Si fermi, chi può. Anche solo per un attimo. Per vedere l’effetto che fa. L‘ultima trovata di Riccardo Coratella sono due vini fermi realizzati da Muratori Franciacorta, con le stesse piante (cloni) utilizzati per i vini con le “bollicine”. Uno Chardonnay e un Pinot nero in rosso, Muratori Setticlavio e Muratori Mantorosso, dell’ormai (quasi) dimenticata Igt Sebino. L’obiettivo del noto enologo umbro e della cantina di Adro (Brescia), per la quale presta consulenza dal 2020, non è certo quello di far rivivere l’indicazione geografica bresciana, impacchettata tra la polvere dei cassetti del Consorzio di Tutela del Franciacorta, ormai da anni focalizzato esclusivamente sulla promozione dello spumante. Si tratta, piuttosto, di due «vini di doverosa sperimentazione», come li ha definiti lo stesso winemaker in mattinata, durante il lancio ufficiale. Etichette che hanno, tuttavia, un posizionamento prezzo già rivelante.
Si parla di 45-50 euro per lo Chardonnay 2023 Muratori Setticlavio; e 70-75 euro per il Pinot Nero Muratori Mantorosso (cifre riferite all’acquisto in enoteca). I due nuovi vini saranno venduti separatamente, solo in cassetta di legno da 6 bottiglie e «senza applicazione di alcuna scontistica». A giustificare il prezzo, secondo quanto spiegato dall’azienda, sarebbe la tiratura limitata a sole 2.065 bottiglie per il bianco e 2.927 per il rosso. Un «punto di partenza», come hanno chiarito il patron della cantina, Bruno Muratori, e lo stesso Riccardo Cotarella. In futuro, sia lo Chardonnay che il Pinot Nero del progetto speciale “Nuove forme di continuità“, potranno subire variazioni produttive, su aspetti come l’utilizzo del legno e la macerazione.
MURATORI SETTICLAVIO E MANTOROSSO: UN PROGETTO SPERIMENTALE
Ma la novità sostanziale – quella che potrebbe costituire il vero salto di qualità se non del rosso, almeno del bianco – è il recente impianto di un vigneto di Chardonnay con clone della Borgogna, specifico per vini fermi. Una volta in produzione, le uve di Muratori Setticlavio non saranno più – o saranno solo in parte – quelle dello “Chardonnay da Franciacorta” attuale, ricavate dall’unità vocazionale numero 4 del parco vigneti dell’azienda di Adro (suoli morenici profondi). Diversa la sorte del Pinot Nero Muratori Mantorosso, per il quale non è previsto il medesimo “upgrade”. A meno di stravolgimenti, il vino continuerà ad essere prodotto dagli stessi ceppi adottati per la produzione dei Franciacorta Muratori. Ovvero dall’unità vocazionale 5 dei “colluvi gradonati”, con suoli argillosi, profondi e poveri di sedimenti.
Del resto, in Franciacorta la cantina gestisce 52 ettari di proprietà, con una capacità produttiva di mezzo milione di bottiglie (circa 350 mila quelle commercializzate in media all’anno, di cui 200 mila della tipologia Brut). «Fino a prima dell’arrivo di Riccardo Cotarella – ha spiegato Michela Muratori, terza generazione della cantina bresciana – l’unico ad aver pensato a un vino fermo in azienda era stato il nonno, fondatore della cantina. Il suo desiderio di produrre un vino rosso non è mai stato esaudito. Oggi sarebbe fiero di questa scelta, che si inserisce nel progetto che abbiamo voluto chiamare “Nuove forme di continuità”».
MURATORI SETTICLAVIO CHARDONNAY 2023: 92/100
13,5% vol. Giallo tendente al dorato. Bella aromaticità, tipica dell’espressione più piena del vitigno, al primo naso: frutta a polpa gialla più che bianca e agrume si mescolano con sbuffi di vaniglia e spezie orientali. Corrispondenza naso-bocca perfetta. Ingresso sul frutto giallo, prima di un netto viraggio del centro bocca e dell’allungo sull’agrume e sulla freschezza, che esalta ancor più le venature sapide. Legno che si conferma magistralmente “dosato”. Ottima la persistenza di Muratori Setticlavio, che convince anche per la chiusura di sipario giustamente asciutta, in grado di chiamare il sorso successivo. Vino di gran precisione tecnica, con la varietà al centro di ogni fase dell’assaggio.
MURATORI MANTOROSSO PINOT NERO 2022: 89/100
13,5% vol. Di un bel rubino luminoso, penetrabile alla vista. Naso tipico del vitigno, con prevalenza dei piccoli frutti rossi sui neri (fragolina, lampone). Non manca una speziatura che si fa sempre più marcata, con lo scaldarsi del nettare nel calice, così come i ricordi di burro salato. Anche in questo caso buona corrispondenza gusto olfattiva, ma col frutto che pare più maturo al palato che al naso. Chiude fruttato, su tinte vagamente mielate che non attenuano, al momento, un alcol respirabile. Un vino, secondo Riccardo Cotarella, che ha «potenzialità enormi di evoluzione» e che «esprime la Franciacorta».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La vendemmia 2024 a Montalcino si presenta sotto i migliori auspici, richiamando alla memoria i tempi passati in cui la raccolta del Sangiovese avveniva proprio nel mese di ottobre. «L’epoca di vendemmia spostata a ottobre ci fa ritornare indietro con la memoria ad anni passati, quando il Sangiovese si trovava ancora in pianta proprio in questo periodo», commenta Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino. Quest’anno, la raccolta si preannuncia favorevole sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Un aspetto che ogni produttore sogna di raggiungere. La vendemmia durerà circa una ventina di giorni. Fa seguito a un’estate che ha favorito una maturazione progressiva delle uve.
LA QUALITÀ DELLA VENDEMMIA 2024 A MONTALCINO
Come rilevato dall’analisi del Consorzio, il mese di settembre ha portato un abbassamento delle temperature e piogge che hanno contribuito a rallentare l’accumulo degli zuccheri e a riequilibrare la componente fenolica delle uve. Questo ha garantito uno stato fitosanitario ottimale e un peso medio dei grappoli significativamente superiore rispetto all’anno precedente. Nonostante i diradamenti effettuati per mantenere un equilibrio vegeto-produttivo, si prevedono quantitativi superiori rispetto al 2023. Un altro elemento interessante riguarda le aspettative per quanto riguarda le gradazioni alcoliche, che saranno probabilmente più contenute. I mosti ottenuti, invece, si distinguono già per la loro aromaticità e la finezza dei profumi.
ROSSO DI MONTALCINO IN FORTE CRESCITA
Montalcino si conferma un territorio vitivinicolo di eccellenza, con oltre 3.400 ettari di vigneti iscritti a Doc e Docg e tutelati dal Consorzio del Brunello di Montalcino. Di questi, più di 2 mila ettari sono dedicati alla produzione del celebre Brunello, un’estensione che è rimasta invariata dal 1997. Interessante è anche la crescita del Rosso di Montalcino, con quasi 900 ettari destinati a questa denominazione, frutto di un incremento della superficie vitata del 67% approvato lo scorso settembre.
Tuttavia, tale ampliamento non implica nuovi impianti. Gli ettari aggiuntivisono già inclusi nelle mappe del territorio e rappresentano vigneti di Sangiovese che, pur essendo già coltivati, non erano ancora compresi negli albi contingentati. Con queste premesse, la vendemmia 2024 si prospetta come una delle più promettenti degli ultimi anni, grazie all’attenzione dedicata sia alla qualità che alla sostenibilità.
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Benennidos Sennori Sassari bottiglia di vino rosso ai nuovi nati 2023 isola dei nuraghi igt e1681505381203
Una bottiglia di vino rosso Isola dei Nuraghi Igt ai nuovi nati del 2023 a Sennori, comune di 7.300 abitanti della provincia di Sassari, nel Nord della Sardegna, affacciato sulla sul Golfo dell’Asinara. È l’iniziativa promossa dalla locale amministrazione comunale, che ha deciso di aderire con una precisa delibera all’idea lanciata da una cantina locale, con il patrocinio dell’Associazione nazionale Città del Vino.
Sull’etichetta della bottiglia omaggio c’è la scritta “Benennidos“, ovvero “Benvenuti”, insieme a un’immagine realizzata dall’artista sassarese Angelo Maggi. Sul retro, lo spazio in cui scrivere il nome del nuovo nato, la data di nascita e la firma del sindaco. Il tutto «per omaggiare il lieto evento della tua nascita, momento intriso di emozioni forti, complessità individuali e relazionali e grandi cambiamenti».
Il vino Isola dei Nuraghi Igt donato ai nuovi nati 2023 può invecchiare (anzi, «evolversi»), secondo le stime della cantina produttrice, per 18 anni: «Il neonato di oggi potrà brindare alla maggiore età con una bottiglia a lui dedicata». Il Comune di Sennori celebra in questo modo originale la sua appartenenza alle Città del Vino italiane.
Un contributo, spiegano gli amministratori, «alla cultura del vino, educando ad un consumo consapevole e favorendo buone pratiche agronomiche e di sostenibilità». Come stabilisce la delibera n. 53 del 7 aprile approvata dalla giunta comunale, le spese del vino sono interamente a carico dell’azienda vitivinicola produttrice. L’amministrazione di Sennori avrà il compito di personalizzare l’etichetta e di consegnare al nuovo cittadino il pregiato omaggio di benvenuto.
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Etna Doc Rosso 2020 deAetna di Terra Costantino dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023
L’Etna Doc Rosso 2020 “deAetna” di Terra Costantinoè uno dei vini rossi presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. La prima azienda vinicola certificata biologica della denominazione (era il 2000), sfodera un Etna Doc Rosso di grande carattere e tipicità, dopo aver convinto anche con il proprio Etna Bianco, a sua volta in Guida. La quota del Nerello Mascalese nell’uvaggio è del 90%, saldata da un 10% di Nerello Cappuccio.
Il nettare si presenta alla vista di un rosso rubino. Naso e palato connotati da una tensione d’agrume pregevole, che ricorda l’arancia sanguinella. Il frutto si conferma croccante al palato. Premiata beva, freschezza e carattere “moderno” della denominazione etnea. Vino con ottime prospettive di allungo nel tempo.
Guida top 100 - 2023
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Rosso Toscana Igt 2019 La Historia d Italia Conte Guicciardini guida top 100 winemag
Il Rosso Toscana Igt 2019 “La Historia d’Italia” della cantina Conte Guicciardini è uno dei vini rossi presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Un’etichetta che tributa il politico, diplomatico e statista Francesco Guicciardini attraverso il Merlot e la sua espressione di Poppiano, casa natia di questa figura centrale nella storia d’Italia.
Premesse sufficienti per garantire un nettare che appaghi sotto ogni profilo, in particolar modo nel riflettere e combinare, l’anima e legante e al contempo golosa del vitigno bordolese. Alla vista, “La Historia d’Italia” si presenta di un Rubino intenso.
Frutto rosso protagonista al naso (ciliegia, lampone), terziari in sottofondo. Vino importantissimo al palato, strutturato, connotato da terziari che avvolgono la frutta e donano ulteriore slancio vitale a questa vendemmia 2019. Pregevole e centratissima la vena di sapidità che fa da filo conduttore al sorso, prima della chiusura freschissima, balsamica.
Guida top 100 - 2023
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Il Rosso di Montefalco 2019 e la vera sorpresa di Anteprima Sagrantino 2022
Se in Italia c’è una Denominazione che si sta interrogando su se stessa, tentando di proiettarsi sui mercati nazionali e internazionali con rinnovato entusiasmo e stile, quella è il Sagrantino di Montefalco. Il potente rosso umbro fa passi da gigante in termini di appeal, grazie al poliedrico vignaiolo alieno scelto di recente come presidente del Consorzio.
Il riferimento è a quel Giampaolo Tabarrini che può permettersi di presentare l’annata in ciabatte (infradito, per l’esattezza) ma soprattutto in inglese (finalmente!), lasciando ad altri il compito di «sopravvalutare» l’annata 2018 con “4 stelle”. Il tutto, di fronte a un pubblico di esperti italiani e stranieri mai così folto.
Nel calice, il Sagrantino 2018 in degustazione all’Anteprima 2022 (24-27 maggio) sembra, di fatto, cedere qualche passo al meno celebre Rosso di Montefalco. Un vino da (ri)scoprire e (ri)valutare, slegato dalla locale Docg che continua comunque a convincere con Tabarrini – Colle alle Macchie e Colle Grimaldesco sempre al top – Bocale, Pardi e Antonelli San Marco, ancor più che con Lungarotti, Colle Ciocco e Perticaia.
I Rosso di Montefalco sembrano aver trovato, negli ultimi due anni, una quadratura media mai così centrata nel ventaglio generale, nonostante il variegato e difforme utilizzo di varietà internazionali (principalmente le bordolesi, dal 15 al 30% dell’uvaggio) unite a Sangiovese (tra il 60 e l’80%) e al Sagrantino (dal 10 al 25%).
ROSSO DI MONTEFALCO SUGLI SCUDI AD ANTEPRIMA SAGRANTINO 2022
Il programma delle Anteprime umbre della scorsa settimana dimostra comunque che l’espressione dei Cabernet, del Merlot e del Sangiovese ha una marcia in più a Montefalco rispetto ad altre zone dell’Umbria (vedi l’areale del Trasimeno, in grande sofferenza e carenza d’identità su Igt e Rosso Doc, alla prova del calice).
Ed è proprio da questa consapevolezza che i produttori montefalchesi intendono ripartire. Dando al “Rosso” un’identità sempre più precisa. Tra i Montefalco Rosso Doc 2019 in degustazione ad Anteprima Sagrantino 2022 brillano quelli di Bocale (ancora lui), Moretti Omero e Tenuta Bellafonte (“Pomontino”), oltre ad Antonelli San Marco (rieccolo), Arnaldo Caprai e Briziarelli.
La denominazione, per base vitigno e approccio dei produttori, ha tutte le carte in regola per guadagnarsi spazi maggiori sul mercato. Sia in termini di vino di “pronta beva”, sia da medio o medio-lungo affinamento.
Lo ha dimostrato, in occasione di Anteprima Sagrantino 2022, il vendemmia 2016 di Pardi. Non è un caso se, tra i “Rossi” in degustazione, abbiano convinto – più di altri 2019 – anche i 2018 di Luca di Tomaso, Fattoria Colsanto e Montioni, oltre al Boccatone 2017 di Tabarrini.
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Bottiglia istituzionale Associazione Mamoja prima etichetta firmata da Leonardo Terenzoni 3 e1642237555138
La prima bottiglia istituzionale dell’Associazione Mamojà è firmata dal genio di Leonardo Terenzoni. L’artista di origini toscane, da sempre vicino al mondo dei “vini naturali”, ha disegnato il vestito del vino nato dalla vigna di Federica Dessolis, il Barbagia Rosso Igt 2020 Ghirada Garaunele. Un nettare capace di condensare, nelle intenzioni dell’associazione, i valori e i propositi dei 70 viticoltori e produttori di vino di Mamoiada.
Il progetto, nato un anno fa, vede la luce oggi e vuole «incentivare i soci viticoltori ad imbottigliare il vino prodotto dalla propria vigna». Tiratura limitatissima per la prima bottiglia istituzionale dell’Associazione Mamojà (solo 635 bottiglie), che deve essere prenotata (info@mamoja.it).
Il ricavato della vendite, spiegano i vignaioli del centro della Sardegna, andrà a finanziare alcuni progetti promossi dall’associazione per la valorizzazione e la tutela del territorio di Mamoiada.
«Sono molto onorato di far parte di questo progetto con la realizzazione dell’etichetta – commenta l’artista Leonardo Terenzoni -. Da più di 20 anni il mio cuore è sempre a Mamojada, a danzare il Ballu Tundu in piazza, girando tra i fuochi di S.Antonio, di cantina in cantina».
Terra di fuochi, maschere, mistero e fascino, artisti, giovani legati al territorio e alle proprie radici. Poche persone e tanti piccoli vigneti. Una viticoltura centenaria portata avanti dalle mani dei giovani con gli insegnamenti dei nonni.
In questi anni si sono fatti strada nel panorama vitivinicolo con riconoscimenti a livello mondiale. Nel 2015 nasce l’Associazione Mamojà, unendo le forze, i sacrifici e le virtù di ognuno di loro».
«L’etichetta, spiega ancora Leonardo Terenzoni – è frutto dello studio delle tradizioni più antiche, sacre e autentiche di questo paese. Il Mamuthone, rito che si perde nella notte dei tempi; il Nuraghe, simbolo della cultura isolana; e le incisioni de “la Perda Pintà”, figlia di questa terra magica. Confesso che mi emoziono sempre quando vado via da Mamoiada, ma so che ci sarà sempre un’unione speciale tra noi».
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Grenache in purezza ed ennesima novità della cantina marchigiana guidata da Gianluca Mirizzi: il Marche Igt Rosso “Cogito R.“. Un’etichetta presente nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it. “R.” sta per “Rubrum“, dal latino “Rosso”.
Il colore di cui si tinge il calice, di fatto, è un rubino pieno, luminoso. La precisione delle note fruttate disegna il profilo di un nettare che in bocca è centratissimo, goloso, da assaporare a larghi sorsi. Così come al naso, il palato del Marche Igt Rosso “Cogito R.” di Mirizzi non si limita all’esibizione di un palco di frutta succosa.
Ecco spezie nere e ricordi balsamici ed erbe tipiche della macchia mediterranea. Sorso agile ma importante, estremamente gastronomico, per un vino più che mai completo, moderno. Un faro sulle Marche dei vini rossi, questa Grenache in purezza, inserita in una gamma di estremo valore. Abbinare concretezza, struttura e bevibilità, si può.
