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Vite in Riviera, i grandi vini del Ponente Ligure vogliono crescere: «Scorte finite a settembre»

Vite in Riviera, i grandi vini del Ponente Ligure Scorte finite a settembre migliori vini liguria autoctono Pigato ormai esploso, ma quantità non bastano ad accontentare le richieste dei buyer, in Italia ed estero

La Liguria del vino non riesce più ad accontentare tutte le richieste dei buyer: cantine vuote già a settembre e uffici commerciali costretti a ricorrere alle assegnazioni per soddisfare più acquirenti possibili, anche all’estero, razionando ordine e consegne. La crescita dell’autoctono Pigato, accanto al Vermentino, al Rossese, all’Ormeasco (Dolcetto) e alla Granaccia (la stessa uva del Cannonau della Sardegna), guida l’exploit della regione, sugli scaffali di mezzo mondo. Ma i sorrisi sono a mezza bocca nel Ponente Ligure, dove le 25 cantine della rete di imprese Vite in Riviera sono costrette a fare i conti con limitazioni congenite del giro d’affari.

Il quadro a luci ed ombre è dipinto da Massimo Enrico, presidente del mini “Consorzio” viti-olivicolo che si occupa, dal 2015, di tutelare e promuovere vino, olio e prodotti tipici del territorio delimitato ad est da Quiliano e Roccavignale e ad ovest da Dolceacqua e Camporosso, attraversando il triangolo Pornassio Pieve di Teco Ranzo, a cavallo tra le province di Imperia e Savona.

Si passa dai bianchi e rossi Riviera Ligure di Ponente Doc (Pigato, Vermentino, Moscato, Rossese, Granaccia) al Rossese di Dolceacqua Doc; dall’Ormeasco di Pornassio Doc ai vini Igt Colline Savonesi e Terrazze dell’Imperiese.

Senza dimenticare l’olio extravergine Dop da cultivar Taggiasca e Pignola, altri veri patrimoni di una terra ruvida ma generosa, patria del basilico, del pesto e di specialità imperdibili come il Caviale del Centa e l’aglio di Vessalico della Valle Arroscia, nell’entroterra di Albenga.

Una Rete di aziende d’eccellenza, che punta ora ad avere sempre più voce in capitolo ai tavoli decisionali. Non fanno eccezione quelli della politica regionale. Lo dimostra la prossima riunione convocata dall’assessorato all’Agricoltura di Via Fieschi 15, in cui Massimo Enrico porterà la testimonianza in chiaroscuro di tutte le aziende di Vite in Riviera.

VITE IN RIVIERA AL TAVOLO CON REGIONE LIGURIA

«In Liguria – anticipa il rappresentante di Viticoltori Ingauni – bisognerebbe innanzitutto riprendere in mano il catasto vinicolo e stabilire quanta discrepanza ci sia tra la produzione annuale a denominazione e gli ettari di vigneti rivendicati. Purtroppo, i terreni in stato di abbandono sono d’ostacolo all’autorizzazione di nuovi impianti, che per molti viticoltori sarebbero vitali. Andrebbero poi rivisti, su scala nazionale, i criteri di assegnazione dei diritti di reimpianto».

Una situazione complicata anche dall’impatto dei cambiamenti climatici sulla viticoltura. La Liguria, già penultima regione per quantità di vino prodotto in Italia – pesa più della sola, piccola Valle d’Aosta – ha visto ridursi del 10% gli ettolitri trasformati nel 2021 rispetto al 2020 (fonte Assoenologi su dati Agea), passando da 40 a 36 mila. Vale a dire circa 4,8 milioni di bottiglie.

La vendemmia 2022, condizionata dalla cappa di calore e siccità che sta attanagliando il Bel paese, non sarà più generosa. Al contrario, il vino ligure piace sempre di più anche all’estero, come dimostra il +26,7% dell’export vinicolo regionale del 2021, rispetto al 2020.

I problemi di mercato maggiori – evidenzia Massimo Enrico – riguardano i nostri vini bianchi. A settembre, a distanza di pochi mesi dall’immissione in commercio, sono ormai quasi sempre finiti.

Una scarsa disponibilità che rischia di scoraggiare i buyer, che non amano dover rivedere i loro assortimenti o rinunciare a prodotti in gamma, sentendosi dire dai loro fornitori che il prodotto è finito».

