Stefano Chiarlo è stato confermato presidente dell’Associazione Produttori del Nizza. «L’ordine del giorno del prossimo mandato – commenta il produttore – rimarrà fedele agli sforzi passati dell’associazione. Questa responsabilità è significativa e sono grato per la fiducia accordatami. Dopo aver raggiunto nel 2o23 il traguardo di un milione di bottiglie di Nizza Docg prodotte, siamo pronti a ideare nuove strategie di comunicazione per questo gioiello del Monferrato, che ha catturato l’attenzione dei consumatori esigenti».
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Due squadre, anzi due “parrocchie”: sostenitori e detrattori. Ad oltre vent’anni dall’inizio delle prime sperimentazioni, l’Erbamat continua a dividere la Franciacorta tra produttori che investono in nuovi impianti (ancora pochissimi) e generale scettiscismo (il sentimento imperante). A dirlo sono i dati del vigneto dell’Erbamat, ancora inchiodati nel 2024 tra i 10 e i 12 ettari. Una cifra irrisoria, se si considera che il vitigno è stato riscoperto negli anni Ottanta, quando si pensava di poterne ottenere dei vini bianchi fermi, più che degli spumanti. Risale invece agli anni Novanta la consacrazione dell’Erbamat come varietà «capace di apportare acidità e finezza alle cuvée»: parola del Centro Vitivinicolo Provinciale di Brescia che, in collaborazione con il professor Attilio Scienza, era arrivato a una conclusione che molti sembrano ancora ignorare. Soprattutto quando si accosta il termine «finezza» all’Erbamat, noto per lo più per l’alto contenuto di acido malico.
Del 2023 l’identificazione dei primi due cloni certificati, che potrebbero dare ulteriore spinta alla sperimentazione. «Il progetto Erbamat è stato avviato un po’ “a porte chiuse”, con il coinvolgimento di un numero limitato di aziende che ne hanno fatto quasi un vessillo, mentre molte altre cantine si sono sentite un po’ tagliate fuori almeno in quella fase, iniziando così, per certi versi, a “remare contro” e portando avanti ancora oggi dello scetticismo», ammette a winemag.it Mario Falcetti, dal 2022 coordinatore del Gruppo di lavoro Ricerca e Sviluppo del Consorzio Tutela del Franciacorta, nonché direttore ed enologo di Quadra Franciacorta. «Io stesso ero tra i grandi scettici – continua – perché sostanzialmente si assaggiavano vini diversi, di aziende diverse, prodotti in annate diverse, con composizioni varietali, assemblaggi e tipi di affinamento differenti. Quindi era difficile trarre un filo conduttore».
L’ERBAMAT TRA CURIOSITÀ E SCETTICISMO IN FRANCIACORTA
Alla fine, però, ha vinto la curiosità a casa di una delle cantine più meticolose e all’avanguardia della denominazione, non a caso dirette da uno degli enologi più preparati e controcorrente d’Italia. L’occasione per il primo impianto di Erbamat di Quadra arriva nel 2021, quando emerge la necessità di reimpostare il vigneto sul tetto della moderna cantina di Via Sant’Eusebio, 1 a Cologne (Bs). Un piccolo appezzamento con terreno di riporto, che Falcetti decide di dedicare all’antica varietà autoctona bresciana.
«Nel 2022 – spiega – i primi grappolini ci hanno consentito di realizzare una micro vinificazione: abbiamo ottenuto 150 bottiglie, che assaggiamo in test interni o confronti con esperti del settore, senza nessuna velleità commerciale. Oggi, a maggio 2024, hanno circa un anno di permanenza sui lieviti. Con lavendemmia 2023 dell’Erbamat, più generosa, abbiamo applicato il protocollo di vinificazione “Franciacorta”: vendemmia manuale, pressatura soffice e fermentazione nelle medesime vasche della gamma Quadra. Nei prossimi giorni ne faremo una tiratura un po’ più importante: circa un migliaio di bottiglie, che intendiamo mettere in commercio a un prezzo capace di convincere i curiosi all’assaggio, per amplificare il messaggio dell’Erbamat tra i tanti visitatori che già ce lo chiedono».
L’ERBAMAT DI QUADRA FRANCIACORTA: LA DEGUSTAZIONE
Degustate in anteprima, i due millesimi di Erbamat di Quadra (entrambi in purezza e non dosati) appaiono diversi tra loro pur registrando tenore alcolico e acidità simle (10,50/10,80% vol. e 8 g/l). La 2022 inizia oggi a distendersi nel calice, presentando un deciso profilo “semi-aromatico” mai avvertito in altri campioni del vitigno, prodotti da altre cantine. Molto lontano dall’idea del Franciacorta, si lascia apprezzare a partire dal secondo sorso, per il sostanziale equilibrio tra la componente “aromatica”, davvero non sottovalutabile e fine, e la verve fresca e masticabile – più che tagliente – dell’acidità. Uno spumante, in definitiva, di assoluta dignità.
La base 2023 dell’Ebamat di Quadra, incredibilmente (o forse no), appare più vicina all’idea di Franciacorta di quanto si possa immaginare. Il profilo semi-aromatico è più attenuato e la percezione della sapidità – presente anche nel 2022 – fa il paio con la freschezza, sul fronte delle “durezze”. Ancora una volta c’è equilibrio, sapore, carattere deciso. E non manca, per l’appunto, una certa “identità territoriale”, specie se si pensa all’approccio di Quadra al Franciacorta e all’assoluta riconoscibilità dello stile della cantina situata all’ombra del Monte Orfano. Il tutto al netto della differenza tra il vitigno ancestrale e le varietà Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco. Per tirare le somme, un altro spumante più che mai promettente e da provare.
«Ovviamente – precisa Mario Falcetti – trattandosi di spumanti 100% Erbamat non possono aderire alla denominazione Franciacorta e la 2023 sarà necessariamente messa in commercio come VSQ. Il senso di queste bottiglie è capire il potenziale dell’Erbamat. Al di là che incuriosito, nel mio ruolo di direttore aziendale, mi sento particolarmente investito del ruolo di investigazione e di valorizzazione dell’Erbamat, in qualità di coordinatore del Gruppo di lavoro Ricerca e Sviluppo del Consorzio Tutela. Voglio essere un ponte tra questo team e il Consiglio di amministrazione e mi piacerebbe che questo tipo di esperienza non avesse padroni, promotori unici o ricettori del concetto che sta alla base dell’Erbamat. Vorrei che questo tema fosse visto come un campo neutro di confronto, sul quale affidarsi semplicemente al bicchiere».
FRANCIACORTA, SENTI FALCETTI: «DUE MOTIVI PER CREDERE NELL’ERBAMAT»
Perché altre aziende dovrebbero investire nell’Erbamat? «Abbiamo un’acidità che mantiene una gran persistenza anche in un periodo di raccolta così ritardato – risponde Falcetti – che quindi, con i cambiamenti climatici, diventerà sempre più un patrimonio. L’altro aspetto che io giudico interessante in un’ottica futura di vini più aderenti alle esigenze del consumatore, o al cambiamento del gusto, è che l’Erbamat non è una macchina da accumulo zuccherino come il Pinot Noir o lo Chardonnay: fatica a raggiungere gli 11 gradi in volume naturali, perfetti per le nostre basi Franciacorta».
«Lo osservo con la neutralità del ricercatore – aggiunge Falcetti – cercando di avere risposte dalla pianta e dal bicchiere. Mi auguro possa fare proseliti, non tanto perché auspico o immagino uno stravolgimento del panorama ampelografico della Franciacorta, ma in quanto la percentuale del 10% massimo nella cuvée stabilita nel 2017 dal disciplinare potrebbe essere aumentata. E mi riferisco, in particolare, alle cuvée della tipologia Brut, alle quali potrebbe dare un contributo senza andare a spostare gli equilibri ai quali siamo abituati».
BRESCIANINI SULL’ERBAMAT: «ANCORA PRESTO, MA ALL’ESTERO È GIÀ UNA CHANCE»
Sull’argomento interviene anche Silvano Brescianini, in duplice veste: quella di presidente del Consorzio Tutela del Franciacorta e di direttore generale di Barone Pizzini, che dal 2008 ha impiantato il vitigno autoctono bresciano ed è tra le aziende che stanno sperimentando di più sulla varietà: «Ho sempre sostenuto che l’Erbamat è un regalo che ci fa la storia: non capita a tutti di trovare un vitigno già presente nel bresciano sin dalla metà del Cinquecento».
«Inoltre – continua – è anche una varietà che ha caratteristiche “tecniche” interessanti per fare Franciacorta. Oggi si parla solo della sua acidità, ma un altro aspetto molto interessante è il suo basso contenuto di polifenoli: in parole povere, non ha sostanze che “invecchiano”. Ossida molto poco. Dunque, più si aumenta la percentuale di Erbamat, più cresce la necessità di far perdurare l’affinamento sui lieviti, perché ha una sorta di “effetto antiage”. Lo stiamo studiando e abbiamo solo una possibilità all’anno, ovvero la vendemmia, per fare progressi in termini analitici. Oggi, come presidente della Franciacorta, mi sento di dire che ci stiamo mettendo il nostro impegno per capire se il vitigno possa dare maggiore personalità alle nostre cuvée».
«Come produttore, per conto di Barone Pizzini – aggiunge Silvano Brescianini – mi sento invece di dire che la varietà è molto interessante e che, a mio avviso, in un’epoca in cui lo storytelling ha un certo valore, soprattutto all’estero, parlare di una varietà presente nel Bresciano sin dal Cinquecento e sottolineare che i nostri Franciacorta possono essere ottenuti da un vitigno che abbiamo solo noi, è un aspetto da non sottovalutare. Posso assicurare che a New York, parlare di Erbamat, fa un certo effetto e gli Stati Uniti sono un nostro mercato che non si può sottovalutare». Una storia, insomma, ancora tutta da scrivere.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dopo una fase di conversione durata tre anni, circa 1.300 ettari di vigneti della Wachau sono stati certificati con “Sustainable Austria“. Si tratta delle parcelle coltivate dai membri dell’associazione Vinea Wachau, alcune delle quali possono vantare una pendenza a dir poco eroica. Più di 150 aziende vinicole contribuiscono così a consolidare il primato assoluto della notorietà della regione vinicola. Oltre alla certificazione “Austria sostenibile”, Vinea Wachau ha intenzione di attivare una serie di iniziative innovative per la biodiversità.
Tra queste, l’uso di diffusori di feromoni sintetizzati per confondere la tignola dell’acino d’uva (confusione sessuale), l’allestimento di posatoi per rapaci e cassette di nidificazione per specie rare di uccelli e un progetto di piantumazione sotto ai filari della vite. La certificazione “Sustainable Austria” potrà essere apposta alle bottiglie di Wachau delle categorie Steinfeder, Federspiel e Smaragd, a partire dall’annata 2023.
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I produttori di vino dell’Abruzzo si dicono pronti a «scendere in piazza» e a «riconsegnare le tessere elettorali» per via della «catastrofe peronospora» registrata in occasione della vendemmia 2023. Al loro fianco gli attori della filiera produttiva del mondo del vino abruzzese, che oggi si sono riuniti a Pescara per lanciare «l’ennesimo appello al mondo politico con la speranza di ricevere finalmente risposte concrete alla gravissima situazione causata dalle abbondantissime precipitazioni dei mesi di aprile e maggio». Piogge che, in alcune aree, hanno superato anche i 200 mm/mese: «Circa il triplo della media del periodo, con conseguenze catastrofiche dal punto di vista produttivo» per l’Abruzzo vitivinicolo, comparto che conta più di 15 mila aziende per 32.500 ettari vitati.
«Siamo tutti d’accordo nel dire che questo è davvero l’ultimo appello che il mondo vitivinicolo abruzzese rivolge alla classe politica della Regione Abruzzo, di qualsiasi “colore” essa sia», avvertono all’unisono Assoenologi, Associazione Città del Vino, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Confcooperative, Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, Copagri, D.A.Q. vino, Legacoop, Liberi Agricoltori e Movimento Turismo del Vino. «A vendemmia ormai conclusa – continua la filiera del vino abruzzese – possiamo confermare, con assoluta certezza, un calo medio della produzione di uve di circa il 70%. Un dramma che interessa in maniera diffusa e più o meno omogenea tutte le aziende vitivinicole delle quattro provincie».
VENDEMMIA 2023: 380 MILIONI DI DANNI DELLA PERONOSPORA DA IN ABRUZZO
«Dopo mesi di proclami, promesse e false aspettative – continuano le varie sigle – la classe politica e dirigente della Regione Abruzzo ad oggi non è in grado di dare risposte chiare a sostegno del settore. Per questo saremo costretti a scendere in piazza. Tutti noi in questi mesi abbiamo avanzato specifiche richieste a supporto del mondo produttivo e fornito indicazioni operative in merito all’emergenza peronospora, ma a nulla sono serviti. Siamo pronti anche a riconsegnare le tessere elettorali». Le risorse sin ora erogate vengono giudicate «scarsissime e assolutamente insufficienti per affrontare la difficile situazione del momento».
Nel dettaglio, le perdite vengono calcolate in circa di 2,7 milioni di quintali di uva, pari a circa 2 milioni di ettolitri di vino, che in termini di imbottigliato equivalgono a circa 260 milioni di pezzi. «Se dovessimo fare una stima del mancato reddito delle aziende – chiosa il gruppo pronto a scendere in piazza – possiamo indicare in circa 108 milioni di euro la perdita sulle uve, 130 milioni sullo sfuso e 520 milioni circa sull’imbottigliato. Una stima prudenziale induce a ritenere che la filiera vitivinicola della regione Abruzzo subirà un danno economico non inferiore ai 380 milioni di euro».
LE TRE CONDIZIONI DEI PRODUTTORI ABRUZZESI
In occasione della riunione di Pescara sono stati condivisi tre punti principali «sui quali si potrebbe e dovrebbe intervenire in maniera più che tempestiva». «Sospensione pagamento dei mutui e finanziamenti in essere (conto capitale e interessi) per almeno due anni – elenca la filiera del vino abruzzese – senza porre in primis le “garanzie bancarie” (come è stato fatto durante l’emergenza COVID) che renderebbero automaticamente le aziende richiedenti inaffidabili di fronte alle banche, per almeno 24 mesi, quindi inabili a qualsiasi tipologia di nuovi finanziamenti; sospensione e/o riduzione dei contributi INPS; azzeramento dei tassi d’interesse per finanziamenti acquisto scorte a reintegro con un’istruttoria semplificata e che non tenga conto dei finanziamenti già in essere».
Nei primi due casi, la competenza spetterebbe al governo, mentre, nel terzo, il ruolo della regione risulta fondamentale. «Ci auguriamo che quest’ultima sia portavoce degli interessi del mondo vitivinicolo abruzzese anche su tavoli nazionali – conclude il gruppo -. Tutta la filiera produttiva vuole fare questo ultimo appello, prima di procedere con le manifestazioni di piazza alla presenza di centinaia di migliaia di produttori stremati dalla difficilissima situazione e che, se non adeguatamente aiutati e supportati, rischiano di vedere vanificare decenni di duro lavoro».