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Bolgheri Doc Rosso 2019 Le Serre Nuove dellOrnellaia degustazione opinioni
È sul mercato dal primo settembre 2021 il Bolgheri Doc Rosso 2019 Le Serre Nuove dell’Ornellaia. Una delle icone del vino toscano: preziosa cuvée di Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Petit Verdot in cui le singole peculiarità di ogni vitigno si fondono, secondo l’obiettivo di Ornellaia, in una «complessa sinergia di aromi». Un vino che che colpisce per immediatezza e pronta bevibilità, abbinate alle doti da lungo affinamento, tipiche dei vini di Bolgheri.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, Le Serre Nuove dell’Ornellaia 2019 si presenta di un rosso rubino intenso, impenetrabile. Al naso la frutta matura disegna un profilo ampio, ma tutt’altro che “seduto”. All’esuberanza delle note di ciliegia, lampone, fragola e mora, risponde una ventata di balsamicità, su ricordi d’eucalipto, resina e ventate pepate.
Al palato, la corrispondenza è perfetta. Note balsamiche e speziate fanno da spina dorsale alla rinnovata abbondanza del frutto. Un quadro di estrema eleganza, in cui si distingue chiaramente ogni singola voce della cuvée. Ecco dunque verticalità e freschezza del Cabernet Sauvignon e del Cabernet Franc, la profondità aromatica del Merlot e il muscolo del Petit Verdot.
La complessità de Le Serre Nuove dell’Ornellaia si confà al ruolo di degno gregario del fratello maggiore “Ornellaia” Bolgheri Doc Superiore. Interessante, in questo quadro, il ruolo di un tannino setoso ed elegante, perfettamente inserito nel sorso, sin d’ora. Ma tutt’altro che arrendevole. Sembra voler troncare la chiusura, che poi torna vivace e godibilissima, sulle note morbide e fruttate di un allungo che riserva sapide sorprese.
«È l’attenzione ad ogni passaggio che ha permesso di massimizzare il potenziale aromatico delle uve – spiega Axel Heinz, direttore della Tenuta – risultando all’assaggio morbido e setoso, con una elegante trama tannica ed un finale sapido e di bella persistenza».
Gli fa eco Olga Fusari, enologa di Ornellaia: «Oggi Le Serre Nuove è caratterizzato al naso da fresche note di frutti rossi maturi, accompagnate da una vivace vena balsamica con richiami a profumi di bacche di cipresso ed eucalipto». Un “second vin“, in definitiva, dalle indubbie caratteristiche premium.
LA VENDEMMIA 2019 DE LE SERRE NUOVE DELL’ORNELLAIA
L’annata 2019 è stata caratterizzata da un clima variabile, che ha alternato periodi di freddo e pioggia a lunghe fasi di siccità e caldo. Dopo un inverno nelle medie stagionali, il germogliamento è avvenuto nella prima settimana di aprile ma le condizioni fredde e piovose durante tutto aprile e maggio hanno ritardato la fioritura.
L’estate è trascorsa poi calda e soleggiata, con temperature sopra la media e assenza di precipitazioni. Le piogge di fine luglio hanno riportato le temperature nella norma stagionale, determinando condizioni ottimali per la maturazione.
L’alternanza di periodi soleggiati e acqua ha accelerato la maturazione. A beneficiarne, in particolare, l’evoluzione delle bucce, più morbide e permeabili del solito. Da qui un’ottimale estrazione del colore e della materia tannica più pregiata, chiara all’assaggio.
La vendemmia è iniziata il 5 settembre 2019 a Ornellaia (qui i dettagli sulla vendemmia 2020). Poi, grazie alle temperature rimaste fresche e alla brezza notturna garantita dalla prossimità della costa, è proseguita fino alla prima settimana di ottobre. Le uve, raccolte a mano, sono state ulteriormente selezionate in cantina su un doppio tavolo di cernita.
Dal 2016, la selezione ottica delle uve è stata aggiunta alla selezione manuale. Un altro passo della Tenuta verso la vinificazione in perfetto stato di ogni acino diraspato. Ogni varietà e ogni parcella utile alla produzione de Le Serre Nuove dell’Ornellaia viene vinificata separatamente.
La fermentazione malolattica inizia in acciaio e viene portata a termine in barrique. Qui il vino rimane a maturare per circa 15 mesi. L’assemblaggio avviene dopo 12 mesi di maturazione in barrique, permettendo così ai Cabernet, al Merlot e ai Petit Verdot di dare «il massimo contributo di espressione dell’annata e del territorio».
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Marisa Cuomo cantina en plein guida top 100 migliori vini italiani winemag.it Costa d Amalfi Doc Furore Bianco Fiorduva Ravello Furore Rosso Riserva 2016 Costa Amalfi Doc Bianco
Marisa Cuomo è una cantina simbolo non solo della Campania, ma di una vera e propria gemma italiana famosa nel mondo: la Costa d’Amalfi. Un nome che, da solo, è capace di evocare paesaggi incantati, dominati da scogliere a picco sul mare e spiagge da cartolina.
La Banca d’Italia calcola che, ogni anno, prima dell’emergenza Covid-19, l’indotto del turismo straniero superi i 350 milioni di euro in questo spicchio della Provincia di Salerno, con epicentro nei comuni di Amalfi, Positano, Ravello, Maiori e Minori.
Proprio qui hanno trovato casa Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli, presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it con ben quattro vini: Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2018 “Fiorduva”, Costa d’Amalfi Doc Ravello Bianco 2019, Costa d’Amalfi Doc Furore Rosso Riserva 2016 e il “vino quotidiano” Costa d’Amalfi Doc Bianco 2019. Un vero e proprio en plein.
LA DEGUSTAZIONE Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2018 “Fiorduva”, Marisa Cuomo
Giallo paglierino carico. Il bianco più complesso della cantina. Pienezza del sorso data dalla grande maturità del frutto ed una vena salina, iodata, marcata. Tanto sapido in bocca da sembrare servito su una barca, in mezzo al mare.
Costa d’Amalfi Doc Ravello Bianco 2019, Marisa Cuomo Giallo paglierino. Meno complesso di “Fiorduva”, ma coinvolgente nella sua estrema verticalità. Acidità affilata e tagliente; sapidità accentuata. Note vestite e ammantate dalla frutta matura. Un vino di mare fresco, godibile e senza fronzoli.
Costa d’Amalfi Doc Furore Rosso Riserva 2016, Marisa Cuomo
Rosso rubino, unghia violacea. Note di frutta matura e tocchi di spezia. Concentrato. Sorso estremamente bilanciato, tra frutto pieno e morbido e durezze saline. Terreno calcareo che gioca un ruolo determinante in questo equilibrio.
Costa d’Amalfi Doc Bianco 2019, Marisa Cuomo
Più salino e verticale di “Furore” coinvolge il naso con tutta la gamma delle erbe mediterranee. Riempie la bocca in maniera stupenda, alternando la vena glicerica alla freschezza. Vino da non perdere.
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(4,5 / 5) Il Gaurano Rosso delle Cantine Moio è il classico vino che, acquistato senza conoscerne le caratteristiche, potrebbe spiazzare il consumatore meno esperto. Questo è un calice inaspettato che ha qualcosa da raccontare. Il tutto ad un prezzo davvero interessante. Una bottiglia non per tutti i giorni, da riservare ad un’occasione speciale oppure ad una serata auto gratificante.
LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino tendente al granato, Gaurano nel calice si mostra di buon corpo. Al naso è inizialmente timido ma, dopo un’adeguata ossigenazione, le prime sensazioni – minerali, ferrose – lasciano spazio alla frutta rossa in confettura, alle spezie dolci come la vaniglia, alla liquirizia e al cacao.
Note che si ritrovano al gusto, con la liquirizia che carezza il palato. Il sorso è caldo e molto vellutato: l’alcolicità (14,5%) è ben sostenuta dalla freschezza, con l’importante risultato di rendere il sorso equilibrato. Buona anche la persistenza, che chiude un cerchio armonioso.
In sintesi il vino rosso Gaurano di Cantine Moio ha una beva graziosa, signorile e “confortante”, che ricorda (per semplificare) quella di alcuni Amarone. Da servire intorno ai 18 gradi, risulta perfetto in abbinamento a formaggi stagionati, carni alla griglia , arrosti, selvaggina.
LA VINIFICAZIONE
Gaurano è prodotto con uve 100% Primitivo, allevate su terreni sabbiosi-vulcanici a controspalliera orizzontale semplice, con potatura a Guyot. La resa è di 1,6 kg per ceppo e la raccolta è manuale, in piccole cassette da 18 kg, con leggera surmaturazione.
I grappoli, dopo una accurata cernita, vengono diraspati, pigiati e messi a fermentare per 10-15 giorni ad una temperatura di 28-30° C. Durante la fermentazione vengono realizzati diversi rimontaggi giornalieri, fino alla svinatura del vino finito. Successivamente, “l’atto a divenire” Gaurano viene affinato per circa 12 mesi in fusti di rovere.
La cantina Moio si trova a in Campania, a Mondragone, nel cuore dell’Ager Falernus, tra il fiume Volturno ed il Monte Massico. Michele Moio, recentemente scomparso, è considerato il padre moderno del Falerno.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
(5 / 5) Una “vecchia” annata a scaffale, che si rivela un grande assaggio. Sotto la lente di Vinialsuper, il Rosso di Montalcino Doc 2013 di Villa Poggio Salvi. Un’etichetta dall’ottimo rapporto qualità prezzo, presente nei supermercati Il Gigante. diffusi nel Nord Italia. Una vera e propria “chicca”, prodotta in sole 18 mila bottiglie.
LA DEGUSTAZIONE
Splendido il colore con cui si presenta il vino nel calice. Un rosso rubino intenso e luminoso, di per sé invitante: la prova – ancor prima dell’assaggio – che il vino ha retto bene nel tempo, anche se conservato al supermercato (non credete a chi vi dice che questo non avviene).
Convince anche l’analisi olfattiva. Un rosso di Montalcino molto profumato, quello di Poggio Salvi. Al bouquet floreale, con richiami netti alla rosa, si affiancano richiami netti di frutta rossa polposa, a perfetta maturazione.
Non mancano echi leggermente speziati e ricordi di macchia mediterranea. Perfetta la corrispondenza gusto olfattiva, rinvigorita da una buona freschezza e da un tannino presente, ma molto elegante. Al corredo si aggiunge una vena salina che contribuisce a rendere la beva instancabile. Buona la persistenza.
Il Rosso di Montalcino 2013 di Poggio Salvi è perfetto per accompagnare pasti a base di carne rossa e bianca. Accompagna bene dai primi ai formaggi semistagionati, passando per secondi importanti come gli arrosti. Importante la temperatura di servizio, compresa fra i 16 e i 18 gradi per un consumo ottimale.
LA VINIFICAZIONE
Si tratta di un’etichetta ottenuta da uve Sangiovese grosso, le stesse utilizzate per la produzione del Brunello. L’età dei vigneti varia dai 5 ai 20 anni, a un’altitudine di 350-500 metri, con esposizione Sud-Ovest. La forma di allevamento è il cordone speronato, con densità d’impianto di 5 mila piante per ettaro.
La vendemmia, nel 2013, ha avuto inizio nella prima decade di settembre ed è stata condotta a mano, in cassette. La vinificazione è avvenuta in vasche di acciaio termo-condizionate, a 28-30 gradi. Si è protratta per 12-14 giorni. Fondamentali le continue follature del cappello, grazie a un sistema automatico a pistoni.
Il futuro Rosso di Montalcino Villa Poggio Salvi è maturato 12 mesi in botti di rovere di Slavonia da 30, 60 e 100 ettolitri. L’affinamento in bottiglia è risultato di minimo 2 mesi, prima della commercializzazione.
Quanto all’andamento stagionale, il 2013 è stato un anno molto particolare dal punto di vista climatico. Inverno con temperature nella media, primavera piovosa, estate con pochi picchi di caldo e molte piogge fino a metà agosto.
Settembre perfetto che ha portato ad un annata molto interessante, con uve di ottima struttura e belle acidità. La raccolta è avvenuta con 10 giorni di ritardo rispetto alle medie degli ultimi anni.
Prezzo pieno: 12,90 euro Acquistabile presso: Il Gigante
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Solo 1.500 bottiglie, esclusivamente nel formato da 750 ml. Prezzo di vendita al pubblico: 100 euro. Dopo circa otto anni complessivi di affinamento, arriva sul mercato Rosso Gravner 2010. Si tratta del primo vino rosso di Gravner fermentato in anfora.
Prodotto con uve Merlot e Cabernet Sauvignon da vigne piantate nei primi anni ’60 nel vigneto di Hum, il Rosso Gravner 2010 è frutto di una stagione che ha prodotto rossi piuttosto austeri in Collio.
Il vino ha fermentato per quattro settimane in anfora e proseguito l’affinamento in botti di rovere fino a settembre 2014, quando è stato imbottigliato.
L’annata precedentemente prodotta di Rosso Gravner è stata la 2004 e le bottiglie sono già introvabili. Dal 2006 Josko ha iniziato a fermentare anche i rossi direttamente in anfora ma per scelta il Rosso Breg e il Rujno usciranno solo nel 2020, dopo 14 anni di affinamento.
È il 2001 quando Gravner sceglie le anfore per vinificare i suoi vini bianchi. Reduce da alcune annate difficili, condizionate da avverse condizioni meteorologiche e da scarsi raccolti, si impegna nelle prime macerazioni.
La modalità utilizzata è quella classica del Caucaso, tipica della zona dei Kakheti, che prevede l’impiego di grandi anfore in terracotta interrate, lunghissime macerazioni e l’uscita sul mercato non prima di sette anni di affinamento. Le anfore, a differenza dei legni, vengono lavate dopo ogni utilizzo così da poter essere utilizzate indistintamente per bianchi o rossi.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
50 anni di Doc Rosso Piceno. Quattro cantine da visitare 6 1024x768
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della Doc Rosso Piceno, un territorio da sempre sottostimato, nonostante le potenzialità pedoclimatiche e la qualità dei vini di molti vignaioli, anche emergenti.
Siamo andati sul posto, percorrendo il triangolo Offida, Ripatransone, Castorano. Abbiamo raccolto sensazioni tattili, olfattive e gustative, direttamente tra i filari e tra le mura delle cantine.
Abbiamo trovato grandi equilibri e grandi finezze, vini complessi e molto territoriali influenzati dal mare e dalla montagna.
Ritorneremo per continuare il tour: in agenda altre piccole ma grandi realtà. Per il momento prendete carta e penna e segnatevi queste.
PODERI SAN LAZZARO L’azienda Agricola Poderi San Lazzaro nasce nel 2003. Paolo Capriotti porta avanti la tradizione di famiglia, nella coltivazione della vite e nella produzione del vino di qualità e si cimenta in quella che a tutt’oggi è diventata la sua principale occupazione.
Ci troviamo nel comune di Offida, il cuore del Rosso Piceno Superiore una delle DOC storiche Italiane. Ottima posizione, in piena collina a circa 300 metri sul livello del mare e a circa 15 Km dall’Adriatico e 25 Km dai monti Appennini. Suoli argillosi su questi crinali ed esposizioni a sud, sud-ovest e nord-ovest.
Qui si risente dell’influenza del mare e delle giuste variazioni termiche tra il caldo diurno e le brezze serali. Si lavora in biologico e la filosofia dell’azienda è rivolta all’estrema cura dei vigneti per ottenere uve di qualità e per garantire il massimo del prodotto in bottiglia.
Paolo Capriotti produce attualmente circa 50 mila bottiglie divise tra uve bianche con Passerina e Pecorino e uve rosse come Montepulciano e Sangiovese in prevalenza ma anche uve Bordò.
Rese sempre intorno ai 70/80 quintali/ettaro , uso di legni vecchi e nuovi francesi , grande pulizia e espressività di un territorio molto vocato per la viticultura che nulla ha da invidiare alla vicina Toscana. Questa realtà del Piceno merita per passione, dedizione e grande intuito di questo “giovane” produttore.
I MIGLIORI ASSAGGI Pecorino Pistillo 2016. 14%vol , stessa densità di impianto a 4000 ceppi/ettaro ma resa più bassa. Qui siamo sui 70 q/ett. Lo scatto rispetto al bianco di apertura è notevole. Esposizione a Nord , terreno argilloso.
Il Pecorino 2016 dopo la fermentazione il 30% della massa affina in legno grande per 7/8 mesi . poi dopo un successivo passaggio in acciaio viene imbottigliato. Il colore è giallo paglierino carico con intensi riflessi dorati. Al naso agrume, cedro, pesca, pera e le caratteristiche note varietali del pecorino come erbe di campo e fiori. In bocca l’attacco è deciso.
Le note fruttate rilevabili al naso, lasciano il posto a sensazioni più mature, note di salvia, sfumature ammandorlate e mineralità. Nel finale torna l’agrumato a sottolineare tipicità e caratteri varietali.
Un vino da tutto pasto che con il salire della temperatura di servizio può offrire sensazioni organolettiche davvero interessanti e complesse. Da bere fresco non freddo. Ottimo rapporto q/p per un vino davvero divertente. Da preferire forse in annate più fresche dove la carica alcolica ben si bilancia con le durezze.
Podere 72 , Rosso Piceno Superiore Doc 2015 . 14.5% vol , Taglio di 50% Montepulciano e 50% sangiovese , il vino perfetto da bere sempre estate fresco e inverno a temp ambiente. Qui rese un po’ più alte sugli 80q/ett per un totale di 15000 bottiglie.
