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Custoza Doc sostiene l’Horeca: «Con Fipe perché crediamo nella ristorazione»

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Custoza Doc
è l’unico vino partner di
FIPE-Confcommercio in occasione della presentazione alla Camera della 2° edizione della Giornata della Ristorazione Italiana, in programma il 18 maggio. Il Custoza, vino bianco prodotto sulle colline moreniche tra Verona e il Lago di Garda, ha scelto di sostenere questo evento della Federazione Italiana Pubblici Esercizi «perché fortemente convinto che la ristorazione sia la migliore ambasciatrice della denominazione». Con questa giornata «migliaia di ristoranti ne conosceranno le caratteristiche». Nella Sala della Regina a Montecitorio, dopo gli interventi del presidente della Camera, l’onorevole Lorenzo Fontana, e dei ministri Francesco Lollobrigida e Adolfo Urso, è intervenuta la presidente del Consorzio Tutela Vino Custoza Doc Roberta Bricolo.

«Siamo orgogliosi di sostenere questo importante evento – ha dichiarato – perché con la ristorazione condividiamo molti valori, dallo spirito di servizio alla cultura dell’ospitalità, dal rispetto dell’identità alla protezione dei territori. Assieme possiamo affrontare anche gli attacchi che vengono dall’esterno, primo fra tutti, nel nostro caso, il dibattito sulla componente alcolica e sugli aspetti salutistici del vino, che sviliscono e negano il valore che vino e cibo, da sempre, hanno in quanto elementi della storia e della cultura italiana. Nel caso del Custoza, poi, questo territorio ha anche un significato storico e ha contribuito a “fare l’Italia”. Basti pensare alle due battaglie che qui si sono svolte nell’ambito delle Guerre di Indipendenza».

IL CONSORZIO CUSTOZA CON FIPE

La denominazione Custoza riconosce inoltre l’importanza economica del comparto della ristorazione, essenziale per la filiera agroalimentare e per i prodotti agricoli. Essi sono anche gli ambasciatori della cultura del bere consapevole e il Custoza è al loro fianco. Vino contemporaneo e versatile, è capace di affiancare le più svariate preparazioni gastronomiche. «La nostra presenza in Parlamento al fianco di Fipe-Confcommercio oggi – continua Roberta Bricolo – si inserisce in più ampio progetto a favore della categoria. Nel corso degli ultimi anni abbiamo avviato un programma di corsi di formazione gratuiti a favore del personale di sala, a partire dalle scuole alberghiere, per accrescere la professionalità e valorizzare le denominazioni storiche italiane.

«I produttori del vino Custoza sono al fianco della ristorazione – conclude la presidente del Consorzio – ed esprimono oggi i migliori auguri di successo per la realizzazione dei progetti qui presentati. Certi che insieme, come diceva Mario Soldati, il “buon cibo” e il “bere bene” diano ancora più sapore all’esistenza. Auguriamo un grande successo a Fipe-Confcommercio per la Giornata della Ristorazione Italiana e ci auguriamo di proseguire assieme questo cammino».

AMPIO CONSENSO PER FIPE NELLA GIORNATA DELLA RISTORAZIONE

Il consenso è ampio. «La ristorazione – evidenzia Maurizio Grifoni (nella foto, sopra)presidente di Fondo Fon.Te., il fondo pensione complementare per i dipendenti di aziende del terziario – è un settore fondamentale in quanto svolge un importante ruolo di alfiere del Made in Italy contribuendo a valorizzare i prodotti e le eccellenze del nostro Paese. Fondo Fon.Te. crede molto in questo comparto che costituisce uno dei volani dell’economia italiana».

«In tal senso affianca e supporta i progetti della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE) dedicati alla filiera agroalimentare e alla promozione dei valori che caratterizzano la cucina italiana. È necessario, pertanto – conclude Grifoni – fare sistema, rafforzare gli investimenti e adottare misure di carattere fiscale per sostenere un comparto strategico come la ristorazione sul quale occorre puntare per rilanciare le imprese e l’occupazione nel nostro Paese».

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Fine obbligo Green pass bar e ristoranti, Fipe: «Estendere misura ai posti di lavoro».

«Dopo 26 mesi di restrizioni e impedimenti, finalmente si torna la vita nei pubblici esercizi torna alla normalità». Così Aldo Cursano, vice presidente vicario di Fipe-Confcommercio, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, nel commentare lo stop all’esibizione del Green Pass da oggi, 1 maggio 2022.

Per i clienti determinerà una riduzione notevole del carico di lavoro per i gestori e i dipendenti di bar e ristoranti che fino ad oggi sono stati costretti a controllare in media 20 milioni di certificati verdi ogni giorno.

Ma anche la fine dell’uso della mascherina all’interno dei locali rappresenta, soprattutto dal punto di vista psicologico, un ritorno a condizioni di lavoro normali.

Non manca tuttavia un invito al governo. «Non si può fare il percorso a metà. Come Federazione dei Pubblici esercizi – continua Aldo Cursano – auspichiamo che anche i protocolli di sicurezza nei luoghi di lavoro si adeguino con coerenza alle nuove disposizioni di legge, eliminando l’obbligo per i dipendenti di indossare la mascherina. Saranno le imprese a valutare quale sia la scelta migliore da fare in relazione all’evoluzione del quadro dei contagi e all’organizzazione dell’attività».

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La crisi infinita di bar e ristoranti: «A rischio il modello dei Pubblici Esercizi Italiani»

L’inattesa crisi pandemica del 2020, trascinatasi nel 2021, ha causato nel mondo della ristorazione 56 miliardi di perdite e la chiusura di 45 mila imprese. Ecco poi il caro energia e una pericolosa fiammata inflattiva.

Un esordio 2022, quello del settore della ristorazione e dei pubblici esercizi, che ha visto crescere esponenzialmente il costo delle materie prime e della bolletta energetica. Aumenti fino all’80%, tendenzialmente in ulteriore crescita, oggi alla base di un generalizzato aumento dei prezzi.