Peronospora della vite, è emergenza nazionale in Italia in vista della vendemmia 2023
Peronospora della vite, è emergenza nazionale in Italia in vista della vendemmia 2023. La situazione regione per regione, secondo Uiv
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Entrano a Vinitaly mischiandosi tra la folla, acquistando il ticket “operatori”, oppure con i pass di altre aziende. Non hanno uno stand in cui esporre. In compenso introducono a Veronafiere valigie piene dei loro vini. Poi, nelle zone comuni o tra gli stessi padiglioni, trascorrono le giornate a proporre assaggi dei loro vini a buyer e visitatori. Suona più o meno così il Vinitaly dei produttori furbetti: costi ridotti all’osso e obiettivo comunque centrato, approfittando della più importante fiera del settore in Italia, in programma nel 2023 a Verona, dal 2 al 5 aprile.
Una pratica tanto comune da passare ormai quasi inosservata, in alcuni padiglioni. La segnalazione arriva a winemag.it da alcuni produttori, stanchi di pagare la retta di Veronafiere per vedere poi colleghi portare a casa lo stesso risultato. Nell’ombra. Sempre secondo le fonti di winemag.it, i produttori furbetti del Vinitaly agirebbero con la complicità di altri espositori paganti. La notizia non viene confermata da Veronafiere, che si dice all’oscuro del fenomeno.
VERONAFIERE AVVISA: «SALE RISERVATE AGLI ESPOSITORI ISCRITTI»
Alla richiesta di un commento, l’ufficio stampa dell’ente veronese risponde piuttosto piccato: «Apprendiamo con sorpresa della pratica che sarebbe ormai piuttosto comune a Vinitaly, in base alla quale diversi produttori senza stand hanno preso l’abitudine di intrufolarsi tra i padiglioni e nelle aree comuni per far assaggiare i loro vini, portati all’interno della Fiera con valigie e trolley».
«Atteso che non abbiamo avuto mai alcuna evidenza né segnalazione in tal senso, chiediamo alle vostre fonti di rivolgersi direttamente a noi, così da consentirci di conoscere i presunti fatti e porre in essere le dovute verifiche. Per il resto – conclude Veronafiere – non possiamo che ribadire come durante Vinitaly le sale per incontri, degustazioni e/o convegni sono riservate agli espositori regolarmente iscritti, a tutela dei quali sempre agiamo con il massimo impegno».
Da ulteriori approfondimenti di winemag.it, risulta che qualcuno abbia già preso da anni provvedimenti per evitare che i vini di produttori non paganti finiscano per essere degustati tra i padiglioni di Veronafiere. Si tratta di Fivi che, sin dalle edizioni precedenti la pandemia, ha chiesto ai propri associati di non favorire il proliferare di etichette di vignaioli non presenti agli stand. Pena per l’ospitante, la perdita del diritto al banchetto. Furbetto avvisato, furbetto salvato.
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FOTONOTIZIA – «Prosecco in lattina? Nel momento in cui i produttori vorranno affrontare questo tema, decideranno cosa fare». Così il governatore del Veneto Luca Zaia, intervistato sull’argomento nei giorni scorsi dall’emittente tv veneta Antenna Tre Nord Est. «A mio avviso, in questa fase, è necessario rimanere ancorati alla tradizione, che fino ad oggi ci ha premiato», ha poi aggiunto Zaia, facendo sempre riferimento all’eventuale modifica del disciplinare di produzione che consentirebbe ai produttori di commercializzare il Prosecco in lattina, oltre che nella classica bottiglia di vetro.
«Se siamo arrivati a un miliardo di bottiglie nel mondo e a una bottiglia di Prosecco su tre di bollicine nel mondo, un motivo ci sarà», ha concluso il governatore del Veneto. Intanto cresce – e crescerà ancora nel 2023 – il costo del vetro. Un aspetto che, più di altri, invita il settore a interrogarsi sul futuro e su packaging alternativi, come la lattina.
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«Vini che già oggi svelano grande colore purpureo, morbidezza e struttura, ma sorprendentemente gradazioni alcoliche non esasperate con carattere di equilibrio impensabile». Ecco cosa aspettarsi dalla vendemmia 2022 dei Nizza Docg, secondo il presidente dell’Associazione Produttori del Nizza, Stefano Chiarlo.
La vendemmia 2022 sarà ricordata per la “resilienza” climatica che la vite ha dimostrato e per l’attuazione delle pratiche virtuose che i produttori del Nizza, facendo tesoro delle annate precedenti con condizioni climatiche simili, hanno adottato ottenendo vini di ottima qualità, carattere ed equilibrio».
Due le parole con cui si può sintetizzare la vendemmia 2022 del Nizza Docg: calda e secca. Queste condizioni climatiche impegnative si sono concretizzate in una raccolta mediamente anticipata di circa 10/15 giorni per la varietà Barbera nella zona.
Climaticamente l’annata 2022 ricorda molto la 2017. Con la differenza che quest’anno la vite ha sviluppato un maggior adattamento. Reagendo con una grande resilienza definita «sorprendente» dagli stessi produttori.
Un commento che accomuna i produttori del Nizza a quelli del Moscato bianco per l’Asti Docg, che proprio ieri hanno tirato le somme sulla vendemmia 2022. Uscendo dai confini nazionali, si sono detti «sorpresi» dell’esito dell’annata anche i vignaioli della Valle del Douro, zona notoriamente connotata da vini con alte gradazioni alcoliche.
STEFANO CHIARLO: «RESE BASSE DETERMINANTI PER IL NIZZA DOCG»
Il fattore critico, per i produttori del Nizza Docg, è stato la scarsità idrica con una riduzione del 60% della caduta d’acqua rispetto ad un’annata normale. Nel dettaglio si parla, nel 2022, di soli 400 mm d’acqua rispetto ad uno standard di 950 mm.
«Tutto ciò – spiega l’Associazione produttori del Nizza – deriva da scarse nevicate invernali, moderate piogge primaverili e da un’estate lunga e siccitosa contrassegnata da rari temporali che fortunatamente non sono stati grandiniferi».
Ma «l’esperienza, l’ingegno e la sensibilità dei viticoltori» hanno permesso di adottare le giuste pratiche agronomiche nel vigneto. Per fronteggiare condizioni climatiche impegnative «senza intaccare l’equilibrio e la qualità del prodotto».
Il fatto che da disciplinare la resa per ettaro, stabilita a 70 quintali, sia più bassa rispetto alle altre – commenta ancora Stefano Chiarlo – è stato un ulteriore fattore che ha fatto in modo che le viti superassero meglio di altre lo stress idrico. Le vigne del Nizza Docg hanno dunque saputo reagire molto bene».
A garantire «la perfetta maturazione delle uve preservandone la freschezza, l’integrità e l’equilibrio» hanno contribuito anche altre decisioni. Tra queste, la scelta di lasciare la vegetazione a proteggere i grappoli dall’insolazione diretta, evitando che le bucce venissero danneggiate e consentendo ai grappoli di non disidratarsi. A buon fine anche il ritardo sul consueto periodo riservato ai diradamenti, al pari dell’anticipo della vendemmia.
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Prosegue spedito il viaggio verso il Montepulciano d’Abruzzo Terre dei Vestini Docg. L’associazione di produttori presieduta da Enrico Marramiero porta avanti la richiesta di riconoscimento della Denominazione di origine controllata e garantita per il Montepulciano d’Abruzzo prodotto nell’attuale sottozona Terre dei Vestini.
Un areale compreso tra la fascia collinare litoranea e la collina interna della provincia di Pescara, delimitata dal mare Adriatico ad est e a dal massiccio del Gran Sasso a nord-ovest.
IL PRIMO EVENTO DELL’ASSOCIAZIONE
Domenica 13 febbraio, i venti produttori locali organizzano negli spazi dell’Imago Museum di Pescara “Radici Vestine – Innesti di Cultura e Territorio“, primo evento ufficiale dell’Associazione Montepulciano d’Abruzzo Terre dei Vestini. Aprirà le danze, alle 10.30, il convegno “La Vocazione Vitivinicola del Territorio dei Vestini”.
Dopo i saluti istituzionali del presidente della Fondazione Pescarabruzzo Nicola Mattoscio, dell’assessore regionale all’Agricoltura Emanuele Imprudente e del Presidente del Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo Valentino Di Campli, interverranno l’agronomo Fabio Pietrangeli, il produttore Francesco Paolo Valentini e il presidente della Cantina Comunale di La Morra Matteo Ellena che porterà l’esempio delle Langhe.
Nel pomeriggio la degustazione di Montepulciano d’Abruzzo Terre dei Vestini e i vini di quindici cantine delle Langhe. Si tratta di Azienda Marramiero, Cantine Bosco Nestore, Lampato, Tre Gemme, Chiarieri, Contesa Vini, Poderi Costantini Antonio, Marchesi de’ Cordano, Tenuta de Melis, Tenuta del Priore e Torre Raone.
MONTEPULCIANO D’ABRUZZO MODELLO LANGHE
E ancora, per le Langhe: Domenico Clerico, Michele Mascarello, Alberto Burzi, Giovanni Corino, Alberto Ballarin, Giuseppe Ellena, Gianni e Matteo Ramello, Osvaldo Viberti, Flavio Saglietti, San Biagio, Il Chiosso, la Bioca, Christian Boffa e Aurelio Settimo. La degustazione si svolgerà su tre turni da un’ora e mezza, con ingressi previsti alle 16.00 alle 17.30 e alle 19.00.
«Con tutti i 20 amici produttori pescaresi – commenta il presidente Enrico Marramiero – vogliamo lanciare un forte messaggio di condivisione e, allo stesso tempo, di confronto, invitando i rappresentanti di un territorio come le Langhe che per noi rappresenta una vera e propria stella polare nel percorso di crescita non solo associativa, ma anche di tutto il territorio vestino. Una zona in cui affondano le radici della culturali e storiche d’Abruzzo».
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Sul sito web ufficiale della Doc Prosecco, Trieste e provincia vengono descritte come «un altopiano che regala emozioni». Una descrizione quantomeno soggettiva, stando ai malumori che regnano da oltre 10 anni fra Treviso e i produttori del Carso. Domani, un’altra goccia potrebbe far traboccare il vaso già colmo, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia.
A promettere battaglia ai microfoni di WineMag.it è Matej Skerlj. Il presidente dell’Associazione Viticoltori del Carso, domani farà gli onori di casa in occasione del convegno d’apertura di Mare e Vitovska in Morje 2021, al quale è atteso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli.
«Ci sarà da ballare – anticipa Skerlj – esprimeremo concetti un po’ caldi, “talebani”. Vorremmo restare padroni del nostro territorio. Qui sul Carso, negli ultimi anni, abbiamo subìto delle Doc “di cappello” come Doc Prosecco, Doc Friuli Venezia Giulia, Doc Pinot Grigio che non ci appartengono».
RISCHIO BOOMERANG: «LE DOC DI CAPPELLO HANNO FALLITO NEL CARSO»
Se un produttore del Carso registra un vigneto in un’altra Doc, per esempio quella del Prosecco, si sa bene che le decisioni su quell’appezzamento saranno prese presumibilmente da un collega di Conegliano che ha ettari quanta mezza Lombardia. Uno che non conosce assolutamente le condizioni e le esigenze di questo territorio. Il motivo è presto spiegato: le Doc non funzionano in democrazia, ma come delle Spa. Chi ha più ettari ha il potere decisionale»
Un’entrata in scivolata sul tema, caldissimo, dei meccanismi di rappresentatività all’interno dei Consorzi del vino italiano. Una querelle che, a livello nazionale, sembra interessare solo alla Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi). L’unica a richiedere una revisione dei criteri, nel silenzio delle associazioni di categoria.
Proprio per difendere gli interessi dei produttori del Carso, Matej Skerlj non vuole perdere l’occasione dell’incontro con Patuanelli. «Con tutte queste “Doc di cappello” non si parla più di territorialità – ammonisce il presidente dell’associazione carsolina -. Siamo di fronte all’abc di come perdere l’identità di un territorio. Un po’ come dare le chiavi di casa a uno sconosciuto. Queste Doc vogliono dire perdere il contatto con le nostre radici, i nostri suoli, la nostra storia. E non avere la possibilità di costruire il futuro per i nostri figli».
IL LOGO UFFICIALE DEI PRODUTTORI DEL CARSO
Al contrario, l’Associazione Viticoltori del Carso intende «rimanere padrona dell’identità locale». E «costruire la promozione su questo territorio e sulla Vitovska, non su progetti campati in aria che fanno favori solo alle grande aziende e ai grandi portafogli». Da qui il progetto di «un logo del Carso».
Un’azione di marketing territoriale – anticipa Matej Skerlj a WineMag.it – che non comprenda solo il vino, ma metta in rete una serie di disciplinari che interessano anche il food. Il vino da solo non fa molta strada senza altre filiere. Qui abbiamo olio, prosciutto, formaggio, miele. Una squadra di imprenditori del territorio, interessati a promuoversi in giro per il mondo».
Del logo, allo studio con il Gal guidato da David Pizziga, esiste già una bozza, che dovrebbe essere approvata e presentata entro fine anno. Più criptiche le logiche dei disciplinari. «Sul fronte del vino potranno adottare il logo del Carso tutti i produttori aderenti alla Doc Carso. Biologico certificato? No – risponde Skerlj – il territorio non è ancora pronto, ma è nel mio profondo volere, alla prima occasione di revisione del disciplinare, almeno eliminare i diserbanti».
Il macro obiettivo è chiaro. «Sarà impossibile eliminare la Doc Prosecco dal Carso – sottolinea il presidente dell’Associazione che domani accoglierà in convegno il ministro Patuanelli – ma tutte queste Doc hanno fallito. Il Friuli ha già perso la nomea di regione di grandi bianchi. Un domani perderemo la nomea del Made in Italy, se continueremo su questa strada». All’orizzonte, anzi dietro l’angolo, un tentativo di sterzata. Anzi, di inversione a “u”. Appuntamento alle 15.30, al Castello di Duino.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Nell’Italia che riconosce la viticoltura eroica per Decreto solo nel 2020 – la notizia è del primo luglio – si parla forse ancora troppo poco di “tappatura eroica” dei vini: quella col tappo a vite. Lo “screwcap” non è gradito al mondo della ristorazione italiana, ancorata su un’ormai anacronistica posizione sugherocentrica, che condanna (o elegge) ad “eroi” i produttori più sfidanti.
Nella preistoria che imbrattata le carte dei vini di mezzo Paese, il progresso enologico si tiene stretta la sua capitale italiana. È l’Alto Adige, che coi suoi grandi vini bianchi e rossi prova a prendere per le orecchie lo Stivale. Mostrando questa volta la strada maestra che porta al tappo a vite, in alternativa al sughero. Anche per i vini da lungo affinamento.
Il Consorzio Vini Alto Adige ha infatti organizzato ieri una masterclass a sei voci: Cantina Kaltern, Cantina Valle Isarco e Cantina Bolzano per la chiusura “tradizionale”; Falkenstein, Tiefenbrunner e Franz Haas per il tappo a vite. Altrettanti i vini, attorno ai quali è stato animato il dibattito.
Cantina Kaltern
Pinot Bianco Quintessenz 2018
sughero
Falkenstein
Val Venosta Riesling 2017
vite
Cantina Valle Isarco
Valle Isarco Kerner Aristos 2018
sughero
Tiefenbrunner
Sauvignon Blanc Turmhof 2017
vite
Franz Haas
Pinot Nero 2017
vite
Cantina Bolzano
Lagrein Riserva Taber 2015
sughero
Tra gli interventi più significativi quello di Christof Tiefenbrunner (nella foto sotto) pioniere del tappo a vite in Alto Adige. Una scelta adottata sin dal 2007 sul Pinot Grigio destinato all’export, allargata al vino top di gamma dall’anno successivo, “per dare il messaggio che è una tappatura adatta anche a vini di altissima qualità”.
