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Ami il Riesling? Devi scoprire l’Imereti: il volto fresco dei vini georgiani

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Al mercato centrale della città vecchia, in Shota Rustaveli Ave, i colori dei foulard delle donne si confondono con quelli delle spezie, dei formaggi e delle strisce di Churchkhela, dolce tradizionale georgiano a base di succo d’uva, frutta secca e farina. C’è anche qualche bottiglia di vino dell’Imereti, conservata chissà come. Camminare per Kutaisi, terza città del Paese, 220 chilometri a ovest della capitale Tbilisi, è come immergersi in un barattolo di vernice. Ne esci colorato, felice. Stordito.
Inebriato da profumi e istantanee di storia, cultura. Orgoglio. Mito. È la terra degli Argonauti, della caccia al Vello d’Oro. Del fiume Rioni e del Ponte Bianco. Del Monastero Motsameta, immerso nel silenzio della natura incontaminata e selvaggia di una regione vinicola che vuole farsi largo, sulla scena internazionale. Levandosi di dosso l’ombra, pesante, del più noto Kakheti, con circa 5 milioni di bottiglie prodotte su una superficie di circa 2.350 ettari.

I VINI DELL’IMERETI: GRANDE FRESCHEZZA E ALCOL MODERATO

I vini dell’Imereti somigliano un po’ a quel mercato centrale. Alla città caoticamente ordinata che lo ospita. Colori intensi, quasi fluorescenti. Proprio come quelli delle spezie. Ogni bottiglia, una sorpresa. Si passa dal giallo paglierino all’ambra luminosa, o dal rosso rubino al viola impenetrabile, con la stessa facilità con la quale la scritta “Ti amo” compare su un muro di Kutaisi, riprodotta un centinaio di volte nelle tre lingue parlate dagli abitanti del posto. Espressioni diverse, per esprimere lo stesso concetto. Così come diverse sono le coniugazioni delle uve, in vinificazione: con o senza utilizzo di qvevri o legno e ricorrendo, o meno, a macerazioni sulle bucce più o meno prolungate.

Ma per capire i vini dell’Imereti, occorre innanzitutto partire dalla conformazione del territorio. L’Imereti ha un clima più umido e mite, influenzato dalla vicinanza al Mar Nero e da una viticoltura che si sviluppa fino a oltre 500 metri sul livello del mare, in ambienti di alta collina. I suoli sono prevalentemente argillosi-pietrosi e bianchi, calcarei; ricchi di carbonato di calcio e dotati di una buona capacità di trattenere l’umidità. Giusto, dunque, aspettarsi vini più freschi, con maggiore acidità rispetto a quelli del Kakheti. Lì, il clima più caldo e secco dà vini più potenti e, soprattutto, più alcolici. Il suolo, nel Kakheti, è molto più vario di quello dell’Imereti, con presenza di argille, rocce e terreni alluvionali che contribuiscono a restituire vini complessi, strutturati, dalle spalle larghe.

I VITIGNI DELL’IMERETI E LE LORO CHANCE INTERNAZIONALI

Differenze sostanziali, che trovano conferme anche nella base ampelografica della regione. I vitigni dell’Imereti, infatti, sono diversi da quelli del Kakheti. In quest’angolo di Georgia si trovano varietà autoctone poco conosciute, come Tsolikouri, Krakhuna, Tsitska e Kvishkhuri (a bacca bianca) e Otskhanuri Sapere, Aladasturi e Ojaleshi (a bacca rossa). Cosa aspettarsi dai vini prodotti con questi vitigni? Gran acidità, e dunque freschezza, soprattutto dai vini bianchi “in purezza”, ovvero da singole uve. Una caratteristica che risulta più attenuata nei blend, con il terzetto Tsolikouri-Krakhuna-Tsitska che può infatti fregiarsi dell’unica Doc dell’Imereti: Sviri Pdo (Protected Denomination of Origin).