Un circolo vizioso che ha trovato nella guerra un detonatore ulteriore. «Una guerra vicinissima, aberrante nelle conseguenze umane, desolante per la fiducia dei mercati e i flussi internazionali», commenta il presidente della Federazione italiana Pubblici Esercizi – Fipe Confcommercio, Lino Enrico Stoppani.

UN MODELLO A RISCHIO

Nefasta nelle conseguenze economiche anche di medio periodo, tra scarsità di materie prime, sanzioni commerciali moralmente doverose ma inevitabilmente dolorose anche per la parte che le commina».

Secondo Fipe Confcommercio «rischia di andare definitivamente in crisi il qualificato modello diffuso dei Pubblici Esercizi Italiani». La richiesta al Governo è di coinvolgere le rappresentanze d’impresa per trovare le soluzioni più efficaci a misura di economia reale».

«Siamo ormai in perenne stato di crisi – continua Lino Enrico Stoppani – tra allarmi, emergenze ed urgenze a non finire. Quello che è ancora più drammatico è che, ad ogni problema risolto (o tamponato), altri emergono all’orizzonte più numerosi, e talvolta più gravi, in un effetto moltiplicatore che turba e mina la fiducia delle persone.

LA CRISI DEI PUBBLICI ESERCIZI ITALIANI

Davanti a questa degenerazione fuori controllo delle crisi, si impone la necessità di gestire lo scenario drammatico con il quale ci si sta purtroppo confrontando. È certamente prioritario attivare tutte le iniziative di solidarietà per le popolazioni colpite attraverso piccoli e grandi gesti, come sta succedendo diffusamente anche nel nostro mondo».

«Al contempo, tuttavia – continua il massimo rappresentante di Fipe Confcommercio – chiediamo di non abbassare l’attenzione sui settori più in difficoltà con misure urgenti sui temi della liquidità, con la proroga delle moratorie creditizie, fiscali e contributive.

Sempre secondo Stoppani, occorrono «interventi tampone e strutturali sul caro energia e monitoraggio dell’inflazione, contrastando i movimenti speculativi. Senza imprese, infatti, non c’è futuro per il Paese».

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Ristoranti, Fipe: «Apertura serale in zona gialla non più rinviabile»

«La riapertura serale, almeno nelle zone gialle, dei pubblici esercizi in grado di garantire il servizio al tavolo non è più rinviabile». Lo sottolinea Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi.

«Chiediamo ai nostri imprenditori di applicare con rigore i protocolli sanitari e chiediamo alle Istituzioni controlli a tappeto perché tutti li rispettino. Tutto questo per consentirci di poter riaprire anche alla sera, fino alle 22, in zona gialla e fino alle 18 in zona arancione».

«È significativo che anche l’Anci, e dunque i sindaci di tutta Italia, si sia detta favorevole a un allentamento delle restrizioni – continua Fipe – nei confronti di bar e ristoranti. Sta crescendo la consapevolezza che è più facile far rispettare le misure di distanziamento e di sicurezza sanitaria all’interno di un locale, piuttosto che nelle piazze e nelle strade dove le persone finiscono per assembrarsi senza alcuna precauzione.

Ci auguriamo che il primo Dpcm del nuovo governo segni un cambio di passo nelle politiche di mitigazione del contagio da covid19, che da troppo tempo stanno penalizzando solo alcune categorie caricandole di responsabilità che non gli spettano».

«Da un anno – prosegue la Federazione italiana pubblici esercizi – portiamo avanti la battaglia a difesa della dignità di centinaia di migliaia di imprese che non possono essere aperte o chiuse con un’ordinanza pubblicata nella notte e valida dalla mattina successiva».

Secondo Fipe «occorre rispetto per il lavoro di oltre un milione di persone e per un’intera filiera che proprio in bar e ristoranti ha un fondamentale punto di riferimento». Richieste che arrivano «mentre i contagi si stanno diffondendo a macchia di leopardo sul territorio, con piccoli focolai e città pressoché immuni».

In virtù della situazione attuale, la Federazione pubblici esercizi chiede che le azioni siano a misura locale: «Chiediamo che le aperture possano essere regolate anche su base locale, di modo che le misure restrittive siano efficaci e selettive».

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Fipe contro Speranza per le chiusure di bar e ristoranti: «Offensive e senza preavviso»

Dura reazione di Fipe Confcommercio sulle nuove ordinanze del Ministro della Salute, Roberto Speranza. «Situazione inaccettabile e offensiva», tuona di fatto la Federazione italiana pubblici esercizi.

«Con pochissime ore di preavviso, bar e ristoranti di Toscana, Liguria, Abruzzo e provincia autonoma di Trento apprendono del provvedimento che blocca le loro attività», sottolinea Fipe.

Turni di lavoro già organizzati per migliaia di lavoratori e decine di migliaia di clienti prenotati appesi a decisioni ufficializzate a poche ore dalla scadenza, a testimonianza dell’assoluta mancanza di attenzione e rispetto verso chi, con fatica, cerca di resistere ad una crisi senza precedenti».

«A questo si devono aggiungere decine di milioni di euro di prodotti alimentari già acquistati che finiranno nella spazzatura. Inaccettabile ufficializzare i provvedimenti con una manciata di ore di preavviso – conclude la Federazione italiana pubblici esercizi – come peraltro segnalato dai governatori delle regioni interessate tra cui Toti, che ha fatto nel pomeriggio un’istanza al ministro Speranza per far partire l’ordinanza da lunedì 15 febbraio». (foto LaPresse)

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Fipe durissima sul governo: “Chiusure DL? Cronaca di una morte annunciata”

“Se fossero confermate le notizie di ulteriori limitazioni sarebbe la ‘Cronaca di una morte annunciata’, perché senza adeguati e immediati ristori per tante, troppe aziende del settore sarà impresa impossibile reggere ai nuovi ingenti danni che le limitazioni determineranno”. Così Fipe-Confcommercio, Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi.

“Rimangono nondimeno due sensazioni poco gradevoli. La prima, più generale, è quella di un Paese stanco, stanco di reagire, persino di capire che –spossato da incertezze e instabilità- sta perdendo il senso e la rotta. La seconda, che riguarda i Pubblici Esercizi, che è la perdurante impressione di uno spiacevole pregiudizio che lo accompagna, con la fastidiosa distinzione tra attività economiche essenziali e non essenziali che finisce per oscurare la realtà”.