Vendere il Feldmarschall col tappo a vite non è mai stato un problema – ha evidenziato il numero uno di Tiefenbrunner Schlosskellerei – trattandosi di un Müller-Thurgau unico, un marchio. Ma quando abbiamo messo il tappo a vite su altri prodotti abbiamo riscontrato un calo delle vendite del 20%. Negli anni abbiamo sostituito i ristoranti contrari allo screwcap con altri, invece favorevoli”.
Le resistenze sono diminuite, ma non ancora superate. “Questo metodo di tappatura dei vini resta una scelta difficile – ha precisato Tiefenbrunner – ci sono ancora ristoranti che non vogliono vedere il tappo a vite. Negli ultimi 3 anni è più accettato, anche perché consente ai ristoranti di tenere una bottiglia aperta una settimana e ci sono vantaggi anche sul fronte dei solfiti, praticamente dimezzati“.
Significativo anche l’intervento di Andrea Moser, enologo di Kellerei Kaltern: “La nostra cantina – ha dichiarato – ha scelto il tappo a vite soprattutto per i mercati che lo accettano di buon grado. Ma non posso che evidenziare un concetto: il 60-70% degli enologi ormai stufi dei problemi connessi al sughero, non più legati al classico ‘sentore di tappo‘, riconoscibile facilmente dalla maggior parte dei consumatori”.
“Il vero guaio – ha evidenziato Moser – sono le microcessioni di tca, diosmine, pirazine e tannini amari, che portano il consumatore meno esperto a dire che quel vino non è buono, per via di deviazioni olfattive che non attribuisce al tappo, ma al produttore!”.
Il tappo di sughero resta l’ideale, ma il punto è: quanto ce n’è ancora e quanto siamo disposti a pagare per averlo, dal momento che un buon tappo costa 1,20-1,30 euro al pezzo, incidendo troppo sul prezzo finale del vino? Salendo di prezzo non esiste comunque la garanzia assoluta di consegnare al calice il vino come lo abbiamo imbottigliato”.
Dall’altra parte della “bottiglia”, il sommelier Fis Eros Teboni: “Quello del tappo a vite è un argomento sempre attuale e moderno. Ma l’Alto Adige, grazie alla grandissima grandissima varietà di vini bianchi e rossi, atti o meno ai lunghi affinamenti, può fare davvero da portabandiera dei metodi più innovativi di tappatura. Col tappo a vite si perde un po’ di romanticismo nel ‘rito della stappatura’, ma si guadagna nel calice, da godere in compagnia”.
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Due ricerche a confronto (una italiana, l’altra francese) per sostenere una tesi: il settore del vinoitaliano dovrebbe dare più credito a banche, fondi, garanzie e prestiti. Il webinar organizzato ieri pomeriggio da Foragri sul binomonio vino e finanza, oltre a confermare la solidità delle imprese italiane del settore vitivinicolo – anche a fronte dell’emergenza Coronavirus – ha evidenziato la scarsa fiducia nei confronti del credito da parte dei piccoli produttori.
A sottolinearlo, quasi involontariamente, sono stati gli interventi di Alessandro Giacometti, responsabile area Strategie commerciali di Banca Monte dei Paschi di Siena ed Emanuele Fontana, responsabile Servizio Agri-Agro di Crédit Agricole Italia. Solo il 3-5% dei clienti titolari di aziende agricole si è rivolto agli sportelli per un prestito. Dato che sale al 10-15% per i titolari di imprese attive in altri settori produttivi.
Ciliegina sulla torta le parole di Walter Ricciotti. Indicando come esempio virtuoso quello di Prosit, holding che può contare sul fondo di private equity Made in Italy Fund, il co-fondatore e Ceo di Quadrivio Group ha di fatto chiarito quali siano i profili più adatti al binomio vino e finanza.
Ovvero aziende interessate a crescere nel medio e lungo periodo, implementare la produzione e puntare dritto sull’estero, con operazioni di branding. Addirittura aggregandosi tra loro, proprio come avvenuto con Prosit. Qualcosa di ancora molto lontano dal mondo e dalla progettualità delle piccole imprese a conduzione famigliare e dei vignaioli. Illuminanti, in questo senso, i numerosi interventi di esponenti del mondo della produzione.
La presidente Fivi Matilde Poggi, rivolgendosi al Sottosegretario del Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Giuseppe L’Abbate, non ha fatto alcun accenno al sistema del credito. Confermando, piuttosto, la preferenza di misure per lo stoccaggio privato e la richiesta di abbassare l’aliquota Iva sul vino dal 22 al 10%, passando dall’ordinaria all’agevolata almeno per i prossimi tre anni e mezzo.
Un’ipotesi sul tavolo dei ministri Teresa Bellanova e Roberto Gualtieri già da fine maggio, che non gode tuttavia del pieno appoggio della base della Federazione di “indipendenti”, dubbiosa sugli effettivi benefici del provvedimento, giudicato persino deleterio per le piccole imprese.
Sul fronte dell’Iva anche la “provocazione” – così è stata definita dallo stesso relatore – di Davide Gaeta, professore associato del dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli studi di Verona: “È davvero un tabù la riduzione dell’imposta sul valore aggiunto, oppure può essere uno strumento, seppur temporaneo, per l’incentivazione dei consumi nazionali?”.
Tra i produttori, emblematico l’intervento di Sandro Boscaini, titolare di Masi Agricola, nonché presidente di Federvini. Anche in questo caso, nessun accenno al credito. Piuttosto, un appello accorato alle istituzioni.
“Oltre al tema della liquidità – ha sottolineato – il problema nel medio e lungo termine è quello di riequilibrare domanda e offerta nel settore del vino. Vendemmia verde, distillazione e riduzione rese sono tutte belle cose, necessarie come un ‘cerotto’. Ma non dobbiamo mai dimenticare che, al di là dell’emergenza, noi produciamo per vendere“.
L’attivazione della domanda ci serve per mantenere sano il flusso del nostro business, in Italia come all’estero. C’è necessità assoluta di intervenire, di aiutare chi ha sofferto di più il lockdown da Coronavirus, ovvero il mondo della ristorazione e, in generale, dell’Horeca. Va inoltre riattivato il turismo, che ogni anno genera un indotto straordinario attorno al vino”.
Non ultimo l’export: “Mi sento di spendere parole forti su questo fronte – ha sottolineato Sandro Boscaini – bisogna riattivare subito le esportazioni, farlo adesso, con mezzi immediati. Abbiamo già perso un mucchio di opportunità, compreso Vinitaly. C’è la necessità di stanziare fondi ad hoc e di fare promozione al Made in Italy“.
Sulla stessa linea il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella: “Come categoria – ha dichiarato – ci sentiamo molto vicini e solidali al mondo della ristorazione e condividiamo l’urgenza e la priorità di interventi utili a ridare al vino il suo teatro: i ristoranti sono il palcoscenico in cui il vino italiano è attore protagonista”.
Tra i relatori anche Raffaele Borriello: “Non bisogna solo aspettare che riaprano i canali tradizionali come la ristorazione, ma dobbiamo piuttosto iniziare a ragionare tutti su un mondo nuovo, lasciatoci in eredità da Coronavirus”, ha avvertito il direttore generale dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare.
Sul fronte delle garanzie, Ismea ha garantito alle imprese agricole 215 milioni di euro complessivi, dal 22 di aprile al 16 giugno. In chiusura, Borriello ha evidenziato il successo della misura della cambiale agraria da 30 milioni di euro, augurandosi che venga rifinanziata tra le misure del Decreto Rilancio.
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Bianco, autoctono, piemontese. L’identikit della Nascetta, nota anche col nome di Nas-Cëtta, è presto compilato. Altro dettaglio importante: la Doc compie 10 anni in Piemonte e festeggia con Nas-Cëttaland Virtual, una degustazione guidata che vedrà protagonisti gli 11 produttori dell’Associazione Produttori di Nas-Cëtta del Comune di Novello, presieduta da Valter Fissore.
I vignaioli si collegheranno sulla piattaforma Zoom dal piccolo Comune della provincia di Cuneo – simbolo di un altro grande vino italiano, il Barolo – martedì 7 luglio alle ore 11.00. Sarà l’esordio ufficiale dell’Associazione, rivolta alla stampa, agli operatori e agli appassionati.
Gli invitati al Nas-Cëttaland Virtual riceveranno un originale kit degustazione con 11 bottiglie, una per ciascuna cantina associata, da degustare assieme ai produttori. Si tratta di Arnaldo Rivera, Cascina Gavetta, Elvio Cogno, La Pergola, Le Strette, Stra, Vietto, Luca Marenco, Marengo Mauro, Casa Baricalino e San Silvestro.
“Sarà il modo per conoscere come è avvenuta la riscoperta di questa varietà”, assicurano i vignaioli. Nas-Cëttaland Virtual sarà inoltre l’occasione per presentare la Cantina Comunale di Novello: “Una vera e propria ‘casa del vino’, dove possono essere degustati e acquistati tutti i vini degli associati ma anche una ampia rosa di vini del territorio”, annunciano i produttori.
A lungo dimenticata perché poco produttiva, la Nas-Cëtta è un vitigno antichissimo, citato già nel 1700 come uva tipica del Comune di Novello. La riscoperta di questo vitigno bianco si deve a Elvio Cogno, Valter Fissore e alcuni produttori locali, in particolare l’azienda agricola Le Strette.
Un percorso iniziato negli anni Novanta, grazie alle prime sperimentazioni di vinificazione in purezza della Nascetta. Nel 2010 è stato ufficialmente riconosciuto come vino bianco autoctono Doc delle Langhe, con la possibilità di vinificarlo con solo uve 100% Nas-cetta.
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“Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. Citano Fernand Braudel i “vignaioli del Mediterraneo” protagonisti del nuovo progetto “Halará, vignaioli in Marsala“.
Questo il nome scelto per la “casa comune trovata nel territorio marsalese” da Tanca Nica (Francesco Ferreri, Pantelleria), Bonavita – Vignaioli in Faro Superiore, La Distesa (Cupramontana, Marche), Stefano Amerighi (Cortona, Toscana), Antonino Barraco (Marsala) e ‘A Vita – Vignaioli a Cirò (Calabria).
La Sicilia al centro di un’idea comune di fare vino, con Tanca Nica, Bonavita e Barraco pronti a rotolare verso nord, accogliendo il calabrese Francesco Maria De Franco, i marchigiani Valeria Bochi e Corrado Dottori il toscano Stefano Amerighi, presidente del Consorzio Vini di Cortona.
“Siamo in sei – anticipano i vignaioli – 6 famiglie, amici prima che aziende. Siamo insieme a Marsala per un’idea, un sogno o solo per il piacere di stare insieme”. I dettagli del progetto, come conferma a WineMag.it Francesco Maria De Franco, saranno divulgati nei prossimi giorni.
Quel che è certo è che Halará vignaioli in Marsala esordirà sul mercato con tre etichette, imbottigliate da Nino Barraco: i vini da tavola Halará bianco (13%) e Halará rosato (11,5%) e il Terre Siciliane Igp Halará rosso (12%).
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EDITORIALE – Mentre l’economia italiana affonda sotto i colpi di Coronavirus, loro che fanno? Inventano un hashtag al giorno e si fanno fotografare in vigna e in cantina con la mascherina anti contagio in bella vista, sul volto. Peccato che attorno non ci sia nessuno e che le disposizioni del Ministero dicano ben altro. Forse sbaglio io. Ma certi produttori, in questi giorni di panico e di allarme anche sociale stanno facendo più danni al vino italiano sui social, che Covid-19 per le piazze del Bel paese.
Sarebbe bello poter sostenere che queste patetiche esibizioni su Facebook ed Instagram facciano male solo allo stomaco di chi ha un po’ di sale in zucca, o ancor meglio ai diretti interessati.
Il fatto, purtroppo, è che foto come queste – che circolano mentre gli occhi del mondo sono fissi sull’Italia – danneggiano inesorabilmente l’intero settore, in un momento in cui centinaia di aziende agricole (non solo vitivinicole) rischiano di essere spazzate via dal vento invisibile arrivato dalla Cina.
Le foto dei produttori di vino con la mascherina, in vigna o in cantina, riescono nel miracolo di far provare simpatia (oggettiva) per Veronafiere, che in questi giorni – contro tutti, tranne che i propri interessi, va detto – sta cercando di tenere in piedi con le unghie e con i denti un Vinitaly 2020 con la flebo nelle vene, riprogrammato dal 14 al 17 giugno.
Già, perché se da un lato c’è qualcuno (incravattato) che si sta facendo un culo così per salvare il salvabile del comparto (criticabile o meno che sia), dall’altro ci sono incommensurabili idioti che, nel nome di due fottuti like, sono disposti a mandare messaggi sgradevoli al mondo intero, tra l’ilarità dei più.
Facciamocene una ragione, allora, se la Francia ride di noi con la pizza Corona di Canal+: non è strafottenza, è pietà. Siamo i primi a far ridere il mondo per come spesso (s)comunichiamo le nostre eccellenze, al posto di trasmettere la voglia di scoprire l’Italia. Torniamo tutti sul pianeta Terra. Ce n’è un gran bisogno. Cin, cin.
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Non solo più bottiglie, ma anche un valore crescente a scaffale. Il Nizza Docg si conferma tra i progetti di filiera di maggiore successo del Made in Italy enologico. I numeri snocciolati da Valoritalia attestano la crescita a doppia cifra della produzione (+44,75%) in occasione della vendemmia 2019. La Denominazione raggiunge infatti le 632.536 bottiglie: 37.116 sono di Barbera d’Asti Superiore Nizza Docg e 594.420 di Nizza Docg. Ben 195.555 in più rispetto al 2018.
Da un’analisi più estesa si evince che, dal 2016 al 2019, l’ormai ex sottozona della Barbera d’Asti Doc Superiore è cresciuta in modo costante, con un incremento del 100% rispetto alle 315.472 bottiglie complessive del 2016. L’imbottigliato è salito del 17% tra il 2016 e 2017, del 18% tra il 2017 e il 2018 e del 44,75% nell’ultimo biennio.
Siamo orgogliosi di vedere tali risultati – commenta Gianni Bertolino, presidente dell’Associazione Produttori del Nizza – in quanto sono il frutto di una grande sfida partita all’inizio del 2000 e che negli anni è stata accolta da un numero crescente di produttori, ad oggi oltre 60. I numeri che crescono danno la misura della fiducia che i produttori e i consumatori hanno nel progetto Nizza, un progetto vero di territorio”.
Alla crescita del numero di bottiglie prodotte si è accostato l’incremento del prezzo medio di vendita di una bottiglia di Nizza Docg. “L’Associazione – continua Bertolino – ha sempre voluto un Nizza che esprimesse eccellenza e un vino che fosse giustamente remunerativo, per dare la possibilità ai produttori di reinvestire risorse maggiori nella propria attività”.
“In un mercato altamente competitivo e che richiede sempre più l’eccellenza è fondamentale migliorare la tecnologia di produzione, implementare la qualità e le condizioni lavorative oltre che sviluppare iniziative di marketing per la promozionare del territorio”, chiosa il presidente dell’Associazione produttori piemontese.
