nature 2021 Cantina Colli del Soligo
Lauro 2022 Az. Agr. Filanda de Boron

MIGLIORI VINI PIWI ITALIANI 2023 – METODO CLASSICO

CLASSIFICA VINO CANTINA
1 Brut Nature s.a. Cantina sociale di Trento
2 Quirinus Brut Metodo Classico V.S.Q. s.a. St. Quirinus
3 Johanniter 2019 Az. Agr. Pravis

MENZIONI PER:

Rosato Dosaggio Zero 2020 Martignago vignaioli
Candido Brut nature 2020 Villa Persani – Clementi Silvano
Ecelo I° 2020 Ca’ da Roman

MIGLIORI PIWI ITALIANI 2023 – PASSITO

CLASSIFICA VINO CANTINA
1 Theia 2022 Nove Lune
2 Sonnen Tanz 2022 St. Quirinus
3 Bronner semisecco 2022 Ceste Vini – Ratio
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Müller-Thurgau, lo studio: «Le note vegetali da Sauvignon Blanc sono tipiche»

È corretto trovare nel Müller-Thurgau sentori simili a quelli del Sauvignon Blanc. Bosso (“pipì di gatto”) e note vegetali sono tipiche del vitigno. A stabilirlo è una ricerca condotta dall’Istituto Agrario di San Michele all’AdigeFondazione Edmund Mach (TN), insieme a 6 università italiane.

La notizia è stata anticipata da Mattia Clementi, ex presidente e attuale membro del Comitato Mostra Valle di Cembra, che ha parlato di fronte alla sala di esperti del settore chiamati a giudicare gli 82 vini iscritti al 19° Concorso Internazionale Vini Müller Thurgau, giovedì 17 giugno a Cembra. Altrettanto tipiche, sempre secondo l’Istituto trentino, le note di pompelmo. Meno quelle “aromatiche”.

IL PROFILO DEL MÜLLER-THURGAU

I dettagli della ricerca saranno oggetto di approfondimento durante la XXXV rassegna Müller Thurgau: Vino di Montagna, in programma a Cembra dal 30 giugno al 3 luglio. Tra gli appuntamenti da non perdere, anche l’annuncio dei vincitori del Concorso che ha visto protagonisti 55 Müller Thurgau italiani e 27 esteri (18 dalla Germania e 4 a testa da Svizzera e Repubblica Ceca).

Nato tra il 1882 e il 1891 dall’incrocio di Riesling Renano e Madeleine Royal, per mano del prof Hermann Müller, il Müller Thurgau è un vitigno che matura al meglio in montagna. In Valle di Cembra, dove occupa il 40% del vigneto complessivo, la varietà ha trovato la sua terra d’elezione, grazie a terreni porfirici e alla forte escursione termica.

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Nico Speranza: “Lieviti indigeni? Cazzata! Vini naturali? Per comunisti anni Novanta”

Il vino che lo ha reso noto si chiama Crocifisso, ma non ha nulla a che fare con la religione. La conversione di Nico Speranza riguarda piuttosto la sfera professionale. Un passaggio – più o meno brusco – dai canoni dei vini naturali a pratiche di cantina “convenzionali“. Come l’utilizzo di lieviti selezionati, al posto degli indigeni.

Un’eresia passata in sordina. Tant’è che Nico Speranza – alias Azienda agricola Vittorini di Monsampietro Morico, borgo di 600 anime della provincia di Fermo, nelle Marche – continua ad essere invitato ad alcune tra le maggiori fiere dei vini naturali italiani, tra cui quella che si svolge annualmente a Faenza (RA), in Emilia Romagna.

Nico – fresco del riconoscimento della critica all’ultima edizione del Premio San Martino d’Oro, dedicato ai vini fermani – non ci gira troppo intorno, in occasione della visita del gruppo di giornalisti chiamati in giuria, tra cui noi di WineMag.it.

“So benissimo cosa significa fermentare con i lieviti indigeni, è inutile che ce la raccontiamo: se ti va male, butti via tutto. Io ho vissuto gli anni Novanta, quando per distinguersi dagli altri c’erano le tessere di Rifondazione comunista. Si parlava in una certa maniera, si ascoltava certa musica. Ormai la politica non esiste più e questi si sono riversati lì: nel mondo dei vini naturali”.