Il Vino della casa per Paolo Capriotti. Vendemmiato prima il sangiovese che porta a maturazione il grappolo con qualche settimana di anticipo rispetto al montepulciano. Le uve vengono vinificate e affinate separatamente passando circa un anno e mezzo in barrique usate e nuove e successivamente assemblate per fare un passaggio in acciaio e quindi arrivare in bottiglia.
Vinificazione a cappello emerso con rimottaggi frequenti. Colore rubino carico , al naso visciola , prugna , spezia e cacao. Ottimo bilanciamento tra le parti morbide e dure è un vino dalla struttura e dalla beva non impegnativa ma golosa. Tannini leggeri e ottima persistenza del reto olfattivo.
Grifola 2013 , Marche rosso Igt. 15%vol Montepulciano 100%. Bassissime rese, siamo circa sui 50 q/ett per un totale di 5000/6000 bottiglie a seconda dell’annata. Vigne di circa 40 anni. Vendemmia a metà Ottobre fermentazione in acciaio con cappello emerso e fino a 4 rimottaggi al giorno.
Verso Dicembre o Gennaio viene portato il barrique nuove di rovere Francese dove rimane per circa 2 anni, successivamente un dopo un passaggio in acciaio rimane in bottiglia altri 18 mesi. Il colore è un rubino intenso , impenetrabile . Il naso è un misto di frutta rossa matura, liquirizia, cacao, il tannino e morbido e non per niente ruvido.
La leggerezza del sorso non fa pensare alla gradazione alcolica in etichetta. Un vino che appare ancora giovane, con una acidità e un corpo che ne garantiscono longevità. Struttura , tanta struttura . Un vino da sorseggiare con calma, da rispettare nei tempi.
Bordo 2014, Marche rosso Igt. Bordò è il nome con cui è chiamato nelle Marche il vitigno grenache. Si tratta di un vitigno tipicamente mediterraneo, che nella zona picena ha trovato un habitat perfetto. Un uva difficile ci racconta Paolo, dall’acino delicato.
In fermentazione bastano 3 giorni di contato che le bucce si rompano e si possa gia svinare. Una caratteristica intrinseca dell’uva questa. Siamo sulle 600 bottiglie prodotte, una vera chicca. Dopo la vendemmia manuale, le uve sono portate in cantina per la fermentazione, che avviene in acciaio a cappello sommerso con frequenti rimontaggi.
Il vino matura poi per metà in legno nuovo e per metà in legno vecchio per circa 2 anni. Dopo un veloce passaggio in acciaio viene imbottigliato. Nel calice ha un colore granato. Il profilo olfattivo è caratterizzato da eleganti note floreali, sentori di macchia mediterranea, aromi di piccoli frutti a bacca rossa, cioccolato bianco, spezie orientali come la cannella e in minor misura la china.
Il sorso è piacevolmente fresco e gustoso anche se non ampissimo, di buona struttura, con tannini maturi e aromi ricchi e complessi. Finale da scorza d’arancia essiccata. Un vino elegante , fine , raffinato che accarezza il palato.
AZIENDA AGRICOLA VALTER MATTONI Valter Mattoni detto “la Roccia” è un personaggio meraviglioso. Decoratore e imbianchino di professione, nel 2006 ha deciso di iniziare sul serio a fare vino, non solo per goderne lui e la sua famiglia come da anni facevano ma per far godere anche noi. Ed ecco la prima annata in commercio, la 2006 appunto.
La sua idea, fare un vino semplice, diretto, senza troppe decorazioni, come il nonno e il padre prima di lui hanno sempre fatto. Una produzione minuscola, siamo nell’ordine delle 7500/8000 bottiglie anno. Artigianali. Preziose. Emozionanti.
I vigneti di proprietà sono Montepulciano, Trebbiano, Sangiovese e Bordò (la grenache marchigiana). Sì, anche Valter fa parte di quel piccolo gruppo di produttori che in un fazzoletto di Piceno coltivano e vinificano l’uva Bordò con grandissimi risultati.
La produzione maggiore è per il Montepulciano, Arshura esce in circa 4000 bottiglie/anno, 1500/1600 bottiglie sono di Trebbiano e solo qualche centinaio per Sangiovese e Bordò. Tre ettari e mezzo la proprietà, esposizioni a sud-est e sud-ovest, a circa 300 metri sul livello del mare , in faccia all’Adriatico.
Terreni argillosi alluvionali come tutta la zona di Castorano (AP) Le piante più vecchie hanno età fino ai 50/60 aa e sono il trebbiano e il montepulciano. In cantina si predilige l’uso di legni usati anche di oltre 4 passaggi. Tutte barrique di legni Francesi .
I MIGLIORI ASSAGGI Arshura, Marche rosso Igt 2015. 15%vol. Fermentazione in acciaio, poi un anno in barrique usate francesi. Rubino profondo con unghia accennata viola, naso su note di visciole, frutta rossa e cacao. Un naso ricco, che evolve con la leggera areazione del calice.
Al palato il tannino è morbido e il finale persiste su note di marasca e su note balsamiche mai stucchevoli. Il sorso è caldo ma i 15 % vol non appesantiscono la beva. L’utilizzo chirurgico del legno lo rende allo stesso tempo ricco e setoso.
Mai invadente in bocca. Verticale ed orizzontale, un sorso pieno su tutti i campi sensoriali. Un grandissimo Montepulciano in purezza. Un puledro adesso, che diventerà un campione di razza tra qualche anno.
Rossobordò 2015. Produzione esigua di circa 300 bott anno. Stessa vinificazione dell’Arshura, fermentazione in acciaio, poi via in barrique vecchie per 2 anni. Nel calice di un rosso rubino, luminoso, quasi trasparente.
I profumi rimandano alla spezia mista al frutto rosso piccolo, fragole appena colte, alternate a cannella e alla cioccolata. Poi un sentore di rose e infine china e rabarbaro. E’ un naso affascinante per eleganza, che si scopre come una timida donna. Non ti stancheresti mai di annusare il calice.
In bocca il tannino è morbido, l’acidità presente, minerale e sapido. Lunghissimo. Ritornano prepotenti le note speziate, con un finale che si addolcisce e chiude in freschezza. Mai pesante.
Il retro olfattivo è un campo aromatico incredibile per armonicità. Un vino giovane ma preciso, chiaro, che non lascia spazio ai tecnicismi, da ascoltare e degustare dentro e fuori dal pasto.
AZIENDA AGRICOLA CAMELI IRENE
La famiglia Allevi, sulle colline del paese di Castorano (AP), riparate dai venti del mare, esposte a sud e particolarmente adatte per la coltivazione e la cura di vitigni, coltiva da oltre 40 anni Sangiovese, Montepulciano, Passerina e Pecorino, vitigni autoctoni di questo territorio con l’aggiunta di un piccolo vitigno di Chardonnay e da pochi anni di uva Bordò (non ancora vinificata).
Una produzione totale di 20000 bottiglie anno. Tre gli ettari totale dell’azienda tutti a circa 200 metri sul livello del mare. Esposizioni a sud e sud est. Un piccolo produttore che fa della semplicità il suo punto di forza.Una bella realtà di una famiglia di vignaioli come una volta, quelli per cui siamo innamorati del vino.
I MIGLIORI ASSAGGI Pecorino Gaico 2016. 13,5 % vol, densità di 6 mila ceppi/ettaro per resa 60 q/ettaro. Vigne giovani. Fermentazione e affinamento sempre in acciaio per 6-8 mesi. Poi una sosta di altri 6 mesi minimo in bottiglia.
Colore giallo paglierino carico, sentori di frutta a pasta gialla, note che con la sosta nel bicchiere e il lieve rialzo della temperatura sconfinano quasi in un leggero tropicale. Erbe aromatiche sul finale. In bocca è rotondo, acidità ben bilanciata, finale lungo.
Conte 2017, Rosso Piceno Doc. 14%vol. 50 % Montepulciano, 50% Sangiovese. Fermentazione malolattica e affinamento sempre in acciaio. Sosta di 6-8 mesi in vasca poi assemblate le masse e imbottigliato.
Rosso Rubino carico con riflesso violaceo. La nota olfattiva è caratterizzata da profumi complessi di fiori, con una nota predominante di rosa e violetta poi frutta rossa ciliegia, fragola ma anche more e susina.
Finemente tannico al palato e con un’acidità perfettamente bilanciata. Un vino quotidiano che unisce il corpo del montepulciano all’eleganza del Sangiovese. Un best buy.
Paià 2016 , Rosso Piceno superiore Doc. 13,5 % vol. Montepulciano 70 %, Sangiovese 30 %. Vinificazione in acciaio poi affinamento in barrique usate solo per il Montepulciano. Il Sangiovese affina sempre in vasca di acciaio.
Colore Rubino carico e naso potente. Frutta rossa matura , caffè e una nota di spezia. Un vino dal corpo e dalla freschezza armoniose. Bello il tannino che si fa sentire senza invadere.
In bocca in prevalenza le durezze sulla parte morbida non stancano il palato. Un vino da pasto, da grigliata. Ottimo servito qualche grado sotto i canonici 18°.
AZIENDA AGRICOLA LE CANIETTE La realtà della famiglia Vagnoni è sicuramente una delle più conosciute qui nel territorio Piceno. Giovanni Vagnoni, seguendo le orme del nonno prima e del padre poi, nei primi anni ’90 entra in azienda e inizia a introdurre tutte quelle novità tecnologiche ed imprenditoriali che hanno reso Le Caniette conosciute ed apprezzate sul territorio e nel mondo.
Attualmente l’Azienda si estende per un totale di 20 ettari di cui vitati circa 16. Siamo a Ripatransone (AP) in una posizione limitrofa e perpendicolare al mare, le vigne godono di molti elementi favorevoli che le rendono uniche perché particolare è il microclima, come lo è la conformazione del terreno, composto da depositi sabbiosi e conglomeratici di tetto (Pleistocene inferiore). Un’azienda certificata biologica dal 1996.
I MIGLIORI ASSAGGI Lucrezia 2017 , Marche Passerina Igt. 12,5% vol. Bassa densità di impianto , siamo sui 400 ceppi per ettaro ma rese da 90/100 q/ettaro. dopo la vendemmia viene mantenuta per 10 gg a 0° C, sussegue diraspatura e spremitura molto soffice in assenza di ossigeno, pulizia dei mosti statica, fermentazione a temperatura controllata di circa 15 °C per circa 30 giorni. Affinamento in acciaio per circa 3 mesi.
E’ una Passerina diversa dalle solite scialbe e anonime che spesso si trovano in zona. E’ una bella bottiglia da ingresso di serata. Il colore è un giallo paglierino scarico ma il naso è intenso, ricco di frutta bianca fresca. In bocca sapidità e mineralità preparano la bocca e la stuzzicano. Discreta persistenza.
Chiediamo a Giovanni qual è quel tocco che rende questa Passerina una bottiglia che non passa inosservata e lui ci confida che dopo la spremitura del mosto fiore del pecorino circa 10/15 % della massa rimasta viene aggiunta alla Passerina conferendole quella struttura aromatica che per natura alla varietà manca. Piaciuta molto.
Morellone 2013 , Rosso Piceno Sup Doc. 13,5% vol ; 30% Sangiovese – 70% Montepulciano. Macerazione dai 6 ai 9 giorni in acciaio, affinamento e malolattica in barrique usate per 2 anni, un passaggio in cemento per fare la massa e poi ulteriori 2 anni di nuovo in acciaio. Terreno misto sciolto con presenza di calcare dai 280 ai 380 metri di altitudine.
Siamo sui 5000 ceppi per ettaro con rese di 60 quintali per ettaro. Rubino intenso, naso esplosivo caratteristico del montepulciano , marasca, prugna e spezia fino al cacao. In bocca è rotondo con corpo e struttura ben bilanciata dalla freschezza del Sangiovese.
Armonico al palato. Tannino giustamente levigato. Bella persistenza. Un gran vino, che si gusta meglio con qualche anno di bottiglia che lo rende ulteriormente armonico e leggero alla beva.
Cinabro 2013 , Marche Rosso Igt. 13,5 % vol. 100% Uva Bordò, (clone di Grenache) con piante di oltre 100 anni da un vigneto riscoperto poco distante dalla cantina. Vendemmia a fine agosto breve macerazione in tini di legno per 8 giorni, affinamento e malolattica in mezze barrique ( da 115 l) per 3 anni.
Poi sosta di un anno minimo in bottiglia. Cinquemila ceppi per ettaro a cordone speronato per una resa irrisoria di circa 12 quintali. Granato da manuale nel calice. Naso affascinante, mai sentita una china cosi netta.
Rabarbaro, chinotto, spezia, erba medicinale, poi agrume e un accenno di frutta rossa. E’ splendida l’evoluzione . In bocca è un fazzoletto di seta, entra elegante ed esplode. Sorso verticale dalla persistenza infinita.
La nota aranciata quasi da scorza essiccata ritorno sul finale donando freschezza e pulizia. Una bottiglia da bere con calma, senza fretta, anche fuori dal pasto. Una meraviglia.
Medico per vocazione e sommelier per passione. Mi sono poi riscoperto medico per passione e sommelier per vocazione. Sostieni il nostro progetto editoriale con una donazione a questo link.
(4,5 / 5) Alzi la mano chi ha mai sentito parlare di Tai Rosso. E se lo chiamassimo Cannonau, o Grenache? Si tratta dello stesso vitigno. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, il Tai Rosso Colli Berici Doc “Il Monastero” 2016 della Società agricola semplice Pegoraro di Mossano (Vicenza).
Un’azienda a conduzione famigliare, che aderisce alla Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi). Per intenderci, gli artefici di quello straordinario Mercato dei Vini che, ogni anno, va in scena a Piacenza.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Tai Rosso 2016 di Pegoraro si presenta di un rosso rubino brillante, limpido, mediamente trasparente. Al naso i frutti rossi tipici del vitigno: marasca, una punta di mirtillo e mora, ma soprattutto lampone, fragolina di bosco e richiami floreali di rosa canina.
Sentori puliti, candidi, che sembrano riprendere la franchezza invitante del colore di cui tinge il calice. Genuino è anche il palato del Tai Rosso della cantina Pegoraro. Corrispondente al naso, riempie la bocca di lampone e fragola, impreziosite da una sapidità che accompagna il sorso fino al retro olfattivo. Levigato il tannino. Setoso.
In cucina, l’abbinamento più scontato è quello con la gastronomia di questa fetta di Veneto tutta da scoprire. E dunque la Soprèssa Vicentina Dop e il baccalà alla vicentina. In realtà di Tai Rosso è uno di quei vitigni che la Grande distribuzione potrebbe valorizzare come “vino quotidiano” ma non banale, sponsorizzandolo anche fuori dai confini regionali (ad oggi è poco rappresentato sugli scaffali delle maggiori insegne).
LA VINIFICAZIONE
Tai Rosso “Il Monastero” è l’etichetta che la cantina Pegoraro destina ai supermercati. I vigneti si trovano a Mossano. Le uve vengono raccolte e selezionate tra la fine del mese di settembre e i primi giorni di ottobre.
La fermentazione avviene a una temperatura controllata che va dai 23 ai 27 gradi, con macerazione
di pochi giorni. Terminata la fermentazione il vino riposa in botti di acciaio per almeno sei mesi.
Il Tai Rosso (chiamato “Tocai Rosso” fino al 2007,) è il vitigno principe dei Colli Berici. La Cantina Pegoraro ne ha fatto una religione. Tanto è vero che sono quattro, oltre a “Il Monastero”, le etichette prodotte a partire da questo vitigno, non presenti sugli scaffali dei supermercati (destinati, dunque, all’Horeca). Ci incuriosisce il Metodo Classico Dosaggio Zero, che non mancheremo d’assaggiare e raccontarvi.
Prezzo: 4,69 euro
Acquistato presso: Alìper – Alì Supermercati
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(3,5 / 5)Una piccola premessa che per gli edotti del vino sarà un’ovvietà, ma per i meno avvezzi no.
Il Rosso di Montepulciano Doc, vino oggi sotto la nostra lente di ingrandimento (insieme al “fratello” Nobile di Montepulciano Docg) non ha nulla a che vedere con il Montepulciano d’Abruzzo Doc. “Montepulciano” nel primo caso si riferisce al comune toscano in provincia di Siena e nel secondo caso ad una varietà d’uva (non la medesima utilizzata). Il Rosso di Montepulciano Doc è vinificato principalmente con uve Prugnolo gentile (varietà di Sangiovese). Attenzione dunque a non fare comparazioni sullo scaffale (anche di prezzo) perchè sono vini diversi, regioni diverse, uvaggi diversi, gusti differenti.
Toscano dunque il vino degustato, referenza de i “Calici diVini”, esclusiva linea di etichette vinicole con una qualità garantita al giusto prezzo selezionate dalla catena Panorama che per questa tipologia si è affidata ad una delle aziende più note del senese, le Tenute del Cerro, presente a scaffale anche con un Nobile di Montepulciano Docg.
LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino vivace con sfumature violacee, il Rosso di Montepulciano “Calici delle Mura” all’olfatto è tra il semplice ed il sottile con prevalenza di note vinose e piccoli frutti rossi che si esprimono dopo una adeguata ossigenazione.
In perfetta corrispondenza naso bocca al palato concede un sorso fruttato e asciugante con retrogusto di ciliegie e amarene. Un vino di medio corpo con una vena acida rinfrescante ed un tannino addolcito dal breve passaggio in legno. In sintesi, un calice di immediatezza fruttata per la tavola giornaliera, con un tono in più (dato anche dal titolo alcolometrico).