Secondo l’Enoteca Regionale di Nizza Monferrato, il prezzo medio delle bottiglie di Nizza Docg a scaffale in enoteca è di 22,30 euro, con prezzi minimi intorno ai 10/13,00 euro e massimi che superano gli 85,00 euro.
“Valori – commenta Bertolino – che fino a non molti anni fa sembravano difficilmente raggiungibili in questa parte di Piemonte. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma questo valore si riverserà a catena su tutta la filiera. Si vedono già alcuni riscontri tangibili, per esempio il valore crescente dei vigneti”.
“Il Nizza Docg – precisa Daniele Chiappone, vicepresidente dell’Associazione Produttori del Nizza – diventa dunque una Denominazione di riferimento anche per il valore che riesce ad esprimere. Il numero di bottiglie è importante ma la sua remuneratività, in un contesto produttivo fatto di tante piccole aziende, è fondamentale”.
Un’area capace, tra l’altro, di attrarre turismo dall’estero, grazie al lavoro dei tanti ambasciatori del Nizza Docg, in mercati chiave per l’export come gli Usa. Oltre agli ottimi vini ottenuti dall’uva Barbera, Nizza offre infatti eccellenze gastronomiche come i cardi gobbi, il tartufo e pregiate carni della razza bovina Piemontese.
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ROMA – “Certificare il vino naturale“. Volentieri ma come, se i produttori sono divisi sugli strumenti da adottare? In un’intervista esclusiva rilasciata martedì a WineMag.it, il ministro alle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio ha aperto le porte del Ministero “per valutare l’opportunità di regolamentare il settore del vino naturale” attraverso “ampie consultazioni con tutti i soggetti coinvolti”.
Di fatto, però, è solo Angiolino Maule, patron di Vinnatur, ad accogliere in toto le dichiarazioni del ministro. Il Consorzio ViniVeri, attraverso il presidente Giampiero Bea, ha indirizzato una lettera al Capo Segreteria del ministero alle Politiche Agricole, Stefania Bellusci, per fissare un incontro a Roma con Centinaio.
L’obiettivo di Bea, così come quello dei Van (Vignaioli Artigiani Naturali, tra le associazioni più radicali del segmento) è parlare di etichettatura più che di certificazione. La richiesta al ministro sarà quella di poter indicare sulle etichette la dicitura “vino naturale”.
LE REAZIONI “Sono d’accordo col ministro Centinaio – commenta il fondatore di Vinnatur, Angiolino Maule – serve una regolamentazione. È ora di smettere di certificarsi solo a parole: un produttore non può sentirsi superiore a chi fa vino biologico o biodinamico solo perché fa vino naturale”.
Il concetto di naturale oggi è basato, non solo in Italia ma anche all’estero, solo su chiacchiere ed è vergognoso che dopo tutti questi anni ancora non si sia arrivati a dare delle regole generali e a rispettarle”, rincara la dose Maule.
“Noi di VinNatur ci battiamo fin dalla nostra nascita affinché queste regole, che noi nel nostro piccolo abbiamo cercato di darci, diventino obbligatorie per tutti. Chi fa vino naturale non deve aver paura di un Disciplinare o di sottoporsi ad analisi o a piani di controllo per certificarsi”, conclude il patron di VinNatur.
Giampiero Bea (Consorzio ViniVeri) punta tutto sull’etichetta. “Non abbiamo bisogno di nuovi organismi di controllo che passino il loro tempo a spulciare le carte dei produttori, come avviene per il biologico. Piuttosto ci venga concessa l’opportunità di dichiararci diversi, sin dall’etichetta”.
Per ‘diversi’ non intendo migliori – continua Bea – perché tutti i vini che sono in commercio sono evidentemente legittimi. Il vignaiolo naturale si trova però di fronte al ridicolo ostacolo di non poter comunicare sull’etichetta del vino la propria diversità.
Il primo garante del vino naturale è il suo produttore: se sgarra viene punito dagli organismi competenti, come gli altri. Associazioni come la nostra, del resto, verificano da tempo l’ottemperanza delle regole stabilite dallo statuto, con controlli a campione nei vigneti dei soci”.
“L’apertura espressa dal ministro – conclude Bea – illumina la strada e porta a dare fiducia alla classe politica italiana. Nell’intervista a voi rilasciata, l’onorevole Centinaio ha dimostrato grande lucidità e serenità di giudizio. E’ caduto il muro di Berlino: cadrà anche il muro che fa ombra sui vini naturali”.
Più duri i Vignaioli Artigiani Naturali (Van). “Non vogliamo altra burocrazia – commentano in una nota inviata alla redazione di WineMag.it – o altri controlli esclusivamente sulle carte ad opera di Organismi certificatori. Chiediamo che si abbia il coraggio di percorrere una strada diversa, affidandosi alla Certificazione Partecipata. Una autocertificazione che coinvolga le associazioni dei consumatori e le amministrazioni locali”.
“Auspichiamo quindi un incontro fra i rappresentanti delle associazioni del Vino Naturale per arrivare ad una posizione condivisa, forte, univoca, prima che l’industria si impossessi dell’ennesimo vocabolo, svilendone il significato”.
IL RISCHIO MARKETING Un riferimento esplicito ad aziende di tipo “industriale” come Pasqua Vigneti e Cantine, che ha appena presentato a Milano il suo primo “vino naturale” (qui la notizia).
Un progetto chiaramente orientato al marketing (l’azienda veneta, infatti, opera ampiamente in Gdo e in discount come Lidl) che suona come un campanello d’allarme per quei produttori che si riconoscono nei principi e nella filosofia del “vino naturale”, anche al di là dell’etichetta.
“Una eventuale regolamentazione – continuano i Van – non può prescindere da protocolli condivisi dai membri delle varie associazioni del vino naturale con un minimo comune denominatore che distingua il vignaiolo vero dalle varie subdole forme industriali e speculative”.
Sempre secondo i Vignaioli Artigiani Naturali, “l’attenzione va posta sulla figura del produttore e dei suoi metodi di coltivazione e trasformazione e non solo sull’oggetto finale ‘vino’. Il vino naturale deve rimanere un prodotto artigianale, che nasce all’interno di una azienda agricola, legato alla terra e a chi la lavora”.
Se si vuole regolamentare il settore dei vini naturali, la prima cosa che si deve chiedere, e ottenere, è l’obbligo di riportare in etichetta tutto ciò che è stato utilizzato nel processo di coltivazione e vinificazione. Quella che abbiamo sempre chiamato ‘Etichetta trasparente‘.
Vorremmo infatti la possibilità di riportare in etichetta la dicitura ‘vini naturali’, gli ingredienti e le pratiche in vigna e in cantina limitatamente ai vini naturali, con l’obbligo di indicare il valore della solforosa totale all’imbottigliamento”.
I Van indicano al ministro Gian Marco Centinaio anche altri “punti imprescindibili“: “Agricoltura biologica o biodinamica, fermentazioni spontanee, nessun additivo o coadiuvante, nessun trattamento chimico o fisico estremo tale da modificare la materia originale ed il risultato finale, ed infine dosi ridottissime di Anidride solforosa”.
IL MINISTERO E I SOLFITI
E proprio a proposito di solfiti spunta ora dagli archivi del Consorzio ViniVeri una lettera del 31 marzo 2017 firmata da Stefano Vaccari, Capo dell’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei Prodotti Agro-alimentari.
Il referente del Ministero alle Politiche Agricole, nel rispondere a una missiva di Giampiero Bea (nella foto), indica al Consorzio Viniveri la formula da utilizzare sull’etichetta dei vini naturali in merito al contenuto di solfiti. Una vera e propria svolta, rimasta tuttavia sino ad oggi nei cassetti dell’associazione.
Tenuto conto delle disposizioni dell’Unione europea in materia d’indicazione dell’anidride solforosa nell’etichettatura dei vini – scrive l’organismo ministeriale – si è dell’avviso che possano essere utilizzate le seguenti diciture, purché siano posizionate consecutivamente, senza alcuna interruzione:
“contiene … mg/l di solfiti totali”; “senza aggiunta di altre sostanze ammesse per uso enologico”; “dall’uva alla bottiglia senza aggiunta di altre sostanze ammesse per uso enologico”
a condizione che nessuna altra sostanza per uso enologico espressamente ammessa, diversa dall’anidride solforosa, dal bisolfito di potassio o dal metabisolfito di potassio, sia stata aggiunta o residui nel vino etichettato con tale dicitura”.
A due anni di distanza, Giampiero Bea si prepara ad affrontare il tema con i soci di Viniveri. “In occasione dell’assemblea di Cerea, prevista nell’ambito del prossimo salone del Vino secondo Natura del 5, 6 e 7 aprile, proporrò la modifica dello Statuto del Consorzio introducendo questa possibilità di etichettatura tra le nostre Regole”.
E a Cerea, secondo indiscrezioni, potrebbe intervenire anche il ministro Gian Marco Centinaio, per una visita di cortesia tra i vignaioli del Consorzio Viniveri. Se son brindisi, tintinneranno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
MAGRÈ – Oltre 100 vignaioli d’eccellenza provenienti da oltre dieci Paesi attendono il pubblico di appassionati e operatori alla 22esima edizione di Summa. Si tratta del consueto appuntamento organizzato a Magrè, in Alto Adige, dalla Tenuta Alois Lageder.
Nell’idilliaco borgo situato a 30 chilometri da Bolzano sono attese circa 2 mila persone, tra esperti del settore, appassionati e giornalisti. Il pubblico potrà conoscere personalmente i produttori e assaggiare vini di grande fama. Summa 2019 offrirà anche un fitto calendario di visite guidate, seminari e degustazioni.
I visitatori possono registrarsi per tutti gli eventi esclusivamente sul posto, dopo essersi accreditati per l’evento sul portale online (www.summa-al.eu). Queste le quote a persona: operatori del settore (HoReCa, distributori e agenti, import, produttori di vino) euro 30 per 1 giorno, euro 40 per 2 giorni. Visitatori privati (posti limitati) euro 80 per 1 giorno, euro 140 per 2 giorni. Persone sotto i 25 anni: euro 40 per 1 giorno, euro 60 per 2 giorni.
IL PROGRAMMA
Teatro dell’evento saranno Casòn Hirschprunn, palazzo rinascimentale del 17° secolo, e Tòr Löwengang. Al debutto quest’anno alcuni produttori da Cina, Ungheria e Repubblica Ceca che si uniranno ai viticoltori provenienti da Germania, Austria, Francia, Italia, Nuova Zelanda, Portogallo e Slovenia. La Tenuta è particolarmente soddisfatta dell’incremento dei viticoltori certificati Demeter, che avranno nuovamente un’area tutta dedicata.
Anche questa edizione di Summa sarà caratterizzata dalla consueta atmosfera familiare e conviviale che anima l’evento con tante opportunità di dialogo e di confronto”, commenta Alois Clemens Lageder la sesta generazione che lavora nella Tenuta di famiglia.
“Non vedo l’ora di incontrare vecchi e nuovi amici qui a Magrè, lo scambio di idee tra vignaioli è molto stimolante e prezioso per il mio nuovo ruolo in azienda”, dice Helena Lageder, la figlia più giovane di Alois Lageder e Veronika Riz, che dallo scorso anno è responsabile di diversi mercati internazionali. Summa sarà organizzata anche quest’anno dalla figlia primogenita Lageder, Anna Lageder, che gestisce un’agenzia di organizzazione di eventi.
Quest’anno Summa offre un programma ancora più variegato rispetto alle passate edizioni: degustazioni guidate e esclusive verticali tenute da vignaioli ed esperti, seminari, visite alla cantina (costruita in base a criteri ecologici), ai vigneti coltivati e al “Giardino all’ombra del Paradeis”.
Oltre all’opportunità di degustare vini eccezionali, ai partecipanti verranno offerti anche abbinamenti di specialità culinarie preparate al momento da numerosi partner del settore alimentare. Come negli anni precedenti, parte del ricavato sarà devoluto alla Casa della Solidarietà (HdS) di Bressanone, organizzazione che si occupa di persone bisognose da oltre quindici anni.
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Seconda edizione per ViniVeri Assisi 2019. La giornata di degustazione è in programma lunedì 14 gennaio, dalle 10 alle 17 all’Hotel Valle di Santa Maria degli Angeli (PG). Ingresso a 20 euro, comprensivo di calice.
Un appuntamento dedicato ad addetti del settore, enotecari, ristoratori, sommelier, appassionati e curiosi del vino naturale del centro Italia. Una sorta di “Anteprima” della sedicesima edizione di ViniVeri, che si terrà come di consueto a Cerea, in provincia di Verona, dal 5 al 7 aprile 2019.
A ViniVeri Assisi sono attesi 60 produttori da Italia, Francia e Slovenia, che faranno assaggiare i loro “vini senza addizioni di sostanze estranee alla frutta d’origine e al terroir che le ha generate, né fatti attraverso processi dominanti”. Saranno presenti ad Assisi ViniVeri 2019 anche 6 realtà agroalimentari.
“In natura disponiamo di tutto – dichiara Giampiero Bea, presidente del Consorzio Viniveri – operiamo fiduciosi senza aggiungere e senza togliere, in vigna come in cantina, per incontrare il terroir nel bicchiere”.
La giornata di Assisi ViniVeri 2019 sarà preceduta domenica 13 gennaio da una serie di gustosi appuntamenti. Si inizia dalle 17.30 alle 20.30 con “Aperilò“, un incontro-degustazione con i vignaioli del Consorzio ViniVeri all’Enoteca Rilò 1217 di Montefalco.
Si prosegue con le Cene con i Produttori in undici ristoranti della zona: il Capanno e Cava a Spoleto; Re Tartù, Locanda del Teatro, L’Alchimista e Mordecai a Montefalco; Le Dodici Rondini a Foligno; La Fame e Società Anonima a Perugia; Enoteca Roberto Bocci a Ellera di Corciano; San Giorgio a Umbertide (sotto l’elenco con i riferimenti per la prenotazione)
ELENCO AZIENDE PARTECIPANTI ASSISI VINIVERI 2019 Francia – Champagne Christophe Mignon
Francia – Champagne Olivier Horiot
Francia – Champagne Bonnet-Ponson
Francia – Champagne Charlot Pere & Fils
Francia – Champagne Pascal Doquet
Francia – Bourgogne Chapuis & Chapuis
Francia – Bourgogne Philippe Pacalet
Francia – Alsace Domaine Brand & Fils
Francia – Languedoc – Roussillon Domaine Du Traginer
Slovenia Mlečnik
Slovenia Slavček
Piemonte Giuseppe Rinaldi
Piemonte Serafino Rivella
Piemonte Andrea Tirelli
Piemonte Laiolo Reginin
Piemonte Cascina Bricco
Piemonte Cascina Fornace
Piemonte Cascina Delle Rose
Veneto Case Coste Piane
Veneto Castello Di Lispida
Veneto Gatti
Veneto La Costa
Friuli – Venezia Giulia La Castellada
Friuli – Venezia Giulia Dario Princic
Friuli – Venezia Giulia Ronco Severo
Friuli – Venezia Giulia Vodopivec
Friuli – Venezia Giulia Zidarich
Toscana Fattoria La Maliosa
Toscana Le Calle
Toscana Podere Luisa
Toscana Pierini E Brugi
Toscana Poggio Di Cicignano
Toscana Carla Simonetti
Umbria Paolo Bea
Umbria Cantina Ninni
Umbria Raina
Marche Oasi Degli Angeli
Marche Valter Mattoni
Marche Allevi Maria Letizia
Marche Irene Cameli
Marche Maria Pia Castelli
Marche Clara Marcelli
Marche Aldo Digiacomi
Lazio Monastero Di Vitorchiano Suore Cistercensi
Lazio Gioacchino Milana
Lazio La Visciola
Lazio Carlo Noro
Abruzzo Praesidium
Abruzzo De Fermo
Abruzzo Feudo D’ugni
Abruzzo Francesco Massetti
Campania Boccella
Campania Casebianche
Puglia Francesco Marra
Sicilia Salvatore Ferrandes
Sicilia Fattorie Romeo Del Castello
Sicilia Il Censo
Agro-Alimentare Umbria Agrisperanza 1892
Agro-Alimentare Umbria Birrificio Dei Perugini
Agro-Alimentare Umbria Frantoio Filippi
Agro-Alimentare Abruzzo Gregorio Rotolo
Agro-Alimentare Abruzzo Lu Cavalire
Agro-Alimentare Emilia – Romagna Gipi Dei Malvisi
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Leggiadro, sì. Ma non banale. Il Metodo classico Brut Rosé millesimato 2014 della cantina Produttori Vini Manduria si presenta di un colore commercialmente bellissimo, tipico dei Negroamaro spumantizzati moderni, che guardano al mercato internazionale.
