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Ruchè Vigna del Parroco 1964-2024: Ferraris celebra i 60 anni con un cofanetto

Ruchè Vigna del Parroco 1964-2024 Ferraris celebra i 60 anni con un cofanettoIl Ruchè Vigna del Parroco è un vino complesso, la cui bottiglia riproduce la forma originale del rosso prodotto dal parroco Don Giacomo Cauda. Era il 1964 e nasceva così la storia moderna del Ruchè di Castagnole Monferrato. Oggi, “La Vigna del Parroco” è l’unico cru della denominazione, valorizzato dalla cantina Ferraris Agricola di Luca Ferraris. Non un’etichetta qualunque, bensì il simbolo dei 60 anni del Ruchè: un traguardo che la piccola Docg piemontese taglia proprio nel 2024. Per festeggiare il sessantesimo, Ferraris ha deciso di mettere in commercio un cofanetto speciale contenete la verticale di 4 annate: 2017, 2018, 2019, 2020.

«Se non ci fosse stato Don Giacomo Cauda – sottolinea Luca Ferraris, patron della cantina – oggi non esisterebbe il Ruchè. Questo vino ha un crescente successo e non conosce crisi, nonostante il momento di riflessione per il comparto enologico. Oggi se ne producono poco più di 1 milione di bottiglie vendute in tutto il mondo a un prezzo sempre crescente. Merito anche dell’introduzione della tipologia Riserva, che noi produttori abbiamo fortemente voluto».

IL RUCHÈ VIGNA DEL PARROCO

Don Giacomo Cauda è artefice della riscoperta, a inizio anni Sessanta, del Ruchè. Una piccola perla enologica che non conosce crisi, prodotta in sette comuni dell’astigiano – Castagnole Monferrato, Grana, Montemagno, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi – e inclusa nel novero delle denominazioni gestite dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato. Una denominazione speciale, con una storia speciale. Il suo artefice, Don Giacomo Cauda, è una figura a metà strada tra Dom Pérignon – che la leggenda vuole artefice della nascita dello Champagne – e Don Camillo, per il suo carattere eccentrico.

Don Cauda diede una nuova speranza a un piccolo territorio del Monferrato che rischiava di essere abbandonato. È questa la storia che oggi festeggia il vino Vigna del Parroco Ruchè di Castagnole Monferrato Docg. A celebrare questo traguardo è Luca Ferraris che la ereditò quasi “in dote” nel 2016, con la promessa di portare avanti e continuare a valorizzare questo vigneto, parte delle proprietà della parrocchia un tempo gestita da Don Giacomo Cauda. Pochi filari di un vitigno allora rude ma che, nel tempo, il religioso seppe trasformare in un prodotto straordinario, inconfondibile per le sue note speziate e floreali.

IL RUCHÈ, DAGLI ESORDI ALLA DOCG

Gli esordi non furono facili tanto che, all’acquisto della Vigna del parroco, si fece promettere dai parrocchiani che, se necessario, avrebbero acquistato dieci vendemmie delle uve per non mandare in bancarotta la chiesa. Lavorando duramente, salendo sul trattore anche il Venerdì Santo e dedicando ogni momento libero alla coltivazione della vigna, riuscì a costruire con i proventi delle vendite del vino servizi per la comunità locale, facendo rifiorire il paese. Un impegno che lo portò ad arrivare fino a Roma, al Ministero, per richiedere la Doc, evoluta in Docg nel 2010 grazie al sindaco di Castagnole Monferrato Lidia Bianco.

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Rinnovato il Cda dell’Associazione Produttori del Ruchè di Castagnole Monferrato

Sono sei i consiglieri che affiancheranno il presidente Luca Ferraris per i prossimi quattro anni, in rappresentanza delle 22 aziende dell’Associazione Produttori del Ruchè di Castagnole Monferrato. Il rinnovo del Cda è avvenuto nelle ultime ore, in Piemonte.

“Sono felice che sia stato raggiunto il numero massimo di consiglieri possibile da Statuto perché è la dimostrazione di quanto il territorio creda nel nostro vino simbolo. Il gruppo è composto in gran parte da giovani e sono certo che questo apporterà ulteriore dinamismo alla nostra realtà”, dice il presidente.

Un dinamismo confermato da progetti ambiziosi, primo fra tutti l’incremento delle vendite sul mercato nazionale ed estero, primi fra tutti Stati Uniti e nord Europa. Ad oggi, sono circa 800 mila le bottiglie complessive di Ruchè di Castagnole Monferrato prodotte su circa 140 ettari di superficie, con l’export che si assesta attorno al 30%.

A far parte del Consiglio Direttivo sono, oltre al presidente Luca Ferraris (Ferraris Agricola), Franco Morando (Azienda Montalbera), eletto vicepresidente, Franco Cavallero (Cantine Sant’Agata), Daniela Amelio (Amelio Livio), Gianfranco Borna (Cantina Sociale di Castagnole), Roberto Morosinotto (Bersano) e Roberto Rossi (Vini Caldera). Segretario è stato eletto Dante Garrone (Garrone Evasio e Figli).