Si presta a molteplici abbinamenti in cucina: salumi, primi piatti con sughi di carne, carni rosse. Con un piatto di pici al ragù o con una bistecca di chianina la Toscana è servita.
LA VINIFICAZIONE
Il Rosso di Montepulciano Doc “Calici delle Mura” è prodotto prevalentemente con Prugnolo Gentile. Le uve vengono vendemmiate mantenendole separate per tipologia e appezzamento. La fermentazione è con macerazione in serbatoi di acciaio per 8-10 giorni a temperatura controllata di 24/26 gradi con rimontaggi giornalieri. Una volta svinati i vini vengono trasferiti in botti grandi di rovere di Slavonia per un periodo di circa 3 mesi al termine dei quali vengono trasferiti in acciaio dove restano fino all’imbottigliamento.
Tenute del Cerro Spa è un’azienda diversificata del Gruppo Unipol. Conta ad oggi 5 tenute di cui 4 vitivinicole in Toscana e Umbria, con quasi 5000 ettari di terreno di proprietà dei quali circa 300 vitati.
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Puglia Igp Rosso Uva di Troia 2013 Citerna Agricole Alberto Longo Terravecchia
(4,5 / 5) C’è uva e uva. E c’è uva di Troia e uva di Troia. Lo sa bene Alberto Longo, che con le sue Cantine di Terravecchia porta sugli scaffali di Penny Market un Rosso Puglia Igp da Uve di Troia dall’invidiabilissimo rapporto qualità prezzo. Senza pari nel calice, in confronto alla concorrenza.
Chiedere per credere al lavandino che si è bevuto, tutto d’un sorso, il Nero di Troia Daunia Igp “Capitolo” della Cantina Sociale di San Severo. Stesso uvaggio, stessa vendemmia (la 2013). Stesso prezzo. Stesso istante di apertura della bottiglia. Battaglia impari.
E non si tratta di tenuta della singola bottiglia. Ma di un preciso discorso di selezione. A partire dal tappo di sughero col quale le due bottiglie sono state tappate. Grossolana la qualità di quello della Cantina Sociale di San Severo.
Lungimirante il cork di Terravecchia, cantina concentrata (evidentemente) più sulle potenzialità d’invecchiamento del vitigno che su un canale distributivo da molti considerato “di serie B”, come la Gdo: dove tutto, o quasi, dev’essere bevuto “entro 6 mesi”. Tutt’altro. Tant’è, alla prova del calice.
LA DEGUSTAZIONE Il Rosso Puglia Igp Uva di Troia 2013 Citerna delle Agricole Alberto Longo – Cantine di Terravecchia si presenta di un rosso rubino intenso con riflessi violacei, poco trasparente. Un colore che evidenzia, sin da subito, la buona tenuta del nettare in bottiglia. Mentre lo si versa, ancor prima di avvicinare il calice al naso, nell’aria si dipana il profumo tipico dell’Uva di Troia.
Quello dei piccoli frutti rossi in tinta balsamica, impreziositi da note vegetali (peperone verde e macchia mediterranea, in particolare rosmarino) e di spezia piccante (pepe nero). Corrispondenti le percezioni in un palato che regala un’acidità piuttosto viva. La beva è fresca e il sorso è invogliato dalla pulizia delle note fruttate, unite a una vena sapida piacevolissima.
Siamo davvero di fronte una vendemmia 2013, da meno di 4 euro? Pare di sì. Tutto bellissimo, ancor più se accompagnato dal piatto adeguato in abbinamento. Il Rosso Puglia Igp Uva di Troia 2013 Citerna delle Agricole Alberto Longo Terravecchia è da provare, per esempio, con una buona pizza salsiccia al finocchietto e gorgonzola.
LA VINIFICAZIONE
L’Uva di Troia che dà vita a questo vino rosso cresce in un vigneto di proprietà delle Cantine di Terravecchia, nei pressi di Lucera. Siamo nel cuore della Daunia, in provincia di Foggia. Le radici delle viti affondano in un terreno mediamente calcareo a tessitura franco-sabbiosa.
L’allevamento è a spalliera (cordone speronato), con densità d’impianto di 5.600 piante per ettaro e una resa per ceppo di 2,5 chilogrammi, corrispondente a circa 130/140 quintali di uva per ettaro.
La vendemmia avviene a piena maturazione, nella seconda decade di ottobre, mediante selezione e raccolta meccanica. La fermentazione alcolica avviene in vasi vinari di acciaio inox a temperatura controllata, favorendo il prolungato contatto delle bucce con il mosto.
La fermentazione malolattica si svolge nel mese di novembre, subito dopo la fermentazione alcolica. L’affinamento del vino avviene dapprima in vasi vinari di acciaio inox, poi per almeno tre mesi in vasche di cemento ed in seguito in bottiglia per un periodo minimo di tre mesi.
Alberto Longo ha scelto di recuperare, nella sua Lucera, un’azienda agricola dell’Ottocento come sede della propria attività collaterale a quella professionale vera e propria. Un casale ristrutturato “con l’obiettivo di produrre vini di qualità e offrire un’accoglienza qualificata e professionale”. Una mission che trova nell’Horeca terreno fertile, senza tuttavia disdegnare la tanto bistrattata Gdo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Castel del Monte Rosso Riserva Docg Il Falcone 2011 Rivera
(4 / 5) Castel del Monte è un’icona del turismo meridionale. Federico II di Svevia andava a caccia con il falcone nei terreni circostanti il suo celebre maniero ottagonale. In queste stesse terre produce i propri vini la cantina Rivera, di proprietà della famiglia De Corato da tre generazioni.
LA DEGUSTAZIONE
Il Falcone, blend “antico” di uve rosse autoctone, è da più di 40 anni il vino simbolo dell’azienda di Andria. Nel calice si presenta rosso granato compatto. All’olfatto sprigiona tutta la sua signorilità, catturando il naso con profumi di frutti rossi maturi, cuoio, datteri, cioccolato fondente, giustificati dalla permanenza per 14 mesi del 50% del prodotto in rovere francese ed il restante 50% in botti da 30 ettolitri.
Per chi li sa ricercare regala anche lievi profumi mentolati. In bocca presenta un tannino elegante e vellutato perfettamente integrato. È un vino secco, con 6 anni di vita, ma che presenta tutte le caratteristiche per potersi ancora evolvere nel tempo. Si consiglia di accompagnarlo a carne di selvaggina, formaggi stagionati, grigliata di carne rossa.
LA VINIFICAZIONE
Il Castel del Monte Rosso Riserva Docg “Il Falcone” 2011 dell’Azienda vinicola Rivera è ottenuto dalla vinificazione di Nero di Troia (70%) e Montepulciano (30%). Le uve vengono vendemmiate tra la terza e la quarta
settimana di ottobre. La macerazione dura 15 giorni in vinificatori di acciaio con delestage e frequenti rimontaggi allo scopo di ottenere una migliore estrazione di sostanze aromatiche e coloranti e al tempo stesso
ammorbidire il tannino.
Il Falcone matura per 14 mesi in legno: metà in barrique di rovere francese di primo, secondo e terzo passaggio e metà in botti di rovere francese da 30 ettolitri. Un ulteriore affinamento di almeno un anno in bottiglia completa la sua maturazione, prima della commercializzazione.
Il Castel del Monte Docg di Rivera viene prodotto nel territorio del Comune di Andria, nella zona dell’omonima Denominazione di origine controllata e garantita. I vecchi vigneti affondano le radici in terreni tufacei profondi, a un’altitudine di 200 metri sul livello del mare.
Il metodo di allevamento è quello del cordone speronato con una densità di 4.800 viti per ettaro. Le rese sono
mantenute entro i 90-100 quintali di uva per ettaro.
LA CANTINA
Rivera è un marchio molto noto già negli anni Cinquanta e Sessanta. Il nonno di Sebastiano De Corato (erede in carica) iniziò l’avventura piantando uve tipiche della zona di Castel del Monte. Per primo il Bombino Nero, oggi Docg, con cui si producevano rosati meno “carichi” dei salentini.
Il successo commerciale arrivò abbastanza presto. Nel 1971, in omaggio a Federico II di Svevia, la cantina scelse il nome “Il Falcone” per il suo vino simbolo. È ancora oggi il portabandiera dell’azienda, che mantiene invariate le proporzioni del blend di Uva di Troia e Montepulciano.
Il Falcone è uno dei grandi vini del Sud Italia presenti sugli scaffali dei supermercati, grazie a un microclima particolare: la Murgia alle spalle e l’Adriatico immediatamente di fronte. I venti freddi dai Balcani e quelli caldi mediterranei che si alternano garantiscono un’ottimale maturazione delle uve, dando al vino eleganza e complessità.
Approdata per caso nel mondo dell’enogastronomia. Il connubio tra tavola e vino diventa da subito la mia più grande passione, utile a migliorarmi di continuo grazie all’attività di sommelier. Amante dei viaggi e sportiva più per dovere che per piacere. Sostieni la nostra testata indipendente con una donazione a questo link.
gerry scotti caduta libera vini antitrust supermercato
Nuova edizione, stesso copione. A Caduta Libera, il vignaiolo (in affitto) Gerry Scotti sfida ancora l’Antitrust. Con l’ennesima réclame dei suoi (costosi) vini, in vendita al supermercato.
Una trama già vista nei mesi scorsi, riproposta dal conduttore pavese a un quarto d’ora dall’inizio della trasmissione andata in onda ieri, giovedì 14 settembre.
A offrire il pretesto a Scotti è, come di consueto, una domanda a tema “vino” indirizzata a uno dei partecipanti al quiz. “Travasare un vino rosso di pregio per favorirne la decantazione”. Dieci lettere. La risposta è “Scaraffare”. La concorrente non risponde e finisce nella botola. Non prima di sorbirsi lo spot dello Zio Gerry.
“Tu prendi uno dei miei vini. Sai che faccio vino nel tempo libero? L’hai assaggiato già? Vuoi assaggiare il rosso, il bianco o il rosè? Alla salute!”.
Secondo il listino “Autunno 2017” di Publitalia ’80, concessionaria esclusiva del Gruppo Mediaset per le trasmissioni delle reti in chiaro, 30 secondi di pubblicità su Canale 5 – durante Caduta Libera – costano da 26 a 56 mila euro. Un bel risparmio per lo Scotti nazionale. Non resta che visionare il video-frammento della puntata, con una previsione: entro Natale, a Caduta Libera, si parlerà di spumante.
*disclaimer Questo è l’ultimo articolo-denuncia che la testata vinialsupermercato.it dedica a Gerry Scotti. In un Paese con la “P” maiuscola, un’Antitrust con la “A” maiuscola sarebbe già intervenuta, ammonendo formalmente il conduttore. Confidando in un pronto intervento delle istituzioni e nel rispetto delle migliaia di lettori che confermano quotidianamente la fiducia alle presenti “colonne digitali”, vinialsuper eviterà di trattare ancora il tema Scotti per non offrire al conduttore ulteriore spazio-pubblicità gratuito, evidentemente necessario alla spinta delle vendite di vini costosi e poco rappresentativi dell’Oltrepò pavese
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Ci sono diversi modi per approcciare i vini e le cantine. Fiere, guide, degustazioni, blog o siti specializzati fra cui ovviamente vinialsuper, passaparola, supermercati, enoteche.
Stavolta il contatto passa da un regalo. Una bottiglia “sconosciuta’’ acquistata in Gdo omaggiata in un cesto di benvenuto nelle Marche: Ribona Le Grane annata 2015, dell’azienda agricola Boccadigabbia.
L’idea iniziale è di recensirla nella categoria Recensioni Supermercatodel sito. Contattiamo la cantina per avere informazioni sul vino, sulla vinificazione, sulla distribuzione.
Pochi giorni dopo, Elvidio Alessandri, istrionico titolare di Boccadigabbia, telefona incuriosito e ci invita direttamente in cantina per spiegarci la sua Ribona (e non solo).
Lo raggiungiamo nella sua tenuta. Siamo a Civitanova Marche, in contrada Castelletta di Fontespina, a poche centinaia di metri dal mare. Elvidio ci attende e ci apre le porte della cantina invasa dai gas di fermentazione. “Non sto a spiegarvi come funziona perché sicuramente lo sapete”, esordisce mostrando subito il suo piglio pragmatico.
Un rapido giro alla bottaia, anche per prendere un po’ di fresco. Il soffitto è tutto in rame. Elvidio ci confessa di averlo scelto come materiale per la sua bellezza. Pragmatico ed esteta. Ci piace.
LA STORIA DI BOCCADIGABBIA Di proprietà di un discendente di Napoleone Bonaparte, Boccadigabbia è stata acquistata dal padre di Elvidio nel 1956. Per i primi anni di attività, espiantati tutti i vitigni internazionali, l’azienda si dedica a produzioni massive di uva destinata a vini da tavola, con rese per ettaro che, a detta di Elvidio, oggi non fanno la sommatoria delle rese di tutti i singoli vini.
Negli anni Ottanta lo scettro passa di padre in figlio. Elvidio decide di reimpiantare i vitigni francesi coltivati nel passato come Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Nero, Chardonnay, oltre a vitigni locali. Negli anni novanta arrivano le prime grandi soddisfazioni.
Akronte, Cabernet Sauvignon in purezza in gamma ancora oggi, tra il 1992 e il 1998 guadagna ben sei volte gli ambiti Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Le vendite decollano all’estero, dove i vini di Boccadigabbia sono presenti nei menù di grandi nomi della ristorazione newyorkese. Nel 1996 la famiglia Alessandri acquista anche la Tenuta Villamagna Floriani, vicino a Macerata, dove oggi si coltivano Montepulciano, Sangiovese e Ribona.
Un ciclo di anni positivi cui segue un capitolo discendente, per vari motivi. Un mercato dei vini “drogato” dai premi e dalle guide. A farne le spese anche aziende che, pensando di essere “arrivate” si sovraespongono in termini di investimenti.
“Del vino – continua Elvidio – si è cominciato a parlare troppo e questo è stato un fattore determinante: l’inizio della fine”. Ma nei primi anni Duemila il mercato proiettato su vini rossi strutturati, pane quotidiano di Boccadigabbia, vira improvvisamente.
“Facevo un Chardonnay barricato, il Lamperti. Allora ti picchiavano se dicevi che facevi il vino in barrique: io non bevo il vino del falegname, dicevano’’.
“C’è stato un calo clamoroso dei vini barricati, però il mio enologo Emiliano Falsini, l’anno scorso mi ha proposto di rifarlo. E così abbiamo fatto”. In legno sta tre o quattro mesi, fa tutta la fermentazione e poi rimane ad affinare per un po’ di tempo, senza assorbire troppo il sentore di legno grazie alle barrique nuove piegate a bagno in acqua calda”.
La fase calante di Boccadigabbia passa tra le nuove tendenze dei consumi e i meccanismi del nascente ‘”sistema vino”. “Ho fatto un passo indietro quando ho visto che cominciavano ad arrivare i falchi. Non mi è piaciuto più. Non ho seguito più la produzione, non avevo più un pr, non andavo più alle degustazioni. Era diventato un giro un po’ particolare. Tra il 2000 e il 2010 sono cresciute le guide, gli eno-giornalisti di tutti i tipi, ti chiedevano, ti promettevano, non si capiva…e allora mi sono scansato da una parte”, racconta Elvidio con amarezza.
Come scriveva Antoine de Saint-Exupéry, per ogni fine c’è un nuovo inizio. Elvidio è il pilota e il Piccolo Principe al tempo stesso. La rosa da curare è Boccadigabbia. Elvidio capisce che inizia la riscoperta dei vitigni autoctoni. E lui i vitigni autoctoni li alleva. E’ l’incipit di un nuovo capitolo, scritto anche grazie all’ingresso di Lorenzo, suo figlio, e di nuovi preziosi collaboratori. Da qualche tempo è cominciata una nuova era.
LA DEGUSTAZIONE
Partiamo naturalmente dalla Ribona, il vino del “risorgimento” di Boccadigabbia. Precursore del Verdicchio, qualcuno la definisce la sorella maggiore. In passato veniva chiamata Verdicchio marino. Le Grane 2015, ha ricevuto i 91 punti da Ian D’Agata e le “5 Star Vinitaly”. Sul tavolo del salone degustazione però ce ne sono due diverse, entrambe annata 2016: Ribona dei Colli Maceratesi e Le Grane 2016.
La Ribona Colli Maceratesi Doc è una Ribona tout court, vinificata in acciaio con un po’ di macerazione a freddo fatta inizialmente col ghiaccio. La Ribona Le Grane, invece, proviene da uve selezionate sottoposte a doppia fermentazione per aggiungere corpo a un vitigno che non dà molta consistenza.
“Idea nata da un dialogo con un contadino, tra il 2006 ed il 2007”, spiega Elvidio Alessandri. Gli acini diraspari, leggermente surmaturi, vengono aggiunti al mosto per far rifermentare il vino. Al naso entrambi i vini hanno sentori vegetali come il Sauvignon. La salvia, su tutti. Al palato sono estremamente minerali, freschi e con una sapidità marcata. Degustati in sequenza, la differenza di corpo non è così netta.
A Elvidio Alessandri, uomo di cultura sopraffina, il bouquet della Ribona ricorda un profumo degli anni 70, di Paco Rabanne. Un profumo da donna, incredibilmente elegante, che in giro non si sente più. “Ma io lo riconoscerei tra mille”, ammette.
Il secondo assaggio è il Rosso Piceno Doc, bestseller a livello internazionale. Un blend di Montepulciano e Sangiovese in proporzione 60-40, la cui caratteristica è una fermentazione un po’ più corta, per via della delicatezza del Montepulciano che è un po’ greve.