LA DEGUSTAZIONE
Un rosa, per intenderci, a metà tra il provenzale e il buccia di cipolla, con riflessi aranciati. Vendemmia 2014, come detto, e sboccatura 2016, ne fanno uno spumante più che mai pronto nel calice. Con ampi margini di ulteriore miglioramento.
Il perlage è mediamente fine e molto persistente. Dal vetro si elevano i sentori tipici dell’uvaggio Negroamaro. Dunque sottobosco, con lamponi e fragoline a dominare la scena. Ma anche richiami agrumati che ricordano la buccia dell’arancia e il bergamotto, antesignani di un ingresso in bocca “dritto”, frangrante.
Un contesto nel quale il perlage risulta tuttavia leggermente invasivo, con la “bollicina” che sembra intromettersi troppo nel sorso. Superato questo ostacolo, la beva si ingentilisce per azione del glucosio.
E’ questo il momento esatto in cui la bottiglia, opaca e setosa al tatto, sembra assomigliare alla perfezione al nettare “Leggiadro” che attende solo di essere versato e degustato.
La chiusura è di buona persistenza, tutta giocata su sentori fruttati e sapidi, che tendono a rivelare piacevoli risvolti erbacei amari, riconducibili al rabarbaro. Uno spumante da apprezzare a tutto pasto, connotato da una semplicità non banale che lo rende adatto ad accompagnare piatti non troppo elaborati di pesce e di carne.
LA VINIFICAZIONE
Uve Negramaro in purezza per questo spumante Salento Igp Metodo Classico millesimato di Produttori Vini Manduria. L’età dei vigneti si aggira attorno ai 30 anni. La vendemmia avviene in occasione della prima decade di settembre.
Le uve vengono raccolte e vinificate nella cantina di Manduria (TA), prima che il vino sia sottoposto a rifermentazione in bottiglia ed affinamento sui lieviti, fino alla sboccatura.
Cantina Produttori Manduria è una Società Cooperativa agricola nata nel 1928. Oggi può contare su mille ettari di vigneti – per metà allevati con il tradizionale “alberello” – e 400 conferitori totali.
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Qualche conferma e tante etichette nuove da segnalare tra i migliori assaggi dell’edizione numero 15 di Villa Favorita. L’evento organizzato dall’Associazione VinNatur si conferma un must per gli amanti dei “vini naturali”.
Quattromila ingressi totali nella storica dimora del XVIII Secolo, a Sarego. Cifra che eguaglia quella dello scorso anno, con il pubblico concentrato soprattutto nella giornata di sabato 14 aprile. Segno “più”, invece, sul numero di operatori del settore, italiani ed esteri.
Tra i fenomeni dell’edizione 2018 di Villa Favorita – VinNatur si evidenzia il crescente numero di “rifermentati” ai banchi d’assaggio, ottenuti da uve a bacca bianca e rossa. Pochi, tuttavia, quelli che riescono a lasciare davvero il segno.
Un trend che sembra la risposta più immediata dei vignaioli naturali al “Fenomeno Prosecco”. Un po’ come la produzione di Charmat tra i produttori convenzionali, in tutta Italia.
Curioso anche il “comportamento” di certi rossi tipicamente da lungo affinamento (vedi Barolo, Brunello e Aglianico) presentati in vesti fresche, quasi giovanili, capaci comunque di non snaturare la tipicità: che sia un sintomo della crescente proiezione sui mercati esteri (più maturi di quello italiano) dei vignaioli naturali del Belpaese?
Mode a parte, l’edizione 2018 di Villa Favorita conferma il successo tra i Millennials, le nuove generazioni. Un trend dovuto alla crescente qualità riscontrabile di anno in anno tra le etichette in degustazione.
I MIGLIORI ASSAGGI Metodo Classico Brut Nature Vsq Durello “Corte Roncolato”, Cristiana Meggiolaro. Vendemmia 2014 per questo Mc da uve Durella che segna uno stacco assoluto nei confronti degli altri sparkling veneti in degustazione a Villa la Favorita.
Riuscire a unire lame di lime a una grande ampiezza al palato è un connubio che riesce a pochi. Il sottofondo minerale, salino, fa il resto. Davvero un ottimo spumante quello della piccola cantina di Roncà (Verona).
Metodo Classico Vsq Dosaggio Zero “Esperidi”, Mario Gatta. Ci spostiamo poco più a ovest, in Franciacorta. Qui, più esattamente a Gussago (BS), Mario Gatta produce “Esperidi”.
Un Mc da uve Chardonnay e Pinot Nero, con due terzi dell’uvaggio principe della Franciacorta e un terzo di “Noir”: entrambi provenienti dei vigneti di proprietà della famiglia Gatta, situati a 400 metri d’altezza.
Siamo sul versante orientale franciacortino, su terreni di calcare e argilla. La vendemmia è la 2009, in bottiglia dal 2010 (sboccatura 09/2016).
Uno spumante vibrante, capace di unire in un sorso eleganza e potenza. Naso accattivante, arrotondato da frutta e fiori, e bocca tagliente, su note d’agrumi. Ottima la persistenza.
Oltrepò pavese Docg Metodo Classico Brut Rosè, Pietro Torti. Un Pinot Nero in purezza, versione rosè: in una parola, “Cruasé”. Bel frutto pulito al naso, che evidenzia il gran lavoro sulla selezione dei grappoli da parte del produttore di Montecalvo Versiggia (PV).
I profumi spaziano dal floreale alla liquirizia dolce, con predominanza tipica delle note di piccoli frutti di bosco. In bocca, il Cruasé di Pietro Torti evidenzia una bella beva verticale.
L’ossatura minerale accompagna note fruttate mai stucchevoli. Uno spumante che, entro la fine dell’anno, giungerà all’apice della sua curva di maturazione positiva.
Vino bianco frizzante “Shan Pan”, Cascina Zerbetta. Nome di fantasia pretenzioso, certo. Ma chi lo ha voluto – per questo rifermentato da uve Sauvignon blanc allevate nella zona di Quargnento, Alessandria – sapeva di non farsi prendere a canzonate.
Un bianco frizzante che si eleva dalla media (piatta) dei tanti rifermentati-fungo spuntati sul prato di VinNatur. Ha un senso d’esistere non solo nella facilità di beva, ma anche nell’intensità seria con cui si propone al naso (vegetale, piccante) e al palato (frutto succoso).
Roba da farti immaginare freschi sorsi su una playa qualsiasi, sotto il sole cocente, d’estate. Senza spostarti – in realtà – di un metro da Sarego. Bravi!
VINI BIANCHI Vigneti delle Dolomiti Igt Nosiola 2016, Azienda Agricola Salvetta. Questo non è un vino, ma un concentrato di Nosiola. Discostante rispetto ad altre decine d’assaggi.
Pochi riescono a ottenere vini con queste caratteristiche dal grande vitigno autoctono trentino, troppo spesso presentato in versioni eccessivamente fruttate, utili a controbilanciarne la spalla acida.
La Nosiola Salvetta, invece, è da ricordare. Diretta, vera, potente, con un filo di tannino che si allunga nel retro olfattivo. Palato corrispondente al naso.
Dunque frutta esotica, agrumi ed erbe di montagna che conferiscono una freschezza balsamica, unite a una certa mineralità. Tutto bellissimo.
Salento Igp Verdeca 2017, Tenuta Macchiarola. Altro territorio, altro vitigno fortemente screditato dalle produzioni massive e dalla moda dei bianchi leggeri, fruttati, beverini. Questa volta atterriamo in Puglia, più esattamente a Lizzano, in provincia di Taranto.
Non che manchino queste caratteristiche alla splendida Verdeca di Domenico Mangione, in bottiglia da pochissimo. Un macerato fresco e speziato al naso, che riesce a coniugare con elegante potenza note vegetali e note fruttate esotiche tendenti al maturo.
In bocca il vino sfodera un sentore netto di radice di liquirizia, apprezzabilissimo. Uno di quei vini da portarsi in casa adesso, per valutarne l’evoluzione di mese in mese.
Veneto Igt Bianco “Rugoli” 2016, Davide Spillare. Il discepolo di Angiolino Maule, come abbiamo già scritto, si avvicina sempre più al maestro.
E quest’anno si riconferma tra i nostri migliori assaggi con “Rugoli”, bianco ottenuto dalla fermentazione spontanea di Garganega (30% in macerazione sulle bucce e successivo affinamento in legno).
Rugoli, a questo punto da annoverare tra i tre migliori bianchi “non convenzionali” del Veneto, assieme alla Garganega 2016 “Bianco Pri” di Sauro Maule, altro vino eccezionale pienezza gusto olfattiva, ottenuto da vecchie vigne.
VINI ROSSI Provincia di Pavia Igt 2010 “Ghiro d’Inverno”, Azienda Agricola Martilde. Fa sorridere pensare che questo “Ghiro”, potenzialmente, potrebbe essere un Bonarda. Un 100% Croatina che sottolinea forse l’unico errore compiuto nella recente revisione dei disciplinari in Oltrepò Pavese (si potrà chiamare “Bonarda” solo il vino “mosso”, stralciata la versione “ferma”).
Ma chi vive di titoli e di nomi, spesso, è privo di contenuti. E la questione, a casa di Antonella Tacci, a Rovescala (PV), può contare, sì. Ma solo fino a un certo punto. Perché questa Croatina, diciamola tutta, è un vero spasso.
Una 2010 che fa sognare di prospettive lontane, col suo tannino ancora vivo e il suo frutto intenso, tipico, tutto pavese. Una Croatina che parla ad alta voce. Di concentrazione, di succo, di vita. Di vigne vecchie. Di identità. E di attaccamento alla tradizione. “Fanculo” alle denominazioni, con un etichetta così nel portafoglio.
Toscana Igt 2015 “La Ghiandaia”, Podere Erica. Sangiovese (70%) e Canaiolo (30%) per un rosso di Toscana a cui non manca proprio nulla. Un vino in perfetto equilibrio oggi, ma che domani (con quel tannino e con quella fresca acidità) può solo migliorare.
Un rosso da primi succulenti e secondi a base di carne che sembrano materializzarsi in degustazione. Impegnativo al punto giusto, con i suoi sentori puliti di frutti e spezie.
Rosso Emilia Igt 2015 “Rio Rocca Berzemèin”, Il Farneto. Siamo nella Piana di Farneto, in provincia di Reggio Emilia, ai piedi dell’Appennino Tosco-Emiliano. Rio Rocca Marzemino croccante, vivo, in evoluzione.
Una bellissima espressione del vitigno, che in questa versione (macerazione di 8 giorni sulle bucce) si presenta profumato e corposo, virile in bocca, su note caratteristiche di frutta di bosco e spezie.
Lungo, molto persistente il finale, piacevolmente equilibrato. Tratti di concentrazione e gran pulizia che lo elevano ai migliori Marzemino prodotti fuori dall’Emilia.
Barolo Docg 2014 “Castellaro”, Barale Fratelli. Ecco quello che pare un Barolo “new style“. Tradotto: pronto subito, o quasi.
Le potenzialità di ulteriore positivo invecchiamento sono evidenti, ma questo Nebbiolo è più che mai pronto e già armonico.
ll sorso è carico, pieno: ricorda il frutto di sottobosco maturo, senza sforare nella confettura. Note minerali e un tannino perfettamente integrato completano il quadro del Barolo perfetto, per chi non sa aspettare.
Brunello di Montalcino Docg 2012, Casa Raia. Un altro vino che sorprende, per la sua prontezza. Un Brunello che sembra il risultato perfetto del compromesso fra terra e cielo.
Se è evidente, da un lato, la componente terrosa, dall’altro il Sangiovese sfodera un frutto succoso, tutto giocato su sentori di mirtilli e more di rovo.
Dal calice, con un po’ di ossigenazione, si esalano note eteree, di fumo e caffè tostato che rendono il nettare ancora più affascinante. Pronto oggi, ma con ampi margini di miglioramento nell’arco dei prossimi 5-8 anni.
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VICENZA – Scalda i calici la quindicesima edizione di Villa Favorita. L’appuntamento, per gli amanti dei vini naturali, è da sabato 14 a lunedì 16 aprile a Villa Da Porto detta “La Favorita” a Monticello di Fara di Sarego, in provincia di Vicenza.
Saranno presenti 160 aziende aderenti a Vinnatur, associazione di viticoltori naturali, provenienti non solo dall’Italia ma anche da Francia, Spagna, Portogallo, Austria, Germania e Slovenia. Per l’esattezza, dieci adesioni in meno rispetto all’edizione 2017.
Si tratta, comunque, di una delle più importanti manifestazioni di vini naturali in Italia per numero di aziende partecipanti, un evento unico nel suo genere perché permette di approfondire la conoscenza dei vini naturali, incontrando e conoscendo i produttori stessi, dai quali sarà possibile anche acquistare i vini in degustazione.
“Dopo l’ultima bella esperienza a Genova in gennaio – dichiara Angiolino Maule, presidente di Vinnatur, qui intervistato in esclusiva da vinialsuper – dove c’è stata un’ottima risposta di pubblico, sia di professionisti sia di amanti del vino, ci prepariamo ora all’evento per noi più significativo, per numero di edizioni e per aziende partecipanti”.
“In questi anni – continua Maule – Villa Favorita è stata testimone della crescita della nostra associazione, segnata da importanti traguardi come l’approvazione del Disciplinare nel luglio 2016, ma anche della presa di coscienza di molti consumatori che si sono avvicinati a noi magari solo per curiosità, ma che hanno imparato in questi anni a conoscere e ad apprezzare il nostro lavoro”.
COS’E’ VINNATUR? L’associazione VinNatur riunisce viticoltori europei che hanno il comune obiettivo di condividere le tecniche e le esperienze per produrre vino in maniera naturale, sia in vigna che in cantina, e di divulgare la cultura del terroir.
“Nel 2017 – prosegue Maule – siamo arrivati ad avere 190 aziende iscritte all’associazione, per un totale di 1500 ettari di vigna coltivati in modo naturale che producono 6 milioni e 500 mila bottiglie di vino naturale, di cui circa 5 milioni in Italia. Se pensiamo che alla nascita le aziende aderenti erano solo 65 possiamo solo essere fieri del lavoro svolto finora”.