“Per mascherare il suo fallimento nel contenimento del Covid-19 – continua la Federazione – il governo ancora una volta decide di scaricare l’onere della riduzione del contagio sui pubblici esercizi, sottoposti da ottobre ad uno stillicidio di provvedimenti. Che si tratti di zone rosse o arancioni per noi significa una cosa soltanto: bar e ristoranti resteranno chiusi dal 23 dicembre al 6 gennaio”.

Un periodo che da solo vale circa il 20% del fatturato di un intero anno. In sostanza il governo, con questa decisione, se confermata, si assume la responsabilità di decretare la morte di un settore fondamentale per i valori economici e sociali che esprime”.

“I Pubblici Esercizi non sono solo numeri; sono i volti e le mani dei gesti quotidiani, una componente simbolica e materiale della vita quotidiana degli italiani, dei loro ricordi e della via trascorsa insieme. E vorrebbero continuare a lavorare: lavorare non per mettere a rischio il Paese, ma per mettere in sicurezza un patrimonio imprenditoriale e sociale che contribuisce al futuro di tutti”, conclude la Federazione italiana pubblici esercizi.

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“Ristoranti aperti a Natale e Capodanno”: la richiesta di Fipe al governo

Nei mesi scorsi solo lo 0,18% dei 6,5 milioni di controlli effettuati nel complesso delle attività commerciali, ristoranti compresa, ha generato sanzioni. Un dato che viene accolto col favore della Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, che ora “chiede in cambio al governo di lasciar lavorare le imprese del settore”.

“Non si possono spegnere dall’oggi al domani – è la denuncia – come se fossero automobili: molti locali hanno già iniziato ad acquistare le merci per le feste e organizzato il personale. Chi li risarcirà in caso di chiusura?”.

Fipe – Confcommercio interviene dunque sul dibattito in corso all’interno del governo, su eventuali misure restrittive da adottare durante le feste natalizie. “Noi vogliamo lavorare – aggiunge la Federazione – ma se il governo dovesse decidere di seguire il modello tedesco, si prepari a farlo al 100%”.

Per il mondo della ristorazione il mese di dicembre vale 7,9 miliardi di euro, mentre i soli pranzi di Natale e Capodanno valgono 720 milioni. Per ammortizzare queste perdite, secondo Fipe, “occorrono misure come quelle adottate in Germania: ristoro al 75% dei fatturati calcolato sui mesi di novembre e dicembre, riduzione dell’iva al 5% e tutela dagli sfratti”.

Una richiesta che arriva proprio dai dati positivi dei controlli effettuati negli ultimi mesi. “Un segno – sottolinea la dirigenza della Federazione – che i protocolli adottati a maggio sono stati rispettati e che le nostre imprese sono luoghi sicuri”.

“Per noi – conclude Fipe – la salute pubblica è al primo posto ma siamo pronti a fare di più, garantendo un maggiore distanziamento tavoli e concedendo a Natale e nel periodo festivo l’accesso ai ristoranti solo su prenotazione, dando così una mano sulla raccolta dei dati e rendendo più semplice ed efficace il tracciamento”.

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Manifestazione bar e ristoranti, Fipe: “Bene Decreto Ristori, ma aiuti arrivino subito”

Una manifestazione di protesta tanto ordinata e silenziosa quanto determinata. Sono oltre 10 mila le persone che si sono riunite nelle 24 piazze allestite lungo tutta la penisola per esprimere i valori economici e sociali della ristorazione e dell’intrattenimento italiano.

La chiusura anticipata di bar e ristoranti e le misure restrittive nei confronti di imprese di catering, banqueting e intrattenimento, rischia di essere il colpo di grazia ad un settore sull’orlo del baratro fallimentare.

Imprenditrici e imprenditori che, chiamati a raccolta da Fipe – Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici esercizi, hanno simbolicamente apparecchiato per terra, disponendo oltre mille coperti rovesciati a ricordare alla politica lo stato di emergenza nel quale versa il settore della ristorazione con 300 mila posti di lavoro a rischio, 50mila aziende che potrebbero chiudere entro fine 2020 e 2,7 miliardi di euro bruciati solo per effetto dell’ultimo decreto.

Protesta del tutto apolitica, pacifica e nel pieno rispetto delle regole, a dimostrazione del grande senso di responsabilità che ha sempre caratterizzato gli imprenditori del settore.

“Noi oggi siamo a terra ma non ci arrendiamo – sottolinea il Presidente della Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani -. Prima della pandemia davamo da mangiare a oltre 11 milioni di persone ogni giorno e vogliamo continuare a farlo. Oggi ci viene chiesto di sospendere la nostra attività per senso di responsabilità e per contribuire a ridurre l’impennata dei contagi”.

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Noi siamo pronti a fare la nostra parte, pur sapendo che i nostri locali sono sicuri. Lo sappiamo perché lo dicono i dati e lo sappiamo perché nei mesi scorsi abbiamo investito tempo, risorse ed energie per renderli sicuri. Non siamo untori e rivendichiamo il diritto di lavorare”.

“Il Decreto Ristori approvato dal Governo – prosegue Stoppani – è un primo importante segnale che va apprezzato, ma dopo decine di provvedimenti che hanno avuto problemi a diventare realmente operativi, penso ad esempio ai ritardi della cassa integrazione, il fattore tempo è essenziale per recuperare un po’ di fiducia nelle istituzioni”.

Se le risorse promesse non arriveranno sui conti correnti degli imprenditori entro i primi giorni di novembre, il Paese perderà una componente essenziale dell’agroalimentare e dell’offerta turistica che da sempre ci rendono unici al mondo”.

Proprio per ribadire l’importanza del settore della ristorazione e dei pubblici esercizi in generale, i partecipanti alla manifestazione hanno imbracciato una serie di cartelli con impresse le loro parole d’ordine: dalle categorie professionali (cuochi, lavapiatti, bartender, sommelier, bagnini) ai valori rappresentati (professionalità, accoglienza, ospitalità, passione) ai numeri della crisi: “Un modo per raccontare un mondo di saperi che rischia di perdersi”.