“Se faccio una cosa è perché ci credo – continua Speranza – e ho provato a fare le fermentazioni coi lieviti indigeni: sono una cazzata pazzesca!”. Uno dei riferimenti di Nico Speranza è il compianto Didier Dagueneau, vignaiolo simbolo della Valle della Loira, artefice di capolavori come il Pouilly Fumé “Silex“: “Quella roba lì è un altro mondo – sottolinea – non si riesce neppure ad avvicinarsi a quel livello, senza usare i lieviti selezionati”.

Tra le rinunce vinnaturiste della cantina Vittorini, anche le macerazioni. Un tempo più prolungate su etichette come il Marche Bianco Igt. “Ho perso diversi clienti – ammette Nico Speranza – ma in realtà ne ho guadagnati altri. Qualche ristoratore me lo ha fatto notare, ma continua comunque ad acquistare i miei vini, apprezzandoli”.

E a Faenza? “Il pubblico – risponde Speranza – è piuttosto schematizzato. Chi viene al mio banco d’assaggio non fa troppe domande. Io parlo, parlo, parlo e cerco di evitare quegli argomenti. Non c’è questa finezza. Anche il tecnico più tecnico, raccontando storie, si lascia in un certo modo influenzare”.

Eppure, quando Nico Speranza è tornato nelle Marche per dare vita alla cantina Vittorini, l’idea di fare vino naturale era centrale nel progetto. Era il 2005. Speranza, cresciuto tra Pavia e Verona, amico di Romano dal Forno e Celestino Gaspari (Zýmē) ammira i produttori della Valpolicella per la capacità di ottenere grandi risultati, assemblando uve diverse. Una filosofia fatta propria nei 4 ettari di vigna, nell’areale di Monsampietro Morico.

“Negli anni scorsi – rivela il vignaiolo marchigiano – ho chiesto all’istituto di San Michele all’Adige di fare una selezione sui miei mosti: hanno trovato tre tipologie di lieviti, nessuno dei quali adatto alla fermentazione a bassa temperatura, mia esigenza. Un responso che ha contribuito al cambio di rotta necessario per produrre vini genuini, puliti e privi di difetti”. Prendere o lasciare.

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La notte degli alambicchi accesi 2019: cinque distillerie da non perdere in Trentino

Santa Massenza, piccola frazione di Vallelaghi. Pochi chilometri da Trento, a destra dell’Adige, lungo la strada che attraversa la splendida Valle dei Laghi e conduce al lago di Garda. Poco più di 150 abitanti e 5 distillerie. Un fazzoletto di terra chiuso fra i vigneti ed il lago di Santa Massenza che custodisce la tradizione della distillazione artigianale. È qui che ogni anno va in scena la “La notte degli alambicchi accesi“.

Una manifestazione, organizzata con la collaborazione di Strada del Vino e dei Sapori del Trentino e Trentino Marketing, che fonde insieme teatro ed enoturismo svoltasi in questo 2019 dal 6 all’8 dicembre. Francesco Poli, Casimiro, Giovanni Poli, Maxentia, Giulio e Mauro Poli sono i produttori protagonisti.

Ci vuole più tempo a pronunciare i loro nomi che a recarsi a piedi da una distilleria all’altra. Centimetri che non impediscono, ad ognuna, di esprimersi con estrema identità. Tutte distillerie che “derivano” dall’attività di viticultura e “dall’esser vignaioli”. Tutte con un unico comune denominatore: la Nosiola.

L’unico vitigno autoctono trentino a bacca bianca trova qui il suo areale d’elezione. Quel vitigno che sfruttando i venti locali (il Pelér e l’Ora) da vita ad un passito fragrante e profumato, il Vino Santo, da in realtà anche ottimi vini fermi, basti pensare alla versione “col fondo” della distilleria Francesco Poli.

Ma non solo. Le vinacce della Nosiola sono alla base delle grappe delle Valle dei Laghi. Talvolta in purezza e talvolta in taglio con altri vitigni. Talvolta bianca, talvolta invecchiata.

Ecco quindi tornare, ancora una volta, Distilleria Francesco Poli che nelle parole di Alessandro spiega la necessità di “tutelare la biodiversità trentina” attraverso i vini da Nosiola, il Vino Santo, e la grappa di Nosiola e di Schiava (altro vitigno trentino, stavolta a bacca rossa).

Graziano, presso Giovanni Poli, invita all’assaggio di una mini verticale. Grappa di Nosiola 24 mesi sorprende con una freschezza mentolata. Grappa di Nosiola 36 mesi è più morbida ed avvolgente. Grappa di Vino Santo rimanda alla frutta secca ed alle note sapide.

