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Sangiovese Romagna Doc 2014 Iove, Umberto Cesari

(3,5 / 5) Tre parole: colline fertili, lavoro e passione. Da qui nascono i vini di Umberto Cesari, una sfida iniziata negli anni Sessanta con venti ettari di vigneto nei terreni collinari al confine tra l’Emilia e la Romagna.

Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi il Sangiovese Doc di Cesari, vendemmia 2014, in vendita nei supermercati Interspar.

LA DEGUSTAZIONE
Il vino si presenta limpido, color rubino vivace, consistente nel calice. Al naso si percepisce intenso e piuttosto complesso, bouquet fruttato e floreale con frutti maturi di ciliegia e frutti di bosco e fiori come la violetta, sentori di marmellata e marasca e spezie tostate come tabacco e caffè.

In bocca, il Sangiovese Iove di Umberto Cesari è caldo, morbido, pieno ed elegante, abbastanza fresco, leggermente tannico. Di corpo, risulta avvolgente e armonico nel complesso. Piuttosto duttile nell’abbinamento, è particolarmente consigliato con piatti saporiti di carne e selvaggina, ma anche con formaggi stagionati, salumi o primi piatti di pasta ripiena.

LA VINIFICAZIONE
Il vino è classificato come Romagna Doc Sangiovese, ottenuto da uve 100% Sangiovese, con titolo alcolometrico di 12,5%. L’affinamento avviene in vasche di acciaio per 3 mesi.

Le uve usate per produrre Iove Sangiovese Doc vengono raccolte interamente nel podere Parolino, che copre due versanti di una stessa collina, con un’esposizione ottimale tutto l’anno. Nel Podere Parolino si coltivano anche Merlot, Trebbiano e Sauvignon Blanc.

La grande ricchezza dell’azienda sono di fatto 6 poderi (Ca’ Grande, Liano, Laurento, Tauleto, Casetta e Parolino). La Umberto Cesari consta di 175 ettari di vigneti, una cantina di 18 mila metri quadrati, nonché una sede aziendale che accoglie il wine shop e la sala degustazione.

Prezzo: 4,99 euro
Acquistato presso: Interspar

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Roero Docg 2013, Teo Costa

(3,5 / 5) Il fiume Tanaro divide due delle zone maggiormente vocate alla viticultura di tutto il Piemonte: le Langhe, sulla riva destra, e il Roero sulla riva sinistra.

Il vitigno principe è lo stesso, il Nebbiolo. Mentre il territorio è molto diverso: calcareo e argilloso nelle Langhe, soffice e sabbioso sull’altra sponda.

LA DEGUSTAZIONE
Il Roero Teo Costa ha un bel colore luminoso, granato con ancora un ricordo rubino. La trasparenza è quella che ci si aspetta dal Nebbiolo. Il naso è intenso, abbastanza complesso, fine. Il frutto resta sullo sfondo per lasciare spazio a sensazioni erbacee un po’ troppo in evidenza, assieme a leggere note floreali e ferrose.

Più sapido che fresco, ha un buon ingresso in bocca, subito scalzato però dal tannino ancora troppo verde. Una caratteristica che andrà ad ammorbidirsi col trascorrere dei mesi in bottiglia, rendendo il Roero Teo Costa più apprezzabile dal prossimo anno. Il finale, ad oggi, risulta quindi non così piacevole. Può essere comunque un buon compagno di una succulenta bistecca.

LA VINIFICAZIONE
La tecnica di vinificazione è quella tradizionale in rosso e segue i dettami della Denominazione di origine controllata e garantita Roero. Si tratta dunque di un Nebbiolo in purezza, con 20 mesi di affinamento di cui almeno 6 in legno.

Teo Costa è un’azienda storica piemontese, nata verso la fine del 1800. Possiede circa 50 ettari di vigneto su entrambe le rive del Tanaro, potendo quindi offrire due diverse interpretazioni dello stesso vitigno, il Nebbiolo dei comuni di Treiso e Novello, e il Roero di Castellinaldo e Castagnito.

Prezzo: 7,58 euro
Acquistato presso: Ipercoop

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Un tram che si chiama La Versa. Ultima chiamata per l’Oltrepò

Diciotto milioni di euro netti di ricavi nel 2009. Poi giù. Nel buio più profondo. Fino ad arrivare a una voragine dal diametro impressionante.