L’Associazione Produttori del Ruchè di Castagnole Monferrato ha lo scopo di promuovere il Ruchè ed il territorio grazie all’unione delle competenze e dell’esperienza dei produttori. Ne fanno parte 22 aziende su 25 produttori totali della denominazione e i soci rappresentano circa il 90% della produzione imbottigliata, venduta in Italia e all’estero.

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Approfondimenti

Montalbera: Vincenzo Serbello nominato nuovo Direttore Commerciale Italia

CASTAGNOLE MONFERRATO – Montalbera, storica azienda vitivinicola situata tra Monferrato e Langhe, da sempre di proprietà della Famiglia Morando e guidata oggi da Franco Morando ha un nuovo Direttore Commerciale Italia, Vincenzo Serbello.

Quest’ultimo dopo una lunga esperienza nel settore Ho.re.ca Italia,  ha ricoperto negli ultimi dieci anni ruoli manageriali per alcune delle più prestigiose aziende vitivinicole italiane tra cui Contratto, Fontanafredda, Mionetto e Barone Ricasoli.

“Con l’inserimento di un manager di alto profilo ed una migliore organizzazione” ha dichiarato Franco Morando “possiamo affrontare con maggiore incisività le nuove sfide in un mondo profondamente cambiato. Abbiamo tutti gli strumenti adeguati per farlo e lo faremo”.

L’AZIENDA MONTALBERA
Nata all’inizio del ventesimo secolo, l’azienda vinicola Montalbera si trova in un territorio compreso tra i sette comuni del Monferrato astigiano con al centro Castagnole Monferrato.

Di proprietà della famiglia Morando da sei generazioni, si pone di diritto tra le grandi realtà vinicole del Piemonte con il più grande numero di ettari accorpati in un unico appezzamento. Due le proprietà:  160 ettari a Castagnole Monferrato, in un territorio dichiarato da Unesco Patrimonio dell’Umanità e 15 ettari a Castiglione Tinella in Langa.

Dal 2003 si dedica alla valorizzazione del vitigno autoctono Ruchè, principale interprete, propria icona e uno dei motori di crescita sul mercato nazionale e internazionale. Tra i principali vini prodotti dall’azienda il Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Laccento, il vino Barbera d’Asti Superiore Docg Nuda e il Grignolino d’Asti DOC Lanfora.

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Gin Agricolo, il figlio del terroir: Franco Cavallero in tre assaggi

Agricolo perché tutti gli elementi che lo compongono sono figli del territorio. Agricolo perché è una precisa scelta quella di coltivare le materie prime e monitorarne l’intera filiera. Agricolo perché è artigianale. È così che Franco Cavallero ha pensato, voluto e realizzato il suo gin.

L’idea è relativamente recente, l’esperienza di Franco no. Subentrato nella direzione dell’azienda di famiglia, Cantine Sant’Agata di Scurzolengo (Asti), insieme al fratello all’inizio degli anni ’90 Franco “si fa le ossa” nel mondo del vino scommettendo sul Ruchè, il vitigno locale.

Ma è durante i suoi viaggi volti a promuovei i propri vini che Cavallero scopre il mondo affascinante del gin, decidendo da prima di proporlo nella propria enoteca/cocktail bar di Asti, Il Cicchetto, ove ne propone più di 100 tipologie diverse e poi di cimentarsi con la produzione.

L’idea di fondo però non è quella di produrre semplicemente “un gin” ma di realizzare un distillato che sia figlio del territorio. Franco ha quindi iniziato a sfruttare i terreni non atti alla vite della propria azienda per coltivare in proprio le botaniche necessarie.

Sperimentazioni e prove che hanno portato all’identificazione delle corrette tecniche di coltivazione e del metodo di produzione più adatto al concept. Ecco quindi la scelta del “Distilled”, tecnica che da gin meno fini della “London Dry” ma che permette di meglio conservare le caratteristiche delle erbe utilizzate.

25.000 bottiglie/anno la maggior parte, oltre l’80%, destinate all’export soprattutto verso Asia, Canada e Finlandia. Tre i gin attualmente in gamma che andiamo a degustare, tutti con gradazione del 47%.

LA DEGUSTAZIONE
Gadan. Gin bianco, dall’aroma fine ed elegante anche se non particolarmente intenso. Al naso colpisce subito la spiccata nota di ginepro che la fa da padrone senza però coprire essenze floreali di rosa e lavanda.

L’ingresso in bocca è leggermente pungente ma la componente alcolica si smorza durante il sorso cedendo il passo ad un finale lungo e leggermente amaricante. Ottima base cocktail non disdegna di essere bevuto liscio.

Blagheur. Colore lievemente ambrato. Naso fine ricco di note erbacee di menta ed erba tagliata cui fa eco una piacevole nota speziata. Pepe bianco, rafano, coriandolo che giocano a nascondino col ginepro.

In bocca è morbido e secco. Retro olfattivo equilibrato, intenso e corrispondente al naso. Chiusura fresca e persistente. Al contrario di Gadan sembra più portato ad essere assaporato da solo, anche se può dire la sua nel bere mescolato.