Dalle mani di Bernardino Poli (Casimiro) escono vini freschi e piacevoli non solo da Nosiola ma anche una Schiava Rosè ed un bianco da Piwi (Solaris, Johanniter, Bronner) profumato e tropicale. Le grappe invecchiate sono morbide mentre le bianche tendono a marcare la nota “verde” tipica della grappa tradizionale.

Mauro, di Giulio e Mauro Poli, presenta una grappa di Schiava e Nosiola dritta e verticale, cosi come la Grappa Maxentia che fa dell’immediatezza il suo biglietto da visita.

MASO NERO

Ben fuori dalla Valle dei Laghi, a Grumo frazione di San Michele all’Adige, in piena Piana Rotaliana, ha sede un’altra importante realtà della distillazione artigianale: l’Azienda Agricola Zeni, guidata da Rudy e dal padre Roberto.

Sintetizzare Zeni con una Grappa è quantomeno riduttivo. Zeni è un’azienda vinicola certificata bio dal 2011. Oltre 12 ettari vitati che danno vita a circa 120.000 bottiglie anno suddivise in 13 etichette di vini fermi e 3 etichette di Trento DocMaso Nero” (dal nome del maso nelle cui cantine riposa il metodo classico).

Zeni è una distilleria da 12.000 bottiglie anno suddivisa in 8 etichette. Grappe bianche affinate un anno in acciaio e grappe invecchiate in oltre 200 barrique finanche a 15 anni.

Zeni è anche Nero Brigante. Birra artigianale (al momento in gamma un Blanche, una Vienna ed una Golden Ale) ad alta fermentazione che utilizza i lieviti del Metodo Classico.

Espressioni di Teroldego in acciaio e legno, entrambe identificative di un territorio e di uno stile. Una Nosiola “vinificata in rosso” per estrarre il più possibile dalle bucce ed affinata per un mese in legno che racconta l’aromaticità del vitigno.

Trento Doc Rosè, 60% Pinot Nero 40% Chardonnay, profumato e croccante. Trento Doc Pas Dosè, 100% Pinot Bianco, ricco e rotondo nasconde la sua viva acidità fino alla chiusura, leggermente amaricante, del sorso.

Grappe da Teroldego. La 12 anni, vendemmia 2004, conquista con eleganza ed un ottimo bilanciamento fra varietale e legno. La Grado pieno, 59%, vendemmia 2001, è potente ma l’alcool non disturba ed in bocca sviluppa un ventaglio di aromi degna di distillati esteri più blasonati.

LA GRAPPA TRENTINA OGGI

Tutelata sin dal 1960, data di fondazione dell’Istituto di Tutela, la Grappa Trentina è oggi uno dei fiori all’occhiello della distillazione Italiana. Un disciplinare ferreo che limita tanto la zona di produzione (alla sola Provincia di Trento) quanto i tempi di distillazione (che deve concludersi entro il 31 dicembre per garantire la freschezza delle vinacce).

Ad oggi sotto il marchio di tutela Grappa del Trentino IG o Grappa Trentina IG viene prodotta circa il 10% dell’intera produzione nazionale. Grappe dalle sfumature diverse a seconda della sottozona, dei vitigni utilizzati e della mano del distillatore. Perché, ancora oggi, distillare è un’alchimia di scienza ed esperienza.

A fare il punto sulla Grappa Trentina oggi è Mirko Scarabello, presidente dell’Istituto di Tutela. Nelle sue parole emerge il quadro di un prodotto che ha retto bene agli scossoni del mercato dell’ultimo decennio, dato dal calo generale del consumo di alcolici dato dalla crisi e dai maggiori controlli sulle strade.

La Grappa Trentina ha resistito grazie alla sua qualità in un momento storico che ha fatto “pulizia” di molti prodotti non eccelsi e ad oggi vede un graduale recupero di mercato. Mercato che si sta aprendo sempre più verso il sud Italia in regioni che si scoprono amanti delle buona grappa.

Quote di mercato rosicchiate agli altri competitor nazionali, in primis grappe Piemontesi e Venete, che spesso faticano a tenere il passo qualitativo della Grappa del Trentino pur spuntando, a volte, prezzi più alti sul mercato.

Quote di mercato che ancora non si riesce a sottrarre ai distillati esteri quali Whisky, Rum e Cognac forti non solo di una fama ed una tradizione difficile da scalzare, ma anche di una tipologia di consumo diversa.

Ecco quindi l’idea di proporre la Grappa anche come ingrediente nella Mixology, ad esempio attraverso la collaborazione e le creazioni del bartender Leonardo Veronesi (già incontrato da Winemag durante la nostra visita in Marzadro) per favorirne sempre più la conoscenza e la diffusione fra i consumatori più attenti.