Ogni uva apporta benefici al blend: Tsolikouri e Tsitska per la vibrante acidità; Krakhuna per la componente aromatica e per il corpo. Interessante, anche dal punto di vista agronomico, il Kvishkhuri: con la sua buccia spessa e l’ottima resistenza alle temperature più rigide, ha un ruolo di prim’ordine nell’Alto Imereti, la fascia più settentrionale della regione. I vini bianchi dell’Imereti, generalmente, ricordano al naso e al palato agrumi come l’arancia e il mandarino, le nespole. Evidenziano accenni di frutta tropicale, frutta bianca come la pera e tinte erbacee e talcate, soprattutto in presenza della varietà Krakhuna. Curioso invece come la Tsitska riporti spesso alla mente il Sauvignon Blanc, specie se non sottoposta a macerazione.

IMERETI: VINI BIANCHI (MEGLIO) IN CUVÉE. ROSSI IN PUREZZA

Quanto ai vini rossi, l’Otskhanuri Sapere è considerabile l’alter ego del Saperavi kakhetiano. Il “Colorato di Otskhana”, questa la traduzione letterale del nome, in onore della città d’origine del vitigno, ha un’acidità generalmente alta, una struttura armonica e un corpo più che dignitoso: caratteristiche che portano i vini ad affinare bene, nel tempo, muovendosi su note terziarie rispetto ai primari di ciliegia, bacche rosse e nere di bosco e prugna matura.

L’Aladasturi convince per la capacità di saper leggere i suoli, ricordando talvolta certe espressioni rare del Syrah sul granito. Generalmente dà invece vini freschi e beverini, dal corpo leggero, in cui la maturità dei tannini gioca un ruolo fondamentale nell’equilibrio del calice. La vera sorpresa è l’Ojaleshi, che riporta alla mente una buona parte del profilo maturo del Refosco dal Peduncolo Rosso e delle espressioni giovanili dello Schioppettino di Prepotto. Una varietà sempre più riscoperta e vinificata dalla settantina di cantine dell’Imereti.

L’UTILIZZO DELLE ANFORE IN TERRACOTTA (QVEVRI / CHURI) NELL’IMERETI

Se è ormai molto facile reperire un vino georgiano all’estero, Italia compresa, risulta invece più complicato degustare un vino prodotto nell’Imereti. Il Kakheti la fa da padrone nelle scelte dei buyer, anche perché è ormai simbolo del metodo tradizionale di vinificazione in qvevri, grandi anfore di terracotta interrate che affascinano i consumatori di tutto il mondo con la loro tradizione millenaria. Il “Metodo Kakhetiano” è, di per sé, sinonimo di “vini georgiani”. Ed è quello su cui si concentra la stragrande maggioranza del marketing nazionale, all’insegna del claim che promuove la Georgia come “The cradle of wine“: “La Culla del vino” internazionale, dove ha avuto origine la viticoltura (un primato, a onor del vero, messo in discussione dalla vicina Armenia).

Anche in Imereti si utilizzano le qvevri, localmente chiamate churi. Ma il metodo di vinificazione tradizionale differisce da quello di Kakheti. Nell’Imereti solo una parte delle bucce – molto più raramente i raspi – vengono utilizzati durante la fermentazione. Un approccio più delicato, che ben si misura con le caratteristiche delle uve e la volontà di produrre vini più leggeri e freschi, perfetti per gli amanti di varietà come il Riesling. Il “Metodo imeritiano” tende a conservare maggiormente l’acidità naturale dei vini e a dar vita a vini più freschi. Ma soprattutto meno tannici rispetto a quelli di Kakheti, dove invece il mosto fermenta e matura a lungo nelle qvevri con tutte le parti solide dell’uva (buccia, vinaccioli, raspi), restituendo tannini marcati, struttura e complessità.