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Nuovo Dpcm, ristorazione in ginocchio: Fipe scende in piazza il 28 ottobre

A nulla sono valsi gli appelli del settore della ristorazione e del vino italiano. In base al nuovo Dpcm del 24 ottobre, gli esercizi commerciali dovranno chiudere alle ore 18. Sul nuovo provvedimento interviene anche la presidenza Fipe-Confcommercio, riunitasi d’urgenza ieri.

Il 28 ottobre, la Federazione sarà presente in 21 piazze d’Italia “per ribadire i veri valori del settore (economici, sociali, culturali ed antropologici) messi in seria discussione dagli effetti della pandemia da Covid-19, che sta mettendo a repentaglio la tenuta economica del settore, l’occupazione (a rischio oltre 350 mila posti di lavoro) e il futuro di oltre 50 mila imprese“.

“Fipe – si legge in una nota – esprime nuovamente perplessità e contrarietà alla chiusura dei pubblici esercizi alle ore 18. Per la ristorazione è impedita l’attività del servizio principale della giornata, mentre per i bar si tratta di un’ulteriore forte contrazione dell’operatività“.

La contrarietà si aggiunge alla consapevolezza che non esiste connessione tra la frequentazione dei Pubblici Esercizi e la diffusione dei contagi, come dimostrato da fonti scientifiche, che attribuiscono piuttosto ad altri fattori -mobilità, sistema scolastico e mondo del lavoro- le principali fonti di contagio”.

La Federazione ha preso atto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Conte relativi ad interventi urgenti e specifici a favore del settore. “Pur apprezzando l’impegno dal Governo”, continua la presidenza Fipe, la Federazione si è “immediatamente attivata affinché gli stessi siano economicamente significativi, certi e immediatamente esigibili per tutte le imprese del settore”.

Anche Coldiretti chiede interventi mirati. “Le limitazioni alle attività di impresa – sottolinea il presidente della Ettore Prandini – devono dunque prevedere un adeguato sostegno economico lungo tutta la filiera e misure come la decontribuzione protratte anche per le prossime scadenze superando il limite degli aiuti di Stato”.

Era stato lo stesso premiaer Giuseppe Conte, il 18 ottobre, a confermare l’intenzione del Governo agli aiuti ai settori più colpiti dall’emergenza Covid-19, come turismo e ristorazione. In particolare, Conte ha annunciato “strumenti di tutela dagli effetti economici della crisi”, nella Legge di Bilancio 2021.

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Fedeltà fiscale nella ristorazione: Fipe risponde alle accuse di Pierluigi Bersani

“Non oso proporre l’assegno mensile ai ristoratori sulla base del reddito. Perché metto nei guai qualche milione di italiani, non cento. Diverso se fossimo in un Paese di fedeltà fiscale: in quel caso sarebbe una cosa automatica”.

Non ci sta Fipe Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, ad accusare in silenzio le parole di Pierluigi Bersani. L’ex dem ha messo in dubbio la correttezza delle dichiarazioni dei redditi nel settore della ristorazione, nella puntata del 20 ottobre “Di Martedì“, programma in onda su La 7.

“Le parole di Bersani hanno fatto più male alla categoria dei ristoratori di quanto abbia fatto il coronavirus. Non tanto e non solo perché dimostrano un retro pensiero superficiale e falso, ma soprattutto perché nascondono la voglia di una certa politica di dividere tra imprese di serie A, che meritano di essere salvate, e imprese che possono essere lasciate morire”, commenta Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe.

Non intendiamo accettare questa logica vergognosa e pretendiamo le scuse pubbliche immediate da parte dell’ex ministro Bersani che, è bene non dimenticarlo, con le sue riforme ha contribuito a penalizzare le realtà più piccole, cambiando il volto dei centri storici delle nostre città”.

“Bersani – continua Cursano – si dovrebbe scusare per queste parole, pronunciate in un momento in cui ci sono 400mila lavoratori dei pubblici esercizi a casa in cassa integrazione e il rischio concreto che entro fine anno muoiano 50 mila imprese“.

Non per colpa del virus, ma per la mancanza di un’adeguata copertura finanziaria necessaria a compensare le perdite delle imprese. Perché una cosa deve essere chiara: il governo ha il diritto di attivare le restrizioni che ritiene necessarie, ma non quello di scaricare i costi solo sui privati”.

“Il settore dei pubblici esercizi, in barba ai luoghi comuni di Bersani – conclude Cursano – ha contribuito a tenere in piedi il sistema fiscale del Paese e ora chiediamo solo che un po’ di quanto abbiamo dato ci venga restituito per permetterci di sopravvivere. Il nostro settore conta 1,3 milioni di lavoratori, in larga maggioranza donne, e crea un valore aggiunto di oltre 90 miliardi di euro l’anno e merita qualcosa di più delle livorose parole di Bersani”.

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Non un “ministero all’Horeca”, ma quasi: così Fipe chiede di rilanciare la ristorazione

EDITORIALE – Non un vero e proprio “ministero all’Horeca“, ma quasi. Si è mossa in questa direzione Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, in occasione degli Stati Generali dell’Economia in corso a Villa Pamphilj. Il rilancio della ristorazione italiana, del resto, è in cima ai pensieri di Sandro Boscaini (Federvini) e Riccardo Cotarella (Assoenologi), intervenuti martedì 16 giugno al webinar su vino e finanza organizzato da Foragri.

C’è bisogno di una regia unica che sappia migliorare il settore nell’interesse anche del Paese – sintetizza Fipe – favorendo la sua trasformazione digitale, investendo sul suo capitale umano, rafforzando l’identità con elementi strategici per la filiera agroalimentare e turistica, rivedendo il sistema delle regole uniche per tutto il settore”.