Evra. Sorprendente colore rosso per il gin che non ti aspetti. Il ginepro c’è ma è quasi sovrastato da una incredibile nota fruttata di frutti rossi.

Lamponi e ciliegia che cedono il passo a note erbacee fresche di menta e salvia e ad un leggera spezia morbida. Avvolgente in bocca, con quella nota fruttata che lo rende quasi dolce. Un gin “femminile” direbbe qualcuno capace di coinvolgerti su quel lato che non ti aspetti, quello della morbidezza. Se stupisce bevuto liscio senza ombra di dubbio può donare profumi e sfumature particolari in qualunque preparazione.

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Ruchè di Castagnole Monferrato Docg 2015 Laccento, Montalbera

Un calice delizioso, degno protagonista di un moderno simposio tra amici. Ecco la sintesi del Ruchè di Castagnole Monferrato Docg 2015 Laccento prodotto da Montalbera. Una bottiglia da ordinare “senza se e senza ma”, se proposta sulla carta dei vini del ristorante.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino con riflessi violacei, il Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Laccento di Montalbera si presenta limpido e poco trasparente Al naso è intenso  con note di piccoli frutti rossi in confettura ai quali si aggiungono fiori appassiti e spezie dolci come la vaniglia.

L’ingresso al palato è morbido e aggraziato. Il suo corpo si fonde perfettamente con l’alcol, le note fruttate e floreali e si lega al tannino setoso regalando un calice impeccabile ed elegante con una buona persistenza aromatica intensa.

LA VINIFICAZIONE
Le teorie sulle origini del Ruchè sono diverse. Secondo alcuni il nome deriverebbe da ”roncet”, termine francese che indica una virosi. Secondo altri Ruchè deriva dal piemontese ”roche”, ovvero arroccato (sulle colline del Monferrato). Non manca anche una versione più ”sacra” che lega l’etimologia del nome a San Rocco e alla comunità monastica che lo avrebbe introdotto nella viticultura locale.

Quello che è certo è che il Ruchè ha delle caratteristiche uniche e inconfondibili. Caratteristiche che Montalbera ha voluto certificare, affidando al laboratorio Bioaesis di Ancona un’indagine sul DNA del vitigno  per tracciarne la patente genetica. Il risultato di questo lavoro ha confermato che il Ruchè ha un proprio profilo genetico, diverso da tutte le altre varietà presenti nel database mostrando picchi simili solo al Pinot Nero.

Il Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Laccento è prodotto con uve Ruchè provenienti da vigne vecchie di oltre 25 anni. La vendemmia è in parte in sovra-maturazione direttamente in vigneto (circa il 90% della produzione) e parte (circa il 10%) in appassimento direttamente in vigna con una resa di 75 q/ha.

Per la parte raccolta in sovra-maturazione la vinificazione è in rosso con premacerazione a freddo nei primissimi giorni di lavorazione e breve post-macerazione a caldo al termine della fermentazione. La durata totale a contatto con le vinacce è di 14-16 giorni. Segue affinamento di minimo 6/8 mesi in bottiglia posizionata orizzontalmente a temperatura non superiore ai 10 gradi per l’importante residuo zuccherino.

Montalbera, azienda nata negli anni ottanta di proprietà della famiglia Morando si estende su circa 175 ettari tra Monferrato e Langhe di cui circa 82 impiantati a Ruchè.

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Langhe wine tour: visita alle cantine Porro, Sobrero, Sordo, Rivella e Rinaldi

La meta, stavolta, è “La Meta”: ovvero la Langa. Le idee sono chiare. Mix tra produttori emergenti poco noti e top di gamma. Il programma prevede il passaggio attraverso tre comuni della denominazione Barolo: Serralunga per visita all’azienda agricola Guido Porro, Castiglione Falletto alle Aziende agricole Sobrero Francesco e Giovanni Sordo, poi a Barolo per conoscere Giuseppe Rinaldi. E infine puntata a Barbaresco per incontrare Teobaldo Rivella. Questi ultimi due? Monumenti del territorio, memorie storiche della Langa. E vignaioli fino al midollo. Non per niente infatti iscritti al Consorzio ViniVeri.

AZ. AGRICOLA GUIDO PORRO
La giornata inizia presto, si parte da Milano alle 7. La prima visita è fissata per le 9 del mattino. Ad aprire le porte dell’Azienda agricola Guido Porro è il papà Giovanni: batteria di vini al completo sul tavolo, insieme a un bel cestino di grissini. Guido è impegnato a imbottigliare l’annata nuova. Passerà più tardi per un saluto.

Giovanni racconta la storia dell’azienda e dei cru in possesso, tutti sul territorio di Serralunga. Il Gianetto la cui porzione è esposta a est/sud-est, con terreno caratterizzato da argilla e tufo ma con una componente sabbiosa in maggioranza.