TANTE ECCELLENZE TRA I VINI DEL PONENTE LIGURE

D’altro canto, le quantità risicate di cui possono disporre le cantine di Vite in Riviera sono inversamente proporzionali alla qualità di gran parte delle etichette di vino prodotte. A confermarlo sono gli assaggi alla sede di Ortovero dell’Enoteca regionale della Liguria, luogo da non perdere per tutti gli appassionati di vino e professionisti che intendano approfondire, calice alla mano, il Ponente Ligure (nonché sede operativa del “mini Consorzio”).

Fra le aziende, brillano per la gamma due piccole realtà come Tenuta Maffone (Acquetico di Pieve di Teco, IM) e La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri (Salea, SV) entrambe seguite da Marco Biglino. L’enologo piemontese, oggi 85enne, è capace di valorizzare come pochi il Pigato e le altre uve della zona.

Ci riesce con i vini di Eliana Maffone e del marito Bruno Pollero, così come con quelli degli eredi di Umberto Calleri, dove può contare sull’ausilio del giovane Filippo Bertolotto, ormai al timone di quella che è una vera e propria boutique winery.

Molto convincenti anche i vini di Bio Vio di Bastia d’Albenga (SV), vero e proprio regno del biologico (prima azienda agricola ligure certificata) fondato da Aimone Giobatta nel 1989, insieme alla moglie Chiara. La coppia oggi può contare sulle tre figlie Caterina, Camilla e Carolina (la famiglia nella foto sopra), che si dividono i compiti tra la parte enologica, della ristorazione e dell’ospitalità.

Tra i vini delle cantine di Vite in Riviera spiccano anche quelli dell’Azienda Agricola Bruna di Ranzo (IM), con i suoi vigneti di Pigato e Vermentino di alta collina, nella selvaggia Valle Arroscia che ricomincia a popolarsi di lupi.

NON SOLO VINO: IL CASO PEQ AGRI

Di ampio respiro il progetto di PEQ, holding attiva in Irlanda, Regno Unito e nel Ponente Ligure fondata da Giorgio Guastalla che attraverso PEQ Agri, società savonese amministrata da Marco Luzzati, ha rivoluzionato l’assetto di alcuni brand storici della Liguria del vino.

Le acquisizioni di Lupi (Pieve di Teco, IM) e Guglierame (Pornassio, IM) in seguito a quella della “casa madre” Cascina Praiè (Andora, SV), consentono oggi a Vite in Riviera di poter contare su una delle più giovani e dinamiche realtà del panorama vitivinicolo italiano. A completare la “carta vini” di Peq Agri è il ristorante Vignamare, guidato dallo chef Giorgio Servetto (una stella Michelin al Nove di Alassio).

Un tempio della cucina gourmet che si trova proprio sotto alla spettacolare Terrazza Praié, meta informale in cui poter degustare un calice di vino accompagnato a piatti realizzati con le materie prime degli orti aziendali. Entro la fine del mese è prevista l’inaugurazione dell’ultimo (per ora) tassello: l’Agriturismo Resort di Tovo, a Tovo San Giacomo (SV).

VITE IN RIVIERA, I VINI DA NON PERDERE

SPUMANTI E FRIZZANTI – VITE IN RIVIERA

  • Vino spumante di qualità Metodo classico Dosaggio Zero millesimato 2018 “U Bertu” (Pigato, sbocc. 2021), La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri
  • Vino spumante di qualità Metodo classico Non dosato 2015 (Ormeasco, sbocc. 2022), Tenuta Maffone
  • Igt Colline Savonesi Lumassina Frizzante “Zefiro”, Cascina Praié (Peq Agri)