Un buco (finanziario) da 12 milioni di euro, consolidato dal bilancio 2016. E un vuoto (morale) ancora più disorientante, allo scattare delle manette ai polsi dell’eterno presunto Messia, giunto dalla Franciacorta: quell’Abele Lanzanova capace, secondo la GdF, di “appropriarsi di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. Era il 21 luglio 2016.

L’araba Fenice dell’Oltrepò pavese ha un nome solo ed è La Versa. Evocativo. Tattile. Come i trattori dei contadini in canottiera che, nella culla del Pinot Nero italiano, passano accanto a quel blocco di cemento di 15 mila metri quadrati, pronti a tornare a popolarsi di uomini, di passioni, di idee.

Ci credono in molti – ma forse ancora in troppo pochi – nel rilancio della storica cantina pavese ad opera della nuova società costituita da Terre d’Oltrepò e Cavit. In questo quadro, in una terra che da troppi anni è un puzzle di buoni propositi e di ottimi progetti individuali annegati nell’incapacità di “fare rete”, la cooperazione pare l’unico asso nella manica.

Lo sa bene Andrea Giorgi, personaggio a metà tra il cow boy e il sindaco sceriffo: presidente della newco scioglilingua “Valle della Versa”, partecipata al 70% dai lombardi e al 30 dai trentini. Ironia sottile, silenzi dosati. Risposte mai banali o scontate. A volte pungenti. Un giardiniere pronto a seminare nel deserto. Un minuto Gandhi, il minuto dopo William Wallace (a parole) prima di Bannokburn. Senza però sfociare nel bipolarismo.

Al suo fianco Marco Stenico, il mediatore. Il direttore commerciale per antonomasia. Trentino d’origine, è lui il braccio destro di Giorgi. L’uomo perfetto per riconquistare il mercato.

E non importa se, al 24 agosto, i due non sappiano ancora quali siano, esattamente, i bottoni da premere sul quadro elettrico per accendere la luce nel “caveau” di La Versa, intitolato allo storico presidente duca Antonio Denari. Per risorgere ci vuole tempo. E occorre fiducia. La ricetta? Ripartire dal passato, in chiave moderna.

“Questa è un’azienda nuova – precisa Stenico – costituita dai due soci. Terre d’Oltrepò e Cavit si sono prese carico, ognuna per le proprie competenze, di alcune attività. Noi seguiremo la parte commerciale, mentre i nostri partner trentini la parte tecnica, la vinificazione e la parte industriale, che sta per essere messa in attività a partire già da settembre”.

Dalla scorsa settimana, i conferitori della zona di Santa Maria della Versa e di Golferenzo hanno ricominciato a portare le loro uve a La Versa. “Tutto raccolto a mano – evidenzia Stenico – Pinot Nero, Riesling e Moscato”. La prima vendemmia della nuova società si assesta sui 25 mila quintali di uva. Masse certamente inferiori ai 450-500 mila quintali che Terre d’Oltrepò e i suoi soci sono in grado di produrre annualmente. Ma siamo, appunto, solo all’inizio.

La parte del leone spetta al Pinot Nero, con oltre 10 mila quintali. A seguire il Riesling, 5 mila. E infine il Moscato, con 7-8 mila quintali. Quantità risicate da maltempo e gelate che hanno interessato l’Italia, travolgendo anche l’Oltrepò Pavese. Cento i soci conferitori di quella che fu La Versa, cui si andrà a sommare la base sociale di Terre d’Oltrepò, costituita da oltre 700 soci. Tradotto in vigneto: 6 dei 13 mila ettari complessivi sono controllati da Valle della Versa, con un potenziale produttivo che supera il 55% dell’intera zona.

“Da questa vendemmia – commenta Andrea Giorgi – ci aspettiamo un prodotto da collocare nel più breve tempo possibile sul mercato con il marchio La Versa. Un’operazione strategica per Terre d’Oltrepò, che ha già due stabilimenti: uno a Broni, l’altro a Casteggio. Il primo ha un grande potenziale dal punto di vista tecnologico, che arriva fino alla trasformazione di 15 mila quintali di prodotto al giorno. Casteggio si sta invece specializzando nell’imbottigliamento di prodotti fermi. Qui a Santa Maria La Versa vogliamo invece sviluppare il marchio e destinarlo a prodotti spumanti e a frizzanti in genere”.