Poi c’è il Lazzarito: terreni di sola argilla e tufo dai quali nascono i Baroli aziendali delle vigne Santa Caterina e Lazzairasco. Quest’ultimo è il Barolo premiato della casa. Il Cru Lazzarito è esposto a nord-ovest e prende sole tutto il giorno. Una balconata guarda il paese di Serralunga e la conca del Lazzarito. “Uno spettacolo – evidenzia Giovanni Porro, come se per lui fosse la prima volta – vedi… quel pezzo là dietro alla cascina rossa è il cru Gabutti. Mentre alle spalle del paese, là dietro, scende la Vigna Rionda”. Fantastico. Vedere coi propri occhi quello che avevi sempre e solo letto è emozionante.

LA DEGUSTAZIONE
Dolcetto 2016
, 14%. Splendida beva, molto piacevole. Lontano dai Dolcetti tannici di Dogliani. Qui la frutta fresca rossa la fa da padrona, tannini morbidi e acidità bilanciata. Macerazione, veloci svinature e poco tempo in acciaio. Il vino è pronto in fretta. E’ quello che qui si beve tutti i giorni, a tavola.

Barbera d’Alba vigna Santa Caterina 2016, 15%. Tempi più lunghi di fermentazione e 20/22 giorni di macerazione. La freschezza e l’acidità spiccano, ma la componente fruttata è vasta e il tutto invita al sorso compulsivo. Tutto acciaio, niente legno. Fantastica.

Barbera d’Alba vigna Santa Caterina 2015 è la Barbera Perfetta. Ben bilanciata in tutte le componenti e la freschezza dell’annata le conferisce una miglior succosità e piacevolezza nel sorso. Un po’ piaciona forse. Di certo quella che fa meno fatica a risultare la preferita.

Nebbiolo 2016. 24/25 giorni di macerazione. In cantina si utilizzano vasche di acciaio di stampo più largo che alto. “In modo tale – spiega Giovanni – da avere un cappello più basso e più facile da rompere”. Due rimontaggi al giorno. Le uve arrivano quasi tutte dal Gianetto. Il vino è giovane, molto giovane. Al naso prevale una nota che rimanda a un’erba officinale poco gradevole al naso. In bocca va un po’ meglio, ma è ancora spigoloso e deve armonizzarsi.

Nebbiolo 2015. Decisamente meglio, la nota verde c’è ancora ma l’acidità è splendida e il sorso per niente scontroso. Un vino comunque da aspettare, in cantina. La stessa punta verde la trovo nel Barolo Gianetto 2013 anche se meno marcata. L’affinamento dei Baroli avviene in botti classiche di Rovere di Slavonia da 25 e 30 ettolitri con tempi da disciplinare classico.

Barolo Santa Caterina 2013. Tannino già morbido per essere stato messo in bottiglia da qualche settimana , componente fruttata leggera … un Barolo atipico si direbbe per queste parti. Meglio la 2012 con tannino marcato quanto basta e bel frutto classico con richiamo di viola . questo mi piace. Ne prendo 2 .

Lazzairasco 2013. E’ il Serralunga per antonomasia, quello riconoscibile. Austero, scontroso, tannico e duro ma allo stesso tempo elegante, molto elegante. Il 2012, con un anno in più di bottiglia, mostra già i primi equilibri tra le parti ma ha ancora tanta strada da fare. Sarà premiato anche il 2013? Vedremo.

Capitolo Vigna Rionda. La famiglia Porro, alla morte del cugino Tommaso Canale, divide con Ettore Germano e Giovanni Rosso la porzione del cru in possesso a Canale. La parcella migliore della Vigna Rionda, si dice in Langa. Giovanni Rosso riesce a recuperare la vigna piantata mentre Porro si trova davanti alla dura decisione di dover espiantare tutte le vecchie vigne e reimpiantarne di nuove.

La prima annata di produzione è la 2014, che uscirà solo nel 2018. Poter assaggiare tutti i campioni di botte in verticale (2014, 2015 e 2016) è una vera fortuna. Beh, questi sono vini eccezionali: eleganza pura, tannino suadente, morbido. Che accarezza il palato e lascia una pulizia sopraffina. Emozione pura quando nel fondo del calice della 2015, già vuoto, si sprigiona un sentore di chinotto mai sentito prima.


AZ. AGRICOLA FRANCESCO SOBRERO
L’arrivo all’Azienda agricola Francesco Sobrero avviene attorno alle 10.40. Ad aspettarci Flavio Sobreo, classe 82. Capito bene? 1982. Dopo la scuola enologica di Alba, conduce adesso con le sorelle l’azienda di famiglia. La generazione è di quelle che farà strada in Langa. In quest’ultimo periodo la sferzata di gioventù è ottima e ha idee molto chiare.

Tornare all’origine, alla vinificazione che ha fatto la storia di questi paesi e agli affinamenti in botti grandi. Basta barrique. Come lui anche i nipoti della Palladino (azienda a Serralunga) stanno dando la stessa impronta giovane e fresca all’azienda di famiglia, con grandi risultati (prendere nota: Barolo Serralunga di Palladino, da assaggiare). Flavio è reduce dalla giornata precedente a Milano, per ritirare un premio. Altro che new entry.

