Categorie
Approfondimenti news

Quello che gli enotecari non dicono

Scusa, ce l’hai il Bricco del Pisellone?
Dell’Uccellone! Bricco dell’Uccellone!
Sì, quello! Bravo!

Tutto ciò che avreste sempre voluto sapere del lavoro in enoteca, ma nessuno vi ha mai confessato. Sotto Natale, complici i regali e i vari pranzi e cene da organizzare, gli avventori nei wine shop aumentano. E non tutti i clienti sono “tecnicamente” preparati sul tema “vino”. Anzi, sono proprio i meno esperti a rivolgersi al personale delle enoteche. In cerca di aiuto e consiglio.

Ecco quindi volare gli strafalcioni e le richieste assurde, confessate a WineMag da un enotecario di Milano. L’impreparazione sui prezzi del cliente occasionale pare andare per la maggiore.

Vorrei un Amarone, possibilmente sotto i 10€. Vorrei fare un pensierino…

Ha Sassicaia 2015?
No guardi, è finito da un po’. Se vuole un supertuscan ho Tignanello, siamo sui 75€
No no! Così caro no!
????

Seconda classificata l’impreparazione tecnica. Dalla signora che afferra una bottiglia di Barolo e chiede “Ma è un vino fermo? Ah sì? Ed è secco?“. Fino al signore che chiede: “Vorrei un Gewurztraminer. Bianco mi raccomando”. “Guardi, bianco il Gewurz l’ho proprio finito. Se vuole ce l’ho rosso, va bene lo stesso?”.

C’è poi la ragazza che cerca una “bollicina morbida” per brindare col fidanzato. E dopo aver sentito (ma non compreso) la differenza tra Franciacorta e Franciacorta Saten chiede dubbiosa: “Ma è comunque vino?“.

Per non parlare di quella che il confidente enotecario di WineMag definisce “presunzione di sapere” in merito agli abbinamenti cibo-vino. L’esempio più palese?

Vorrei un bianco da abbinare al pesce
L’enotecario chiede come si intende cucinare il pesce e formula una proposta, che viene rifiutata. Formula allora una seconda proposta, anch’essa puntualmente rifiutata. Quindi una terza, alla quale il cliente risponde così: “No, no. Meglio di no. Sa cosa faccio? Mi prendo un bel Lambrusco!“. Fai come vuoi!

QUELLO CHE GLI ENOTECARI NON DICONO
Quello che gli enotecari non dicono è che, sotto sotto, gli strafalcioni enologici dei clienti sono uno spasso ed aiutano a sorridere in giornate di lavoro oggettivamente intenso. A volte, più il cliente la spara grossa e più la cosa è occasione per una battuta fra colleghi ed amici.

Quello che gli enotecari non dicono è che non è l’impreparazione dei clienti a dar fastidio. Ci sta che un cliente sia impreparato sull’argomento, così come noi lo siamo su altre questioni e chiediamo aiuto a negozianti e commessi.

Quello che infastidisce è la presunzione di taluni. Soprattutto sui “grandi nomi” del vino, senza avere effettiva consapevolezza di cosa si stia parlando. Quelli che basta spendere. Quelli che arrivano col telefonino in mano e controllano le recensioni e i punteggi di Vivino, ad ogni proposta dell’enotecario.

È questa sorta di arroganza, data da non si sa ben cosa, ad indispettire chi fa del vino una passione ed una professione. Ma è davvero il cliente il problema? Pensiamo di no.


LA CULTURA DEL BERE

Se nel 2019 l’enotecario si sente chiedere “un prosecchino di Franciacorta“, o se quando propone un Chianti Classico o un Brunello gli viene chiesto “Ma è rosso?“, se spiega la differenza fra Barolo e Amarone per le esigenze di abbinamento espresse del cliente, sentendosi dire “Ma il rosso non è semplicemente un rosso? Non son tutti uguali?“, la colpa non è del cliente. La colpa è nostra.

Enotecari, produttori, sommelier, wine journalist, blogger e influencer. Siamo noi a dover raccontare il vino (ed in generale il mondo del buon bere) nel modo più semplice e comprensibile. Siamo noi, giorno dopo giorno, proposta dopo proposta, articolo dopo articolo, post dopo post, degustazione dopo degustazione, a dover fare cultura.