Oggi, come evidenzia ancora Fipe, “le competenze sul settore della ristorazione sono frammentate su tre Ministeri (Sviluppo Economico, Agricoltura e Turismo) con priorità settoriali quali asimmetria di regole, concorrenza sleale, dequalificazione e despecializzazione professionale, sviluppo delle malattie cibo-alcol correlate, alcolismo, obesità, intolleranze e allergie alimentari, fenomeni sociali gravi, mala movida e infiltrazioni malavitose”.

Il settore – denuncia la Federazione italiana pubblici esercizi – è disciplinato da una legge che ha trent’anni (Legge 287/1991), epoca in cui esisteva un altro mercato e altri modelli di consumo. La domanda è cambiata, i modelli di consumo si sono evoluti, il Paese ha bisogno, anche, di una ristorazione forte per il suo rilancio”.

Sempre in occasione degli Stati Generali, Fipe ha sollecitato “provvedimenti emergenziali“, capaci cioè di “tamponare i problemi economico-finanziari impedendo la chiusura di molte aziende”, e “provvedimenti strutturali“, di visione e di rilancio per il comparto.

Tra questi, prioritario secondo la Federazione italiana pubblici esercizi “il rafforzamento dei provvedimenti di sostegno per le imprese, in modo particolare sui temi degli indennizzi tempestivi per le ingenti perdite di fatturato, della liquidità”.

“Vanno inoltre preservate le competenze professionali – ha aggiunto Fipe – con tutti gli strumenti di protezione sociale disponibili”. I provvedimenti strutturali e di visione strategica del settore riguardano, invece, “l’attivazione di politiche governative sulla ristorazione e la filiera agroalimentare, coordinate ed unitarie, capaci di dare dignità istituzionale al settore”. Se non un ministero, serve quantomeno un concerto: di idee, intenzioni. E fatti.

Il crollo delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi, di fatto, ha un effetto negativo a valanga sull’agroalimentare nazionale, con una perdita di fatturato di oltre 8 miliardi per i mancati acquisti in cibi e bevande nel 2020. Parlano chiaro, in questo senso, i dati Ismea sugli effetti dell’emergenza Coronavirus per la spesa alimentare degli italiani.

Se gli acquisti domestici aumentano del 6% circa rispetto al 2019, per quelli extradomestici per colazioni, pranzi e cene fuori casa è stimato un calo del 40%. Una drastica riduzione dell’attività che, come sottolinea la Coldiretti, pesa sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco.

“In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo, la ristorazione – riferisce Coldiretti – rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato”. La spesa alimentare fuori casa, prima dell’emergenza Coronavirus era pari al 35% del totale dei consumi a tavola degli italiani. Se non un ministero all’Horeca, insomma, serve (in fretta) qualcosa che gli assomigli. E pure molto.

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Fase 2, Fipe: “Contributi a fondo perduto e meno tasse. Così rilanciamo i pubblici esercizi dopo il Covid”

“Il settore dei pubblici esercizi come nessun’altro si basa sulla socialità, ad oggi negata. Ecco perché è indispensabile incentivare il delivery e il take away anche attraverso una politica fiscale mirata. Così come è necessario abbattere il cuneo fiscale a carico delle imprese per cercare di tutelare le professionalità presenti nel settore” – con queste parole Maurizio Pasca, Vicepresidente di Fipe – Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, si è espresso in un intervento che guarda sia al presente che al futuro tenuto di fronte alla X Commissione del Senato della Repubblica.

Un messaggio alla politica affinché intervenga per sostenere e rilanciare un settore composto da centinaia di migliaia di micro imprese, in molti casi a conduzione familiare, che con il loro giro d’affari da 90 miliardi di euro rappresentano una delle componenti essenziali dell’offerta turistica nazionale.

“Parallelamente – afferma Pasca – il legislatore deve adottare regole comuni per tutti coloro che fanno ristorazione nel nostro Paese: criteri di ingresso e permanenza minimi nel mercato, parametri minimi di solidità finanziaria, qualificazioni professionali reali per un settore che identifica più di ogni altro il Made in Italy. Servono, insomma, standard uniformi di qualità per tenere il mercato al riparo dagli improvvisati e dalla concorrenza sleale”.

Indicazioni precise anche in materia fiscale: “Chiediamo l’esenzione dal pagamento dell’Imu per tutte le attività di ristorazione e intrattenimento per l’intero 2020, la distribuzione di finanziamenti a fondo perduto ai locali, come le discoteche, tutt’oggi impossibilitati a riaprire, la riduzione del peso fiscale delle imposte locali, Tosap, Cosap e Tari, per quest’anno e per il 2021 a tutti i pubblici esercizi. Si tratta di Interventi necessari per accompagnare l’intero settore nella ripresa dopo il disastro determinato dal Covid-19″.

“Senza un intervento poderoso – conclude Pasca – lo Stato si ritroverà a fare i conti con una sensibile riduzione del gettito fiscale, determinato dalla morte di decine di migliaia di imprese. Oltre a un salvagente immediato da lanciare agli imprenditori, ribadiamo quanto sia necessario un ripensamento ad ampio raggio che tenga conto del deterioramento economico e di una ridotta capacità di spesa da parte dei cittadini”.

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Fipe: “Il DL Rilancio è una boccata d’ossigeno, ma è solo l’inizio”

“Il DL Rilancio approvato dal Governo è sicuramente una salutare boccata d’ossigeno per il settore dei Pubblici Esercizi, anche se resta necessario e urgente fare di più”. Così Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe – Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, commenta il decreto rilancio approvato dal governo.

“Il provvedimento – prosegue Stoppani – recepisce alcune delle richieste avanzate dalla Federazione: dalla soppressione delle clausole di salvaguardia in materia di conti pubblici, alla previsione dei contributi a fondo perduto a titolo di ristoro delle cadute di fatturato, l’estensione a tre mensilità e la cedibilità del credito d’imposta per locazioni commerciali ed affitti d’azienda, l’abbuono del primo versamento Irap, l’ulteriore proroga a settembre per i versamenti dei tributi e dei contributi sospesi per aprile e maggio, il rafforzamento fino ad ulteriori 9 settimane degli strumenti di cassa integrazione”.

Secondo Fipe il DL è un buon inizio, cui deve però far seguito un maggiore coraggio sul fronte dei contributi a fondo perduto ed è indispensabile che il Parlamento lavori velocemente, migliorando dove necessario il provvedimento, e lo converta in legge al più presto.