IMERETIAN WINE CHALLENGE: DA QUI PASSA IL FUTURO DEI VINI GEORGIANI

Proprio per contribuire a dare un’identità precisa ai vini dell’Imereti, premiando i più elevati standard produttivi e promuovendo l’unicità della zona a livello internazionale, è nata la Imeretian Wine Challenge (IMT). Una competizione enologica ideata da Ketie Jurkhadze, direttrice dell’Imeretian Wine Association, che raggruppa una settantina di cantine della zona ed è nata nel 2022, con il supporto di Dmo Imereti (Destination Management Organisation Imereti).A inizio ottobre 2024 il concorso è giunto alla sua seconda edizione, ospitata proprio Kutaisi, terza città georgiana per numero di abitanti e capitale della regione vinicola dell’Imereti. I risultati della competizione, non ancora ufficiali, confermano l’assoluta validità del percorso intrapreso dai viticoltori, che nella Georgia occidentale possono contare anche su iniziative imprenditoriali importanti. È il caso di Labara Winery che sorge a Vartsikhe, frazione della municipalità di Baghdati.

Dodici ettari di vigneti incastonati tra il Mar Nero e il Caucaso, in una piana ricca di argilla e calcare all’esatta confluenza dei fiumi Rioni e Khanitskali. Krakhuna, Otskhanuri  Sapere, Tsolikouri, Tsitska, Ojaleshi e Aladasturi hanno trovato in Dato GaguaShalva Sikharulidze due grandi interpreti. Entrambi impegnati a livello professionale negli Stati Uniti, hanno deciso di fare ritorno in Georgia e fondare la cantina nel 2017, «per aiutare il Paese a sfruttare e sviluppare i suoi 8 mila anni di storia nel vino». Anche in chiave enoturistica. La parola “Labara”, che dà il nome alla cantina, significa infatti “Luogo soleggiato pieno di vita”. Un inno a Vartsikhe, villaggio di antica tradizione vinicola che Dato Gagua e Shalva Sikharulidze vogliono trasformare in meta turistica, oltre che areale di produzione dei migliori vini dell’Imereti.

Il Sole presente su tutte le etichette simboleggia il sogno dei due imprenditori. Circa 20 mila le bottiglie prodotte attualmente, con la vendemmia 2024 che è da considerarsi come quella del vero esordio, con i frutti dei giovani vigneti di proprietà. Lo stile e l’impronta della piccola Labara Winery è comunque già chiaro: grande cura nella selezione delle uve, vinificazione e affinamento in qvevri (o, meglio, churi) e in botti di legno usato; e desiderio di esprimere i caratteri primari di ogni singola varietà nel calice. Un faro non solo per l’Imereti ma per l’intera Georgia del vino, soprattutto con l’orange wine (macerato) 2020 “Circum Solem” da uve Tsolikouri, l’Otskhanuri  Sapere Reserve 2022 e l’Ojaleshi 2023.

LABARA WINERY, LA NOVITÀ. WINERY KHAREBA, UNA CERTEZZA

Per una cantina artigianale georgiana che nasce e che, certamente, saprà affermarsi a livello internazionale, una che è già un simbolo dei vini georgiani nel mondo. Winery Khareba è un colosso da 17 milioni di bottiglie che, sotto la direzione tecnica ed enologica del winemaker Vladimer Kublashvili, si è posta come obiettivo quello di abbracciare tutto il territorio nazionale con il proprio parco vigneti (1.500 gli ettari attualmente a disposizione). Già ben solida nell’olimpo dei big del Kakheti, Khareba sta investendo sempre più energie, negli ultimi anni, nella crescita dell’Imereti e delle sue varietà autoctone. L’approccio dell’enologo Vladimer Kublashvili è sartoriale. Millimetrico.