VINI BIANCHI – VITE IN RIVIERA
  • Riviera Ligure di Ponente Albenganese Doc 2021 Vermentino “Pinea”, La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri
  • Riviera Ligure di Ponente Albenganese Doc 2021 Pigato “U Pendin”, La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri
  • Riviera Ligure di Ponente Albenganese Doc 2020 Pigato “Roccamadre”, La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021 “Montania”, Tenuta Maffone
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2019 “Giuanò”, Tenuta Maffone
  • Riviera Ligure di Ponente Albenganese Doc Vermentino 2021 “Aimone”, Bio Vio
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2020 “Bon in da bon”, Bio Vio
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2020 “Marenè”, Bio Vio
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Vermentino 2021, Azienda Agricola Bruna
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021 “Majé”, Azienda Agricola Bruna
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2020 “Le Russeghine”, Azienda Agricola Bruna
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2020 “U Baccan”,  Azienda Agricola Bruna
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021, Cascina Feipu dei Massaretti
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021 “Mareggio”, Azienda Agricola Dell’Erba
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021 “Abbajae”, Azienda Agricola Lombardi
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Vermentino 2021, Podere Grecale
VINI ROSATI – VITE IN RIVIERA
  • Ormeasco di Pornassio Doc Sciac-Trà 2021, Tenuta Maffone
  • Ormeasco di Pornassio Doc Scia-trà 2021 “Braje”, Lupi (Peq Agri)
VINI ROSSI – VITE IN RIVIERA
  • Ormeasco di Pornassio Doc Superiore 2019 “U Meneghin”, Tenuta Maffone
  • Ormeasco di Pornassio Doc 2020, Guglierame (Peq Agri)
  • Ormeasco di Pornassio Doc Superiore 2015 “Braje”, Lupi (Peq Agri)
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Granaccia 2020, Azienda Agricola Innocenzo Turco
  • Colline Savonesi Igt Granaccia 2020 “Gublòt”, Società Agricola RoccaVinealis
  • Ormeasco di Pornassio Doc 2021, aMaccia
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Rossese 2021, Anfossi
  • Vino Rosso Belkerus, Viticoltori Ingauni
VINI DOLCI – VITE IN RIVIERA
  • Ormeasco di Pornassio Doc 2017 Passito, Tenuta Maffone
  • Rosso Chinato, Tenuta Maffone
FOOD: LE SPECIALITÀ DEL PONENTE LIGURE, NELLO SHOP-MUSEO DI ALBENGA

C’è un perché se il progetto territoriale di Vite in Riviera abbraccia anche un’azienda che non produce vino. Si tratta di Sommariva Tradizione Agricola di Albenga, realtà ormai vicina a spegnere le 110 candeline che può contare su uno shop e su un Museo della Civiltà dell’Olivo , nel cuore della nota località turistica della Liguria.

All’interno del negozio è possibile degustare (e acquistare) le specialità locali del food. Dall’olio al pesto, senza dimenticare il Caviale del Centa e la crema di acciughe. Prodotti lavorati con metodo artigianale, senza aggiunta di additivi e conservanti. Il tutto sotto la guida di Agostino Sommariva e della quinta generazione dell’azienda di famiglia, rappresentata dalla figlia Alice.

La vecchia sede del frantoio di famiglia è uno scrigno che si apre agli occhi dei visitatori, in via Mameli 7, ad Albenga. Al piano terra – o, meglio, qualche gradino più in basso – lo shop e i laboratori. Al piano di sopra il Museo che ospita numerosi cimeli legati alla cultura dell’olio e dell’olivo. Uno spazio reso possibile grazie ai nonni Bugi e Nino, che negli anni hanno raccolto gli attrezzi e gli utensili che oggi animano il Museo.

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Di vini e di vignaioli Fivi: i migliori assaggi al Mercato della transizione

Con 15 mila accessi in 16 ore, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi di Piacenza 2017 passerà alla storia come quello della “transizione”. Un passaggio dal “sogno” alla “consapevolezza” per gli oltre 500 produttori riuniti sotto la guida di Matilde Poggi.

Una realtà, Fivi, con la quale il vino italiano ha ormai l’obbligo di confrontarsi. Più che nei due giorni di “Fiera”, nei 363 giorni restanti. Sburocratizzazione, sviluppo dell’enoturismo, riscoperta e valorizzazione dei vitigni autoctoni dimenticati. Le battaglie di Fivi trovano a Piacenza (e da quest’anno, per la prima volta, anche a Roma) un teatro ideale dal quale gettare sfide concrete al Made in Italy enologico.

Non a caso, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 è stato contraddistinto dal motto “Scarpe grosse, cervello Fivi“. Come a sottolineare l’appartenenza alla “terra” delle battaglie portate avanti da Poggi&Co. A Roma come a Bruxelles, spesso al posto di sindacati blasonati, ma attenti più agli equilibri di potere che agli interessi della “base”.

Eppure, qualche scaramuccia interna ha preceduto anche il Mercato dello scorso weekend. Gli esiti più evidenti nell’assemblea di domenica mattina, quando la maggioranza dei vignaioli ha votato per l’estromissione dalla Federazione delle Srl “partecipate” da altri gruppi.

Di fatto, come precisa la stessa Fivi, “non è stato (ancora, ndr) fatto fuori nessuno. E’ stato approvato il nuovo regolamento e ora la Federazione nazionale valuterà le situazioni caso per caso, con l’aiuto delle delegazioni regionali”. Tradotto: per belle realtà come Pievalta, c’è ancora da sperare.