Il Rosso Piceno Doc Boccadigabbia riposa per circa 14 mesi in barrique usate per Merlot, Sangiovese e Cabernet. Qualcuno lo chiama “il vino del furgoncino”, per la raffigurazione in etichetta. Il mezzo esiste, è di proprietà dell’azienda e orgoglio di Elvidio.
Immatricolato nel 1939, Pupi Avati lo ha voluto nel suo film del 2011 Il cuore grande delle ragazze”, insieme ad Elvidio che ha fatto la comparsa. Rosso rubino scurissimo, al naso le note di mora e ribes si mescolano a vaniglia e accenni di cuoio e tabacco. Al palato il tannino è graffiante, ma integrato da una buona acidità altrettanto presente. Un Rosso Piceno di grande personalità.
L’ultimo assaggio non può che essere l’Akronte. Un peccato non averlo aperto in tempo per dargli modo di esprimersi in tutta la sua complessità. Ma siamo fortunati: Elvidio è una persona loquace, ma anche un ottimo ascoltatore e la conversazione diventa variegata tra i suoi tantissimi aneddoti da raccontare e la sua curiosità.
L’annata è la 2012. Si tratta di un 100% Cabernet Sauvignon con un naso davvero potente. Un vino di una finezza ed eleganza memorabili. Inizialmente è un po’ chiuso, poi col passare del tempo, tra lo scorrere della parole, fiorisce e prende vita.
Le note vegetali iniziali danno spazio a intense note di frutta matura, vaniglia, chiodi di garofano e rabarbaro. Il palato è altrettanto possente: il tannino è molto presente, ma non spigoloso. Un gran vino, una sorpresa nelle Marche. Poesia pura.
Il RAPPORTO CON LA GRANDE DISTRIBUZIONE Boccadigabbia produce 100-150 mila bottiglie all’anno, che vengono convogliate (con la medesima etichetta) sugli scaffali dei supermercati (Do-Gdo) e nella ristorazione (Horeca).
“Abbiamo una gamma abbastanza diversificata – spiega Elvidio Alessandri – perché come tutte le aziende piccole facciamo un sacco di vini, un po’ per divertimento, un po’ perché bisogna fare vedere cosa sappiamo fare anche su certi prodotti che internazionalmente ti qualificano. Ad esempio, trent’anni fa ho cominciato a produrre il Cabernet Sauvignon. All’estero nessuno conosceva il Rosso Piceno e dovevo far vedere cosa sapevo fare’”. Il Rosso Piceno di Boccadigabbia oggi è invece un bestseller, sia nella grande distribuzione marchigiana che all’estero: negli Stati Uniti, in Giappone, nel Nord Europa.
Distribuire i propri vini (anche) al supermercato ha creato “qualche difficoltà”, ma Elvidio è “favorevole a questo canale”. Ma gli affari non vanno benissimo. “La Gdo si è un po’ fermata, non si capisce perché, forse per via delle vendite online, ma fino un paio di anni fa era il canale distributivo migliore, ricompravano sempre. E poi hanno una grande caratteristica: pagano! A differenza della ristorazione. Anche se lavori con i grossisti – confessa – loro non riescono a prendere i soldi e devi dargli respiro”.
Le Marche sono una regione emergente nel panorama del vino. Come mai le vendite hanno una battuta di arresto? “E’ vero – replica il produttore – ma oggi è conosciuto il Verdicchio e se non hai il Verdicchio è meglio che non ti presenti. Qui siamo in una zona in cui il Verdicchio non c’è. Qui abbiamo la Ribona”.
IL PALCOSCENICO DEL VINO Sulla tavola di Elvidio i protagonisti sono i suoi vini, ma anche quelli piemontesi, per evidenti ragioni di eleganza e finezza. Tra i suoi preferiti il Barolo Bussia 90 Riserva di Giacomo Fenocchio. Di Toscana beve poco, nonostante il suo enologo sia toscano e il fatto che si tratti di una regione storicamente piena di contadini marchigiani. Elvidio Alessandri beve anche spumanti. “Di bollicine bevo solo Champagne, al massimo Franciacorta. Posso dirlo che io non sopporto il Prosecco?”.
Elvidio va a ruota libera. “Sta diventando sinonimo di spumante – denuncia – addirittura al matrimonio di mia figlia, per il quale avevo previsto un Franciacorta importante, c’era un cameriere che andava in giro a chiedere ‘Chi vuole un prosecco?'”. Un duro colpo al suo cuore assimilare il Prosecco al Franciacorta. “Il vino italiano si sta identificando con il prosecco. Magari ti offrono una Passerina spumante dicendo ‘vuole un po’ di Prosecco?”. Abbiamo trovato casualmente un sostenitore della nostra campagna #nonsoloprosecco.
Dal Prosecco primo attore ai vini macerati, altrettanto interpreti principali degli ultimi anni, il passo è breve. Il punto di vista di Elvidio è chiarissimo. “E’ un fenomeno che passerà, ne ho visti tanti…”.
PROGETTI PER IL FUTURO Elvidio sta scrivendo un libro. Lo vuole intitolare “Memorie di un vignaiolo pentito”. Ci stupisce l’uso di questo aggettivo, proprio oggi che il mestiere del vignaiolo sta subendo una rivalutazione.
Il pentimento si riferisce non a un mutamento di opinione rispetto alla sua scelta professionale (al di là degli studi classici prima di avvicendarsi al padre) quanto a una sorta di autocondanna morale: per aver fatto parte di un sistema, un girone dell’inferno che oggi non gli appartiene più.
“Quello delle guide, dei premi, dei peana del vino”. Oggi Elvidio è guarito e il vino lo fa soprattutto per divertirsi. Non si sa se e quando sarà pubblicato il libro. Lo scrive a pezzi. Poi forse lo metterà insieme.
Il “Piccolo Principe” di Boccadigabbia ha troppe avventure cui dedicarsi. Prima di salutare gli chiediamo una foto. Si vergogna, è timido. ”Prendete quella del mio profilo Facebook tratta dal film, lì sono meglio”, ci saluta sorridente.
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Rosso Conero Dop Azienda Agricola Santa Casa Loret
(3,5 / 5) Non poteva che attrarre il nostro interesse il Rosso Conero Dop 2013 prodotto dall’Azienda Agricola Santa Casa Loreto (AN).
In etichetta la riproduzione del complesso della Basilica a ”dominare” lo scaffale così come l’imponente cupola rinascimentale del Santuario fa con il panorama circostante, da diverse angolazioni, lì a Loreto.
LA DEGUSTAZIONE
Di un bel rosso rubino vivace, il Rosso Conero Dop 2013 dell’Agricola Santa Casa Loreto ha un’espressione vinosa gradevole, tipica del vitigno nei ricordi di piccoli frutti rossi di sottobosco.
Al naso, tra il ribes rosso, il lampone e il mirtillo giungono anche accenni di pepe nero e lievi note balsamiche.
In bocca è piacevolmente morbido e fruttato, con tannini fini. Sul finale, discretamente persistente, ritorna anche la balsamicità che ricorda il mirto.
Un calice che nel suo “non dinamismo” trova il perfetto equilibrio sulla tavola di ogni giorno, il tutto accompagnato da un ottimo rapporto qualità prezzo. Il Rosso Conero si abbina in genere a piatti saporiti, salumi, formaggi stagionati.
LA VINIFICAZIONE
Il Rosso Conero Dop 2013 Agricola Santa Casa Loreto è prodotto con uve Montepulciano in purezza. I vigneti si trovano a un’altezza di 100-150 metri sul livello del mare, su terreni argillosi allevati in parte a guyot e in parte a cordone speronato. La vendemmia viene effettuata nella seconda settimana di ottobre.
La vinificazione, effettuata per conto della Santa Casa dalla Viti Vinicola Costadoro di Loreto, è tradizionale in rosso: temperatura controllata, con macerazione sulle bucce di 8/10 giorni e frequenti rimontaggi. Successivamente il vino affina per un anno in acciaio e cemento e quindi ancora per due mesi in bottiglia, prima della commercializzazione.
L’Azienda Agricola Santa Casa Loreto dispone di circa 1400 ettari di cui 50 dedicati alla viticultura. Una produzione vincola di fatto cominciata nel XIV secolo, quando il vino veniva prodotto principalmente per consumo interno e per i pellegrini. La distribuzione nei negozi è storia recentissima, dal 2014.
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(3,5 / 5) Un vino a due marce, da aspettare nel calice per comprenderlo fino in fondo. E’ lo Squinzano Dop Rosso Riserva “Corte Aurelio”, marchio Lidl. Una Denominazione raramente riscontrabile sugli scaffali dei supermercati, fuori dai confini della Puglia. Coraggiosa la catena tedesca della grande distribuzione a proporlo nei propri store, al prezzo (sconcertante, per certi versi) di 2,99 euro.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, la vendemmia 2013. Nel calice, lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio si presenta di un colore rosso rubino impenetrabile. Una bella tinta, tipica dell’uvaggio Negroamaro. La prima impressione all’olfatto non è invece delle migliori. Si limita, di fatto, al calore dell’alcolicità: la percezione, monocorde e poco definita, è quella dei frutti rossi sotto spirito. Troppo presto, però, per catalogare lo Squinzano di Lidl tra i vini al supermercato meno lodevoli.
Pian piano, di fatto, l’ossigenazione fa il suo lavoro sul nettare. Ecco che le note fruttate cominciano a prendere forme note: domina la scena la ciliegia, accanto a ribes, lamponi e more selvatiche. Netto lo spunto vegetale tipico della macchia mediterranea: salvia, rosmarino, ginepro. Poi, zafferano e pepe nero a folate.
In bocca la complessità non è certo pari a quella espressa al naso. Lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio di Lidl si conferma vino di alcolicità sostenuta. Nonostante ciò, un nettare connotato da una grande semplicità di beva.
Alle note fruttate di ciliegia e lampone risponde un tannino vivo ma tutt’altro che “verde”, cui fa eco una bilanciata sapidità. Sufficiente la persistenza. In cucina, ottimo l’abbinamento di questo Squinzano Dop con le carni rosse in generale, con predilezione per le lunghe preparazioni e la selvaggina. Ottimo con primi a base di ricchi ragù di carne.
LA VINIFICAZIONE
Come spesso accade da Lidl, quasi impossibile risalire alla cantina produttrice e all’esatta tecnica di vinificazione. Sull’etichetta, di fatto, è indicato solo l’imbottigliatore: la solita V.E.B. di Bardolino, ovvero Enoitalia.
Di certo la Doc Squinzano, come da disciplinare, racchiude i vini prodotti nell’omonimo Comune della provincia di Lecce, oltre a quelli ottenuti per almeno il 70% dai vigneti di Negroamaro nei comuni di Novoli, San Pietro Vernotico e Torchiarolo e, solo in parte, nei Comuni di Campi Salentina, Cellino San Marco, Lecce, Surbo e Trepuzzi. Tutte realtà della provincia di Lecce e Brindisi.
Possono concorrere al blend la Malvasia nera e altri vitigni a bacca rossa coltivati nella zona. In generale, la predilezione è per il Sangiovese (massimo 15%). Lo Squinzano “Riserva” deve affinare per almeno due anni in cantina, di cui almeno 6 mesi in botti di legno. Da qui la complessità di un calice a due marce, come quello di Corte Aurelio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Metti assieme un vignaiolo, un enologo, un selezionatore, un ristoratore e un artista. Capirai il senso di una linea di “vini spensierati”, adatti alle occasioni più gioviali. Come i “Bacaro tour”, veri e propri viaggi lampo che prevedono andata e ritorno in una sera e un unico filo conduttore: l’alcol.
Una moda che spopola tra i giovani italiani, soprattutto in regioni del Nord Est come Veneto e Friuli. Un esempio? Partenza da Treviso, arrivo a Venezia. Lì, inizia il tour tra un “bacaro” e l’altro: locali, spesso osterie, in cui i ragazzi consumano vini al calice (ómbre) e piccoli spuntini (cichéti).
“L’intento – spiega Raffaele Bonivento, leader del progetto ‘Bakari #socialmentespensierati’ con un passato da vignaiolo nei cirucuiti VinNatur e Porhos – è quello di creare una linea di vini naturali, fatti bene, a un costo accessibile, che rispondessero a dei requisiti specifici: di facile beva, democratici ma non concettuali, laici e frivoli, privi di sovrastrutture etiche e culturali. In poche parole vini buoni e naturali alla portata di tutti”.
LA SQUADRA
Al fianco di Raffaele Bonivento, una squadra di professionisti del mondo del vino. Damiano Peroni, enologo che da oltre dieci anni lavora come consulente per aziende agricole. Stefano Menti, vignaiolo dell’azienda di famiglia a Gambellara (VI), che lavora in regime biodinamico ed è interprete della Garganega vinificata spontaneamente. Il ristoratore Luca Fullin, oggi ideatore e proprietario del Local, realtà emergente della ristorazione veneziana. E infine Emanuela Tortora, sommelier e illustratrice che si è occupata delle etichette.
Il nuovo marchio si presenta sul mercato con tre vini: Bianco, Rosso, Confondo. Tutti non filtrati, prodotti in quantità limitate, con l’indicazione di anidride solforosa in retroetichetta. Le uve vengono acquistate da produttori in regime biologico, biodinamico o in conversione verso questi regimi.
DOVE DEGUSTARE I VINI BAKARI Sono diciannove i locali che i fondatori della nuova linea vini Bakari hanno scelto per presentarsi ai “bevitori socialmente spensierati”. Da sabato 24 giugno a sabato 8 luglio 2017 il pubblico potrà quindi conoscere e assaggiare in anteprima i vini nei locali selezionati al costo consigliato di 3 euro.
I locali coinvolti sono: Bacaro Risorto di Venezia; Estro – Vino e Cucina di Venezia; Osteria Plip di Mestre (Ve); DiningRoom di Mestre (Ve); Ristorante Local di Venezia; Hotel Pensione Wildner di Venezia; Misticanza 54 di Monselice (PD); Abituè di Treviso; Assaggi&Beccofino di Mogliano Veneto (TV); Il Punto della bice di Rovigo; Ca’ Bottona di Costermano (VR); Ai Troeggi di Genova; Banco vini e alimenti di Torino; Ristorante Consorzio di Torino; XI Comandamento di Ferrara; Enoteca Pisacane di Cervia (RA); Viva di Trieste; Vinello di Milano; Pura Vida di Mantova.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
L’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, CHIC, Euro-Toques Italia, la Federazione Italiana Cuochi (FIC), Jeunes Restaurateurs Italia (JRE) e Le Soste si schierano a favore e a supporto dell’azione del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina che ha espresso un “no” convinto al Commissario Europeo per la Salute e la sicurezza alimentare e al Commissario Europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale sullo schema di etichettatura nutrizionale basato sul “codice colore” già adottato nel Regno Unito. Una posizione già espressa nelle scorse settimane da Coldiretti.
Nel giugno 2013 il Regno Unito ha introdotto un sistema a bollini colorati in etichetta, la cosiddetta “etichettatura a semaforo”, bollini e colori che vengono assegnati in base alle calorie, ai grassi, agli zuccheri e al sale presenti in 100 grammi di prodotto. Quindi, quando in un alimento uno di tali aspetti è presente oltre determinante percentuali di concentrazioni, sulla confezione viene apposto un bollino rosso. Altrimenti il verde o il giallo.
“Riteniamo si tratti di un sistema intuitivo ma altrettanto semplicistico nella classificazione nutrizionale – evidenzia il ‘club’ degli Ambasciatori del gusto – che penalizza molte eccellenze italiane, nonostante non siano affatto pregiudizievoli per la salute dei consumatori”.
“Con questo meccanismo – continuano le sigle del gusto Made in Italy – c’è il serio pericolo di ritrovarsi davanti al paradosso di un bollino verde assegnato a una bibita gassata con dolcificante e di un bollino rosso per il nostro extra vergine di oliva. Sono i prodotti agroalimentari del nostro Paese più richiesti al mondo (formaggi, salumi, olio, vino etc.), che utilizziamo quotidianamente per le creazioni dei piatti, motivo di vanto e di successo dell’arte culinaria italiana”.
“Con questa azione sincronizzata e di sistema – conclude l’Ambasciata del Gusto – tutti noi vogliamo evidenziare la nostra indiscutibile posizione e il supporto a tutti gli organi governativi nel richiedere l’intervento della Comunità Europea e la cooperazione del Regno Unito per rimuovere questo elemento distorsivo e altamente dannoso del mercato”.
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Seconda fermata Montefalco. Dopo la grande degustazione di vini dell’Oltrepò pavese destinati agli scaffali della Grande distribuzione organizzata, vinialsuper passa al setaccio la denominazione Montefalco.
Un territorio che conta 1500 ettari vitati e 70 aziende vinicole, per una produzione complessiva di poco superiore a 3 milioni di bottiglie. Un balzo nell’Umbria di grandi vini come il Montefalco Sagrantino Docg, secco e passito, o il Montefalco Rosso Doc. Senza dimenticare vini bianchi come il Montefalco Grechetto Doc e il Montefalco Bianco Doc, poco trattati dalla critica enologica e spesso bistrattati dalle catene della Gdo.
L’occasione per la degustazione è offerta dall’ultima edizione di Vinitaly. A guidarla è Maruska Passeri, responsabile delle attività promozionali, tecniche e amministrative del Consorzio di Tutela Vini Montefalco, accanto al presidente Amilcare Pambuffetti.