Ne è una riprova l’ultimo progetto della cantina, denominato K’Avshiri, კავშირი, che in georgiano significa “alleanza”, “unione”. Si tratta infatti del progetto comune del winemaker di Winery Kareba e del consulente e wine critic britannico Robert Joseph. Un vino bianco e un vino rosso ottenuti – guarda caso – da un blend. K’Avshiri White è una miscela di otto vitigni georgiani con Moscato e l’Aligoté. K’Avshiri Red racchiude invece nove varietà, tra cui due uve bianche georgiane co-fermentate con Saperavi e Aladasturi, lasciate appassire per 10 giorni prima della fermentazione. Entrambi i vini sono ottenuti da vinificazione parziale in qvevri e acciaio, con l’utilizzo del legno per il solo uvaggio rosso.

K’AVSHIRI: MOLTO PIÙ DI UN SEMPLICE VINO

«Pur volendo creare un vino decisamente “georgiano” – spiegano Kublashvili e Joseph – non ci scusiamo per aver incluso un po’ di Aligoté e Moscato nella miscela bianca. Produrre il miglior vino possibile era molto più importante che rispettare qualsiasi tipo di regola che imponesse la “purezza” regionale. Allo stesso modo, i rossi assemblaggi 2022 e 2023 contengono sfacciatamente un po’ di Merlot (5%). Molti produttori in Paesi con varietà autoctone interessanti oggi hanno una visione simile, ma preferiscono non menzionare il loro utilizzo di piccole quantità di varietà “internazionali”, seppellendole nel 15% di “altre uve” legalmente consentite. Abbiamo preferito essere aperti su ciò che accade esattamente in K’Avshiri».

Una visione, quella di questo insolito duo, che si confà al clima di un Paese a caccia d’identità e che, anzi, in quella ricerca s’inserisce in punta di piedi, con due vini di grande spessore enologico e di grande provocazione intellettuale. E non succede a caso in Georgia, nazione che diverte – e che sembra essa stessa, forse inconsapevolmente, divertirsi – nello sfoggio di logiche e interpretazioni tra loro contrastanti, capaci di convivere in un clima di ordinato caos, sul confine geografico esatto col paradosso e con l’ossimoro. Come i foulard di quelle donne, che si mescolano ai mille colori delle spezie, al mercato centrale della città vecchia di Kutaisi. O quella scritta “Ti amo”, in tre lingue diverse su un muro, poco lontano dalle bancarelle. Imereti, Georgia, mondo. Tutto sommato, confine.

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Mundus Vini Summer Tasting 2024: più giovani degustatori, più giudizi moderni

Mundus Vini Summer Tasting 2024: più giovani degustatori, più giudizi moderni. Photo Credit: AD LUMINA

EDITORIALE – Chiude con un successo forse mai così fragoroso Mundus Vini Summer Tasting 2024, edizione estiva del concorso enologico internazionale organizzato dalla casa editrice Meininger Verlag, a Neustadt an der Weinstrasse, in Germania (29 agosto-1 settembre, qui i risultati dell’Italia). “Fragoroso” perché il quartetto composto da Ulrich Fischer, Robert Joseph, Christian Wolf e Kirk Bauer, insieme con Andrea Meininger-Apfel e Christoph Meininger, è riuscito ad andare ben oltre la degustazione di 3.914 vini da 39 Paesi (in testa l’Italia con 1.130 vini) da parte di 119 giudici internazionali di 32 diverse nazionalità. Dalla Germania arriva infatti più di un messaggio forte e chiaro all’intero settore. Il primo, scusate la franchezza, è la necessità di “sfoltimento” generazionale della critica enologica internazionale. Ma si è anche discusso, senza giri di parole, delle derive allarmistiche sull’alcol e dei nuovi trend di consumo. Vediamo i temi, punto per punto.

GIUDICI PIÙ GIOVANI A MUNDUS VINI: COSA CAMBIA?