Il mercato di riferimento è chiaro. “Nella nostra strategia complessiva – risponde Giorgi – visti i quantitativi enunciati, possiamo abbracciare tutta la gamma, dalle enoteche ai supermercati, passando dai ristoranti. Stiamo accuratamente selezionando i canali nei quali entrare nel modo più redditizio possibile, per creare uno zoccolo duro sul mercato italiano e sviluppare l’estero, dal momento che l’export, oggi, riguarda solo una piccola parte. Quello che vogliamo fare è accontentare i diversi target di clientela, dando senso al lavoro delle nostre centinaia di conferitori”.

Al canale moderno, quello della distribuzione e della grande distribuzione organizzata (Do-Gdo) sarà affidato il 70-75% della produzione. Il resto alla nicchia della ristorazione e delle enoteche. Diverso il discorso per il marchio La Versa. Ed è qui che si gioca una delle partite fondamentali per il rilancio della cantina pavese.

IL TESORO NEGLI ABISSI
Nei due piani sotterranei della cantina sono infatti custodite oltre un milione di bottiglie di metodo Classico oltrepadano (o futuro tale). Voci incontrollate assegnerebbero a questo scrigno un valore di 4,2 milioni di euro. Lo stesso per il quale la newco si è aggiudicata l’asta.

Una cifra che Giorgi e Stenico non confermano. E che, anzi, sembrano ridimensionare. Cosa ne sarà di questo bottino, vera carta da giocare anche nei confronti delle resistenze sull’operazione di Cavit in Oltrepò, da parte di una frangia di vignaioli delle Dolomiti? Cinque le annate custodite nel Caveau, comprese tra la 2004 e la 2015 , tra Docg e Vsq.

“Vorremmo identificare il posizionamento del prodotto in una fascia alta – precisa il direttore commerciale -. Canalizzeremo in Gdo La Versa, fatta eccezione per marchi storici come Testarossa e Cuvée storica, che invece saranno appannaggio del canale tradizionale. Sintetizzando, sia per la Gdo sia per l’Horeca, un posizionamento alto per i prodotti La Versa e numeri più bassi. Ristoranti, enoteche e bar di prestigio avranno l’esclusiva del top di gamma di La Versa, protetto dalle logiche dei facili volumi, su livelli dei grandi Franciacorta e dei grandi TrentoDoc”.

“A partire da ottobre inoltrato – dichiara Marco Stenico – saranno immesse sul mercato le prime 5-10 mila bottiglie selezionate in maniera tecnica e precisa, capaci di garantire senza ombra di dubbio quella qualità che avremo sicuramente fra tre anni. Il resto dello stock sarà venduto come prodotto di semi lavorazione ad altri produttori. Per noi questo milione di bottiglie ha un valore enorme e vogliamo portarlo a casa tutto. Devono essere il biglietto da visita di La Versa, ma soprattutto dell’intero Oltrepò, per il quale ci candidiamo a un ruolo di vero e proprio traino”.

LE ETICHETTE
Le etichette, specie quelle destinate alla Gdo, sono ancora in fase di elaborazione. Sarà un lavoro di mediazione che interesserà le stesse insegne, avvezze a richiedere ai clienti layout ben precisi, secondo le moderne frontiere del neuromarketing.

Le prime bottiglie oggetto di restyling dovrebbero spuntare sugli scaffali di una nota catena italiana a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre (manca solo la firma sul contratto). Saranno invece tutelate da qualsiasi ingerenza le etichette storiche di La Versa, cui sarà garantita “un’identità vecchio stile, o comunque della vecchia bottiglia”.

“Faremo dei piccoli cambiamenti – annuncia Marco Stenico – ma senza togliere riconoscibilità al marchio”. Grande attenzione al mercato italiano. Ma nel mirino, per l’estero, oltre agli Stati Uniti, si affiancheranno missioni su piazze importanti, come Germania e Inghilterra.

L’aspettativa? “Innanzitutto – risponde Stenico – portare a casa la pagnotta. Ma i nostri piani industriali prevedono una crescita di 6 milioni nel primo anno e di 10 nei prossimi 3-4 anni, con redditività”. Una parola magica, “redditività”, che riguarderà soprattutto un’oculata gestione dei costi e delle risorse.

Di fatto erano trentacinque i dipendenti de La Versa colata a picco. Sette i milioni di fatturato nel 2015, scesi poi a poco più di 4 milioni nel 2016, per pagare stipendi e mantenere gli standard infrastrutturali. Di fatto, oggi sono 6 i dipendenti effettivi di La Versa (un enologo e 5 cantinieri). E se di numeri si parla, basti pensare che Terre d’Oltrepò, con un fatturato di 40 milioni, ha oggi in carico 48 dipendenti.