“Con le recenti modifiche al disciplinare della Denominazione di origine controllata Montefalco – evidenzia Pambuffetti – abbiamo cercato prima di tutto di valorizzare i nostri vini bianchi. La distinzione tra Montefalco Grechetto e Montefalco Bianco ci consente di valorizzare rispettivamente due vitigni autoctoni come il Grechetto e il Trebbiano spoletino. Successivamente abbiamo allargato per il Montefalco Rosso la parte a Sagrantino, portandola dal 15 al 20% (rispetto alla base preponderante di Sangiovese, ndr). Questo perché il Montefalco Rosso è il vino più venduto della denominazione, anche in Gdo. E quindi abbiamo inteso dare ulteriore spinta a questo fenomeno”.
Le modifiche arrivano in un 2017 da ricordare per il Consorzio umbro. Non solo perché il disciplinare del Montefalco non subiva “ritocchi” dal 1992. Ma soprattutto per il 25° compleanno della Docg Sagrantino. “Molte aziende del territorio sono di medie e piccole dimensioni – evidenzia il presidente Pambuffetti (nella foto) – e riescono a raggiungere la Gdo solo a livello locale, dove le varie catene di supermercati intendono valorizzare le produzioni locali”
“Ci sono invece altre aziende – continua Pambuffetti – che riescono a penetrare la Gdo a livello nazionale. In base ai dati in nostro possesso non possiamo che essere soddisfatti: agiamo in una fascia medio alta e costituiamo una componente di lustro nell’assortimento dei vini dei supermercati. Ovviamente la promozione del nostro territorio, come Consorzio, passa anche da iniziative come quelle legate al giro d’Italia del ciclismo”.
La Crono Sagrantino, con i suoi 40 chilometri tra le colline vitate di Montefalco, Bevagna, Giano dell’Umbria e Gualdo Cattaneo, svoltasi proprio martedì 16 maggio. Iniziative che danno lustro a un territorio che, negli anni, ha visto salire l’export di vino sino al 30% della produzione totale, con Stati Uniti e Canada a fare da apripista, seguiti da Inghilterra e Germania.
LA DEGUSTAZIONE “Come Consorzio abbiamo il compito di rappresentare tutti indistintamente, ma possiamo dire che l’integrazione delle aziende italiane che hanno investito nella nostra zona costituisce un arricchimento complessivo. Dopodiché, come ovvio, ogni singola azienda promuove una diversa filosofia di fare vino ed è giustificata dalle caratteristiche della propria rete distributiva. La cosa a cui teniamo è il livello singolo e complessivo, con la consapevolezza che le ‘interpretazioni’ possono essere diverse”.
E’ questo il commento del presidente del Consorzio di Tutela Vini Montelfalco, in seguito all’esito della nostra degustazione di 20 referenze di Montefalco Doc e Docg destinati ai supermercati. A uscirne male, di fatto, è un’azienda molto nota a livello nazionale, la Casa Vinicola Luigi Cecchi: una storica realtà del vino di Toscana con base a Castellina in Chianti (SI), che alla fine degli negli anni Novanta ha deciso di acquistare Tenuta Alzatura nel territorio del Montefalco Sagrantino (tre vigneti a Monterone, San Marco e Alzatura). Il Montefalco Rosso Doc di Cecchi, in batteria con altri 8 vini della medesima tipologia, non convince: facile, “piacione”, sfacciatamente “quotidiano”. In poche parole, poco territoriale e molto commerciale.
I ROSSI Già, perché si può essere “autentici” anche in Gdo. Ne sono una prova altri due Montefalco Rosso Doc. Quelli di Fratelli Pardi e dei Viticoltori Broccatelli Galli. Il primo è un vendemmia 2015 ottenuto dal blend tra Sangiovese (70%) più un 15% di Sagrantino, completati da Merlot e Cabernet (vecchio disciplinare).
Il secondo è costituito da Sangiovese e Sagrantino e convince per il grande equilibrio. Menzione anche per il Montefalco Rosso Doc di Goretti: 60% Sangiovese, 20% Merlot, 20% Sagrantino, perfetto compromesso tra semplicità della beva e austerità del corpo, senza cadere in banalità.
Tra i Montefalco Sagrantino Docg la spunta su tutti Cantina Adanti, con quello che è uno dei suoi vini di riferimento, prodotto sin dal 1979. Naso pregiato per la vendemmia 2009, che vibra tra le classiche note fruttate, la grafite e la balsamicità delle erbe aromatiche. Un Sagrantino di grande freschezza quello della casa di Bevagna (PG).
Merita tanto, tra i Sagrantino Docg presenti nei supermercati italiani, anche quello di Antonelli San Marco. Stessa vendemmia, la 2009. E stessa lunga tradizione, per un’etichetta, “Chiusa di Pannone”, prodotta ininterrottamente dal 1981. Un olfatto strepitoso per ricchezza e intensità, cui risponde un palato all’altezza, di grande pienezza. Un Sagrantino da mordere. Prodotti talmente lontani dal Sagrantino di Montefalco Docg “La Campana” di Cecchi, da sembrare di un’altro pianeta.
MONTEFALCO GRECHETTO E BIANCO DOC E’ di nuovo Antonelli San Marco a spuntarla tra i Montefalco Grechetto Doc in degustazione. La vendemmia è la 2016, davvero fortunata. Il bianco, ottenuto al 100% dal vitigno autoctono a bacca bianca più coltivato in Umbria, esprime un naso intenso che vira dall’esotico al floreale fresco.
Un vino da bere a secchiate d’estate, eppure non banale. La percentuale d’alcol in volume (14%) è sostenuta e conferisce morbidezza e intensità al palato. Completa il quadro un’acidità che aiuta i sorsi a rincorrersi.
Menzione anche per il Montefalco Grechetto Doc 2016 di Adanti, vino bianco che colpisce per l’equilibrio e l’eleganza delle note fruttate e la spiccata mineralità. Un vino da riscoprire negli anni, conservando in cantina qualche bottiglia per valutarne l’evoluzione.
Infine è senza rivali, tra i Montefalco bianco Doc, quello di Scacciadiavoli. Un blend tra Grechetto (50%), Trebbiano (25%) e Chardonnay (25%) vinificati separatamente. Il Grechetto affina in serbatoi di acciaio, lo Chardonnay in botti di legno e il Trebbiano in serbatoi di acciaio, con le bucce. Un bianco strutturato, complesso sia al naso sia al palato, che consente di spingersi a tavola verso abbinamenti di pari entità. Colpisce l’intercalare tra la frutta fresca e quella secca: un gioco bellissimo tra morbidezze e percezioni croccanti. Completa il quadro, al naso, una punta di idrocarburo e di erbe aromatiche.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Frank e Cindy ti guardano stralunati. Pesci fuor d’acqua. Con in mano un calice di vino. Vuoto. “We’re looking for american Barbera. We love american Barbera. Where is it?”. Vaglielo a spiegare, alla coppia agée d’americani in tour a Barolo, che alla rassegna di Vignaioli Corsari in programma a Castello Falletti non figurano aziende a stelle e strisce. Tradotto: scordatevi la vostra Barbera. Glielo fai capire con le buone. Mentre il discorso vira, lento come i fumi dell’alcol, verso altri lidi: “We love Barbera, and we love Donald Trump. He’s a good person. Hillary Clinton is fake. Believe in us!”. Lo faremo. Ma da domani. Oggi, piuttosto, è il giorno dei bilanci per la rassegna di vini europei organizzata dall’Associazione culturale Giulia Falletti al Castello di Barolo. Affluenza a tre zeri che soddisfa i promotori dell’evento, con i sotterranei del maniero letteralmente presi d’assalto da un pubblico eterogeneo, tra cui figurano tanti giovani.
“Siamo molto contenti di vedere volti nuovi rispetto alla scorsa edizione – commenta Marta Rinaldi – con ottocento persone ai nostri banchi d’assaggio, tra le giornate di domenica 4 e lunedì 5 dicembre. I produttori sono sempre 30, ma quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitarne di nuovi, rappresentando zone d’Europa prima non considerate. Lo spirito è rimasto lo stesso: prima di tutto l’amicizia. E poi lo scambio di esperienze tra diversi produttori. Vini Corsari non è solo un festival per un pubblico amante dei vini artigianali, ma anche un’occasione per i vignaioli di incontrarsi e scambiare parecchio, tra di loro e con il territorio del Barolo”. Una zona volutamente non rappresentata ai banchi d’assaggio, che non hanno visto intervenire nessuno dei grandi interpreti locali delle uve Nebbiolo e Barbera. “Però – sottolinea ancora Marta Rinaldi – sono molti i produttori delle Langhe che hanno partecipato alle degustazione e alle cene con i loro colleghi europei”. Una quarta edizione che ha visto la collaborazione di “amici” portoghesi e francesi, al fianco dell’Associazione culturale Giulia Falletti. E un risultato, a conti fatti, davvero prezioso per l’accuratezza della selezione di produttori intervenuti. Tutti capaci di esprimere un livello qualitativo altissimo, attraverso le loro opere: i loro vini.
LA DEGUSTAZIONE Con fatica, noi di vinialsuper proviamo a identificare qualche vino ‘sopra le righe’ degustato alla quarta edizione di Vini Corsari. Tra gli italiani, una menzione speciale per i vini rossi va di diritto a Cristiana Galasso di Feudo D’Ugni. Memorabile il suo Montepulciano d’Abruzzo 2013 “Rudero”, ottenuto da vendemmia tardiva. Vino rosso da tavola, di quelli che si scordano i Consorzi delle Doc. Troppo bello per essere vero il frutto rosso che si materializza al naso, sotto forma di sublime confettura. Una concentrazione e una carica gusto olfattiva di rara bellezza, per un vino capace di accompagnare piatti della tradizione abruzzese, tanto quanto non sfigurerebbe in un ristorante stellato di qualsiasi capitale del mondo.
Ma Cristiana Galasso di professione fa la “vignaiola fiammiferaia”. E se le fai i complimenti, arrossisce. Del Montepulciano d’Abruzzo 2013 ne ha prodotte solo 300 bottiglie. In ognuna deve averci lasciato un pezzo del cuore umile sfoggiato a Barolo. Bottiglia dal valore inestimabile. Da amare, sorso dopo sorso. Così come splendido è il Cerasuolo da uve Montepulciano rimaste poche ore a contatto con le bucce e vinificato in cemento e acciaio. Imbottigliamento dopo 15 mesi, con un pizzico di solforosa.
Un rosato indimenticabile, per struttura e intensità. Capace, al contempo, di assicurare la beva leggera, estiva, caratteristica delle vinificazioni in bianco. Tra gli altri rossi a Barolo, una menzione speciale va all’intera elegante produzione della Tenuta di Valgiano, Lucca, che con Moreno Petrini ha portato in degustazione gli ottimi “Tenuta di Valgiano Rosso” 2013 e 2011 e, soprattutto, “Palistorti” 2012.
Dall’altra parte della sala degustazioni allestita a Castello Falletti, ecco il nostro eroe dei vini bianchi italiani presenti in rassegna. E’ Patrick Uccelli di Tenuta Dornach, Salorno (Bolzano), Alto Adige. Uno capace di mettere il punto sul Gewurztraminer con il suo “G.”, vendemmia 2015. Nel senso che ti manda a capo, tanto è in grado di spiazzarti in un gioco quasi diabolico tra un naso più che convenzionale (ma curioso) dominato dal litchi e un palato dirompente, persistente, di sorprendente tannicità verde. Quel colore rosato, dovuto al contatto di un mese con le bucce dello splendido uvaggio autoctono altoatesino, non poteva che portare a tale conclusione. Ma te ne rendi conto troppo tardi. Proprio per colpa di quell’olfatto così convenzionale. Poi la bocca ti frega. E sono pernacchie che ti ricorderai a lungo.
Tre ettari e mezzo che nel 2017 diventeranno 4,5, per Tenuta Dornach. E una filosofia spiegata con chiarezza dal quell’eterno Peter Pan che sembra essere il 42enne Patrick Uccelli, vignaiolo giocoliere. “Io e la mia famiglia produciamo tutto in biodinamico dal 2009 e speriamo che un giorno tutto il mondo del vino operi in questo regime. Ma il cambiamento è assurdo pensarlo in tempo reale. Sarebbe arrogante. Ci vuole pazienza, è inutile forzare le tappe”.
A pari merito con Dornach, impossibile, tra i vini bianchi italiani, non citare l’intera produzione de La Castellada di Giorgio e Nicolò Bensa, realtà che opera in Friuli Venezia Giulia. Più esattamente a Oslavia, Gorizia. Tutti vini importanti, da aspettare, quelli presenti al banco degustazione corsaro. Il Collio Doc 2010 Bianco della Castellada è sublime. Ottenuto da un 50% Pinot Grigio, un 30% Chardonnay e un 20% Sauvignon da vigne di età compresa tra i 20 e 50 anni, pare una caramellina al palato. Per poi accendersi d’improvviso, come il fuoco su un terreno impregnato di benzina, svelandosi caldo, strutturato, poderoso. E dotato di un finale senza fine. Il Pinot Grigio, come spiega al banco di degustazione il preparatissimo Stefano Bensa, viene colto e subito pressato. Il mosto viene fatto dunque fermentare in barrique, con lieviti indigeni. Chardonnay e Sauvignon fermentano a contatto con le bucce per 4 giorni.
Poi vengono travasati in barrique per completare la fermentazione. Seguono 11 mesi in barrique e 12 mesi in vasca d’acciaio inox di affinamento, più ulteriori 12 mesi in bottiglia, senza filtrazione. Sontuoso il Collio Doc Bianco Riserva 2006 “Vrh”: un blend ottenuto al 75% da Chardonnay, cui viene sommato un 25% Sauvignon di vigne di 45 anni di marna Eocenica. I grappoli vengono diraspati e il pigiato posto a fermentare in tini aperti di rovere di Slavonia, per 2 mesi. Fermentazione alcoolica e malolattica a contatto con le bucce. Seguono 36 mesi in botte grande di rovere di Slavonia, 12 mesi in vasca d’acciaio inox. In bottiglia senza filtrazione, esprime un 14,5% di alcol in volume. Dieci ettari di vigneto per La Castellada nel goriziano, per un totale di 25-30 mila bottiglie prodotte annualmente. Azienda tutta da scoprire e da amare al primo sorso.
Rimaniamo in Italia per segnalare altri due bianchi coraggiosi. Il Liguria di Levante Igt “Poggi Alti” 2015 dell’Azienda Agricola Santa Caterina di Sarzana è un vino di grande prospettiva, capace di far tornare alla mente i grandi bianchi liguri di quel genio anarchico di Fausto De Andreis, one man company di Rocche del Gatto. “Fermentazione in tini aperti d’acciaio e maturazione in gres”, spiega Andrea Kihlgren, che così mira a preservare e valorizzare i varietali del Vermentino. “Facevo altro nella vita – continua il vignaiolo dal cognome svedese, tramandato dal padre – ma quando ho deciso di dedicarmi a tutto tondo al vino ho capito subito che una via ‘tiepida’ non faceva per me. Questo è un lavoro che bisogna sentire dentro e che fa fatto con coscienza, oppure bisognerebbe fare altro”. Un degno compagno di De Andreis, insomma. Dentro e fuori dal calice. Ad accomunarli, ovviamente, anche i problemi con il Consorzio per il riconoscimento di una Denominazione d’origine controllata a cui, entrambi, hanno ormai rinunciato su parte della produzione.
Merita un plauso, infine, il coraggio di Les Petits Riens di Regione Chabloz, Aosta, piccola realtà a metà tra Morgex e Saint Vincent. L’unica ad allevare, nell’intera Valle d’Aosta, l’Erbaluce di Caluso. Nasce così Petit Bout De Lun 2014, un bianco curioso, la cui vinificazione avviene all’80% in acciaio e al 20% in barrique, dove resterà a maturare 15 mesi, prima dell’imbottigliamento. Un vitigno, l’Erbaluce, scelto per conferire acidità a uno Chardonnay altrimenti stanco. Altra curiosità: i vini de Les Petits Riens sono tutti turati con il sughero, ricoperto da cera d’api. Un altro modo per sottolineare il profondo legame del vino con il territorio d’origine.
Tra le bollicine presenti a Vini Corsari 2016, non poteva che spuntarla il sontuoso Franciacorta Docg Pas Dosé 2011 “Il Contestatore” dell’Azienda Agricola Il Pendio di Michele Loda (Monticelli Brusati, Brescia). Un Metodo Classico ottenuto in purezza da uve Chardonnay, provenienti dai gradoni più alti della vigna. Capace di surclassare l’unica maison di Champagne presente ai banchi di degustazione, La Closerie, con il solo “Le Beguines” (prezzo tra gli 80 e i 90 euro) a discostarsi da una produzione fin troppo piaciona e commerciale, fondata sul Pinot Meunier.
GLI STRANIERI C’è una cantina che più delle altre ha saputo convincere tra i Corsari 2016. L’avreste mai immaginato? Proviene dalla Svizzera. Più esattamente dal Vallese. Quel Valais che, in estate, vi abbiamo raccontato in lungo e in largo (vedi qui). Dimenticandoci, però, di uno come Olivier Pittet di Fully (d’altronde, con centosessantadue vini degustati in diciotto differenti cantine, poste su un percorso di circa 250 chilometri, siamo sicuri potrete perdonarci). Il Fendant 2014 di Pittet è divino. Si scosta dalla semplicità intrinseca del vitigno Chasselas, per assumere al naso sentori complessi, che segnano tutta l’esperienza olfattiva con Pittet: quelli vegetali, erbacei, in bilico tra l’erba fresca e il fieno, tra i fiori e le aromatiche alpine, sino alla camomilla secca.