Durante la manifestazione all’interno della villa e nell’area attrezzata nel parco circostante si potranno gustare diverse specialità gastronomiche provenienti da varie parti d’Italia con un’offerta ampliata rispetto all’anno scorso.
Info in breve | VILLA FAVORITA 2018
Data: dal 14 al 16 aprile 2018
Orari di apertura: dalle 10 alle 18
Luogo: Villa da Porto detta “La Favorita”, via Della Favorita – Monticello di Fara, Sarego (Vicenza)
Ingresso: € 25 al giorno (acquistabile solamente all’ingresso dell’evento) comprensivi di guida della manifestazione e calice da degustazione.
I minorenni non pagano l’ingresso e non possono effettuare degustazioni.
Parcheggio: riservato ai visitatori del salone
Per chi arriva in treno: è prevista una navetta dalla stazione di Montebello Vicentino
Area sosta Camper: Camping Park La Fracanzana, Via Fracanzana 3, 36054 Montebello Vic.no (2,1km da Villa Favorita)
Cani: sono ammessi cani di piccola taglia
Info: www.vinnatur.org
L’ELENCO DEI PRODUTTORI A VINNATUR VILLA FAVORITA 2018
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BARI – Torna dal 5 all’11 giugno Radici del Sud, il multi evento dedicato ai prodotti da vitigno autoctono e agli oli extravergini del mezzogiorno d’Italia.
Sette giorni in cui i produttori di Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia presenteranno i loro vini agli importatori, provenienti da Cina, Olanda, Regno Unito, USA, Canada, Danimarca, Polonia, Corea del Sud, Svezia, Svizzera, Austria e Belgio. Alla stampa italiana ed internazionale e al consumatore finale in una serie di appuntamenti: inconti BtoB, wine tour, concorsi e degustazioni.
Un evento che vinialsuper racconterà ai suoi lettori in presa diretta, sul posto. Come già fatto lo scorso anno, in occasione dell’edizione 2017 del premio.
IL PROGRAMMA Radici Del Sud si sviluppa nell’arco di più giornate: il 6 e 7 giugno saranno i giorni dedicati alle sessioni del concorso fra tutti i vini del Sud suddivisi per vitigno.
Il 9 e 10 giugno ci saranno gli incontri BtoB fra i buyer ed esperti esteri con i produttori vitivinicoli e olivicoli, mentre lunedì 11 ci sarà il banco d’assaggio aperto al pubblico e la grande festa dove verranno celebrate e premiate le migliori eccellenze vitivinicole e gli oli del meridione.
NON SOLO VINO
Dalle ore 11.00 alle ore 21.00 di lunedì 11 giugno al Castello di Sannicandro di Bari resterà aperto il Salone dei vini e degli oli del Sud. I visitatori potranno conoscere le diverse produzioni delle Cantine e degli oleifici partecipanti.
Ai banchi d’assaggio avranno l’opportunità di parlare direttamente con i produttori, conoscere meglio le caratteristiche e le qualità delle etichette in degustazione e di acquistare direttamente i prodotti presentati.
Alle 19.00 ci sarà un convegno, seguito dall’annuncio dei vini vincitori della XIII edizione di Radici del Sud. Seguirà alle 21.00 la Cena di gala, nel cortile del Castello, realizzata da rinomati chef del Sud Italia.
Per info e iscrizioni aziende: http://bit.ly/2B3QVg4, info@radicidelsud.it
RADICI DEL SUD 2018
Salone dei vini e degli oli del Sud in breve – apertura al pubblico:
Dove: Castello Normanno Svevo di Sannicandro di Bari (BA)
Quando: 11 giugno 2018
Orario di apertura al pubblico: dalle 11.00 alle 21.00
Ingresso: kit di degustazione 15 euro (comprensivo di bicchiere, sacca portabicchiere e quaderno di degustazione)
Parcheggio: disponibile
I minorenni non pagano l’ingresso e non possono effettuare degustazioni
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Millenovecentottantotto, duemiladiciotto. Trent’anni di sacrifici e battaglie. Trent’anni di strade in salita, costellate da pozzanghere e buche grosse come crateri. Di quelle capaci di trasformarti da solista a capo del coro. Oppure da sognatore a fallito.
Chi dice che i vini naturali non esistono, forse, semplicemente, non hai mai incontrato in vita sua Angiolino Maule. Uno capace di metamorfosi kafkiane. Pazzo scatenato e ignorante (per molti) negli anni Novanta. Oggi, definitivamente, un pioniere.
Un “estremista”, fino a ieri. Poi diventato un “equilibrato del naturale” (parole sue). Eppure Maule non è cambiato mai. Qualche capello bianco in più, certo. Qualche ruga sul volto, dovuta ai troppi vaffanculi sottaciuti da un carattere pacato e meditativo, più che agli anni sul groppone. Roba rara da trovare tra i veneti.
Mentre l’Italia lo prendeva per scemo, Angiolino Maule e la moglie Rosamaria, sul finire degli anni Novanta, cominciavano a raccogliere i primi successi della loro azienda agricola: La Biancara di Montebello Vicentino.
Oggi Maule è presidente di VinNatur, l’Associazione Vini Naturali da lui fondata nel 2006, che dal luglio 2016 ha stilato un vero e proprio disciplinare per i propri associati (scaricabile integralmente qui).
Non sono troll le migliaia di visitatori che ogni anno, tra Genova e Vicenza, affollano gli stand degli oltre 170 produttori di vini naturali (italiani ma non solo, alcuni dei quali mappati da Decanter) che si riconoscono nei principi dell’associazione. E non è un troll neppure Angiolino Maule, che concede a vinialsuper questa intervista in esclusiva.
Che cos’è il vino naturale? E’ il vino prodotto senza utilizzo di prodotti di sintesi, né in vigna né in cantina. E con il minor impatto possibile sull’ecosistema
Quali sono gli strumenti a garanzia del consumatore, circa l’effettiva “naturalità” del vino? Quali strumenti ha messo in campo, in questo senso, VinNatur?
VinNatur da 10 anni effettua analisi a tutti gli associati su residui di pesticidi e solforosa totale all’interno dei vini. I produttori che hanno vini con residui e con livelli di anidride solforosa superiori ai 50 mg/l vengono allontanati dall’associazione in un percorso di due anni al massimo.
Ora abbiamo sviluppato anche un disciplinare interno e ci stiamo attrezzando per farlo rispettare in ogni sua parte, tramite controlli alle aziende associate che saranno eseguiti da enti certificatori esterni. Per quanto riguarda altri vini naturali non sono a conoscenza delle eventuali garanzie.
Quante bottiglie produce all’anno il “vigneto naturale” italiano? Su quanti ettari? Proprio per il fatto che non esiste una normativa è difficile stabilirlo. VinNatur in Italia “produce” nel suo insieme circa 5 milioni di bottiglie suddivise su 150 produttori, che in media posseggono 10 ettari vitati.
In Italia, lei è un precursore dei vini naturali: come ha visto evolversi il mercato, in Italia e all’estero?
Per quanto riguarda la mia azienda, fino al 2010 lavoravo prevalentemente all’estero, dove tutt’ora ci sono ottime prospettive anche per aziende piccole o sconosciute. Oggi vedo anche in Italia una bella evoluzione.
Si è passati dal parlarne tanto con pochi consumi, al parlarne e fare economia. Vedo sempre più ristoranti di alto livello proporre vini naturali anche non blasonati e questo mi rende felice.
Esistono vini naturali del tutto privi di quelli che, in una degustazione professionale, sarebbero considerati difetti? Direi proprio di si!
In percentuale, quanti vini naturali “difettati” riscontra ogni 10 assaggi? E in passato? Potrei dire 1 su 10, mentre in passato erano sicuramente di più.
Spesso la critica che viene mossa ai produttori di vini naturali è che facciano passare per “pregi” i difetti del vino: cosa risponde? Purtroppo ci sono ancora colleghi che la pensano così e quindi la critica è più che giusta. I difetti nascondono il vero terroir e la vera espressività del vino, non dobbiamo mai dimenticarlo. Io e molti altri che hanno l’umiltà delle proprie azioni abbiamo sempre ammesso i nostri errori.
Per primi ce ne scusiamo e ci impegniamo ad affrontarli e capire come non ripeterli. Quando presento i miei vini sono il primo a dire “buono, però ora che lo assaggio, lo avrei fatto diversamente e forse migliore!”.
I vini naturali attirano sempre più l’interesse del pubblico, ma sembrano destinati a restare comunque un fenomeno di nicchia, per pochi eletti: perché? Pensa che qualcuno sbagli a comunicarli? Qual è, secondo lei, il modo migliore per avvicinare al mondo dei naturali chi non li conosce? Non credo rimarranno fenomeni di nicchia. Già il Bio sta arrivando alle grandi cooperative vinicole più intraprendenti. Il “naturale” si sta allargando lentamente ma ritengo sia meglio così! Dobbiamo presentarci con umiltà, dicendo quello che facciamo, senza denigrare l’altro.
Sottolineare le differenze tra naturali e convenzionali come ha fatto di recente Live Wine è positivo, oppure ostacola il graduale avvicinamento dei due “mondi”? L’idea del confronto tra diversi approcci non è nuova, è un’idea già utilizzata in passato da altri. Ad una prima vista è fuorviante e per questo non mi è mai piaciuta particolarmente.
Lei beve vini “convenzionali” / “biologici”? Raramente bevo convenzionali e non mi voglio esprimere. Troppi “biologici / tradizionali” che mi capita di bere hanno un gusto per me simile al convenzionale, quindi senza personalità. Credo sia un vero peccato.
Gli additivi presenti nel “vino convenzionale/biologico/biodinamico” possono essere considerati pericolosi per la salute? Ad eccezione di solforosa in eccesso e pesticidi (soprattutto se ci sono più principi attivi) gli altri non sono pericolosi.
Qual è il prezzo di un vino naturale? Dipende dalla qualità. Ci sono vini naturali entry level da 10 euro, ma anche top di gamma da 100 euro in enoteca.
Cosa risponde a chi, provocatoriamente, sostiene che i vini naturali “non esistono”? Siamo costantemente “sotto l’attacco” di esperti ed enologi che sostengono l’inesistenza del vino naturale e l’inadeguatezza di questa definizione. Siamo anche circondati da altri enologi e studiosi che ci danno una mano o che ci osservano con curiosità e voglia di confronto. Per questo vado avanti per la mia strada senza guardare ad inutili polemiche. Ormai è una parola di uso comune, se ne faranno una ragione spero.
Qualche anticipazione sulla prossima edizione di VinNatur a Villa Favorita Verrà dato più spazio agli importatori e ai giornalisti dall’estero che vogliono scoprire le nuove aziende associate. Sarà inoltre strutturata un’area food più efficiente e con produttori di alto livello.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
BREGANZE – Undici produttori, un solo obiettivo: la promozione di un’eccellenza veneta e italiana, il vino passito Torcolato. Denominazione di origine controllata dal 1996. E’ un quadro di grande unità quello che emerge dalla giornata di degustazione organizzata ieri alla cantina Maculan di Breganze.
Un tasting organizzato nell’ambito della “Prima del Torcolato 2018“, kermesse che oggi animerà il centro storico del paese della provincia di Vicenza, con la cerimonia della spremitura delle uve Vespaiola.
Tante le sfumature negli undici calici in degustazione. Tutte interpretazioni del terroir vicentino. Una fotografia delle zone più vocate e di quelle meno storiche per la produzione del Torcolato, come le colline di Bassano del Grappa.
“Ma non siamo qui per decidere qual è il buono – ha ricordato il padrone di casa, Fausto Maculan – bensì per mostrare la straordinarietà del passito di Breganze. Un vino di cui si trovano le prime tracce ufficiali nel 1870, che da allora è cambiato molto”.
“I produttori – ha evidenziato Maculan – hanno investito negli anni in tecniche che hanno permesso di trasformare il Torcolato in un’eccellenza, risolvendo per esempio i problemi di ossidazione. Basti pensare che negli anni Cinquanta questo passito era marrone, oggi invece è contraddistinto da un bel giallo dorato. In passato, i breganzesi regalavano questo vino agli amici o agli ospiti: oggi lo bevono anche loro”.
LA TECNICA DI PRODUZIONE Fondamentale, per la produzione del Torcolato, è l’appassimento delle uve. Un processo che avviene ancora come un tempo, all’interno di “fruttai” ricavati in vecchi granai dotati di abbaino e finestra per il ricircolo dell’aria.
I grappoli spargoli di Vespaiola vengono legati tra loro con lo spago: in una parola “torcolati”. Formano così vere e proprie trecce d’uva, legate alle travi di legno delle soffitte. Un’altra tecnica prevede la messa a riposo delle bacche di Vespaiola su graticci e cassette, simili a quelle utilizzate per la produzione del Recioto.
Dopo circa quattro mesi, il risultato sono acini pressoché disidratati, in cui la concentrazione degli zuccheri è molto elevata. E’ gennaio quando vengono “torchiati”, ovvero “pigiati”, “strizzati”. Terminata la fermentazione, il vino matura in piccole botti anche per più di due anni, prima di essere imbottigliato. Il Torcolato, infatti, non può essere venduto prima del 31 dicembre dell’anno successivo alla vendemmia.
La produzione si assesta attorno alle 50 mila bottiglie annue. Nella pedemontana vicentina, su un totale di 600 ettari vitati, circa 60 sono destinati alla Vespaiola. Solo i migliori terreni concorrono alla produzione del Torcolato.
Un passito affascinante come la striscia collinare che si estende per una ventina di chilometri, tra i fiumi Astico e Brenta. Al centro, Breganze. A Ovest l’area è delimitata da Thiene e a Est da Bassano del Grappa. Una zona che dà vita a gemme della gastronomia italiana.
Basti pensare al formaggio Asiago Dop, alla Sopressa Vicentina Dop, all’asparago bianco di Bassano Dop e alla ciliegia di Marostica Igp. Ma anche al mais Marano e a piatti della tradizione come il Bacalà alla Vicentina, il Toresan allo spiedo e i Bigoi co’ l’arna (i Bigoli con l’anatra).
I NOSTRI MIGLIORI ASSAGGI
Tutti buoni, i Torcolati di Breganze. Ma non possiamo non segnalare i nostri tre migliori assaggi in occasione dell'(Ante)Prima di ieri mattina:
1) Torcolato Breganze Doc 2015, Cantina Col Dovigo. Giallo dorato, naso pulitissimo e intenso: miele, albicocca, fichi e una leggera vena balsamica ad elegantire le prime “snasate”. Con una prolungata ossigenazione nel calice, questo Torcolato arriva ad accarezzare delicate distese di lavanda e a richiamare la liquirizia dolce.
In bocca tiene alla grande e non subisce grandi variazioni tra l’inizio e il termine della degustazione. Palato agile ma struttura consistente, tutta giocata su note corrispondenti all’olfatto e su una chiusura tra il sapido e il fresco balsamico. Tremila bottiglie totali. Una chicca, prodotta con passione da Stefano Bonollo.
2) Tocolato Breganze Doc 2014, IoMazzucato. Colore oro con riflessi ambrati. Colpisce al naso per una nota speciale, che richiama la nafta (idrocarburo). Un sentore che impreziosire il corredo olfattivo tipico della Denominazione.