VINI E VIGNAIOLI
Che qualcosa sia cambiato, lo si avverte pure dall’altra parte dei banchetti. Osservando alcuni vignaioli e raccogliendo i loro commenti. Se un “bravo ragazzo” come Patrick Uccelli di Tenuta Dornach arriva a proporre sui social: “Tra 5 anni… Mercato dei vini FiVi solo per privati. Vinitaly solo per operatori. Sogno o realtà?”, ci sarà un motivo.

“Non stavo pensando a me – precisa poi il produttore altoatesino – pensavo a come poter far convergere le diverse aspettative/necessità delle due categorie, che solitamente in queste manifestazioni si sovrappongono per sommo dispiacere di entrambe”. Nulla di più sbagliato.

L’episodio (ben più grave) vede invece protagonista Nunzio Puglisi della cantina siciliana Enò-Trio. Che alla nostra richiesta di precisazioni sulle caratteristiche del vigneto di Pinot Noir sull’Etna, risponde stizzito: “Per un’intervista prendete un appuntamento per telefono o via mail e veniteci a trovare in cantina”.

“Ma siamo di Milano!”, precisiamo noi. “Sto lavorando, non ho tempo”, la risposta del fighissimo vignaiolo Fivi che ci scansa, rivolgendo la parola a un altro astante. Una macchia indelebile sull’altissimo tasso di “simpatia” e umiltà tangibile tra i vignaioli dell’intera Federazione.

Per fortuna, oltre agli incontri-scontri con vignaioli evidentemente troppo “fighi” per essere “Fivi”, il Mercato 2017 è stato un vero e proprio concentrato di “vini fighi”. Ve li riassumiamo qui, in ordine sparso. Ognuno meritevole, a modo suo, di un posto sul podio.

I MIGLIORI ASSAGGI
1) Bianco Margherita 2015, Cantine Viola (Calabria): Guarnaccia bianca 65%, Mantonico bianco 35%. Una piccola parte di Guarnaccia, a chicco intero e maturazione leggermente avanzata, viene aggiunta in acciaio a fermentazione partita. Bingo. Nota leggermente dolce e nota iodica perfettamente bilanciate. Vino capolavoro.

2) Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 “San Paolo”, Pievalta (Marche): Un tipicissimo Verdicchio, che matura 13 mesi sulle fecce fini e altri 7 in bottiglia, prima della commercializzazione. Lunghissimo nel retro olfattivo. Vino gastronomico. Nel senso che fa venir fame.

3) Vigneti delle Dolomiti Igt 2015 “Maderno”, Maso Bergamini (Trentino): Bellissimo esempio di come si possa produrre un vino “serio” e tutt’altro che “scimmiottato”, con la tecnica del “Ripasso” o del “Rigoverno”, veneto o toscano. Un vino prodotto solo nelle migliori annate, facendo rifermentare le uve Lagrein (già vinificate) sulle vinacce ancora calde di Teroldego appassito su graticci per 60 giorni.

Teroldego e Lagrein affinano poi assieme per un anno, in barrique di rovere francese, prima di essere imbottigliate nell’estate successiva. Il risultato è Maderno: vino di grandissimo fascino e di spigolosa avvolgenza.

4) Erbaluce di Caluso Spumante Docg Brut 2013 “Calliope”, Cieck (Piemonte): C’è chi fa spumante per moda e chi lo fa perché, a suggerirlo, sono territorio e uvaggio allevato. Dopo Merano, premiamo la splendida realtà piemontese Cieck anche al Mercato Fivi 2017.

Tra i migliori assaggi, questa volta, lo sparkling dall’uvaggio principe della cantina: l’Erbaluce di Caluso. La tipicità del vitigno è riconoscibile anche tra i sentori regalati dai 36 mesi di affinamento sui lieviti. Uno spumante versatile nell’abbinamento, ma più che mai “vero” per quello che sa offrire nel calice.

5) Sannio Rosso Doc 2010 “Sciascì”, Capolino Perlingieri (Campania): La bella e la bestia in questo fascinoso blend prodotto da Alexia Capolino Perlingieri, donna capace di rilanciare un marchio di prestigio della Campania del vino, come cantina Volla.

“Sciascì” coniuga la struttura “ossea” dell’Aglianico e la frutta avvolgente tipica dell’autoctono Sciascinoso. Rosso rubino, bel tannino in evoluzione, frutto elegante. Due anni in botte grande e tre in bottiglia per un vino di grande prospettiva futura.

6) Pecorino Igt Colline Teatine 2016 “Maia”, Cantine Maligni (Abruzzo): Forse l’azienda che riesce a colpire di più, al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi, per la completezza dell’offerta e lo sbalorditivo rapporto qualità-prezzo (6 euro!).