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Decifrato il codice genetico della peronospora della vite

TRENTO – La Fondazione Edmund Mach ha decifrato il codice genetico del patogeno che provoca la peronospora della vite, malattia responsabile ogni anno di gravi danni in Italia e nel mondo.

Si tratta della Plasmopara viticola, il cui genoma è stato  appena pubblicato sulla rivista Scientific reports (gruppo Nature).

I ricercatori hanno scoperto, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Provincia autonoma di Trento,  che la peronospora passa piccoli RNA e microRNA alla pianta ospite, i quali regolano l’espressione di geni dell’ospite in modo molto diretto. Inoltre è stata identificata una proteina della peronospora che interagisce direttamente con un gene di resistenza di vite.

Il genoma pubblicato riguarda uno specifico isolato di P. viticola che infetta la vite in Trentino e tramite l’uso di sofisticati approcci genomici ha prodotto una serie di risultati che potranno avere ricadute importanti nella lotta contro questo patogeno riducendo così l’uso di fungicidi di sintesi.

“Questa pubblicazione – sottolinea il presidente FEM, Andrea Segrè – ci sprona a continuare a lavorare in attacco, ovvero nella ricerca più avanzata sul miglioramento genetico, per avere piante più resistenti. Nei nostri laboratori di San Michele stiamo anche investendo nella difesa, cioè nella protezione dalle principali patologie vegetali. In sostanza, il nostro è un lavoro a tutto campo per vincere la partita della sostenibilità”.

I ricercatori hanno scoperto una nuova comunicazione bi-direzionale fra P.viticola e il suo ospite che coinvolge i piccoli RNA. Questo scambio di piccoli RNA porta ad una regolazione genica inter-specie che coinvolge geni che contribuiscono alla difesa dell’ospite contro patogeni e fornirà ai ricercatori degli importanti strumenti per utilizzare nuovi fungicidi basati sull’RNA per la lotta contro la peronospora.

“P.viticola è un patogeno obbligato, il che significa che non può vivere autonomamente -spiega Azeddine Si Ammour il principale autore dell’articolo-. P.viticola ricava energia sottraendo i nutrienti dalle cellule della vite ospite connettendosi alle cellule di quest’ultima mediante delle strutture chiamate austori”

“Con i miei collaboratori abbiamo mostrato che P.viticola passa piccoli RNA e microRNA alla pianta ospite i quali regolano l’espressione di geni dell’ospite in modo molto diretto. Per controbattere all’attacco la vite usa esattamente lo stesso processo per silenziare geni che sono coinvolti nella patogenicità”.

Gli autori spiegano che piccoli RNA e microRNA sono acidi nucleici di piccole dimensioni in termini di lunghezza che possono legarsi a RNA messaggeri che codificano per proteine. Questo legame di piccoli RNA all’RNA messaggero previene la sintesi della proteina corrispondente.

Oltre ad Azeddine Si Ammour, il gruppo di ricerca alla Fondazione Edmund Mach include Matteo Brilli, Elisa Asquini, Mirko Moser e Michele Perazzolli afferenti al Centro di Ricerca ed Innovazione  e Pier Luigi Bianchedi afferente al Centro di Trasferimento Tecnologico.

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Viticoltori bio: in 300 alla Fondazione Mach

Oltre duecento viticoltori presenti e un centinaio in collegamento streaming. Sono i numeri dei partecipanti alla giornata tecnica sulla viticoltura biologica organizzata dalla Fondazione Edmund Mach.

L’evento si è svolto in collaborazione con il Centro di sperimentazione Laimburg. In programma un incontro in aula magna e la visita ai vigneti sperimentali a San Michele, in località San Donà.

La riunione tecnica, che ha visto intervenire il direttore generale Sergio Menapace e il dirigente del Centro Trasferimento Tecnologico, Michele Pontalti, si inserisce all’interno di un contesto di iniziative e attività intraprese dalla Fondazione Edmund Mach a favore del settore biologico, che vanno dal potenziamento della consulenza tecnica e della sperimentazione al perfezionamento di percorsi formativi sull’agricoltura sostenibile.

Di recente è stato anche sottoscritto il protocollo di intesa con Federbio, che prevede di attivare congiuntamente una serie di attività di ricerca, sperimentazione e formazione nel settore dell’agricoltura biologica e biodinamica, quale uno fra i modelli agricoli per uno sviluppo rurale sostenibile.