Un Torcolato, quello di IoMazzucato, sugli scudi anche per un palato di grande limpidezza, giocato più sul sapido e sull’acido che sul dolce. Buona anche la persistenza, da giudicare in virtù della prevalenza delle durezze sulle morbidezze zuccherine. Un’etichetta, osiamo dire noi oggi, che rende onore a chi definì il Torcolato “dolce non dolce”.
3) Torcolato di Breganze Doc 2012, Maculan. Uno dei simboli della Doc Breganze, la cantina Maculan. Il genio di Fausto, vero e proprio “guru” dell’enologia italiana moderna – oggi affiancato dalle preparatissime figlie Angela e Maria Vittoria – brilla nel Torcolato 2012.
Ottenuto dalle colline vulcaniche e tufacee del paese, matura un anno in barrique di rovere francese per 1/3 nuove e per 2/3 di secondo passaggio. Nel calice si presenta di un giallo dorato luminoso. Come solo altri due campioni in degustazione, oltre ai tipici profumi, sfodera una leggera nota di idrocarburo.
Altro perfetto esempio della definizione “dolce non dolce”, non stanca mai. Tiene incollato il naso al vetro. E quando finalmente riesci a staccarti, la stessa (buona) sorte tocca alle labbra. I sorsi si rincorrono, fino all’ultima goccia. Lungo anche il retro olfattivo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Persa 1 oliva su 2 dalle Alpi al Po. Ma qualità fra le più alte mai registrate nelle ultime campagne produttive. E’ quanto emerge da una rilevazione di Coldiretti Lombardia sulla campagna di raccolta 2017 che è ormai alle battute finali.
Fra la primavera e l’estate, spiega la Coldiretti Lombardia, gli uliveti della regione hanno perso quasi il 50% del raccolto a causa delle anomalie climatiche di quest’anno: prima con le gelate improvvise e poi con le ondate di calore che, a maggio, hanno fatto seccare i pistilli con i piccoli frutti ancora in formazione.
A fronte di questa “strage” però, la resa in olio è aumentata salendo dal 12% al 16% per ogni chilo di olive spremute, con punte anche del 19%. La produzione di olio – spiega la Coldiretti regionale – dovrebbe quindi superare i 430mila litri, con una diminuzione del 35% rispetto allo scorso anno.
“La qualità è fra le più alte mai registrate nelle ultime campagne produttive – sottolinea la Coldiretti Lombardia – infatti le analisi indicano un livello di acidità fra lo 0,1% e lo 0,2% per l’extra vergine contro un massimo consentito dello 0,8%, inoltre i test organolettici descrivono un prodotto che ha un ottimo equilibrio fra l’amaro e il piccante, pur restando delicato come è caratteristica degli oli lombardi”.
LE ZONE
A livello regionale la filiera produttiva coinvolge quasi duemila ettari a uliveto, 1.900 aziende e 6mila addetti fra stagionali, fissi, titolari e collaboratori, con una trentina di frantoi distribuiti fra le province di Brescia, Bergamo, Como, Lecco, Varese, Sondrio e Mantova. Le DOP sono 2 (Laghi Lombardi e Garda), mentre ci sono 7 varietà autoctone. Il nostro Paese – continua la Coldiretti – ha il primato europeo della qualità negli oli extravergini di oliva a denominazione di origine e indicazione geografica protetta (Dop/Igp), con il raccolto 2017 che sarà destinato a ben 46 marchi riconosciuti dall’Unione Europea.
A livello internazionale – secondo le stime del Consiglio oleicolo internazionale (COI) – il primo produttore mondiale resta la Spagna con 1,15 miliardi di chili (-10% rispetto alla stagione precedente) mentre al terzo posto la Grecia, con 300 milioni di chili.
A livello mondiale la produzione di olio d’oliva sarà di circa 2,854 miliardi di chili nella campagna olearia 2017/18, con un incremento del 12% rispetto alla campagna precedente 2016/2017. Una situazione legata all’andamento produttivo di alcuni Paesi come la Tunisia dove si prevede una produzione di 220 milioni di chili di olio di oliva più che raddoppiata rispetto allo scorso anno (+120%).
Ma anche dalla Turchia, con una previsione di 180 milioni di chili (+2%), Marocco, con 120 milioni di chili (+9%), Algeria, con 80 milioni di chili (+27%), Argentina, con 37,5 milioni di chili (+74%) e Giordania ed Egitto, entrambe con 25 milioni di chili, che in entrambi i casi con un aumento del 25% rispetto alla campagna olearia 2016/2017.
ATTENZIONE AL SUPERMERCATO
“In queste condizioni – sostiene la Coldiretti – c’è il rischio evidente che olio straniero venga ‘spacciato’ come italiano. Sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte ‘miscele di oli di oliva comunitari’, ‘miscele di oli di oliva non comunitari’ o ‘miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari’ obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva”.
“La scritta – fa notare la Coldiretti – è riportata in caratteri molto piccoli, posti dietro la bottiglia e, in molti casi, in una posizione sull’etichetta che la rende difficilmente visibile. La situazione è ancora più preoccupante al ristorante dove in quasi 1 caso su 4 (22%) secondo l’indagine Coldiretti/Censis ci sono oliere fuorilegge che non rispettano l’obbligo del tappo anti rabbocco entrato in vigore 3 anni fa con la legge europea 2013 bis, approvata dal Parlamento e pubblicata sul supplemento n.83 della Gazzetta Ufficiale 261, che prevede anche sanzioni che vanno da mille a 8mila euro e la confisca del prodotto”.
I CONSIGLI DI COLDIRETTI Il consiglio della Coldiretti è quello di “guardare con più attenzione le etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100% da olive italiane o di acquistare direttamente dai produttori olivicoli, nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica, dove è possibile assaggiare l’olio EVO (extra vergine di oliva) prima di comprarlo e riconoscerne le caratteristiche positive”.
Un olio extravergine di oliva (EVO) di qualità, conclude la Coldiretti, deve essere profumato all’esame olfattivo deve ricordare l’erba tagliata, sentori vegetali e all’esame gustativo deve presentarsi con sentori di amaro e piccante, gli oli di bassa qualità invece puzzano di aceto o di rancido e all’esame gustativo sono grassi e untuosi. Riconoscere gli oli EVO di qualità significa acquistare oli ricchi di sostanze polifenoliche antiossidanti fondamentali per la salute.
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Quattromila aziende coinvolte complessivamente nella filiera, su 9.700 ettari di superficie nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo. Una capacità produttiva di 80 milioni di bottiglie, tra Asti e Moscato Docg, in cui la sottozona Canelli chiede di avere “maggiore peso”.
E’ il tema caldo delle elezioni del nuovo presidente del Consorzio Asti Docg, in corso da ieri nel sud del Piemonte, che non termineranno prima di sabato 22 aprile. Il gruppo di produttori nato più di 10 anni fa attorno a Canelli, in una zona compresa tra i Comuni di Castel Boglione, Bubbio e Loazzolo, ha avanzato in Regione la proposta di riconoscimento di una Denominazione di Origine Controllata e Garantita a sé stante. Una Docg in grado di valorizzare un “cru” che prenderebbe il nome di “Moscato di Canelli Docg”, o “Canelli Docg”.
“La nostra iniziativa – spiega Gianfranco Torelli, a capo dell’omonima cantina – non mira tout court a un’uscita dal Consorzio di Tutela dell’Asti Docg. Intendiamo piuttosto staccarci da questo grande mondo che è l’Asti: grande e importante, ma dentro al quale noi ci sentiamo un po’ stretti. Un mondo che non ci rappresenta più come vigneron del Moscato”.
“UN MILIONE DI BOTTIGLIE” Oltre a Cantine Torelli di Bubbio, aderiscono alla richiesta di Docg importanti realtà della zona come Astoria, Ignazio Giovine, Cascina Barisel, Ezio Cerruti. Avrebbero mostrato interesse e già dato appoggio anche Tenuta Il Falchetto di Santo Stefano Belbo, l’Azienda Agricola Paolo Saracco di Castiglione Tinella, nonché Gianni Doglia e i Vignaioli di Santo Stefano. Aziende che, sommate assieme, garantirebbero alla nuova Docg una potenza sul campo “di circa un milione di bottiglie”.
“Nomi come questi – continua Torelli – ci consentirebbero in una decina di anni di modificare il nome della denominazione da ‘Moscato di Canelli Docg’ a, più semplicemente, ‘Canelli Docg’. Un’operazione possibile, grazie alla forza che potrebbero mettere in campo assieme le aziende in termini di marketing e comunicazione”. L’esempio a cui guarda il gruppo di produttori del sud Piemonte è quello del “Cortese di Gavi”, oggi noto a tutti col semplice nome “Gavi”. Al pari, il Nizza Docg.
I TEMPI Gianfranco Torelli (nella foto) ha le idee chiare anche sui tempi necessari per realizzare il progetto. “Ci siamo dati come limite il 2018 – spiega il produttore – proprio perché siamo consci che non si tratta di un’operazione semplice. La sottozona Canelli è già prevista dal disciplinare di produzione. Il passaggio a Docg necessita l’appoggio della Regione, già ampiamente confermato dall’assessore Giorgio Ferrero, oltre all’avallo del Consorzio di Tutela, che deve far partire l’iter legislativo. Una volta eletto il nuovo presidente ed entrato in carica il nuovo direttivo, attenderemo un mese prima di chiedere un incontro ufficiale, nella speranza che sia portata avanti la linea già confermata dall’attuale direttivo”.
Il gruppo di promotori del Moscato di Canelli Docg è già stato accolto a Palazzo Gastaldi in Piazza Roma 10 dall’attuale direttore del Consorzio, Giorgio Bosticco. “Che in linea di massima – conclude Torelli – ha garantito il suo assenso e appoggio all’istituzione della nuova Docg”. Entro qualche settimana, dunque, le sorti del nobile Moscato di Canelli saranno segnate.
IL MOSCATO D’ASTI DOCG
Riconosciuto Docg nel 1993, il Moscato d’Asti deve essere prodotto secondo il disciplinare esclusivamente con il vitigno Moscato Bianco. La resa massima è di 100 quintali di uva per ettaro. Il Moscato d’Asti Docg è un vino di colore giallo parglierino brillante, che nel calice evidenzia una spuma fine e persistente. Al naso è fragrante, floreale. Il tratto distintivo è il sentore di salvia. Il sapore è delicatamente dolce, aromatico, caratteristico. La gradazione minima complessiva è 11 gradi, con alcool svolto minimo a 4,5.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
In dirittura d’arrivo la 24a edizione dell’Anteprima del Vino Nobile di Montepulciano, che dopo il successo della tre giorni dello scorso fine settimana dedicata agli operatori del settore, con 4 mila visitatori in tre giorni, si chiuderà domani, giovedì 16 febbraio, con la proclamazione delle stelle di fronte a 150 giornalisti provenienti da tutto il mondo.
La buona notizia, intanto, è che il Vino Nobile fa bene all’economia del territorio, ma soprattutto all’ambiente, e contribuisce alla salute e al benessere dei consumatori. Negli ultimi anni le imprese vitivinicole sono andate nella direzione della sostenibilità e oggi, grazie a un progetto di Amministrazione Comunale e Consorzio del Vino Nobile, si può definire una Docg “Emissioni Zero”.
“L’impegno del Consorzio e del Comune in questa direzione – spiega il Presidente del Consorzio del Vino Nobile, Andrea Natalini(nella foto) – non è nuovo e già in passato abbiamo dato vita a iniziative di questo tipo, senza contare le tante attività che le singole cantine svolgono con investimenti mirati proprio al risparmio energetico e ambientale”.
GLI INVESTIMENTI Oltre 8 milioni di euro. A tanto ammontano gli investimenti diretti praticati dalle aziende produttrici di Vino Nobile negli ultimi dieci anni per la sostenibilità ambientale. E’ il dato che emerge da una analisi del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano che mette in evidenza come nel territorio di Montepulciano si siano moltiplicati negli ultimi anni provvedimenti per una gestione più sostenibile della produzione del vino. Oltre il 70% delle imprese (circa 60) ha già investito in progetti sostenibili, mentre il 90% ha in corso progetti di realizzazione di impianti.
Entrando nel dettaglio, delle 76 aziende consorziate, oltre il 70% ha un impianto fotovoltaico e il 35% si è dotato di solare termico per la produzione di calore. Il 20% ha sistemi di recupero delle acque reflue, mentre un 10% delle imprese ha investito nella geotermia. Negli ultimi anni circa la metà delle aziende ha sviluppato pratiche naturali, come la fertilizzazione, l’inerbimento, l’utilizzo di metodi di coltivazione meno impattanti. Questo si lega al concetto di biodiversità che vede oltre il 40% delle aziende di Vino Nobile praticare una agricoltura sotto il regime del biologico, alcune biodinamiche. Montepulciano vanta anche il primo caso in Italia di cantina “off grid” e altri casi esemplari già presi come modello da altre realtà vitivinicole.
Non è un caso che proprio su input dell’Amministrazione Comunale e del Consorzio del Vino Nobile sia in corso un progetto che porterà la certificazione di ogni bottiglia per dimostrare l’impatto zero della produzione sul territorio d’origine. Un percorso che ha preso il via qualche anno fa e che ha come presupposto la riduzione delle emissioni dei gas-serra e la promozione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica e si pone come obiettivo la riduzione o la compensazione delle emissioni di CO2 derivanti dalle tre fasi su cui si articola la produzione della DOCG Vino Nobile (agricola, aziendale e di trasporto).
Al termine dell’iter del progetto Montepulciano, con la DOCG Vino Nobile, sarà il primo distretto vitivinicolo in Italia a poter certificare l’impatto zero sull’atmosfera della propria produzione vinicola. Il fine è giungere entro il 2020 (scadenza indicata anche dal Patto europeo dei Sindaci, a cui Montepulciano aderisce) alla neutralità delle emissioni di gas clima – alteranti grazie all’utilizzo da parte degli Enti pubblici o di privati di buone pratiche quali rimboschimenti, impiego di pannelli fotovoltaici, produzione di energia da centrali alimentate a biomasse etc.
LA CITTA’
“Il passaggio successivo – anticipa il Sindaco di Montepulciano Andrea Rossi – sarà certificare la sostenibilità dell’altra fonte primaria di reddito di Montepulciano, il turismo, allargato anche alla ristorazione, al commercio e alle stesse cantine. Una politica che incentivi gli acquisti da fornitori che producono in maniera etica, che inviti al riuso dei materiali, riducendo al massimo i consumi che – in prospettiva – preveda la circolazione dei centri abitati di mezzi pubblici alimentati ad elettricità”.
UN VINO “AMICO DEL CUORE” Pici all’aglione, pasta e ceci, pollo nostrano arrosto agli aromi, coniglio alle olive, gustosi piatti a base di ingredienti toscani di stagione, accompagnati da olio extravergine di oliva e vino Rosso di Montepulciano DOC o Nobile DOCG regalano piacevolezza e benessere non solo al palato e allo spirito ma sono amici del cuore. Lo ha dimostrato, dai alla mani, il Dott. Giorgio Ciacci, enocrinologo, nutrizionista, al pubblico di operatori (produttori di Vino Nobile, ristoratori) che ha partecipato al seminario “I menù del cuore ed il Nobile: un matrimonio possibile”, promosso durante l’Anteprima 2017 dall’Azienda USL Toscana Sudest, dalla Società della Salute Valdichiana Senese e dalla Confesercenti Siena in collaborazione con il Comune di Montepulciano e con il Consorzio dei produttori.