Cantine Maligni – realtà che ha iniziato a imbottigliare nel 2011 e lavora 10 ettari di terreno, sotto la guida di Fabio Tomei – porta al tavolo un fenomeno su tutti: il Pecorino Maia, non filtrato.

Giallo velato con riflessi verdolini, profuma di frutta matura, mela cotogna, pera Williams. Note morbide che traggono in inganno, materializzando la possibilità di un’alcolicità elevata.

Maia si assesta invece sui 12,5% e regala un palato stupefacente, pieno, ricco, “ciccione”, con frutta e mineralità iodica perfettamente bilanciate. Un altro vino che fa venir fame del corretto abbinamento gastronomico.

7) Spumante Metodo Classico Pas Dosè 2010, Vis Amoris (Liguria): E’ il primo spumante metodo classico prodotto al 100% da uve Pigato. E la scelta pare più che azzeccata. Una “chicca” per gli amanti di vini profumati ma taglienti come il Pigato.

Coraggioso, poi, produrre un “dosaggio zero”. Segno del rispetto che Roberto Tozzi nutre nei confronti dei frutti della propria terra, che non stravolge nel nome delle leggi di un mercato che avrebbe preferito – certamente – più “zucchero” e più facilità di beva.

Intendiamoci: il Pigato Pas Dosè di Vis Amoris va comunque giù che è una bellezza. Ammalia al naso, come in Italia solo i migliori Pigato sanno fare. Per rivelare poi una bocca ampia, evoluta, di frutti a polpa gialla e mandorla. Sullo sfondo, anche una punta di idrocarburo (al naso) e un filo di sentori tipici del lievito, ben contestualizzati nel sorso.

8) Terre Siciliane Igp 2014 “Sikane”, Baronia della Pietra (Sicilia): Altra bellissima realtà fatta di passione e competenza, già incontrata da vinialsuper al Merano Wine Festival 2017. Tra i migliori assaggi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 brilla anche il vino rosso “Sikane”, blend di Nero d’Avola e Syrah (60-40%). Dieci mesi in barrique, minimo 3 in bottiglia prima della commercializzazione.

Altro vino dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, prodotto in zona Agrigento dalla famiglia Barbiera. Un rosso che si fa apprezzare oggi per l’eleganza: del tannino, nonché delle note fruttate pulite e nette. Una bottiglia “Made in Sicilia” da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.

A dicembre sarà invece imbottigliato il Nero d’Avola-Merlot passito di Baronia della Pietra, in commercio a partire da marzo 2018. Bottiglie da 0,50 litri, “rotondeggianti”. Vendemmia 2015, 16-17% d’alcol in volume. Viste le premesse, si preannuncia una scommessa vinta in partenza. Ma ne parleremo nei prossimi mesi, dopo averlo testato.

9) Lappazucche, Berry And Berry (Liguria): “Pietra, fatica e passione” costituiscono il fil rouge di questa curiosa cantina di Balestrino, in provincia di Savona, condotta da Alex Beriolo. Un marketing fin troppo “spinto” sul packaging, forse, rischia di incuriosire il consumatore in maniera troppo “leggera”. Alla Berry And Berry, invece, si fa davvero sul serio. Si sperimenta e si valorizza vitigni autoctoni a bacca rossa come il Barbarossa, che rischiano di scomparire.

Lappazucche è appunto un blend, composto all’80% da Barbarossa e al 20% da Rossese, vinificati in acciaio. Le uve di Barbarossa, sulla pianta, sembrano Gewurztraminer per il loro colore rosa. Una nuance leggera, che ritroviamo anche nel calice.

Una tonalità che comunica la delicatezza del vitigno Barbarossa e del fratello Rossese, dotato di buccia poco spessa e particolarmente esposto al rischio malattie. Questo, forse, il senso di un calice che sembra parlare della fragilità della terra, in balia delle scelte dell’uomo.

Se è vero che Fivi è anche filosofia, Lappazucche potrebbe esserne il simbolo ideale. E quei richiami speziati, percettibili nel retro olfattivo e tipici del Rossese, la metafora perfetta delle battaglie ancora da intraprendere. Con coraggio.

10) Falanghina del Sannio Doc 2012 “Maior”, Fosso degli Angeli (Campania): Poche parole per descrivere un capolavoro. Un vino completo, a cui non manca davvero nulla. Neppure il prezzo, ridicolo per quello che esprime il calice. Naso tipico, giocato su richiami esotici.