Note che nel Petit Arvine 2014 diventano quasi piccanti, con il peperone giallo a verde a spuntare nel mucchio composto di sentori delicati. Una caratteristica che, qui, ritroveremo anche in bocca. Chimere 2014 è il più gastronomico dei vini di Olivier Pittet, quello di più facile abbinamento in cucina. A.R.H. 2014 è invece il sorprendente blend tra Petite Arvine (50%) e un clone sconosciuto derivante da un incrocio di quattro vitigni, tra cui l’autoctono Rèze (Resi) e l’Humagne Blanc: un vino dal residuo zuccherino elevato (12 g/l).
Per completezza e qualità nella produzione non può essere dimenticato anche Aleks Klinec, vignaiolo bio del Collio sloveno, impiantato a Medana. Il fil rouge che lega i vini è quello di una consistente sapidità, quasi croccante, da mordere. Ma a convincere più di tutti – per presente e prospettive future – è Jakot 2012, ottenuto da fermentazione spontanea con quattro giorni di contatto con le bucce delle omonime uve, dimenticate per 3 anni in botti di acacia. Tipico colore aranciato e grande intensità e finezza olfattiva, che richiama fiori e frutta esotica matura. Un naso suadente, che al palato rompe gli indugi sfoderando muscoli d’acciaio: di alcolicità calda, almeno al percepito, controbilanciata alla perfezione da una freschezza e da una sapidità invidiabili. Vino che stupisce, appunto, per il suo grande equilibrio.
Ottima anche la Malvazia Istriana 2012 di Klinec, più profonda al palato rispetto a Jakot, per la presenza di un’acidità ancora più spinta e un tannino astringente. In Gardelin 2012 è ancora più marcata la vena sapida, evidentemente per l’assenza dei tannini in un uvaggio come il Pinot Grigio. La Ribolla 2012 (14 giorni di macerazione e 3 anni in botte per estrarre al meglio le proprietà di un’uva dalla buccia spessa come l’orgoglio del popolo sloveno) è un altro luminoso esempio della grandezza dei vini della vicina Slovenia. Infine, ma non ultima, la Riserva 2006 Klinec con base Verduzzo Friulano, in blend con Ribolla, Malvasia e Tocai. Un Barolo bianco, potremmo azzardare. Estratto secco che pesa come un macigno, sulla lingua. E 14,9% di alcol in volume a completare il quadro. Chapeau.
Segnaliamo, tra gli altri, anche la cantina portoghese Encosta da Quinta, 80 chilometri a nord di Lisbona. Vino di facile beva ma di cui non ci si dimentica affatto il bianco Humus 2015, proposto in degustazione dal timido Rodrigo Filipe. Un blend ottenuto dai vitigni autoctoni del Portogallo Arinto e Fernao Pires. A chiudere la rassegna dei migliori vini degustati tra i Corsari 2016 anche lo Chardonnay du Hasard, Vin de Voile di Domaine Labet, Jura, Francia. Un bianco unico, in cui alle note ossidative fanno da contraltare sorprendenti note fruttate fresche. Spazio anche per un vino a prezzi pazzi: il blend di Trebbiano e Trebbiano di Spagna di Vittorio Graziano (Castelvetro di Modena): 13 euro per un’esperienza sensoriale giocata sul filo sottile dell’equilibrio tra le note macerative e quelle fruttate mature.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dwight Stanford, un lavoro ce l’aveva. In America. Chirurgo generale. Apriva e ricuciva pazienti, nella sua clinica di Kansas City, Missouri. Poi, la svolta. Anche Antonella Lonardo, un lavoro l’avrebbe avuto. Una cattedra all’Università di Napoli. Docente ordinaria, dopo la laurea in Archeologia. Ebbene. Ci ha rinunciato. Ancor prima di cominciare. Il richiamo della terra è una questione di vita o di morte per i vignaioli Fivi. L’americano che molla tutto e si trasferisce a Offida, nella sperduta provincia di Ascoli. E l’avellinese che dopo tanti sacrifici sui libri capisce cosa vuole davvero: proseguire il cammino segnato dai genitori, titolari di un’azienda agricola ben avviata, a Taurasi. Storie di vino. Storie di vignaioli che, nel weekend scorso, si sono resi protagonisti del Mercato dei Vini della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), nei padiglioni di Piacenza Expo, pronto ora allo storico sbarco nella capitale, Roma, il 13 e 14 maggio 2017 all’Eur.
“Sopra la stessa zolla. Sotto la stessa goccia. Nello stesso letame”: questo il messaggio lanciato dai viticoltori nel corso della sesta edizione della manifestazione, che ha chiuso con più di 9 mila ingressi la due giorni nel capoluogo emiliano (+50% rispetto all’edizione 2015). Citazione della retroetichetta delle bottiglie di Prosecco di Luigi Gregoletto, vignaiolo Fivi dell’anno. Un segnale forte, in un periodo in cui il vino e i vignaioli sono sotto accusa, in particolare nella zona di Conegliano-Valdobbiadene. In un’arena piena di colleghi il vignaiolo di Miane, premiato come Vignaiolo dell’anno, ha commosso i presenti con il suo discorso. Un inno alla terra e al suo rispetto.
“Dalla mia vita e dalle mie esperienze – ha raccontato Gregoletto – posso dire che la terra va rispettata, va amata, perché la terra è madre e sa ricompensare. Anche oggi che produrre molto è facile e produrre poco è altrettanto facile. Produrre equilibrato nel rispetto della terra, della sua conservazione e della qualità del prodotto, è molto più difficile. Ma sono convinto che questa sia la via da affrontare e sono altrettanto convinto che la terra non delude. La terra ti può fare meno ricco, ma sicuramente più signore”.
I MIGLIORI VINI DEGUSTATI Signori vini, quelli in degustazione al “Mercato” di Piacenza. I bianchi di Ermes Pavese, vignaiolo valdostano di Morgex, mostrano tutte le potenzialità del vitigno autoctono Prié Blanc. Il metodo classico Pas Dosé, 24 mesi sui lieviti si rivela complesso, sapido, minerale, di persistenza balsamica. Più pronto del Pas Dosé 18 mesi, ancora giovane, come evidenzia un’acidità spiccata e di prospettiva. Anche Nathan, il barricato di casa Pavese, è un buon compagno da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.
Dalla Valle D’Aosta ci spostiamo in Friuli Venezia Giulia, dai Vignai Da Duline. La cantina di Villanova (Udine), visitata nelle scorse settimane da Angelo Gaja e dal suo staff, porta sugli scudi Malvasia Istriana e, soprattutto, Friulano Giallo: antico biotipo di Tocai, risulta meno produttivo ma più resistente alle malattie. Duecento ceppi in totale, che nelle annate migliori i coniugi Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini tramutano in magnum d’occasione. Memorabile la vendemmia 2015 di Giallo di Tocai, in degustazione: note speziate di zenzero e curcuma si legano a doppio filo ai terziari conferiti dal legno. Naso rigoglioso, cui fa eco un palato morbido, ricco, carico di vitalità. Da provare anche Morus Alba, unione tra i cru di Malvasia Istriana e Sauvignon che esprime l’idea di territorialità dei Vignai Da Duline.
Un passo più in là ecco Weingut Abraham. A presentarla Martin Abraham. Personaggio schivo, presenta in degustazione una batteria interessantissima. Tra i Pinot Bianco svetta la vendemmia 2013. Lungo periodo sulle fecce e due anni in botte seguono una raccolta dei migliori grappoli, da viti del 1955. L’acidità spiccata gioca con note esotiche che, tanto al naso quanto in bocca, spaziano dal mango alla banana. Un Pinot Bianco salino, che darà il meglio di sé nei prossimi due, tre anni. Solo 600 le bottiglie prodotte. Una vera perla.
Straordinario anche il Traminer 2014 di Martin Abraham. Meno aromatico di quanto ci si possa aspettare, spariglia le carte con un olfatto tipico e un palato che, al contrario, spinge maggiormente sulla mineralità. La vendemmia 2013 di Traminer è ancora più concentrata, ma conserva i medesimi tratti. Ottimi anche i rossi del vignaiolo altoatesino di Appiano (Bolzano). Upupa Rot 2013 è il blend tra Schiava (95%) e Pinot Nero (5%), vino “dritto” sulle acidità più che sulle note fruttate tipiche dei due vitigni. Sublime il tannino espresso, così come elegante risulta quello del 100% Pinot Nero 2013, timido in ingresso, pronto poi ad aprirsi sul classico bouquet di sottobosco.
Ecco dunque Edi Keber, friulano di Cormons, Gorizia. Il suo Collio 2015 è fresco e fruttato. In degustazione anche una più evoluta vendemmia 2012, che mostra tutta la potenzialità d’invecchiamento dell’uvaggio storico Tocai, Malvasia Istriana e Ribolla. Giallo dorato, naso minerale che richiama il terroir, frutta meno stucchevole e meglio bilanciata da un’acidità viva. “Un vino da aspettare”, come conferma al banco il giovane vignaiolo Kristian Keber.
Non poteva mancare la Lombardia, con una vera e propria “chicca”. E’ Bastian Contrario, 100% Trebbiano dell’azienda Lazzari di Capriano del Colle, provincia di Brescia. Novecentotrenta bottiglie, numerate. La vendemmia in degustazione è la 2014. Giallo dorato, naso di miele millefiori e tipica nota botritica. Al palato pieno, sapido ed elegante. Morbido, nonostante l’acidità spiccata. Fondamentali i diradamenti dei tralci di Trebbiano, in vigne di età superiore ai 20 anni. “L’obiettivo – spiega Davide Lazzari – è quello di ridurre il carico produttivo fino a non più di 60 quintali di uva per ettaro: si spinge così sulla surmaturazione con vendemmia tardiva a fine ottobre. Attendiamo dunque l’attacco botritico, che contribuisce a un’ulteriore concentrazione delle rese. Il 50% del mosto fermenta direttamente nella barrique in cui resterà in affinamento per 12 mesi”. L’abbinamento perfetto? Quello con i formaggi grassi delle valle Orobiche.
Ecco dunque l’incontro che non t’aspetti. Quello con Ps Winery di Offida, Ascoli Piceno. Una cantina a metà tra le Marche e gli Stati Uniti d’America. Chiedere per credere ai due soci fondatori, Raffaele Paolini e Dwight Stanford. Galeotto fu il master di Scienze Gastronomiche organizzato da Slow Food del 2006, presso la Reggia di Colorno. I due si conoscono lì e la passione per il vino fa il resto.
“Dopo 25 anni di lavoro in clinica ero un po’ stanco – spiega Dwight (nella foto con la moglie, conosciuta al Bravio delle Botti di Montepulciano) – volevo un anno sabbatico. Ho deciso così di aderire al master di Slow Food. Mi avevano assicurato che tutte le slide sarebbero state in inglese. Ma quando sono arrivato, mi sono reso conto che non era così! Passavo i pomeriggi a tradurre i pochi appunti, studiando su Internet cosa fosse esattamente, per esempio, il Parmigiano Reggiano. Proprio in quei giorni mia madre è venuta a mancare e ho deciso di reinvestire l’eredità, assieme ai soldi che avevo messo da parte in tanti anni di lavoro, nell’acquisto di alcuni terreni, assieme al mio compagno di corso Raffaele”. I due scelgono i cloni, le varietà. E trasformano interi campi coltivati a erbe mediche in vigna. “Il primo anno è stato fantastico – ammette Dwight – anche se abbiamo dovuto mandare via l’enologo. A quello poi ho ovviato io, laureandomi in enologia”.
Da provare l’Incrocio Bruni 54 di Ps Winery, dal prezzo strabiliante di 10 euro (in cantina). Si tratta del risultato dell’incrocio, per impollinazione, di Verdicchio di Jesi e Sauvignon Blanc. “Una pianta legnosissima – spiega Raffaele Paolini – tutt’altro che elastica, già a maggio. Delicatissima nel periodo della fioritura, ha un grappolo spargolo”. Solo 14, in tutta la regione, le cantine che lo allevano. Ps Winery ne ha 1.500 ceppi, distribuiti su un quarto di ettaro. Di colore giallo paglierino con riflessi dorati, il Marche incrocio Bruni 54 Igt di Ps Winery richiama il Verdicchio e la sua carica minerale, al naso. Al palato è un concentrato di struttura e di calore, ben espresso dagli oltre 15 gradi di percentuale d’alcol in volume. La sapidità è il secondo tratto distintivo del magnifico terroir Marche, espresso anche in questo Incrocio.
Di Ps Winery splendido anche il Syrah 2013 (24 mesi tra barrique e tonneau). Ai frutti rossi maturi rispondono a livello olfattivo percezioni floreali di viola, che poi lasciano spazio a complessi terziari di vaniglia, tabacco, liquirizia. Non manca uno spunto vegetale, che richiama la macchia mediterranea (alloro, rosmarino). Di grande freschezza in ingresso, rivela al palato la potenza (elegante) di un tannino ben bilanciato che nobilita la beva e chiama il sorso successivo. Ancora verde il tannino del Montepulciano 2011 Igt di Ps Winery: altro prodotto di assoluto valore, ma da attendere.
Rimaniamo nelle Marche per scoprire un altro vignaiolo che ha fatto della sperimentazione il proprio credo. E’ Giuseppe Infriccioli dell’Azienda agricola biologica Pantaleone, che lascia a bocca aperta con il suo Bordò. Si tratta di un biotipo storico appartenente alla famiglia dei Grenache. Utilizzato in purezza (100%), dà vita all’Igt Marche Rosso La Ribalta, di cui apprezziamo in particolare le vendemmie 2012 e 2010.
Di colore rosso rosso granato intenso, impenetrabile, si rivela speziato al naso: alle note fruttate rosse fanno da preponderante contorno liquirizia, chiodi di garofano, ginger e una spruzzata di pepe nero. Il tannino è presente, ma non disturba la beva in una vendemmia 2012 che, a conti fatti, risulta di grande eleganza e avvolgenza, anche nel finale tendente nuovamente al fruttato. Più complessa, come da aspettative, l’evoluzione della vendemmia 2010. Naso e bocca tendono al peperone verde e al cetriolo sotto aceto. Tutt’altro che un difetto, anzi: vino da provare, almeno una volta nella vita, per accompagnare grigliate, stufati, arrosti, brasati, cacciagione e selvaggina, nonché formaggi stagionati.
E’ di Contrade di Taurasi – Cantine Lonardo, provincia di Avellino, l’ultimo vino che segnaliamo tra i migliori assaggi al Mercato dei Vini Fivi 2016. Ventimila bottiglie la produzione totale della cantina oggi condotta in regime biologico dall’ex archeologa Antonella Lonardo, avviata dal padre Alessandro Lonardo e dalla madre Rosanna Cori: lui professore di Lettere in pensione e sommelier, lei insegnante di educazione Tecnica a Napoli. Cinque ettari, coltivati prettamente ad Aglianico. Ed è proprio un Taurasi Docg a centrare nel segno. Si tratta del cru Coste, vendemmia 2011.
Vino elegante, maestoso, che esprime tutta la magnificenza del grande vitigno avellinese. Difficile non pensare a una ricca tavola imbandita, sorseggiandolo a Piacenza: perfetto l’abbinamento con piatti elaborati a base di carne (dal brasato alla selvaggina) o accostato a formaggi stagionati. “L’annata 2016 è stata dura – commenta Rosanna Cori – le piogge ci hanno fatto temere addirittura per l’intero raccolto. Abbiamo vendemmiato quasi grappolo per grappolo, non appena compariva un po’ di sole. Il nostro enologo si è meravigliato quando ha visto le condizioni perfette delle uve condotte in cantina”.
Contrade di Taurasi produce vino ma svolge anche un ruolo sociale ed educativo nell’avellinese, nell’indole dei suoi fondatori. “Ogni anno ospitiamo un tirocinante dell’Università di Palermo – evidenzia ancora Rosanna Cori – che può formarsi al fianco del nostro piccolo staff scientifico, di cui fanno pare il professor Giancarlo Moschetti e il professor Nicola Francesca, microbiologi dell’Università di Palermo”. Loro il merito di aver estratto i lieviti indigeni che rendono così unici i vini di Cantine Lonardo, capace – se non bastasse – di recuperare anche un vitigno abbandonato come il Grecomusc, unico bianco di questa validissima realtà avellinese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Ecco i vincitori di Radici del Sud 2016. Si sono chiuse le degustazioni dell’XI edizione della rassegna dei vini del Meridione d’Italia. Sono ottanta i vini premiati in occasione della rassegna internazionale, che vede protagonista il Sud Italia. La giuria composta da giornalisti stranieri e da buyer provenienti da 13 Paesi esteri (Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Gran Bretagna, Olanda, USA, Canada, Giappone, Lituania, India, Polonia e Brasile) oltre che da operatori e stampa nazionale, ha decretato i migliori vini da vitigni autoctoni iscritti alla competizione. Nella rosa salita sul podio ci sono quest’anno anche i vini spumanti, nuova categoria inserita che completa il panorama enologico del Meridione. I blind tasting si sono svolti sabato 11 e domenica 12 con quattro sessioni di assaggio e come giudici hanno anche degustato i rappresentanti di AssoEnologi Puglia, Basilica e Calabria. Una edizione da record quella del 2016: sono stati 432 i vini in concorso, 183 le aziende partecipanti (23 produttori siciliani, 18 produttori calabresi, 16 produttori lucani, 32 produttori campani e 94 produttori pugliesi).