Qui i cru aziendali sono Villero, Parussi, Valentino, Piantà, Rocche e Pernanno. C’è grande variabilità. Nessuno vicino all’azienda. Flavio usa l’acciaio solo per Dolcetto e Chardonnay, mentre fa fermentazione e macerazione lunghe in tini da 50 ettolitri a cappello sommerso solo per i grandi Cru di Nebbiolo. Per le Riserve i passaggi sono tino, vasche di cemento vetrificato e, infine, botte grande. Per i 2015 e 2016 le macerazioni sono durate anche 70 giorni.

LA DEGUSTAZIONE
Partiamo col Langhe Bianco, 100% Chardonnay. Le vigne hanno 32 anni e si trovano in paese, sul versante Nord di Castiglione Falletto. Meno sole, quindi più freschezza e acidità. Quello che serve a un bianco. Pressatura diretta, ovvero non si pigia: si mette subito in macchina. Un veloce passaggio in vasca per raffreddare il mosto e separare il sedimento, poi si va in fermentazione.

Il processo alcolico inizia sui 18°, ma Flavio abbassa lentamente la temperatura fino a 10°. Ma non si arresta così la fermentazione? “No – risponde Flavio Sobreo – va solo più lentamente e in questo modo la fermentazione dura anche 2 mesi. La permanenza sulla fecce dipende da come vanno le annate e di batonnage se ne fanno pochi”. Anche la malolattica non viene sempre svolta al 100% . “Sui bianchi – evidenzia Flavio – se deve avvenire, viene come vuole. Sui rossi il discorso è diverso e la mallolattica deve completarsi al 100%”.

Il colore è un giallo paglierino tenue, molto limpido e trasparente. Al naso il vino è fresco, classica frutta polpa bianca fresca, qualche fiore di campo. In bocca sapido e acido ma non tanto persistente. Piacevole, da aperitivo. Passiamo ai rossi. Qui di 2016 non ce ne sono ancora in bottiglia.

Dolcetto 2015. 7/8 giorni di macerazione, poi travasi e in vasca ad affinare. Colore rubino, quasi porpora. Un’esplosione di frutta giovane, fresca, con acidità esaltante ma con un tannino presente sulla mucosa.

Nebbiolo 2015. Venticinque giorni di macerazione sulle bucce, poi un anno in botte grande dai cru Valentino , Piantà e Pernanno. Qui il tocco di Flavio consiste nell’inserire un 10% di Barolo dell’annata declassato. In questo caso si tratta del Barolo 2013 Ciabot Tanasio (assemblaggio anch’esso dei cru Valentino, Piantà e Pernanno). Quindi siamo davanti ad un Nebbiolo con 10% di Barolo.

Naso e bocca da campione. E’ immediato ma ti riempie e non finisce mai. Acidità in ingresso, sentori classici di viola e piccola frutta rossa in centro bocca. E poi il tannino morbido e avvolgente a chiudere, pulire e chiamare il prossimo sorso. Bottiglia centrata, perfetta. Uno di quei Nebbioli di cui vorresti riempirti la cantina.

Barolo Ciabot Tanasio 2012. Valentino, Piantà e Pernanno. Le vigne vengono vinificate separatamente e poi assemblate. Trentacinque giorni di macerazione sulle bucce e poi trenta mesi di legno grande. Il naso è avvolgente: richiami floreali e fruttati freschi in prevalenza, che col tempo divengono quasi marascati. Un Barolo giovane, dai sentori freschi, non certamente evoluti, ma dolci, non pungenti. In bocca altra storia: il tannino scalpita e tiene il palato sul pezzo. Questo è Barolo. L’assemblaggio risulta piacevole e armonico. Il vino prende le caratteristiche singole dei vigneti e le armonizza.


AZ. AGRICOLA GIOVANNI SORDO
Prima di pranzo, tappa obbligata da Giovanni Sordo, sempre a Castiglione Falletto. Altra azienda storica. In uscita quest’anno con ben 8 differenti cru. Tutti singolarmente. Solo qualche settimana fa, nell’enoteca di fiducia, avevamo scorto una bottiglia di Sordo con la menzione Monprivato. Come Monprivato?? Ma non era un monopole di Mascarello? Sì, fino a qualche anno fa. L’Azienda agricola Sordo è proprietaria, all’interno del cru, di una piccola parcella e vendeva le uve a Mascarello. Ma adesso, per qualche motivo, ha deciso di vinificarlo direttamente.

Interessante sapere cosa ne pensano da Mascarello, considerando il prezzo di uscita dell’etichetta di Sordo, nettamente inferiore. Ho avuto la fortuna di assaggiarlo e il vino è strepitoso. Qui a Castiglione Falletto, i Sordo hanno allestito un nuovissimo wine point con sala vendita e sala degustazione, enorme. Vetrate sulle vigne , architettura moderna. Sembra per un attimo di stare in Alto Adige, tanto per capirci.