L’iniziativa, inserita nel programma di “Cardiologie aperte”, settimana della prevenzione delle malattie cardio-vascolari, ha sancito l’adesione del Consorzio del Nobile al progetto “I menù toscani del cuore”, proposto dallo stesso Ciacci con l’adesione della Cardiologia degli Ospedali Riuniti della Valdichiana Senese, rappresentata dal direttore della Cardiologia provinciale, Dott. Franco Bui.
Si tratta di pietanze che, opportunamente preparate, non solo non perdono nulla sul piano della gratificazione del gusto ma donano benessere e apportano sostanze utili per l’organismo. Ciacci, sostenitore della dieta mediterranea, ha proposto ai ristoratori tali menù ed il Presidente del Consorzio del Vino Nobile Andrea Natalini, al momento del brindisi augurale, ha comunicato l’adesione dei produttori. I menù toscani del cuore porteranno dunque, nei locali che li adotteranno, proponendo quei piatti e quelle preparazioni, il logo del Consorzio.
DOMANI SI CHIUDE L’ANTEPRIMA L’Anteprima come detto si chiuderà domani con la presentazione dell’annata 2016, a cura dell’enologo Emiliano Falsini, la proclamazione della valutazione dell’ultima vendemmia, a cui procederanno il Presidente del Consorzio del Vino Nobile Andrea Natalini ed il Sindaco di Montepulciano Andrea Rossi, e la degustazione comparativa delle nuove annate.
Ad arricchire il programma dell’appuntamento riservato alla stampa e alle Istituzioni, la riproposizione di una delle iniziative di maggior successo delle giornate per il 50.o anniversario della DOC, ovvero una degustazione di annate storiche che, come già avvenuto per la prima edizione, riserverà grandi e piacevoli sorprese.
Terminato il proprio lavoro in Fortezza, i giornalisti si distribuiranno sul territorio, ospiti delle aziende produttrici di Nobile e potranno quindi conoscere direttamente ed a fondo le diverse realtà ed il contesto in cui operano, prima di proseguire verso la tappa seguente delle Anteprime di Toscana.
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La quarta varietà di uva coltivata in Italia ha una nuova denominazione di origine controllata. E’ la Doc “delle Venezie”, che interesserà appunto principalmente l’uva Pinot Grigio. Tre le regioni coinvolte: Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia.
Un impasto di interessi e visioni parse sin da subito inconciliabili. Che presto convergeranno in un Consorzio dall’arduo compito: garantire la convivenza di grandi gruppi come Cavit e Mezzacorona con realtà medio piccole, abituate da sempre alla vendemmia manuale. Ventitremila ettari di vigneti di Pinot Grigio nella denominazione, su un totale di 20 mila ettari localizzati nel Nord Est, 10 mila dei quali concentrati nel solo Veneto.
“Il via ufficiale al Consorzio che gestirà la nuova Doc ‘delle Venezie’ – commenta Antonio Rallo, Presidente di Unione Italiana Vini – è l’epilogo di un percorso durato due anni in cui Uiv si è impegnata per favorire il dialogo tra i soggetti coinvolti, sostenendo e agevolando la preziosa attività di mediazione e relazione, associativa ed istituzionale. Un lavoro coordinato da Albino Armani, che ringraziamo e sollecitiamo a proseguire con lo stesso passo verso la costituzione del Consorzio. Strumento grazie al quale sarà possibile riorganizzare e valorizzare la produzione di Pinot Grigio del Triveneto, riferimento nazionale per questa varietà. La nuova Doc sarà garanzia di migliore qualità, controlli efficaci delle produzioni e valorizzazione di un vino che in tutto il mondo è sinonimo di italianità”.
La conferenza stampa di presentazione delle prossime tappe che porteranno all’ingresso sul mercato della nuova Doc delle Venezie e dell’Igt Trevenezie si è svolta in presenza del mondo produttivo delle regioni Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia e del presidente dell’Associazione Temporanea di Scopo (Ats) Albino Armani, che ha guidato questo ambizioso progetto fino ad oggi e che è pronto a gestire il costituendo Consorzio.
I NUMERI La produzione di Pinot Grigio nel solo Triveneto costituisce oggi l’85% della produzione complessiva nazionale e il 43% di quella mondiale, con circa 2 milioni di ettolitri (260 milioni di bottiglie) distribuiti su oltre 20 mila ettari: circa 11.500 ettari in Veneto, 6.000 in Friuli Venezia Giulia e 2.800 nella sola provincia di Trento. Il Pinot Grigio Rappresenta la quarta varietà di uva coltivata in Italia, segnando una crescita negli ultimi cinque anni pari al 144%. Il nuovo Pinot Grigio Doc ‘delle Venezie’ comprenderà la produzione della vecchia IGT e tutta la produzione del Pinot Grigio DOC del Triveneto, pur mantenendo le caratterizzazioni territoriali di ciascuna zona. Nell’ambito della presentazione della nuova Doc ‘delle Venezie’ è stata data voce anche alla nascita della Igt ‘Trevenezie’, e sono stati presentati i relativi disciplinari di produzione oltre che i futuri programmi di sviluppo.
“Con l’invio al Ministero dello Statuto del Consorzio abbiamo fatto un altro passo importante verso l’organizzazione della nuova Doc ‘delle Venezie’ – spiega Albino Armani(nella foto) – segnando un importante risultato per il settore, che ci qualifica come riferimento nazionale e mondiale per la produzione del Pinot Grigio. La lungimiranza e la determinazione dimostrate da tutti i soggetti delle regioni Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia coinvolti trasversalmente, hanno consentito di individuare un terreno comune su cui dialogare e progettare in sinergia il futuro di una denominazione che, di fatto, raccoglie nel suo complesso le peculiarità di questi tre territori”.
Il produttore veronese Armani ha guidato alla presidenza dell’Ats una squadra composta alla vice presidenza dal friulano Dario Ermacora e dal trentino Alessandro Bertagnoli. Un comitato composto anche da un referente per i produttori, vinificatori e imbottigliatori dei tre territori. Per il Veneto Giorgio Piazza, Corrado Giacomini, oltre allo stesso Albino Armani. Per il Friuli Venezia Giulia, Dario Ermacola, Pietro Rismontin, e Claudio Felluga. Per il Trentino Alto Adige Alessandro Bertagnoli, Rigotti Luca e Luterotti Bruno.
“Ora – continua Armani – la filiera potrà muoversi finalmente come sistema organizzato costituendosi in Consorzio di Tutela e portando gli standard qualitativi di produzione a un deciso innalzamento. Attraverso controlli puntuali ed efficaci per via delle norme produttive più stringenti, oltre che per una più strutturata gestione dell’offerta, il mercato guadagnerà in stabilità, accompagnata da una visione condivisa delle strategie di promozione che permetterà al Consorzio di aprire a nuove prospettive di crescita nel panorama internazionale”.
“Un obiettivo veramente importante – conclude Albino Armani – raggiunto anche grazie all’operato di Unione Italiana Vini che ha lavorato a livello tecnico ed istituzionale per sensibilizzare ed illustrare in modo approfondito e concreto i vantaggi che questa novità avrebbe portato al comparto. Desidero infine ringraziare il Ministero delle Politiche Agricole per la fiducia e l’apertura dimostrate nei confronti di questa iniziativa, che auspico possa diventare modello replicabile per altre realtà vitivinicole italiane”.
“Salutiamo con sincera soddisfazione la prossima costituzione del Consorzio della Doc ‘delle Venezie’ – aggiunge Paolo Castelletti (nella foto a sinistra), Segretario Generale Unione Italiana Vini – che ci ha visti impegnati fianco a fianco in questi anni per coordinare un processo tutt’altro che semplice, sintesi di sensibilità ed esigenze espresse da regioni significative per la vitivinicoltura italiana come Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia. Una risposta concreta di riorganizzazione del sistema delle Doc verso un modello di aggregazione territoriale e produttiva che facilita il percorso di promozione e valorizzazione identitaria del Pinot Grigio.Un esempio virtuoso di semplificazione del sistema delle Doc, che auspichiamo esportabile anche in altre situazioni”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sarà Luigi Gregoletto, vignaiolo in Conegliano-Valdobbiadene, a ricevere il premio Romano Levi per il Vignaiolo dell’anno conferito dalla FIVI durante il Mercato dei Vini. La sua famiglia da più di 400 anni lavora la terra e coltiva la vite. “Luigi Gregoletto rappresenta quella figura di vignaiolo che sa di essere custode, non padrone della sua terra. E la coltiva con la cura di chi sa che la terra rimarrà anche in futuro e darà buoni frutti solo se rispettata. Rappresenta una generazione che ha visto la povertà diventare ricchezza, ma ha mantenuto i piedi sempre saldi a terra, come le radici dei suoi storici vigneti. Rappresenta quelle figure che sono ambasciatori di un territorio, scrigni di sapere e di passione, esempio del passato e faro per i vignaioli del futuro”.
Gregoletto sarà uno dei protagonisti della sesta edizione del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti che sabato 26 e domenica 27 novembre vedrà riuniti 421 vignaioli che racconteranno il territorio attraverso i loro prodotti. Un’occasione per conoscere i vini di vignaioli provenienti da tutta Italia, anche attraverso quattro degustazioni tematiche condotte dagli stessi produttori.
Saranno inoltre consegnate le targhe FIVI a sette nuovi punti di affezione. Sono enoteche e ristoranti che hanno in carta i vini dei Vignaioli Indipendenti e che possono esporre lo stemma dell’associazione nel loro locale. Per la prima volta saranno consegnate anche a due locali fuori Italia, uno a Tallin e uno a Berlino.
Ma il Mercato diventa anche mostra. All’ingresso del padiglione fieristico si potranno infatti ammirare quest’anno 15 opere dell’oste pittore Giordano Floreancig. Attraverso pennellate decise e impietose e una pittura ricca di significati e forza, l’artista friulano esprime la tragedia dell’esistenza umana. Nel salone della Fiera saranno invece esposte le 5 foto vincitrici del contest #chinonbeveincompagnia, lanciato sui social media da FIVI, che ha raccolto scatti in vigna o nella natura sul tema della festa. Gli autori saranno premiati con un soggiorno in agriturismo e con bottiglie di vino.
Gli orari di apertura del Mercato dei vini sono: sabato dalle 11.30 alle 19.30 e domenica dalle 11.00 alle 19.00. Ingresso € 15.00 (ridotto € 10 per i soci AIS – FIS – FISAR – ONAV e SLOW FOOD).
IL MERCATO DEI VINI FIVI IN BREVE
Quando: sabato 26 e domenica 27 novembre 2016
Dove: PiacenzaExpo
Orario di apertura al pubblico: Sabato dalle 11.30 alle 19.30 | Domenica dalle 11.00 alle 19.00
Ingresso: € 15.00 comprensivo di catalogo e bicchiere per degustazioni ingresso giornaliero, € 25.00 il biglietto per due giorni.
Ingresso ridotto: € 10.00 per soci AIS – FIS – FISAR – ONAV – AIES e SLOW FOOD – possessori del biglietto della manifestazione MareDivino 2016 (il socio deve mostrare tessera valida dell’anno in corso). I minorenni non pagano l’ingresso e non possono effettuare degustazioni.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Sabato 26 e domenica 27 novembre 2016 a Piacenza Expo la sesta edizione del Mercato dei vini dei Vignaioli Indipendenti. Le quattro degustazioni in programma quest’anno saranno condotte come l’anno scorso direttamente dai vignaioli e racconteranno quattro aziende che nel mondo del vino hanno lasciato il segno, in un simbolico viaggio tra diverse regioni italiane. Dal Trentino di Pojer & Sandri al Collio friulano di Edi Keber, dal lombardo Oltrepò Pavese di Lino Maga alla Calabria di Francesco De Franco: ogni terra si racconterà attraverso i vini del suo interprete d’eccellenza. Il primo sarà Mario Pojer, sabato 26 novembre alle ore 14.00.
Attraverso i suoi vini il vignaiolo trentino parlerà dell’avventura iniziata più di quarant’anni fa con Fiorentino Sandri, tra ricerca e sperimentazione, che li ha portati ad essere interpreti privilegiati del loro territorio. Alle 17.00 Kristian Keber, che affianca il padre Edi nella conduzione dell’azienda di famiglia, racconterà la scelta coraggiosa e controcorrente di produrre un unico vino, il Collio. Domenica 27 novembre alle ore 14.00 Lino Maga condurrà il pubblico alla scoperta del suo Barbacarlo, “poesia della terra” come lo definisce lui, raccontandone le evoluzioni e la tenuta nel tempo. Nell’ultima degustazione, domenica alle ore 17.00, Francesco De Franco proporrà cinque vini differenti di cinque diverse annate, ma prodotti dallo stesso vitigno, il Gaglioppo. Vini capaci di raccontare e restituire la complessità del territorio calabro. Per iscriversi alle degustazioni: http://www.mercatodeivini.it.
LE DEGUSTAZIONI
Sabato 26 novembre 2016, ore 14.00: Pojer & Sandri Una storia lunga più di quarant’anni quella di Mario Pojer e Fiorentino Sandri, interpreti e sperimentatori di un territorio incantevole e variegato come quello trentino. Una storia di ricerca e impegno che ha portato a vini di grandissima personalità ed estremamente longevi. Due vini in degustazione, uno bianco e uno rosso, che sono a tutti gli effetti un pezzo di storia trentina. Conduce la degustazione insieme a Mario Pojer: Gaetano Morella (vignaiolo in Puglia)
La famiglia Keber, vignaioli in Friuli Venezia Giulia da generazioni, ha deciso a un certo punto della propria storia di produrre un solo vino. Una e una sola denominazione: Collio. Kristian Keber, impegnato oggi in azienda in prima linea a fianco del padre Edi, ci racconta il coraggio, la visione e i perché di questa scelta. Le annate in degustazione sono cinque, si scende fino al ’99. Conduce la degustazione insieme a Kristian Keber: Mario Pojer (vignaiolo in Trentino)
Lino Maga e la sua idea di Oltrepò Pavese, la ricerca della qualità, il coraggio e la tenacia che servono a far diventare il Barbacarlo quello che deve essere secondo lui: “Poesia della terra”. Cinque diverse vendemmie, tutte comprese nei primi dieci anni di questo nuovo millennio, raccontano le evoluzioni e la tenuta nel tempo di questo vino incredibile. Conducono la degustazione insieme a Lino Maga: Andrea Picchioni (vignaiolo in Oltrepò Pavese) e Walter Massa (vignaiolo in Piemonte). Parteciperà all’incontro Valerio Bergamini, autore del libro “Lino Maga anzi Maga Lino. Il signor Barbacarlo”.
Domenica 27 novembre, ore 17.00: ‘A Vita Vignaioli a Cirò
In pochi anni Francesco de Franco è riuscito a far diventare il suo nome sinonimo di Cirò. I suoi vini rispecchiano la sua terra, sono pieni di carattere e identità, naturali perché figli di un’agricoltura attenta e rispettosa, non interventista, ma anche perché sembrano una naturale prosecuzione della vigna, capaci di raccontare e restituire il complesso territorio da cui trovano origine. Cinque diversi vini per cinque diverse annate, ma il vitigno resta lo stesso: Gaglioppo in purezza. Conduce la degustazione insieme a Francesco de Franco: Bruno de Conciliis (Vignaiolo in Campania).
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