Palato caldo, ricco, ampio, corrispondente, con l’aggiunta di una vena minerale che conferisce eleganza e praticità alla beva. Di Fosso degli Angeli, ottimo anche il Sannio Rosso Dop Riserva 2012 “Safinim”, ottenuto da Aglianico e Sangiovese cresciuti a 420 metri d’altezza sul livello del mare.

11) Azienda Agricola Alessio Brandolini (Lombardia): Dieci ettari ben distribuiti in due aree, suddivise con rigore scientifico per la produzione di Metodo Classico e vini rossi. L’Azienda Agricola Alessio Brandolini è una di quelle realtà tutte da scoprire in quel paradiso incastonato a Sud di Milano che è l’Oltrepò Pavese.

Alessio ci fa assaggiare in anteprima un Pas Dosè destinato a un futuro luminoso. Chiara l’impronta di un maestro come Fabio Marazzi, vero e proprio rifermento oltrepadano per tanti giovani che, come Brandolini, lavorano nell’umile promozione di una grande terra di vino, capace di sfoderare spumanti Metodo Classico degni dei più prestigiosi parterre enologici.

Di Brandolini, ottima anche la Malvasia secca “Il Bardughino” Provincia di Pavia bianco Igt: un “cru” con diverse epoche di maturazione che dimostra la grande abilità in vigna (e in cantina) di questo giovane vigneron pavese.

Da assaggiare anche il Bonarda Doc “Il Cassino” di Alessio Brandolini. Sì, il Bonarda. Quello che in pochi, in Oltrepò, sanno fare davvero bene come lui.

12) Calabria Igp 2013 “Barone Bianco”, Tenute Pacelli (Calabria): Chi è il Barone Bianco? Di certo un figuro insolito per la Calabria. Ma così “ambientato”, da sembrare proprio calabrese. Parliamo di Riesling, uno dei vitigni più affascinanti al mondo. Giallo brillante, frutta esotica matura e una mineralità che, già al naso, si pregusta prima dell’assaggio.

Al palato, perfetta corrispondenza con il naso. Un trionfo d’eleganza calabrese, per l’ennesimo vino Fivi “regalato”, in vendita a meno di 10 euro. “Barone bianco” è anche la base di uno spumante, “Zoe”, andato letteralmente a ruba a Piacenza.

Interessantissimo, di Tenute Pacelli, piccola realtà da 20 mila bottiglie che opera a Malvito, in provincia di Cosenza, anche il “taglio bordeaux-calabrese”, la super riserva 2015 “Zio Nunù”: Merlot e Cabernet da vigne di oltre 40 anni che, come per il Riesling, fanno volare la mente lontana da Cosenza. Verso Nord, oltre le Alpi.

13) Frascati Docg Superiore Riserva “Amacos”, De Sanctis (Lazio): Altro vino disorientante, altra regione italiana dalle straordinarie potenzialità, molte delle quali ancora da esprimere. Dove siamo? Questa volta nel Lazio, a 15 chilometri da Roma. Più esattamente nei pressi del lago Regillo. Per un Frascati da urlo, ottenuto dal blend tra Malvasia puntinata e Bombino bianco.

Un invitante giallo dorato colora il calice dal quale si sprigionano preziosi sentori di frutta matura. E’ l’antipasto per un palato altrettanto suadente e morbido, ma tutt’altro che banale o costruito. Anzi. I terreni di origine vulcanica su cui opera De Sanctis regalano una splendida mineralità a un Frascati fresco, aristocratico e nobile.

14) Verticale Valtellina Superiore Sassella Docg “Rocce Rosse”, Arpepe: Ve ne parleremo presto dell’esito, entrando nel merito di ogni calice, della verticale “privata” condotta a Piacenza Expo da Emanuele Pelizzatti Perego, “reggente” di quello scrigno enologico lasciato in eredità dal padre Arturo. Un vino, “Rocce Rosse”, già entrato di diritto nella storia dell’enologia italiana e mondiale. Un rosso proiettato nel futuro.

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Vini al supermercato

Rossese di Dolceacqua Doc 2012, Cooperativa F. Riviera dei Fiori Dolceacqua

(3 / 5)E’ la volta di un vino Doc rosso ligure. Vino il cui disciplinare è stato il primo ad essere approvato in Liguria nel lontano 1972, ma che vanta origini ben più remote, addirittura ai tempi di Papa III il Farnese e Napolene.