GLI INTERVENTI
Enzo Mescalchin ha illustrato i dati del trend positivo che da anni distingue il settore biologico nella viticoltura trentina. La superficie a fine 2016 ammontava, infatti, a 825 ettari, +20% rispetto all’anno precedente, +362% rispetto al 2010. E’ stata poi la volta degli altri tecnici dell’Unità Biologica della FEM.

Roberto Lucin ha riferito sull’attività di consulenza tecnica a favore del biologico effettuata sul territorio, riferendo che la situazione sanitaria delle viti biologiche risulta paragonabile alla produzione integrata.

Luisa Mattedi ha illustrato le prove sperimentali condotte presso i vigneti della Fondazione Mach in tema di difesa da peronospora e oidio, confermando i buoni risultati ottenuti anche quest’anno utilizzando dosi ridotte di rame.

Sono poi seguite relazioni specifiche sul contenimento di Drosophila suzukii con l’applicazione di reti, sulle possibilità di utilizzo di una spazzolatrice meccanica per la riduzione della compattezza del grappolo, il cui prototipo è stato messo a punto dei ricercatori della Stazione Sperimentale di Laimburg, e sul controllo di Scaphoideus titanus, vettore di flavescenza dorata. Marino Gobber, infine, ha riferito sulle esperienze di una tecnica innovativa per contenere i danni da Esca, pericoloso fungo del legno che provoca la prematura morte delle viti.

Come di consueto, al termine delle relazioni i partecipanti hanno potuto visitare i vigneti sperimentali presso i quali sono state realizzate alcune delle prove presentate nella mattinata. Nel pomeriggio spazio alle prove condotte in frutticoltura biologica presso la Stazione Sperimentale di Laimburg. La giornata del biologico, infatti, nasce dalla collaborazione tra i ricercatori della FEM e i colleghi dell’Alto Adige, impegnati nella sperimentazione a favore del biologico.

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Cantine Ferrari punta sul biologico: certificazione per tutti i vigneti Trentodoc

Tutti i vigneti trentini di proprietà del Gruppo Lunelli destinati alla creazione di Ferrari Trentodoc hanno ottenuto la certificazione biologica. “Una notizia attesa – commenta in una nota la casa di Trento – che a pochi giorni dal Vinitaly 2017 e corona l’impegno della famiglia Lunelli nel riportare al centro dell’attività agricola il concetto stesso di fertilità naturale del terreno, il rispetto dell’ambiente e di chi vi lavora”.

“La certificazione biologica di tutti i vigneti trentini della nostra famiglia – commenta Marcello Lunelli, vice presidente delle Cantine Ferrari – rappresenta un grande traguardo che ha ricadute positive su tutto il processo produttivo, e rafforza ulteriormente il nostro impegno in termini di responsabilità sociale verso i territori in cui operiamo”.

Il punto di arrivo di un percorso lungo e impegnativo, iniziato oltre vent’anni fa. Numerosi studi e sperimentazioni in campagna condotti con il supporto della Fondazione Mach di San Michele all’Adige (TN), hanno portato alla convinzione che, una volta ottenuto un adeguato equilibrio del vigneto, sia possibile fare viticoltura biologica anche in territori di montagna.

Negli anni è stato introdotto il divieto totale di utilizzo di diserbanti e concimi chimici, a favore di pratiche tradizionali come il sovescio, di fertilizzanti naturali come il letame e dell’uso esclusivo di fitofarmaci ad alto grado di sicurezza, che prediligono l’impiego di prodotti naturali quali il rame e lo zolfo.

In questo contesto, nel 2014 è iniziato il processo di conversione al biologico di tutti i vigneti di proprietà delle Cantine Ferrari, che è terminato con successo qualche giorno fa.

“Questa cultura della sostenibilità e del rispetto per il territorio – sottolinea Cantine Ferrari – negli anni è stata condivisa anche con le oltre 500 famiglie che ci conferiscono le proprie uve, attraverso un lungo processo di formazione e di educazione da parte del team di agronomi di Casa Ferrari”.

A tutti i conferenti è stato chiesto di seguire un vero e proprio protocollo di viticoltura di montagna salubre e sostenibile denominato “Il Vigneto Ferrari”, elaborato sempre col sostegno scientifico della Fondazione Edmund Mach e certificato da CSQA.

IL TRENTODOC “SOSTENIBILE”
A garantire una migliore qualità della pianta e dell’uva prodotta, queste iniziative hanno avuto importanti ricadute su tutto il territorio circostante, che oggi beneficia di una più ricca biodiversità, confermata anche dalla certificazione “Biodiversity Friend” da parte della Worldwide Biodiversity Association.