A educare chi il vino lo consuma semplicemente, anche se condizionato da vaghe pretese e mode, legate ai nomi “di grido”. Troppo spesso ci si dimentica che la cultura del bere si diffonde lentamente. Molto lentamente.

Che diffondere cultura del vino non vuol dire attirare l’attenzione su di sé, ma porre il vino stesso al centro, rendendolo accessibile (e comprensibile) a tutti. Pronti per la sfida? Buon 2019 alla comunicazione del vino, da noi di WineMag.

Categorie
news

Sul perché non dovremmo dare retta alle classifiche di Vivino


Gigi ha 20 anni e vuole darsi un tono con la fidanzatina. Non capisce nulla di vino. Ma lo affascinano i “grandi”, che vede seduti ai tavolini della “Milano bene”, a sorseggiare calici di Champagne. O di quello che lui crede sia Champagne. Gigi, da qualche tempo, ha installato l’app Vivino sul cellulare.

E vota, vota, vota. Due stelle a questo. Quattro a quest’altro. Cinque stelle a ‘sto francese: l’etichetta è bellissima. Una stella al Tavernello: non fa figo. Anzi, fa figo dargli una stella. C’è un solo problema. Gigi gira per enoteche, bar e negozi che espongono vino. Fotografa le etichette e le vota su Vivino.

Non solo Gigi non ha nessuna cognizione di causa in materia. Quei vini, Gigi, non li ha neppure bevuti. Ma vota. Ovviamente solo le etichette più blasonate. Quelle note. Quelle che costano di più e, dunque, sono buone per forza. E alla fine dell’anno, qualcuno farà delle classifiche. Basandosi anche sui voti di Gigi.

Gigi, perfetto idiota enofighetto, fa media su Vivino. Così come il sommelier, l’enologo o il professionista del settore Wine che dà voti coerenti e tecnici. Vivino è il Tripadvisor del vino internazionale. Scegliete il ristorante dove cenare basandovi sulle recensioni di Tripadvisor?

Tutta questa manfrina per dare il peso giusto alle cose, dal momento che per qualcuno, nell’enomondo, la foto a un’etichetta postata su un social avrebbe valore scientifico. O una rilevanza giornalistica. Secondo noi, non è così.

E non ce l’abbiamo col Tignanello, risultato tra l’altro tra i più “popular” del 2018 su Vivino.  Ovvero tra i più fotografati, non per questo tra i più bevuti. A offrire qualche buon motivo, sono gli stessi utenti di Vivino. Roba da far rabbrividire pure Gigi.

Buon prosecco, sorprendente vista la dislocazione geografica. Da utilizzare come vino per aperitivo o anche da abbinare a del buon pesce”, dice l’utente Diego del “Perla di vitigno Brut N.V.“, spumante Charmat di Toso, che su Vivino appare catalogato in Emilia Romagna. Ebbene: non è Prosecco e non è emiliano.

Dice l’utente Vasta del “Furfante” di Rivera: “Fin troppo frizzante, sembrava quasi uno spumante“. Ed è colpa anche di Vivino, che non distingue tra “Frizzanti”, “Spumanti Champenoise / Metodo Classico” e “Spumanti Charmat / Martinotti”, confondendo ulteriormente il consumatore meno esperto.

“Va bene come lozione per spazzolare i cavalli“, commenta l’utente Max sul Nero d’Avola 2017 di Feudi Branciforti dei Bordonaro, valutandolo con 2 stelle Vivino. Dino non è d’accordo: “Ottimo vino per una bella serata”. In medio stat virtus?

Elena, del Lambrusco “Centenario” di Cleto Chiarli dice “Ottimo vino, peccato per il prezzo un po costoso”. Quanto costa? 5,70 euro a bottiglia. Del Bombino Bianco “Panascio” di Giancarlo Ceci, quella cima dell’utente Simone (che su Vivino ha già dato altri 293 voti, dice cose altissime: “Vinello discreto, leggerino di sapore che te manda subito a piscià“. Può bastare.

Exit mobile version