Circa una ventina di giudici di età avanzata (uguale o maggiore a 70 anni) sono stati sostituiti da esperti del settore più giovani, al Mundus Vini Summer Tasting 2024. Si tratta per lo più di professionisti europei, di età compresa fra i 30 e i 40 anni. Nella commissione che ho avuto l’onore di presiedere quest’anno, ben due giovani membri hanno fatto il loro esordio assoluto al concorso (peraltro due donne, dettaglio rilevante in termini di “quote rosa”). L’età media del mio tavolo è così scesa a circa 40 anni (quattro membri su 5 sotto i 40 anni, uno di 65 anni), in perfetta armonia con il vento di ringiovanimento deciso dal board di Meininger Verlag e in controtendenza con le edizioni passate. I “giudici senior” rimasti a casa erano stati premiati sul palco di Mundus Vini in occasione della Spring Edition dello scorso febbraio, per il loro impegno sin dagli esordi del concorso.

Ma cosa è cambiato, a livello pratico? Secondo il mio personale avviso, il concorso ha fatto un passo da gigante quest’anno, soprattutto nella corretta valutazione di vini più freschi, dotati di acidità vibranti e di un profilo meno condizionato da sovra concentrazioni, alcol ed utilizzo di barrique nuove o chips. Una riprova? Lo straordinario flight di Chianti Classico che ha visto premiate – almeno al nostro tavolo – espressioni tanto tipiche quanto “verticali” della denominazione, che come altre si sta orientando verso un profilo che premia la bevibilità, senza per questo rinunciare a tipicità, carattere e capacità di affinamento. Stessa storia per i Nebbiolo da Barolo o, restando in Piemonte, per alcune Barbera d’Asti e Barbera d’Alba. Da innamorarsi, a maggioranza assoluta, certi Ciliegiolo della Toscana, in compagnia di varietà autoctone in ascesa come il Pugnitello.

L’OTTIMA PERFORMANCE DEI VINI… “MODERNI”

L’Italia si è comportata molto bene anche con il Prosecco Rosé, mai così “croccante” (!) e leggibile sui descrittori floreali e fruttati del Pinot Nero, nel matrimonio sensoriale con la Glera. Impressionante, peraltro, l’uniformità tra i diversi campioni di Prosecco Doc “in rosa” (ho scritto “uniformità”, non “standardizzazione”). È il segnale di una base produttiva che sa dove andare, in locomotiva, alla conquista dei mercati internazionali (alzi la mano, a proposito, chi non ha ancora compreso le ragioni pratiche del successo del Prosecco, a livello intergalattico; sì, proprio così: probabilmente gli extraterrestri non vivono d’acqua, ma un giorno ritroveremo tra le mani di ET una bottiglia di spumante Made in Veneto, o Friuli…).

Non hanno fatto “paura”, ai giudici, Fiano e Falanghina tesi e salini, minerali e bilanciati nella componente alcolica. Così come hanno convinto, e parecchio, alcuni splendidi “Super Romanian” base Feteasca Neagra, capaci di abbinare frutto, corpo, beva e capacità di invecchiamento. O i Cabernet Sauvignon dell’Australia, senza sovra estrazioni ormai da qualche annetto senza risultare affatto “vuoti”, al pari degli uvaggi Tempranillo-Garnacha-varietà bordolesi dalla Cariñena (Spagna), piacevolmente freschi e liberati dalle intemperanze della loro tradizionale robustezza alcolico-estrattiva. D’altro canto, nessuna paura per le interpretazioni innovative di una varietà molto tannica, come il Saperavi della Georgia, altra grande, positiva sorpresa dell’edizione estiva di Mundus Vini.

Il gruppo di giovani produttori tedeschi del Palatinato, Die Junge Pfalz, al Mundus Vini Summer Tasting 2024. Sotto: Lukas Hammelmann e lo spumante senz’alcol “Freepearl” di Weingut Holz-Weisbrodt

PIÙ GIOVANI… CON I GIOVANI DI DIE JUNGE PFALZ

Esempi, questi, utili a comprendere come sia utile «andare avanti ed evolversi» – queste le parole utilizzate da Christian Wolf per spiegare il ricambio generazionale in corso a Mundus Vini – anche tra chi giudica i vini alla cieca ad un concorso. Perché nel calice di ogni giurato si possono trovare descrittori capaci di richiamare viaggi, scoperte ed assaggi quotidiani recenti, aggiornati; oppure frontiere stilistiche internazionali che faranno la storia del settore e determineranno il successo (e la sopravvivenza) di determinate regioni vinicole, sconosciute a palati stagni e a gambe ormai stanche di essere curiose.