Ad accoglierci è un commerciale. I cru aziendali in produzione spaziano in tutti i comuni della denominazione: Monprivato, Villero, Parussi, Rocche di Castiglione a Castiglione Falletto; Gabutti a Serralunga; Perno a Monforte; Ravera a Novello; Monvigliero a Verduno.

LA DEGUSTAZIONE
Primo nel calce è il Pelaverga 2015, uva storica di Verduno da cui si vinifica questo meraviglioso vino. Sentori speziati in prevalenza, classici di questo vino, accompagnati da ottima spinta acida e succosità. E’ un vino sincero, distintivo di Verduno. Molto piacevole.

Passiamo poi ai cru, cercando di suddividerli per area: Villero, Monvigliero e Perno. Tutti 2013. Villero il più rotondo e lungo, Perno il più elegante e di corpo, il meno tannico dei tre, poi Monvigliero: ritrovo la spezia di Verduno e la frutta rossa.


AZ. AGRICOLA RIVELLA
Alle 14 siamo a Barbaresco. Il citofono di Teobaldo Rivella è il vero punto d’arrivo della giornata. Persona meravigliosa, semplice, vignaiolo con tante vendemmie sulle spalle (“cinquanta”, ci confida). In cantina, da Teobaldo, lavorano anche la moglie e un’aiutante per la vendemmia. Basta. Due vini: un Dolcetto e un Barbaresco. Tutte le uve sono nel cru Montestefano. Tremila bottiglie di Dolcetto, 8 mila di Barabresco.

La cantina è piccolissima, ci sono tre vasche di acciaio per il Dolcetto e 7 botti grandi per il Barbaresco. Sembra irreale a confronto con quanto visto prima. Allevamento a Guyot classico della Langa, vigne di 54 anni, terreni di argilla e tufo. Niente sabbia a Montestefano. La visita inizia dalla cantina dove vengono stoccate le bottiglie. Il luogo in cui la moglie, con pazienza, le etichetta una ad una. Non ci sono macchine industriali. Che meraviglia.

La sua riserva privata di Barbaresco consta di tutte le annate. Nella piccola saletta degustazione, sediamo uno di fronte all’altro. Novanta minuti di chiacchiere, sul più e sul meno. Della storia dell’azienda, del suo papà, di come non si sia mai certificato biologico perché “non serve”: “Il mio vino è genuino, niente chimica, solo poltiglia bordolese e qualche ramato”. Cura della vigna? “Quel che basta. Meno la tocchi, meglio è”. E poi cantina. Macerazioni di 34 giorni, 10 mesi in botti, poi in bottiglia per affinamento. “E ricorda: non è vino finché non ha fatto la malolattica”.

LA DEGUSTAZIONE
Dolcetto 2015
. Shock! Pochi filari sulla sommità della vigna che Teobaldo produce solo perché piace a lui, altrimenti qui si pianterebbe esclusivamente Nebbiolo. 5/6 giorni di macerazione, poi acciaio. Ci rimane per un anno, prima di passare in bottiglia. Porpora, limpidissimo, naso splendido, carico già di sentori fruttati di sottobosco e di freschezza. Finale di bocca di mandorla di rara finezza e precisione. E’ il top del giorno, senza dubbio.

Barbaresco Montestefano 2012. Altro shock. Il miglior Barbaresco in circolazione. Il colore è carico ma siamo ancora sul rubino, il naso è esplosivo ma in bocca più gentile e composto rispetto alla 2011, provata in altre occasioni. Leggera spezia a chiudere. Tannino deciso ma levigato.

Barbaresco Montestefano 2009. Colore granato classico da Nebbiolo, naso mandorlato che nasconde note fruttate più aspre e decise, domate da una leggera tostatura ancora lontana.


GIUSEPPE RINALDI
Il portone della Cantina di Rinaldi si apre su un altro mondo. Un luogo meraviglioso, un misto tra un museo di attrezzi agricoli grandi e piccoli e una stanza dove si custodiscono mobili di antiquariato. Tutto sembra tranne che una cantina. Ci accoglie Marta, la figlia di Giuseppe Rinaldi. Il “citrico” c’è. Ci scruta come fossi un personaggio tra il losco e il malandrino. “Cosa vuoi?”, chiede. Quasi intimorisce.

Interviene Marta: “Vieni, vieni”. Eccoci nella cantina vera e propria, dove una fila di 10, 15 tini e altrettante botti grandi e medie si fiancheggiano su due lunghi corridoi dalla luce soffusa, tendente al rosso, granato. Sembra di stare in mezzo al vino. Si respira qui, il vino.

Azienda agricola Giuseppe Rinaldi, 6,5 ettari vitati tutti a Barolo nei cru Ravera, Le Coste, Brunate e Cannubi San Lorenzo. Trentotto mila bottiglie circa all’anno. Brunate e Ravera caratterizzati da argilla e tufo e marne bluastre. Cannubi e Le Coste hanno percentuali di sabbia maggiori, che li rendono tratti più acidi ma con meno ricchezza. Ravera è il cru più tardivo, perché è in una posizione più arieggiata. La vinificazione è classica, le uve vengono fatte fermentare e macerare nei tini per 25-30 giorni,  a cappello emerso con due rimontaggi al giorno e follature ancora manuali.