Giuria Press 1: Maurizio Valeriani (presidente); Remy Charest; Simon Woolf; Tomasz Prange – Barczyจฝski; Warren Edwardes; William Zacharkiw; Erin Stockton; Maria Grazia Melegari: Francesco Soleti. Press 2: Pierluigi Gorgoni (presidente); Aneesh Bhasin; Arto Koskelo; Charles Scicolone; James Melendez; Mayumi Nakagawara; Elisabetta Tosi; Davide Sarcinella. Buyer 1: Ole Udsen (presidente); Mariusz Majka; Mehmet Adanir; Steen Højgård Rasmussen; Warren Edwardes; Nana Wad; Giorgio Cotti. Buyer 2: Chiara Giorleo (presidnete); Alessandro Pagano; Andrzej Kostyk; Brian Gwynn; Daiva Mumgaudiene; Erica Nonni; Bernardo Conticelli; Fernando Zamboni; Giuseppe Bino.
GRECO – GIORNALISTI
1) GRECO DI TUFO DOCG 2015, DI MEO; 2) LE PAGLIE 2015, MATERA DOC, CANTINE CERROLONGO
BUYER
1) JENTILINO 2015, TERRE DI COSENZA DOP, LA PESCHIERA: 2) GRECO DI TUFO DOCG 2015, SOCIETÀ AGRICOLA NATI
FIANO – GIORNALISTI
1) FIANO DI AVELLINO DOCG 2015, DI MEO; 2) BIANCOFIORE 2014, DAUNIA IGP, KANDEA
BUYER
1) TRENTENARE 2015, PAESTUM IGP, SAN SALVATORE 1988; 2) TORRE DEL FALCO 2015, PUGLIA IGP, TORREVENTO
ROSATI DEL SUD – GIORNALISTI
1) CIRÒ DOC ROSATO 2015, SCALA CANTINA E VIGNETI: 2) OSA! 2015, TERRE SICILIANE IGP, PAOLO CALÌ; 3) LE ROTAIE 2015, VALLE D’ITRIA IGP, I PASTINI
BUYER
1) NAUSICA 2015, SALENTO IGP, CARDONE; 2) NERO DI TROIA ROSÈ, ROSSO DI CERIGNOLA DOC, BIOCANTINA GIANNATTASIO; 3) SPEZIALE 2015, SALENTO IGP, TRULLO DI PEZZA
NERO DI TROIA – GIORNALISTI
1) OTTAGONO 2013, CASTEL DEL MONTE DOCG, TORREVENTO; 2) NERO DI TROIA 2014, PUGLIA IGP, VALENTINA PASSALACQUA
BUYER
1) GRAN TIATI GOLD VINTAGE 2010, PUGLIA IGP, CANTINE TEANUM; 2) LUI 2012, PUGLIA IGP, CANTINA MUSEO ALBEA
BUYER
1) PAPALE LINEA ORO 2013, PRIMITIVO DI MANDURIA DOP, VARVAGLIONE VIGNE E VINI; 2) PRIMITIVO DI MANDURIA DOP 2012, ANTICA MASSERIA JORCHE
NERO D’AVOLA – GIORNALISTI
1) CURMA 2010, SICILIA IGT, A R M O S A; 2) VUARIA 2010, SICILIA IGT, FEUDO DISISA
BUYER
1) SANTA CECILIA 2011, NOTO DOC, PLANETA; 2) VUARIA 2010, SICILIA IGT, FEUDO DISISA
GRUPPO MISTO VINI ROSSI DEL SUD – GIORNALISTI
1) TAURASI S.EUSTACHIO 2008, TAURASI DOCG, BOCCELLA; 2) GHIAIA NERA 2013, SICILIA DOC, TASCA D’ALMERITA; 3) DON VINCENZO 2013, LACRYMA CHRISTI DEL VESUVIO DOC ROSSO, CASA SETARO
BUYER
1) ERUZIONE 1614 2013, SICILIA DOC, PLANETA; 2) LIBICI 2012, CALABRIA IGP, CASA COMERCI. Ex aequo 2: TAURASI 2011, TAURASI DOCG, TENUTA SCUOTTO. 3) BOCCA DI LUPO 2011, CASTEL DEL MONTE DOC, TORMARESCA
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Vinialsupermercato.it non poteva mancare, quest’oggi, a Torre a Mare. La frazione del Comune di Bari ha ospitato una delle più importanti rassegne sui vini del Sud. Parliamo ovviamente di Radici del Sud, manifestazione internazionale dedicata ai soli vini meridionali. Alle loro mille facce e sfaccettature. Dall’Aglianico della Basilicata al Primitivo della Puglia, passando per la Falanghina della Campania e al Nero d’Avola della Sicilia, per citarne solo alcuni (qui i vini 2016 premiati dalla giuria). Un’iniziativa lodevole, che vede finalmente i produttori meridionali – ormai affermatissimi nel panorama mondiale per la qualità dei loro vini – riunirsi sotto lo stesso “tetto” per un evento comune, in cui sfoggiare le proprie perle. Tutto bellissimo. Se non fosse che la location, una delle sale dell’Una hotel Regina, sia parsa piuttosto “ristretta” per una manifestazione di tale portata. Vero è che i 15 euro previsti per l’ingresso, con degustazioni illimitate, sono risultati ai più un prezzo ‘onesto’ per accedere alla stupenda sala da cerimonie in pietra. All’interno, ecco i vari banchi d’assaggio, sistemati in maniera un po’ confusa: poca la chiarezza nella distinzione tra i produttori delle varie regioni. Con un po’ d’impegno, abbiamo avuto comunque la possibilità di scoprire interessantissime realtà. A conferma che i produttori del Sud abbiano ormai intrapreso la strada della qualità, dimostrando di essere bravi vinificatori, nonostante mille difficoltà.
I MIGLIORI ASSAGGI
E non ci riferiamo soltanto ai ‘grandi nomi’ quali Feudi di San Gregorio, con le cantine vassalle Basilisco e Ognissole, o a marchi importanti pugliesi come Antica Masseria Jorche, una delle regine del Primitivo di Manduria, o ancora a Colli della Murgia, cantina biologica di Gravina in Puglia che presentava due spumanti metodo Charmat e un rosato pugliese ‘atipico’, di un eccellente rosa tenue, oltre ai vari bianchi di Minutolo. Grandi conferme anche quelle riservate dai vini lucani, con la nota Cantine del Notaio a sfoggiare – otre ovviamente ai vari Aglianico del Vulture – un metodo classico di Aglianico vinificato in bianco, molto interessante. Tra i vini che meritano una menzione particolare, ecco un bianco vinificato come un vino rosso, in otri di terra cotta: quello dell’azienda Lunarossa di Giffoni Valle Piana, provincia di Salerno, Campania. Quartara è il nome di questo gioiello, che prende il nome dal recipiente che lo culla sino a diventare un nettare così prelibato: un Fiano dei colli Salernitani che rimane a contatto con le bucce per 2 mesi. Abbastanza per regalare un bianco fresco e brillante, non trattato, nel rispetto della filosofia dei più famosi vignaioli friulani. Insomma: sono ormai tante le realtà vitivinicole meridionali che meritano di essere raccontate su palcoscenici di tutto rispetto. Anche – e soprattutto – fuori dai confini di un Sud Italia che sta sempre più ‘stretto’ al cuore e alla passione di questi produttori. Un cuore che, il più delle volte, batte al ritmo della qualità assoluta.
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Col di Bacche Vermentino Morellino Riserva Cupinero Passito 1
E’ una salita fra gli alti cipressi, tanto ripida quanto romantica, a condurre all’azienda agricola Col di Bacche. Siamo a Magliano in Toscana, piccolo comune in provincia di Grosseto. E quell’irto, faticoso cammino, che conduce al punto più alto di strada di Cupi, nella piccola frazione di Montiano, è il simbolo più fulgido dell’avventura di Alberto Carnasciali e Franca Buzzegoli. Marito e moglie, uniti anche nella cantina fondata nel 1998. Anno in cui Alberto Carnasciali si sfila di dosso l’abito da imprenditore edile e decide di sognare ad occhi aperti. Dando vita a Col di Bacche. La prima vendemmia, nel cuore delle terre del Morellino di Scansano, risale al 2001. Sono passati 15 anni, ormai. Quindici anni che hanno incoronato Col di Bacche tra le cantine dell’Olimpo Toscano del vino. Ne è consapevole Franca Buzzegoli, che ci accoglie in cantina con la fierezza di chi sa d’aver svoltato. Non solo nella vita. “Noi siamo di origine chiantigiana – spiega – nati e vissuti nel Chianti fino alla fine degli anni Novanta, quando abbiamo deciso di cominciare questa avventura in Maremma. Mio marito era titolare di un’impresa edile e, anche per questo, sapevamo che intraprendere un’attività nel settore vitivinicolo nella nostra zona era molto complicato. Ma abbiamo sempre bazzicato in Maremma. Quando siamo arrivati qui, non c’era niente. O meglio: c’era un poggio vuoto, che faceva parte di un podere. Ci piacque tantissimo questa location e così l’acquistammo. Nel ’98 impiantammo i primi vigneti. Poi – prosegue Franca Buzzegoli – costruimmo l’annesso agricolo che oggi ospita la prima cantina. Nel 2001 gli ultimi vigneti, che hanno subito reso troppo piccoli i locali per la vinificazione. Diciamo che ci siamo fatti prendere un po’ la mano! E così, tra il 2004 e il 2005, abbiamo realizzato la cantina attuale, trasformando la prima cantina in sala per le degustazioni e adattandola ad altre funzioni”. Sessantanni lui, cinquantadue lei. L’età giusta per sognare, ancora. Sin dagli albori, Col di Bacche si avvale dell’esperienza dell’enologo Lorenzo Landi, che assieme ad Alberto Carnasciali, sommelier Ais, impianta ad uno ad uno quattordici ettari totali di terreno. Si tratta principalmente di Sangiovese. Ma anche di Syrah e Cabernet Sauvignon. Nella parte bassa dell’azienda, dove il Sangiovese non maturerebbe bene, i coniugi Carnasciali decidono di allevare Merlot. Una scelta più che mai azzeccata. Il riscontro di critica e mercato di Cupinero, Merlot Igt Maremma Toscana, è sin da subito eccezionale. Il vero e proprio fiore all’occhiello dell’azienda agricola Col di Bacche. Un Merlot impiantato a cordone speronato alto, con sistema fogliario libero di crescere sulla ‘testa’ del grappolo. Accorgimenti che evitano a un vitigno precoce nella maturazione di assumere sentori di confettura che poco avrebbero a che fare con la ricerca di eleganza e finezza di Cupinero. Ma il vero segreto della ‘chicca’ di casa Col di Bacche è il ruscello che scorre a pochi metri dal Merlot. Garantendo un’efficace e benevola escursione termica.
LA FILOSOFIA Terreni ricchi di scheletro e sabbiosi, situati dai 120 ai 230 metri sul livello del mare, sono l’habitat dei vini di quest’azienda agricola toscana che fa della riduzione delle rese del vigneto un vero dogma. “Prendiamo ad esempio il Morellino di Scansano – commenta Franca Buzzegoli -. Il disciplinare ci consentirebbe una resa di 90 quintali per ettaro, mentre noi lo produciamo a 60-70. I nostri sono vini territoriali che aspirano a dimostrare come in Maremma si possano ottenere produzioni molto interessanti, pur non essendo la zona nota al grande pubblico, come quella del Chianti. In Toscana ci sono denominazioni più prestigiose rispetto a quelle maremmane, ma non è detto che tutte le aziende che operano in contesti prestigiosi lavorino secondo il principio della qualità. Quello che noi cerchiamo invece di fare quotidianamente”. Ogni anno, Col di Bacche sforna dai suoi 14 ettari di vigneti circa 60 mila bottiglie annue. Il Morellino ‘base’ costituisce il cuore della produzione, assestandosi sul 40%. Seguono Morellino Riserva, Merlot e, da quattro anni, Vermentino di Toscana. Prodotto inizialmente acquistando uve da terzi, Col di Bacche si è resa nel tempo autosufficiente, impiantando appositi vigneti: neppure un ettaro, che garantisce una produzione di circa 5.500 bottiglie l’anno. “Un bianco che sta andando molto bene – evidenzia Franca Buzzegoli – ottenuto da due particelle che non sono esattamente adiacenti al resto dell’azienda agricola, ma che si trovano in un’ottima posizione, con un’ottima esposizione”. Il mercato di Col di Bacche si svolge per il 65% in Italia. Il business funziona, ma Franca Buzzegoli non risparmia qualche stoccata al ‘sistema’. “In questa zona – evidenzia la ‘donna del vino’ – lottiamo con il fatto che quella del Morellino di Scansano è una denominazione che si è un po’ fermata negli ultimi anni. Grandi aziende sono venute qui a investire da tutta Italia, ma gli sforzi economici compiuti non sono affatto ricaduti sul territorio, o sulla valorizzazione della denominazione di origine controllata e garantita. I prezzi, anche a causa dell’arrivo di questi colossi, sono al ribasso. E non è facile competere. Fare vino in Toscana è un privilegio, pone in una situazione di intrinseca superiorità rispetto ad altre regioni italiane – ammette Franca Buzzegoli – soprattutto quando si va a proporre i propri vini nel mondo. Ma a livello di Consorzio si potrebbe fare ancora di più, soprattutto nelle politiche che riguardano gli imbottigliatori. Così come si potrebbe fare di più a livello di promozione del territorio, che è basata principalmente su pochi eventi, tutti molto costosi per le aziende e, per questo, sempre appannaggio dei soliti pochi noti”. Il futuro di Col di Bacche è comunque luminoso, con il figlio 24enne, laureando in Storia dell’Arte, pronto a rimboccarsi le maniche in un settore diverso da quello degli studi. Eppure così affine: un buon vino, non è forse un’opera d’arte?
LA PRODUZIONE COL DI BACCHE La degustazione, guidata da Franca Buzzegoli, inizia come si consueto bianco. In questo caso con il Vermentino Igt Toscana 2015. Le uve vengono vendemmiate nel corso della prima decade del mese di settembre. La vinificazione avviene in acciaio, a temperatura controllata. Il Vermentino Col di Bacche affina per 6 mesi, sempre in acciaio. Prima della commercializzazione, un ulteriore affinamento in bottiglia. Ottimo per l’aperitivo, il Vermentino Col di Bacche si abbina a piatti di pesce e carne bianca. Franca Buzzegoli propone poi l’assaggio del Morellino di Scansano 2014. La vendemmia del Sangiovese (90%) e degli altri vitigni a bacca nera (un 10% tra Syrah, Cabernet Sauvignon e Merlot) avviene tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre: una vendemmia verde, in corrispondenza dell’invaiatura. La fermentazione si compie a temperatura controllata, per 20 giorni. L’affinamento è affidato all’acciaio per il 60% del vino; la parte restante matura in barriques di terzo e quarto anno. Un passaggio, questo, che rende il Morellino ‘base’ Col di Bacche apprezzabile con le sue caratteristiche peculiari anche a distanza di qualche anno dall’imbottigliamento. La grande centralità del frutto nella beva e la particolare attenzione alla pulizia negli esercizi di cantina sono palpabili e completano un quadro più che apprezzabile. Perfetto con i primi saporiti della cucina tradizionale toscana, si fa apprezzare a tutto pasto e con formaggi salati, di media stagionatura. Saliamo i gradini dell’eccellenza con Rovente 2012, il Morellino di Scansano Riserva Col di Bacche. Un prodotto ottenuto da un 90% di Sangiovese addizionato a un 10% di Syrah, vendemmiati tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre da vigneti che registrano una resa di 55 quintali per ettaro, diradati sino al 50% in corrispondenza dell’invaiatura, ovvero nel periodo in cui gli acini iniziano ad assumere il colore tipico dell’uva. La vinificazione prevede una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata, variabile tra i 28 e i 30 gradi. Continui rimontaggi e délestages precedono la macerazione sulle bucce, che si prolunga tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento del Rovente avviene in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte usate, per circa 12 mesi. Un ulteriore affinamento in bottiglia anticipa la commercializzazione. E sul mercato finisce un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo (13 euro all’horeca), con note fruttate fresche intense impreziosite da una delicata speziatura, un tannino elegante e rotondo e una capacità di invecchiamento medio lunga. In cucina ama piatti corposi, con cui mettere alla prova la un’ottima struttura: la cacciagione e i formaggi stagionati sono solo alcuni degli abbinamenti utili a valorizzare Rovente. Nella ‘verticale’ della produzione Col di Bacche, ecco arrivati a Cuponero, l’indicazione geografica tipica Maremma Toscana, vero fiore all’occhiello della vinicola di Magliano. La base (90%) è costituita come detto dal fortunato Merlot, cui viene aggiunto un 10% di Sauvignon: una percentuale variabile di anno in anno. La vendemmia proposta è la 2011, in grande forma già all’esame visivo col suo rosso rubino intenso. Al naso, alle note di frutta rossa fa eco un fresco sottobosco, invitante. Corrispondente al palato, regala un elegante e persistente finale. La vinificazione di Cupinero comincia dall’attenzione riservata agli acini durante il loro sviluppo. Le uve subiscono una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox, a temperatura controllata variabile tra i 28 e i 30 gradi. Si cerca di favorire l’estrazione delle sostanze fenoliche con rimontaggi e délestages, prima di una macerazione sulle bucce della durata variabile tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento di Cupinero prevede l’utilizzo di barriques di rovere francese, in parte nuove ed in parte usate. Dura circa un anno. Alcuni mesi di ulteriore affinamento in bottiglia regalano agli amanti del Merlot (ma non solo) un’espressione unica del vitigno. L’espressione maremmana. Tutto da provare anche il Passito di Sangiovese Col di Bacche, ottenuto col classico metodo dell’appassimento delle uve al sole, cui viene fatto seguire l’affinamento in barrique. Ottima anche la grappa Riserva di Merlot, distillata dalle vinacce di Cupinero e affinata per 18 mesi in barrique.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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