A completare la “vista sul futuro” del Summer Tasting 2024, il pomeriggio di assaggi dei vini di Die Junge Pfalz, il gruppo dei giovani produttori del Palatinato (vedi le foto sopra), con un vino più buono dell’altro (su tutti, segnatevi Riesling Zeiskamer Klostergarten trocken, Chardonnay Hochstadt Roter Berg trocken e Spätburgunder Hochstadt Roter Berg trocken del giovanissimo Lukas Hammelmann, distribuito in Italia da Ca’ di Rajo Group e presente in città come Milano da Cantine Isola). Per il board di Mundus Vini, in definitiva, solo applausi. Un esempio da seguire, in ogni angolo del pianeta (Italia compresa).

LE DERIVE ALLARMISTICHE SUL CONSUMO DI ALCOLICI

Secondo e ultimo tema “extra degustazione” del Mundus Vini Summer Tasting 2024 è stato la presa di posizione decisa e ferma del gruppo editoriale tedesco Meininger e del board del concorso contro le derive allarmistiche sul consumo di alcolici. Christoph Meininger e Christian Wolf si sono scagliati senza mezze parole contro il fronte anti-vino «che non distingue tra il consumo responsabile e l’abuso di alcolici». Da qui l’invito a tutti i giudici presenti a farsi «ambasciatori della cultura del vino, settore dal quale dipendono le sorti di centinaia di migliaia di lavoratori, nonché dell’intero indotto».

Parole ferme, pronunciate sia sul palco di Mundus Vini, prima dell’avvio dei lavori, sia nel pomeriggio alla Weingut Holz-Weisbrodt, cantina di Weisenheim am Berg che interpreta in maniera eccellente uno dei trend del 2024 del vino internazionale: la produzione di vini dealcolati. Lo spumante senza alcol “Freepearl” ricorda la mela verde e gli agrumi, su sottofondo esotico sferzato da un perlage piuttosto elegante per la categoria, ed è stato premiato in precedenti edizioni di Mundus Vini con la medaglia d’argento. Una buona alternativa al vino. Se proprio ce ne fosse bisogno.

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I guru del vino ai seminari di alta formazione organizzati da Fem

Bilancio positivo per i seminari di alta formazione sul vino promossi dalla Fondazione Edmund Mach a cui hanno partecipato nei giorni scorsi illustri esperti e consulenti del settore di fama nazionale e mondiale: il sociologo Gianmarco Navarini, autore per “Il Mulino” del libro “I mondi del vino”, l’esperto e consulente di vino Robert Joseph, autore di Marketin Wine Toolkit e il noto importatore di vino statunitense, Jim Lo Duca. Numerosi operatori, appassionati, ma anche studenti del corso di laurea e del master Wem hanno seguito con attenzione i seminari “Extra Program” dell’Executive Master in Wine Export Management, trasmessi anche in diretta streaming su live.fmach.it e organizzati dal Dipartimento istruzione post secondaria e universitaria del Centro Istruzione e Formazione. Gianmarco Navarini insegna Sociologia della cultura ed Etnografia all’Università di Milano-Bicocca ed è autore per “Il Mulino” del libro “I mondi del vino”. Ha analizzato gli elementi che compongono la fenomenologia sociale del mercato, dai processi culturali di differenziazione dei mondi del consumo e della produzione allo sviluppo dei legami tra i sistemi di classificazione del vino come prodotto e le classificazioni sociali dei consumatori.