“Ciò che ci preoccupa di più in questa fase – aggiunge Stoppani – è il Protocollo di Sicurezza per il settore, sul quale le linee guida proposte dall’Inail sono insostenibili dal punto di vista economico ed organizzativo. Ci auguriamo che il Governo dimostri buon senso e praticità, identificando regole sostenibili per riaprire in sicurezza, superando l’ipotesi di distanziamento incomprensibile, che prevede ben 4 metri quadri a commensale”.

“Con l’annunciata prospettiva di riapertura per lunedì 18 – conclude – ad oggi mancano ancora le regole. Per questo, ci sono regioni come l’Emilia Romagna o le Marche che hanno deciso in autonomia regole sostenibili, anche per assicurare un quadro di riferimento operativo. È una dimostrazione di fiducia e di responsabilizzazione sia dei ristoratori che dei cittadini, che ci sentiamo di condividere e che, ci auguriamo, diventi modello per tutta Italia”.

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Fase 2, Assoenologi scrive al premier Conte: “Riaprire subito ristoranti ed enoteche”

Nel giorno in cui il premier Giuseppe Conte sostiene di “non essere pentito delle scelte adottate per la Fase 2“, aggiungendo “rifarei tutto”, Assoenologi indirizza una lettera alla presidenza del Consiglio, per chiedere la riapertura di ristoranti ed enoteche. Una necessità già espressa da Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, a poche ore dalle nuove misure decise dal Governo italiano.

“Il prolungamento della chiusura delle attività ristorative almeno fino al prossimo 1° giugno – si legge sulla lettera firmata dal presidente Riccardo Cotarella – rischia, ad avviso mio e dei soci che rappresento, di mettere in seria difficoltà non solo gli imprenditori di settore, ma anche il comparto enologico nazionale”.

Molte delle cantine presenti sul territorio del nostro amato Paese sono fortemente legate alle attività di ristoranti, enoteche e locali tipici che tanto caratterizzano il commercio, il turismo e la vita sociale dal Nord al Sud dell’Italia.

Comprendo che la situazione che Lei e il Suo Governo siete chiamati a fronteggiare e gestire non sia semplice, ma il timore, di fronte a queste misure, è di vedere scomparire un pezzo di Italia che fino a due mesi fa ha lavorato e investito per mandare avanti le proprie aziende”.

“Non voglio e non vogliamo come Associazione entrare nel merito scientifico delle scelte fin qui assunte – prosegue la lettera – perché non abbiamo alcun titolo per farlo, ma questo non ci esime all’esprimerle tutto il nostro timore. L’appello che Assoenologi le rivolge, è di aprire una eventuale nuova riflessione così da agevolare il ritorno alla piena attività della ristorazione, seppur con tutte le dovute e necessarie misure anti-contagio”.

La lettera inviata al premier Giuseppe Conte è simbolicamente firmata da tutta l’associazione Assoenologi, che conta più di 5 mila professionisti dai quali dipende in gran parte il livello qualitativo dei vini prodotti dalle oltre 300 mila aziende vitivinicole italiane.

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Fase 2, Fipe contro il Governo: “Con riapertura a Giugno si rischia il fallimento della ristorazione italiana”

“I nostri dipendenti stanno ancora spettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare, oggi apprendiamo che potremo riaprire dal primo di giugno.” Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, attacca il Governo dopo il discorso del premier Giuseppe Conte sul piano delle riaperture per la Fase 2.

“Significano altri 9 miliardi di danni – prosegue Fipe – che portano le perdite stimate a 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi. Forse non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50.000 imprese e 350.000 persone perderanno il loro posto di lavoro”.

Secondo Fipe sono a rischio “Bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata, stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese”.

“Accontentati tutti coloro che sostenevano di non riaprire – prosegue l’attacco di Fipe – senza per altro avere alcuna certezza di sostegni economici dal Governo. Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto”.

“Tutto questo – conclude la Federazione Italiana Pubblici Esercizi – a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i Pubblici Esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza. La misura è colma”.

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Fase 2, Fipe attacca Governo: “Ristoranti a giugno? Si troveranno solo macerie”

Federazione italiana pubblici esercizi all’attacco del Governo, dopo il discorso del premier Giuseppe Conte, in merito ai provvedimenti per la Fase 2: “La misura è colma – attacca Fipe – con ristoranti e bar aperti a giugno si troveranno solo macerie”. Le indicazioni della ristorazione, di fatto, erano per un’apertura immediata, con le precauzioni del caso.

“I nostri dipendenti stanno ancora spettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare, oggi apprendiamo che potremo riaprire dal primo di giugno. Significano altri 9 miliardi di danni che portano le perdite stimate a 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi”.

“Forse – continua la nota della Federazione dei ristorazione – non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50 mila imprese e 350 mila persone perderanno il loro posto di lavoro”.

A rischio, secondo Fipe, “bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata, stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese”.

“Accontentati tutti coloro che sostenevano di non riaprire, senza per altro avere alcuna certezza di sostegni economici dal Governo”, prosegue l’attacco. “Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto”.

“Tutto questo – conclude la Federazione italiana pubblici esercizi – a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i Pubblici Esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza. La misura è colma.

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Coronavirus, il protocollo di sicurezza Fipe per la ripartenza

ROMA – I ristoratori italiani sono pronti a predisporre misure immediate per favorire una riapertura il più rapida possibile delle loro attività. Le proposte contenute all’interno di un protocollo stilato da un gruppo di lavoro organizzato dalla Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, sotto la supervisione scientifica di un qualificato infettivologo. Trentacinque pagine in cui si rappresentano le procedure di sicurezza da applicare in bar, ristoranti e servizi di catering.

Un metro di distanza tra i tavoli e mascherine al personale di sala e cucina, come da indicazioni delle autorità sanitarie. Accessi differenziati, dove possibile, per i clienti in entrata e quelli in uscita, pagamenti preferibilmente digitali direttamente al tavolo, monitoraggio quotidiano delle condizioni di salute dei dipendenti, pulizia e sanificazione dei locali, gel igienizzante a disposizione di tutti.