Un territorio, quello delle montagne del Trentino, che nei secoli il lavoro dell’uomo ha trasformato, rendendo più dolci i pendii con filari di viti coltivati e mantenuti come giardini.

Oggi questi vigneti di montagna, gli unici ad assicurare l’eccellenza della base spumante Trentodoc, sono ancora più in sintonia con la natura, grazie all’importante traguardo raggiunto dalle Cantine Ferrari, che dimostrano di conservare lo spirito pioneristico del loro fondatore. Fu proprio Giulio Ferrari, infatti, oltre un secolo fa, a individuare le montagne trentine come terreno ideale per la produzione del migliore Chardonnay destinato alla produzione di Metodo Classico.

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La crisi del vino novello spiegata da Cavit

Trecentoquarantamila bottiglie. Si assesta su queste cifre la produzione di vino novello da parte di Cavit, Cantina Viticoltori del Trentino. Cifre in decremento. Così come in picchiata risultano, su scala nazionale, le vendite di vino novello. Una crisi senza fine, quella del corrispettivo italiano del Beaujolais nouveau francese. Il primo nettare della vendemmia, ottenuto (almeno parzialmente) mediante macerazione carbonica, ha perso il fascino di 10 anni fa. In Italia se ne producevano 10 milioni di bottiglie. Oggi 2 milioni. Il minimo storico, come sottolinea la stessa Coldiretti.

“Indubbiamente – spiega Susi Pozzi, direttore Marketing Italia di Cavit S.C. – il mercato del Novello negli anni ha subito un ridimensionamento, sia dal punto di vista delle bottiglie totali sia del numero di produttori. E’ un prodotto che ha raggiunto la fase di maturazione e declino. Le motivazioni sono diverse: un calo generalizzato del consumo di vino, la perdita ‘dell’effetto attesa’, dopo la modifica della data del cosiddetto ‘deblocage‘ del 6 novembre, una costante rincorsa all’anticipo del Natale che ha eroso ‘spazio/tempo’ alla vendita di questo prodotto, in particolare nel canale Gdo”.

Eppure, per Cavit, la produzione di vino novello rappresenta un segmento importante. “Il nostro novello Fiori d’Inverno è leader nel canale Gdo – precisa ancora Pozzi – mentre Terrazze della Luna è dedicato al canale Horeca. Il novello, per Cavit, rappresenta ancora un prodotto importante, che sosteniamo con eventi ad hoc per comunicare al consumatore e agli opinion leader la peculiarità dell’uva Teroldego, particolarmente adatta alla tecnica della macerazione carbonica, oltre alle caratteristiche distintive dei nostri Novelli”.

IL NOVELLO DI CAVIT
L’Igt Vigneti delle Dolomiti “Fiori d’Inverno”, destinato ai supermercati, è un vino di pronta beva, preparato e proposto al consumatore già un mese dopo la fine della vendemmia. La zona di produzione è il Campo Rotaliano, nei comuni di Mezzolombardo, San Michele all’Adige e tra le colline coltivate a vite di Roverè della Luna. In particolare, “Fiori d’Inverno” nasce dalle uve di due vigneti autoctoni trentini: Teroldego e Schiava Gentile, che contribuiscono al blend rispettivamente al 70 e al 30%.

La tecnica usata per la vinificazione del Teroldego è la macerazione carbonica: le uve, perfettamente sane e mature, vengono fatte sostare intere e non pigiate in tini di acciaio inox in ambiente saturo di anidride carbonica. Durante questo periodo avviene la fermentazione intracellulare con estrazione delle sostanze aromatiche più delicate presenti nella buccia. Dopo qualche giorno l’uva viene pressata e il mosto fatto fermentare a temperatura controllata. Unito alla Schiava gentile (che dunque non subisce macerazione carbonica) viene poi sottoposto a un breve affinamento in tini di acciaio inox, prima dell’imbottigliamento e della commercializzazione. Dati analitici: alcool 11,50% vol., acidità totale 4,8 g/l, estratto secco netto 26 g/l, zuccheri residui 7 g/l.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivo e brillante. Profumo netto, marcatamente fruttato con sentore di lampone e fragola tipico dei vini ottenuti in macerazione carbonica. Sapore secco, piacevolmente equilibrato, di corpo leggero, ma elegante e vivace. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.