Si vinifica Freisa, Ruché,  Dolcetto, Barbera e Nebbiolo. Il Ruchè e il Dolcetto affinano in acciaio, mentre il resto passa tutto in legno dopo aver fatto la malolattica, tranne il Nebbiolo. Una volta imbottigliati, tutti i vini affinano almeno un anno in cantina. I Nebbioli 3 anni, come vuole il disciplinare.

LA DEGUSTAZIONE
La Freisa 2016, dalla botte, conquista al primo sorso. Il vino perfetto da tutti i giorni, spensierato, tutto freschezza e “succo” di frutta.  Cosi come la Barbera 2016 dove emerge l’acidità classica, accompagnata dal giovane frutto. Passiamo poi alle bottiglie. Marta porta il Nebbiolo 2015, incredibilmente “piacione” e già perfetto. In bottiglia da qualche settimana, sembra affinato da almeno 2 anni.

A seguire Barolo Tre Tine, ovvero Cannubi, San Lorenzo, Ravera e Barolo Brunate. Due Baroli immensi, più piacevole il Brunate. Spicca una tipicità unica, riconoscibile impronta di un vignaiolo d’altri tempi. Sarà per questo che ormai il Barolo di Rinaldi è diventato un prodotto mitologico, che dura un giorno in cantina e che è sempre più difficile reperire se non a prezzi stratosferici.

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Luca Ferraris Agricola: “Come ti porto il Ruchè in capo al mondo”

Se glielo chiedi, la prende alla larga. Ti parla delle “tante porte prese in faccia negli anni scorsi” e, sopratutto, del “cambio di mentalità degli importatori”. Tutte cose vere. Ma se il Ruchè di Castagnole Monferrato, minuscola e giovane Docg piemontese, è oggi conosciuto (e apprezzato) in tutto il mondo, gran parte del merito va a Luca Ferraris, titolare dell’omonima “Agricola” di località Rivi, 7. Reduce da una full immersion in Oriente, su e giù da un aereo all’altro – dall’Hong Kong International Wine and Spirits Fair a Bangkok, passando per Singapore – Luca Ferraris è impegnato in cantina quando squilla il telefono.

“E’ stato un tour molto impegnativo ma anche molto soddisfacente – commenta il viticoltore -. Sono ormai 8-9 anni che bazzichiamo quei mercati e abbiamo sempre avuto dei problemi. Ci chiedevano stupiti se in Italia ci fosse il vino, abituati com’erano a bere esclusivamente francese, fino al 2008. Nel tempo siamo riusciti ad affermarci, in generale come vino italiano. Oggi, addirittura, incontriamo importatori che ammettono che stavano cercando, tra tutti i vini, proprio il nostro Ruchè”. E’ cresciuta la consapevolezza del cliente orientale o sono migliorati i piemontesi esportatori? “Direi entrambi – risponde Ferraris -. Noi ci abbiamo dato dentro a testa bassa, senza mai mollare. Ma anche gli importatori iniziano a capire il vino. Abbiamo assistito a una scrematura incredibile nelle importazioni. Fino a cinque o sei anni fa, qualsiasi corporate acquistava vini perché era chic e di moda. Oggi, chi compra sa dove rivenderlo. E ripete gli ordini, cosa che non succedeva in passato, quando assistevamo a sterili ordini a spot da parte di aziende sempre diverse”.

Sono lontani, insomma, i tempi in cui il Piemonte esportava esclusivamente Moscato, Malvasia e Barbera modern style. Del resto, il Ruchè si presta deliziosamente alla cucina asiatica. “La cucina asiatica di alto livello, quella ‘stellata’ – precisa Luca Ferraris – è il cliente potenzialmente più interessato al nostro prodotto. Un vino così aromatico e speziato si abbina benissimo ai piatti orientali, soprattutto se fusion. Poi non bisogna dimenticare che la cucina italiana, nel mondo, la fa da padrona”.

Anche a Bangkok, mega regione urbana in cui si condensano 30 milioni di persone. “Basti pensare – continua Ferraris – che l’imprenditore thai, oggi, investe in cuochi e chef italiani per aprire ristoranti tricolore nella capitale della Thailandia. Perché va di moda, ma anche perché a Bangkok, effettivamente, è pieno di italiani. Il Made in Italy, in particolare quello del food, sta tirando moltissimo. E il vino segue questa scia. Se da un lato, in questi mercati, la forbice tra ricchi e poveri si sta aprendo sempre di più, dall’altro è consistente, numericamente, la classe media che ha voglia e coraggio di investire”.