“Il mondo della ristorazione è pronto a ripartire, impegnandosi a garantire la sicurezza con uno specifico protocollo organizzativo delle attività, messo a disposizione della categoria, al fine di tutelare i rischi di contaminazione sia per i clienti che per i dipendenti – sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani –, ma è chiaro che non basterà per un ritorno immediato alla normalità. Fino a quando saranno in vigore le misure di distanziamento sociale, con le diverse modalità di fruizione dei servizi dei Pubblici Esercizi, è evidente che non si potrà lavorare a pieno regime. È dunque indispensabile che le istituzioni supportino economicamente il settore in questa fase transitoria”.

“Per realizzare questo protocollo – prosegue il presidente – abbiamo seguito le indicazioni delle autorità sanitarie e ci siamo avvalsi di una consulenza scientifica di primo livello. Abbiamo messo a disposizione delle Autorità competenti il nostro documento come riferimento operativo, ma è chiaro che abbiamo bisogno anche di molto altro supporto. Le misure di sostegno all’economia finora approntate non sono state pensate per i Pubblici Esercizi, con la conseguenza che 50mila imprese rischiano di non riaprire. Serve un segnale forte da parte dell’esecutivo, sui temi degli indennizzi per chi ha subito ingenti perdite di fatturato, della liquidità, della fiscalità, degli strumenti di protezione sociale come la cassa integrazione, oltre che interventi per le locazioni commerciali”.

“La fase due – conclude il Stoppani – dovrà essere accompagnata da provvedimenti mirati a tenere in vita la qualificata rete dei Pubblici Esercizi, con il loro grande valore, anche sociale, evitando l’esplosione dei tassi di mortalità, la dispersione di professionalità faticosamente costruite, l’infiltrazione della criminalità. Per essere chiari, un locale che vedrà ridimensionato il suo numero di coperti o comunque ridotta la sua attività, ha bisogno di sostegno, anche in tema di tributi locali. Confido e spero che il Governo predisponga calibrati interventi in aiuto del sistema turistico italiano, di cui i Pubblici Esercizi sono la componente essenziale, all’interno di un piano strategico di lungo periodo, con investimenti a supporto della domanda, con la semplificazione delle regole e l’innovazione delle politiche”.

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Fase 2, ristoranti e bar pronti a riaprire subito: tavoli a distanza, mascherine e gel

Fase 2, tutto pronto per ristoranti e bar. O quasi. Un metro di distanza tra i tavoli e mascherine al personale di sala e cucina, come da indicazioni delle autorità sanitarie. Accessi differenziati, dove possibile, per i clienti in entrata e quelli in uscita, pagamenti preferibilmente digitali direttamente al tavolo. E ancora: monitoraggio quotidiano delle condizioni di salute dei dipendenti, pulizia e sanificazione dei locali, gel igienizzante a disposizione di tutti.

Sono solo alcune delle misure che i ristoratori italiani sono pronti a predisporre immediatamente, per favorire una riapertura il più rapida possibile delle loro attività. Proposte contenute all’interno di un protocollo stilato da un gruppo di lavoro organizzato dalla Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, sotto la supervisione scientifica di un qualificato infettivologo. Trentacinque pagine in cui si rappresentano le procedure di sicurezza da applicare in bar, ristoranti e servizi di catering.

“Il mondo della ristorazione è pronto a ripartire, impegnandosi a garantire la sicurezza con uno specifico protocollo organizzativo delle attività, messo a disposizione della categoria, al fine di tutelare i rischi di contaminazione sia per i clienti che per i dipendenti”, sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani.

“Ma è chiaro – avverte – che non basterà per un ritorno immediato alla normalità. Fino a quando saranno in vigore le misure di distanziamento sociale, con le diverse modalità di fruizione dei servizi dei Pubblici Esercizi, è evidente che non si potrà lavorare a pieno regime. È dunque indispensabile che le istituzioni supportino economicamente il settore in questa fase transitoria”.

Per realizzare questo protocollo – prosegue il presidente – abbiamo seguito le indicazioni delle autorità sanitarie e ci siamo avvalsi di una consulenza scientifica di primo livello. Abbiamo messo a disposizione delle Autorità competenti il nostro documento come riferimento operativo, ma è chiaro che abbiamo bisogno anche di molto altro supporto”.

“Le misure di sostegno all’economia finora approntate non sono state pensate per i Pubblici Esercizi – accusa Stoppani – con la conseguenza che 50 mila imprese rischiano di non riaprire. Serve un segnale forte da parte dell’esecutivo, sui temi degli indennizzi per chi ha subito ingenti perdite di fatturato, della liquidità, della fiscalità, degli strumenti di protezione sociale come la cassa integrazione, oltre che interventi per le locazioni commerciali”.

La fase 2 dovrà essere accompagnata da provvedimenti mirati a tenere in vita la qualificata rete dei Pubblici Esercizi, con il loro grande valore, anche sociale, evitando l’esplosione dei tassi di mortalità, la dispersione di professionalità faticosamente costruite, l’infiltrazione della criminalità”.

“Per essere chiari, un locale che vedrà ridimensionato il suo numero di coperti o comunque ridotta la sua attività, ha bisogno di sostegno, anche in tema di tributi locali”, sottolinea Stoppani.

“Confido e spero che il Governo predisponga calibrati interventi in aiuto del sistema turistico italiano – conclude il numero uno di Fipe – di cui i Pubblici Esercizi sono la componente essenziale, all’interno di un piano strategico di lungo periodo, con investimenti a supporto della domanda, con la semplificazione delle regole e l’innovazione delle politiche”.