A finire oggi sotto la nostra lente di ingrandimento il Rossese di Dolceacqua Doc, prodotto dalla Cooperativa Riviera dei Fiori in provincia di Imperia dall’omonimo vitigno. Di “remota” origine, per la tipologia di vino, anche l’annata sullo scaffale del supermercato. La vendemmia è la 2012.

Un rischio, considerato che il Rossese di Dolceacqua Doc è un vino da consumare nel giro di due o tre anni . In annate favorevoli può essere più longevo. L’annata 2012 è da considerarsi positiva, ma non vi nascondiamo un po’ di timore già dall’estrazione del tappo  di sughero, che risulta leggermente secco, ma non particolarmente problematico.

LA DEGUSTAZIONE
Versato nel calice, il Rossese di Dolceacqua Doc 2012 prodotto dalla Cooperativa Riviera dei Fiori, mostra subito di essere un vino “adulto”, con il suo colore tipicamente granato. Si presenta comunque limpido e senza sedimenti. Molto trasparente ha una bella luminosità.

All’esame olfattivo è complesso: note di frutta cotta alternate a sentori di erbe officinali,  con prevalenza di rabarbaro. Il gusto è secco, caldo per alcolicità data la sua gradazione di 13% di alcol in volumet. Colpisce per la grande acidità tipica peraltro di questo vino,  ma delude un po’ sul corpo leggemente debole.

Per nulla tannico, ha un retrogusto  amarognolo con finale sufficientemente persistente, tutto giocato sulle note delle erbe officinali. Una bevuta particolare e non “piaciona”, una bottiglia nella sua fase calante e difficilmente di gusto “popolare”.

Certamente più apprezzabile in annata o in gioventù. Il suo prezzo è in linea alla tipologia di prodotto che si assesta su questa fascia prezzo. Il Rossese di Dolceacqua Doc generalmente è destinato a soddisfare il mercato locale. Raramente si trova fuori regione.

Si abbina a carni bianche, primi piatti conditi con ragù di care, formaggi di buona stagionatura a pasta semidura non piccanti. Da provare da giovane, in estate e d’annata con piatti a base di pesce alla temperatura di 14 gradi. Diversamente va servito intorno ai 18 gradi, va aperto qualche ora prima.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Rossese, provenienti da vigneti siti su territorio pedemontano che va dai 300 ai 600 m. s.l.m delle valli Nervia e Verbone, caratterizzate da terreni prevalentemente argillo-sabbiosi ricchi di scheletro, con poco calcare e pH tra il subalcalino e l’acido. Le vigne sono generalmente allevate con il tradizionale sistema ad alberello, con uno sperone per branca.

A causa della morfologia del territorio, tutte le operazioni colturali vengono effettuate a mano. Anche la vendemmia è manuale e le uve, conferite dai soci subito dopo la raccolta, vengono pigiate in modo soffice al loro arrivo in cantina.

La fermentazione avviene in acciaio a temperatura controllata di 28 gradi con l’ausilio di lieviti selezionati. La macerazione si protrae per circa sei giorni con frequenti rimontaggi e delestage per ottimizzare estrazione di corpo e colore. Dopo la fermentazione malolattica il vino viene imbottigliato quando ritenuto pronto.

La Cooperativa Riviera dei Fiori scarl nasce nel 1978 per riunire i produttori di vino Rossese di Dolceacqua sparsi sul territorio.  Dopo pochi anni, grazie all’impegno dei viticoltori, la produzione di Rossese di Dolceacqua ha avuto uno slancio qualitativo notevole, ottenendo riconoscimenti importanti nel settore enologico.

Prezzo: 9,90 euro
Acquistato presso Coop

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news visite in cantina

Cent’anni di basilico e vino: viaggio alla Anfossi di Albenga

Dormire “in cantina” e puntare la sveglia “ogni due-tre ore”, per controllare “il colore del rosato” ottenuto da uve Rossese. Che non dev’essere “né troppo rosso, né d’un rosso scialbo”. Problemi con cui solo un viticoltore ligure deve fare i conti. Problemi, per fare i nomi, di viticoltori di Liguria come Luigi Anfossi, trentacinque anni. Rappresentante della quarta generazione di una famiglia d’origine genovese – con influenze inglesi – che nel quartier generale di Bastia d’Albenga, Savona, produce basilico atto a divenire pesto destinato alla grande distribuzione italiana (Unilever). E vini (Vermentino, Pigato, Rossese Riviera Ligure di Ponente Doc e rosato) reperibili sugli scaffali di Esselunga e Carrefour. Un’impresa a conduzione famigliare che può annoverare tra i propri clienti la nota “John Frog”, nome col quale Luigi Anfossi ama chiamare la Giovanni Rana. Ma se è vero che il basilico rappresenta il core business dell’Azienda agraria Anfossi (10 gli ettari coltivati), degna di nota è anche la produzione di vini liguri, ottenuti grazie all’allevamento di 5 ettari di terreno vitato e dalle uve di alcuni conferitori della zona. Per una produzione annuale complessiva che si assesta sulle 70 mila bottiglie.