Robert Joseph, acuto osservatore del mondo del vino e giornalista del magazine di economia vitivinicola Meininger’s Wine Business, è visiting professor della Burgundy Business School. Autore di Marketin Wine Toolkit, Master of Wine, è fondatore del Wine Challenge di Londra, concorso enologico internazionale con la partecipazione di oltre 10.000 vini. Il seminario di Joseph è partito da una domanda fondamentale e per certi aspetti didattica: “Come scegli una bottiglia di vino quando non c’è un nome di un produttore di vino o di un’azienda che riconosci? Il dibattito che è ne scaturito è stato appassionante ed a tratti “illuminante”. Jim Lo Duca ha evidenziato il punto di vista dell’importatore USA, illustrando le problematiche che quotidianamente si trova a dover risolvere. Conoscerle e saperle affrontare è indispensabile per creare un rapporto fiduciario. Secondo Lo Duca, il vino può anche essere buonissimo, ma per sfondare con gli importatori americani serve una adeguata comunicazione professionale.

I seminari si inseriscono all’interno del quarto Executive Master in Wine Export Management con 25 nuovi aspiranti export manager del vino, selezionati da una commissione che ha valutato un elevato numero di candidature. Il master si completerà l’11 giugno e si propone di formare export manager nel settore vinicolo. In questi giorni, sempre nell’ambito master, si è svolto anche il primo corso Wine & Spirtit Education Trust, la più autorevole organizzazione mondiale per le qualifiche professionali nel mondo del vino e dei distillati per fornire certificazioni riconosciute a livello internazionale rivolte agli operatori del settore e agli appassionati. A fine giugno ed inizio luglio sono programmati altri due corsi Wset Level 2 per complessivi 40 posti, mentre il terzo livello del corso si terrà a fine ottobre.
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L’8, il 14 e il 15 Aprile tutti a scuola di vino alla Fondazione Edmund Mach

La Fondazione Edmund Mach, di San Michele all’Adige, attraverso il Dipartimento post-secondario e universitario del Centro Istruzione e Formazione, organizza una serie di appuntamenti e incontri con illustri rappresentanti del mondo del vino. L’iniziativa si inserisce all’interno dell’Executive Master in Wine Export Management, ma si apre a un pubblico più numeroso dei soli corsisti: si tratta degli ”extra program” che consistono in attività, seminari, corsi, presentazioni di libri. Il primo è in programma venerdì 8 aprile, alle ore 16.30, presso il Palazzo della Ricerca e della Conoscenza. Si tratta dell’incontro con il sociologo Gianmarco Navarini autore per Il Mulino del libro ”I mondi del vino” e docente di Sociologia della cultura ed Etnografia alla Bicocca di Milano. Il seminario, ad entrata libera ma con registrazione obbligatoria, avrà come focus principale gli elementi che compongono la fenomenologia sociale del mercato, quali ad esempio: i processi culturali di differenziazione dei mondi del consumo e della produzione; lo sviluppo dei legami tra i sistemi di classificazione del vino come prodotto e le classificazioni sociali dei consumatori (dai consumatori agli appassionati ai wine snob); i discorsi differenziali sulla definizione della qualità nel mercato; il linguaggio dei sensi e la comunicazione del gusto.  Giovedì 14 aprile, incontro con il guru Robert Joseph, autore di ”Marketing Wine Toolkit”, master of Wine, sul tema ”Brand vs Territorio o Brand e Territorio?’Metodi efficaci per commercializzare vino e territorio”, mentre venerdì 15 aprile incontro con l’importatore USA, Jim Lo Duca (Lo Duca Wines – USA: Il punto di vista dell’importatore USA: esigenze, problemi e soluzioni (seminario in inglese con traduzione consecutiva). La Fondazione Edmund Mach (FEM) è un organismo privato di diritto pubblico strumentale alla Provincia Autonoma di Trento, attiva nel campo della formazione, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico nei settori agricolo, alimentare e ambientale. Ne fanno parte il Centro Ricerca e Innovazione (CRI), il Centro Istruzione e Formazione (CIF) e il Centro per il Trasferimento Tecnologico (CTT).
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