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Panettone, volano le vendite. Milano, assaggi gratis in 80 pasticcerie

Cresce il business del panettone, 2,5 milioni in più rispetto allo scorso anno, +5%. Affari per 60 milioni legati al dolce tipico milanese, che vale circa un quarto delle vendite in pasticceria di questo periodo. E’ quanto emerge da un’indagine della Camera di commercio di Milano su oltre trenta pasticcerie milanesi contattate in questi giorni. Il cliente torna e ne acquista uno ogni dieci giorni. Per 9 su 10 va il liscio con uvetta e canditi. Per i pasticceri è il simbolo principale e naturale di Milano (55% moltissimo, 42% molto). Per il 61% supera la dieta mediterranea (32%) come simbolo del nostro territorio per gli stranieri.  Stranieri che crescono tra la clientela, un cliente su venti, il 5%. Il 32% è favorevole a un panettone in versione estiva per avere un dolce tipico tutto l’anno.

LA GIORNATA DEL PANETTONE
E per gli amanti del genere, il 15 dicembre è una data da segnare sul calendario. Si terrà infatti a Milano la “Giornata del Panettone: assaggi gratis in 80 pasticcerie”. I pasticceri aderenti esporranno in vetrina la vetrofania per invitare i clienti alla prova del panettone artigianale. Si tratta di un’iniziativa della Camera di commercio di Milano e Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza in collaborazione con l’associazione Panificatori, Assofood (dettaglio alimentare), EPAM (pubblici esercizi), Promo.Ter Unione, Unione Artigiani della Provincia di Milano e APA Confartigianato Milano, Monza e Brianza, insieme ai consumatori. Sono 150 i pasticceri e i panettieri che hanno aderito all’iniziativa a Milano e provincia e esporranno la vetrofania con il logo in vetrina. Il loro panettone è un prodotto fresco, senza conservanti e artigianale. Il marchio “panettone tipico della tradizione artigianale milanese” è depositato presso l’Ufficio Brevetti della Camera di commercio di Milano. Una iniziativa promossa dalla Camera di commercio di Milano, dal Comitato dei Maestri Pasticceri Milanesi, dalle Associazioni dei pasticceri, dei panificatori, degli artigiani e dei consumatori.

COME RICONOSCERE IL VERO PANETTONE DI MILANO
Che cosa distingue il panettone artigianale milanese? Viene realizzato secondo un regolamento tecnico con determinati ingredienti, nelle proporzioni stabilite e seguendo le tecniche della lavorazione artigianale. “Il panettone, come emerge dall’indagine, è  uno dei marchi più riconoscibili della nostra città – ha commentato Alfredo Zini, consigliere Camera di commercio di Milano -. Rappresenta un dolce di successo anche per gli stranieri che possono avvicinarsi a  questa tradizione milanese all’insegna di buon gusto e qualità. Anche quest’anno il panettone non mancherà e sarà protagonista in tavola, per festeggiare il Natale”.

“Il panettone ancora oggi – ha dichiarato Marco Accornero, consigliere della Camera di commercio di Milano e segretario generale dell’Unione Artigiani della Provincia di Milano –  è prodotto in modo artigianale con l’accuratezza, la sapienza, gli ingredienti nostrani e il buon gusto di una volta. Per questo valorizziamo, partecipando a  questa iniziativa con esperti pasticceri, la qualità di un prodotto simbolo della nostra città”.

“Con questo marchio tuteliamo e promuoviamo un prodotto portatore dell’immagine e del gusto di Milano nel mondo – ha dichiarato Pietro Restelli, presidente Associazione Panificatori Milano, Monza Brianza e province (Confcommercio Milano) – grazie alle sapienti lavorazioni artigianali dei nostri laboratori dolciari”.

“Una iniziativa a cui aderiamo fin dagli inizi come associazione – ha dichiarato Carlo Freni, consigliere di Epam, Associazione pubblici esercizi di Confcommercio Milano -. Crediamo che oggi sia sempre più importante mettere in luce la capacità dei nostri pasticceri, che può essere sempre più apprezzata non solo a livello locale, ma anche internazionale”.

“Si tratta di una opportunità per le imprese del settore – ha affermato Sergio Monfrini, presidente di Assofood Confcommercio Milano – di essere percepite ad un alto livello qualitativo grazie al marchio in vetrina. Una opportunità per i milanesi che per Natale cercano un buon panettone”.

“Occorre riscoprire lavorazioni e sapori antichi come fattore di appartenenza alla realtà in cui viviamo e al nostro territorio, affidandoci alla qualità dei nostri prodotti artigianali –  ha commentato Vincenzo Mamoli  – membro di giunta della Camera di commercio e Segretario regionale di Confartigianato Lombardia”.

“Grazie al disciplinare di produzione del panettone tipico della tradizione artigiana milanese – ha dichiarato Liberata Dell’Arciprete, consigliere della Camera di commercio in rappresentanza dei consumatori – oltre che dare un marchio al panettone tipico prodotto nei vari forni della città, consentiamo al consumatore di poter scegliere un prodotto simbolo del Natale di cui conosce gli ingredienti utilizzati (e quelli per cui non è consentito l’uso) e anche l’intero processo di produzione nelle diverse fasi di lavorazione”.

IL SETTORE DOLCIARIO IN LOMBARDIA
Sono oltre 41 mila le imprese in Italia coinvolte nella produzione e nel commercio di prodotti di pasticceria e panetteria, di cui 5.100 in Lombardia. Milano è al terzo posto in Italia con 1.806 imprese, dopo Napoli (2.396) e Roma (1.863), seguita nella classifica regionale da Brescia (695) e Bergamo (573). In Lombardia sono oltre 23 mila gli addetti coinvolti nel settore e 159 mila in Italia. Milano è prima in Italia con 8.571 addetti, seguita da Roma (6.860) e Napoli (5.925). In Lombardia è seguita da Brescia (2.938), Bergamo (2.446) e Varese (2.102).

I dolci lombardi all’estero valgono 600 milioni all’anno, primi Europa e USA. L’import-export lombardo di prodotti da forno e dolci è di 458 milioni di euro nei primi sei mesi del 2016 su 2,1 miliardi di interscambio nazionale, il 21,5%, +1,9% in un anno. Solo l’export vale 600 milioni all’anno. Supera i 200 milioni di euro l’import-export milanese nel semestre, di cui 137 milioni solo di export che si dirige soprattutto verso l’Unione Europea (108 milioni), America del Nord e Estremo Oriente. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati Istat al primo semestre 2016 e 2015.

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