Un’azienda fondata nel 1919, che si appresta a spegnere entro breve le (prime) cento candeline. Una storia lunga un secolo che vede il suo momento chiave negli anni Ottanta, quando l’impresa agricola viene rilanciata sul mercato italiano ed europeo da Mario Anfossi con la collaborazione del socio piemontese Paolo Grossi. Al figlio Luigi il compito di occuparsi delle sorti del settore vitivinicolo. Diplomato in agraria dopo aver iniziato gli studi al Liceo Classico, Luigi sogna per la propria azienda e per il settore vitivinicolo ligure un futuro luminoso. “La Liguria ha grandissime potenzialità inespresse in questo settore – commenta Luigi Anfossi -. Potenzialità che potremmo alimentare innanzitutto iniziando a valorizzare a livello locale i nostri vini, ottenuti da vitigni autoctoni come il Pigato. Capisco che in un mondo globalizzato come il nostro sia corretto trovare anche in Liguria una selezione sterminata di Gewurztraminer. Ma se si puntasse di più sulla promozione dei vini locali, raccontandone la storia anche ai turisti nelle varie attività del lungomare, sono sicuro che ne trarrebbe grande beneficio tutta l’economia locale”. D’altronde “quanti liguri sanno come mai il Pigato si chiama così?”, chiede ironicamente Luigi Anfossi, alludendo alle “macchie” presenti sull’acino di questa straordinaria varietà autoctona della Liguria.

LA DEGUSTAZIONE
Il Pigato dell’Azienda agraria Anfossi, esprime tutta la ‘semplice complessità’ dei vini liguri. Di facile beva per i suoi richiami fruttati freschi, eppure tutto sommato ‘impegnativo’ per il suo corpo e la sua struttura, tutt’altro che banale. Morbido al palato, è capace di sorprendere con quella punta amara che risveglia i sensi, in un finale sapido che preclude un retrogusto amarognolo, stuzzicante, da sgranocchiare come le nocciole tostate. Un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo, insomma, da pescare tra le corsie degli store del marchio Caprotti a una cifra che si aggira solitamente attorno agli 8 euro. Non presente in Esselunga, ma comunque apprezzabilissimo, il Vermentino ligure di Anfossi. Meno impegnativo del Pigato, ancora più soave nei richiami fruttati, strizza l’occhio a un consumatore meno esigente di quello che preferisce il Pigato. Un Vermentino da regalarsi nelle giornate di sole, da abbinare a piatti di pesce o di carne bianca non troppo elaborati. Meno profumato, invece, il naso del rosato Paraxo 2015 Anfossi: classificato come vino da tavola, ottenuto come anticipato da uve Rossese rimaste a contatto con le bucce non oltre le 24 ore, soddisfa nell’abbinamento con piatti della tradizione come il coniglio alla ligure. Al palato sfodera infatti la buona struttura del Rossese e una complessità aromatica non banale (13% di alcol in volume). La degustazione si chiude con l’ottimo Rossese in purezza, l’unico vino rosso prodotto dall’Azienda agraria Anfossi di Bastia di Albenga. Uno di quei rossi non convenzionali, capaci di esprimere il meglio della terra di provenienza. Il Rossese Anfossi parla infatti – al naso – di resine di macchia mediterranea, in un concerto di piccoli frutti a bacca rossa. Corrispondente al palato, non manca un finale di buona persistenza. Un vino da assaporare sia con il pesce (provare per credere, per esempio con un piatto di tonno in crosta di pistacchio) sia con la carne (ben cotta). Il segreto dei vini Anfossi? Lo spiega Luigi. “Non possiamo contare su terreni in altura – commenta – ma abbiamo la fortuna di avere una grande vigna in prossimità del fiume Centa, qui ad Albenga. Viene così assicurata una buona escursione termica. In futuro mi piacerebbe comunque sperimentare qualcosa di nuovo, magari attraverso macerazioni prolungate delle uve per ottenere vini più longevi”. Segreti e progetti per il futuro di un viticoltore ligure pieno di idee. Una storia, quella di Anfossi, destinata a continuare a lungo.

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