Il Novello di Teroldego Igt Vigneti delle Dolomiti “Terrazze della Luna” è vinificato e proposto al consumatore appena dopo un mese dalla vendemmia. “A torto – spiega Susi Pozzi – per la sua giovinezza, è considerato di ‘relativa’ qualità: è invece il frutto di un’attenta selezione delle uve, di una raffinata tecnica enologica e di un efficiente servizio al consumatore più curioso”. La zona di produzione è sempre quella del Campo Rotaliano in Trentino, ossia l’area vitata delimitata dalle Borgate di Mezzolombardo, Mezzocorona e San Michele all’Adige, collocata lungo i fiumi Adige e Noce. “L’esperienza – evidenzia Pozzi – ha dimostrato che il vitigno più adatto all’elaborazione del vino Novello è l’autoctono Teroldego, opportunamente selezionato e vinificato in purezza. La particolare resistenza ‘meccanica’ della buccia consente di mantenere integri gli acini durante la prima fase di vinificazione in macerazione carbonica delle uve intere. Particolare questo molto importante per i processi enzimatici che avvengono in questa prima fase all’interno dell’acino e che conferiscono al vino quel particolare sentore fruttato e fresco, tipico del novello”.

Il metodo di elaborazione è quello della macerazione carbonica. I grappoli maturi e perfettamente sani vengono posti interi, e non pigiati, in piccoli tini di acciaio inox. La macerazione in ambiente chiuso, in totale assenza di ossigeno, favorisce l’estrazione delle sostanze aromatiche e coloranti dalle bucce. Dopo alcuni giorni si passa alla pigiatura delle uve, avviando il mosto alla fermentazione a temperatura controllata. Un breve affinamento in recipiente d’acciaio inox precede imbottigliamento e commercializzazione.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivace e brillante; profumo netto con marcato sentore fruttato che ricorda i frutti di bosco e in particolare il lampone. Sapore fresco, armonico, delicato e piacevole. Dati analitici: alcool 12,00% vol, acidità totale 5 g/l, estratto netto 26 g/l, zuccheri residui 6 g/l. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.

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Vino italiano, Fem: “L’export migliora la qualità”

“La percentuale del vino italiano che viene venduta all’estero è in crescita e per molte aziende ha oltrepassato la soglia del 50% della produzione. Questo implica che all’interno delle azienda vitivinicola ci siano delle persone con delle competenze specifiche per seguire il lavoro di vendita e promozione sui mercati esteri”. Steve Kim, managing director di Vinitaly International, ha moderato oggi il settimo seminario internazionale di marketing del vino organizzato dalla Fondazione Edmund Mach (Fem) a San Michele all’Adige (Trento) e centrato sui nuovi modelli per l’export.

L’evento, rivolto ad esperti di marketing del vino, produttori e studenti, si inserisce all’interno del percorso formativo di eccellenza “executive master wine export management”, che forma gli specialisti dell’export vini. Professionisti in grado di supportare le aziende del vino nel complesso processo di internazionalizzazione. Oggi, al termine del seminario, si è svolta anche la consegna degli attestati a 24 nuovi manager del vino.

“Abbiamo analizzato quali sono queste competenze, i mercati storici del vino italiano, ma soprattutto quelli nuovi e la Cina in particolare, dove l’Italia del vino non è ancora riuscita ad affermarsi come hanno fatto i cugini d’Oltralpe, ma si stanno facendo enormi sforzi per recuperare terreno” ha detto Kim, l’esperta coreana a capo del braccio strategico internazionale di Vinitaly e impegnata ad utilizzare i canali innovativi per comunicare e celebrare “il vino italiano” all’estero – con un’enfasi creativa sui social media – sempre con un occhio di attenzione per aiutare i produttori italiani a vendere di più di una semplice bottiglia di vino.

LA CRESCITA
L’export vitivinicolo italiano è fortemente cresciuto in quest’ultimo ventennio a dimostrazione del grande appeal internazionale della nostra vitienologia. E’ cresciuta però anche la concorrenza sui mercati internazionali, sono aumentate le problematiche organizzative, si sono fortemente modificati i sistemi distributivi e la stessa rete di importazione si è decisamente evoluta in quest’ultimo quinquennio. Grandi evoluzioni che stanno obbligando le imprese enologiche italiane a grandi sforzi organizzativi e ad aumentare fortemente la loro capacità di gestire la loro presenza sui mercati internazionali.

“Occorre puntare sulla qualità del vino, ma anche creare marchi in grado di esprimere uno stile di vita. Se riusciamo a fare questo le opportunità sono enormi”, ha detto Matteo Lunelli, presidente di Cantine Ferrari nonché direttore dell’International Wine and Spirits Competition IWSC, intervenuto assieme ad Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini e titolare della cantina Donnafugata, Emilio Pedron, amministratore delegato di Bertani Domains, Raffaele Boscaini, responsabile Marketing Masi, Francesco Ferreri, presidente di Assovini Sicilia, Matilde Poggi, presidente Fivi e titolare di Le Fraghe, Roberta Crivellaro dello studio legale Whiter.