I NUMERI DEL RUCHÈ
La Docg di Castagnole produce, ad oggi, 800 mila bottiglie scarse. Ferraris, nel 2017, punta a 130 mila bottiglie. Circa il 20% della produzione totale. “L’Export – spiega il titolare – riguarda il 65-70% della produzione del nostro Ruchè. Nonostante questo, la denominazione non esporta più del 30%. Rimane comunque salda la posizione sul mercato italiano, come riferimento. Noi, come azienda, puntiamo invece a esportare il 55% della nostra produzione totale all’estero, con punte del 70% per il Ruchè, mentre ad oggi ci assestiamo sul 45%. All’inizio vendevamo bottiglie a 13 euro che venivano rivendute a 400 euro all’estero. Il prezzo del Ruchè base si assesta adesso sui 9-10 euro, mentre il top di gamma tocca quote di 19-20 euro. Rivendute rispettivamente a 25 e 50 euro”.

“A livello di comunicazione – precisa Ferraris – il Consorzio ci ha dato la possibilità di partecipare a fiere di settore, in gruppo. Dunque, avanzandone. Direi che siamo stati bravi noi, dal punto di vista della comunicazione aziendale. Su mercati così lontani, vale più l’iniziativa del singolo. Nella produzione del Ruchè, poche aziende sono in grado di fare investimenti tali, anche a livello chilometrico, da Castagnole Monferrato. La degustazione in Svizzera è un discorso. Le fiere a Hong Kong, piuttosto che in Giappone o negli Stati Uniti, sono un’altra storia. Ci va una massa critica che consenta tali investimenti”.

Un futuro luminoso, dunque, quello del Ruchè. “Spero che continui la crescita registrata in questi anni – ammette Luca Ferraris – e, anche se mi guardano tutti con gli occhi sbarrati, la Docg potrebbe puntare a produrre nel 2017 un milione di bottiglie prodotte, mantenendo una qualità molto elevata”. Basti pensare che la Ferraris, il prossimo anno, volerà da 80 a 130 mila bottiglie. Con un incremento, entro il prossimo febbraio, da 16 a 26 ettari vitati a Ruchè (passando da 33 a 43 ettari complessivi), sui 136 ettari totali della denominazione.

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Vini al supermercato

Ruchè di Castagnole Monferrato Docg 2014, Bersano

Doppio primato questo vino: primo Ruchè di Castagnole Monferrato Docg che recensiamo e primo prodotto dell’azienda Bersano di Nizza Monferrato (At). La vendemmia finita sotto la nostra lente di ingrandimento è la 2014. Un vino distribuito soprattutto in Nord Italia (Piemonte, Valle D’Aosta, Lombardia, Liguria, Veneto, ma anche in qualche supermercato di Toscana, Lazio ed Emilia). Il Ruchè di Castagnole Monferrato Docg, prodotto da Bersano di Nizza Monferrato nel calice si presenta di colore rosso rubino scuro, limpido poco trasparente e di fluidità densa. Dal punto di vista olfattivo è intenso, attacca molto vinoso e con il classico sentore di ciliegia sotto spirito, ma quando l’alcolicità si mitiga si percepiscono, oltre ai frutti rossi, violette e speziature intriganti. Un vino non particolarmente strutturato, anzi di medio corpo, caldo, rotondo e vellutato, giustamente tannico con gli aromi ben armonizzati al palato. Un perfetto equilibrio completato da un gradevole retrogusto amarognolo molto persistente. Interessante prodotto, con un ottimo rapporto qualità prezzo. Si presta ad essere servito come aperitivo, in abbinamento a antipasti, carni bianche e alla tipica bagnacauda piemontese, ma anche a tutto pasto.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Ruchè coltivate su terreni argillosi con presenza di limo. Le vendemmia viene effettuata a metà ottobre, la vinificazione è fatta in acciaio con affinamento di due mesi in bottiglia. Il vitigno Ruchè è un vitigno autoctono raro che viene coltivato in una piccola area in provincia di Asti. La leggenda narra che sia arrivato dalla Borgogna portato dai monaci. Grazie alla sua tipica nota aromatica è un vino che viene  considerato da sempre adatto ad occasioni particolari. Sino a pochi anni fa era conosciuto solo a livello locale, ma negli ultimi anni sta riscuotendo successo grazie alla sua grande piacevolezza e ai profumi caratteristici. Un vitigno considerato anche difficile da coltivare e capriccioso i cui vini hanno ottenuto la doc nel 1987 e la Docg solo nel 2010. La storia di Bersano inzia ai primi del 900 a Nizza Monferrato. Nel 1935 Arturo Bersano, passa alla guida della cantina fino ad allora a conduzione familiare, uomo di grande cultura e pioniere di una viticultura di qualità che diventa tratto distintivo della casa con il motto ”se vuoi bere bene comprati un vigneto”. Seguendo il suo esempio, le famiglie Massimelli e Soave, da quasi trent’anni titolari dell’azienda, hanno consolidato una imponente realtà di cascine dove, senza dimenticare la forza delle tradizioni, si producono uve di qualità facendo di Bersano una delle più importanti realtà vitivinicole del Piemonte. 230 ettari di vigneti nei migliori crus di Langhe e Monferrato, tra cui tra le ultime acquisizioni di Ruchè e Grignolino nella Cascina S.Pietro.

Prezzo pieno: 6,65 euro
Acquistato presso: U2/Unes

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