A conclusione della tavola rotonda si è svolta la consegna degli attestati ai 24 nuovi export manager del vino, provenienti da varie regioni italiane e selezionati da una commissione che ha valutato oltre 70 candidature. Intanto, è tutto pronto per il prossimo corso: il 31 dicembre scadono i termini per iscriversi alla quinta edizione del corso di wine export management.

 

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Well done Fem! Successo al campionato europeo vite e vino

Medaglia di bronzo al Centro Istruzione e Formazione della Fondazione Edmund Mach nell’ambito dell’11esima edizione della ”European Wine Championship”, la rassegna dedicata alla vite e al vino che per tutta la settimana scorsa ha visto sfidarsi, in Svizzera, 72 studenti provenienti da 12 nazioni.

Ada Fellin, studentessa del corso per enotecnici del Centro Istruzione e Formazione si è classificata al terzo posto nella classifica generale. La competizione si è svolta negli istituti agrari di Morges e Changins, e ha coinvolto le seguenti nazioni: Italia, Austria, Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Ungheria, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svizzera.

In totale hanno partecipato 36 scuole enologiche, ognuna delle quali con due studenti dell’età compresa tra i 17 e i 25 anni. L’Italia era rappresentata da cinque scuole: Ascoli Piceno, Conegliano, Laimburg, Ora e San Michele all’Adige; quest’ultima con i due studenti Ada Fellin e Lorenzo Dallagiacoma, accompagnati dal docente Luca Russo.

I giovani si sono sfidati, in lingua inglese, sulle conoscenze tecniche, dall’enologia alla viticoltura, dalla potatura alle malattie della vite, dalla microbiologia alla degustazione. In particolare, Lorenzo Dallagiacoma si è aggiudicato il quarto posto nelle prove generali di degustazione di vini internazionali e Ada Fellin il terzo posto nelle prove di viticoltura.

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L’8, il 14 e il 15 Aprile tutti a scuola di vino alla Fondazione Edmund Mach

La Fondazione Edmund Mach, di San Michele all’Adige, attraverso il Dipartimento post-secondario e universitario del Centro Istruzione e Formazione, organizza una serie di appuntamenti e incontri con illustri rappresentanti del mondo del vino. L’iniziativa si inserisce all’interno dell’Executive Master in Wine Export Management, ma si apre a un pubblico più numeroso dei soli corsisti: si tratta degli ”extra program” che consistono in attività, seminari, corsi, presentazioni di libri. Il primo è in programma venerdì 8 aprile, alle ore 16.30, presso il Palazzo della Ricerca e della Conoscenza. Si tratta dell’incontro con il sociologo Gianmarco Navarini autore per Il Mulino del libro ”I mondi del vino” e docente di Sociologia della cultura ed Etnografia alla Bicocca di Milano. Il seminario, ad entrata libera ma con registrazione obbligatoria, avrà come focus principale gli elementi che compongono la fenomenologia sociale del mercato, quali ad esempio: i processi culturali di differenziazione dei mondi del consumo e della produzione; lo sviluppo dei legami tra i sistemi di classificazione del vino come prodotto e le classificazioni sociali dei consumatori (dai consumatori agli appassionati ai wine snob); i discorsi differenziali sulla definizione della qualità nel mercato; il linguaggio dei sensi e la comunicazione del gusto.  Giovedì 14 aprile, incontro con il guru Robert Joseph, autore di ”Marketing Wine Toolkit”, master of Wine, sul tema ”Brand vs Territorio o Brand e Territorio?’Metodi efficaci per commercializzare vino e territorio”, mentre venerdì 15 aprile incontro con l’importatore USA, Jim Lo Duca (Lo Duca Wines – USA: Il punto di vista dell’importatore USA: esigenze, problemi e soluzioni (seminario in inglese con traduzione consecutiva). La Fondazione Edmund Mach (FEM) è un organismo privato di diritto pubblico strumentale alla Provincia Autonoma di Trento, attiva nel campo della formazione, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico nei settori agricolo, alimentare e ambientale. Ne fanno parte il Centro Ricerca e Innovazione (CRI), il Centro Istruzione e Formazione (CIF) e il Centro per il Trasferimento Tecnologico (CTT).
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