“Una gestione scellerata quella del passato – evidenzia il presidente Andrea Giorgi – che ha portato alla distruzione del fatturato di La Versa. Scelte imprenditoriali e commerciali errate hanno condotto la società a un’esposizione esagerata. Ma tra le cause del fallimento bisogna citare anche una componente politica, perché è impossibile immaginare 35 dipendenti in una realtà da 4,5 milioni euro annui”.

IL CONSORZIO
“La ripartenza di La Versa – dichiara Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – è un nuovo inizio per un Oltrepò spesso percepito come schiavo di mille padroni e incapace di governare il proprio mercato. All’Oltrepò Pavese serve un marchio collettivo leader, La Versa può esserlo. In Oltrepò ci sono il Pinot nero, la storia spumantistica dal 1865, i terreni collinari tra i più vocati d’Italia, i borghi del vino più caratteristici e l’anima vera di ‘contadini diventati imprenditori’, come ricordava Carlo Boatti”.

“Tutti – prosegue Bottiroli – ripetono come dischi rotti che manca una strategia d’insieme. Per me, ferme restando le identità di tanti singoli produttori di filiera e le loro maestose composizioni, manca un direttore d’orchestra. Manca un leader che sposi un progetto di marketing e posizionamento a valore, forte dei numeri per competere in Italia e nel mondo”.

“In altre parole possiamo trascorrere i prossimi 10 anni a cercare di mettere insieme 1700 aziende vitivinicole, 300 delle quali vanno sul mercato con le loro etichette e un imbottigliamento significativo di una miriade di tipologie, oppure collaborare al rilancio di La Versa, perché torni a svolgere il ruolo di autorevole ambasciatore di un Oltrepò di alta gamma, come avveniva ai tempi del Duca Denari”.

La Versa, evidenzia Bottiroli, “ha testimoniato con il suo impegno e la sua storia l’eleganza e la longevità unica che può arrivare ad avere un grande ‘Testarossa, marchio La Versa per l’Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico, pura espressione del Pinot nero d’Oltrepò. Ne abbiamo 3.000 ettari”.

“La nuova proprietà – esorta il direttore del Consorzio – deve coinvolgere il territorio in un percorso in cui tutti devono credere con passione, perché ripartire richiede progetti, massa critica, continuità e tempo. La Versa deve tornare a raccontare ed affermare cosa sia un grande spumante Metodo Classico italiano e un superlativo vino dell’Oltrepò”.

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Rosso Conero Dop 2013, Azienda Agricola Santa Casa Loreto

(3,5 / 5) Non poteva che attrarre il nostro interesse il Rosso Conero Dop 2013 prodotto dall’Azienda Agricola Santa Casa Loreto (AN).

In etichetta la riproduzione del complesso della Basilica a ”dominare” lo scaffale così come l’imponente cupola rinascimentale del Santuario fa con il panorama circostante, da diverse angolazioni, lì a Loreto.

LA DEGUSTAZIONE
Di un bel rosso rubino vivace, il Rosso Conero Dop 2013 dell’Agricola Santa Casa Loreto ha un’espressione vinosa gradevole, tipica del vitigno nei ricordi di piccoli frutti rossi di sottobosco.

Al naso, tra il ribes rosso, il lampone e il mirtillo giungono anche accenni di pepe nero e lievi note balsamiche.

In bocca è piacevolmente morbido e fruttato, con tannini fini. Sul finale, discretamente persistente, ritorna anche la balsamicità che ricorda il mirto.

Un calice che nel suo “non dinamismo” trova il perfetto equilibrio sulla tavola di ogni giorno, il tutto accompagnato da un ottimo rapporto qualità prezzo. Il Rosso Conero si abbina in genere a piatti saporiti, salumi, formaggi stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Il Rosso Conero Dop 2013 Agricola Santa Casa Loreto è prodotto con uve Montepulciano in purezza. I vigneti si trovano a un’altezza di 100-150 metri sul livello del mare, su terreni argillosi allevati in parte a guyot e in parte a cordone speronato. La vendemmia viene effettuata nella seconda settimana di ottobre.

La vinificazione, effettuata per conto della Santa Casa dalla Viti Vinicola Costadoro di Loreto, è tradizionale in rosso: temperatura controllata, con macerazione sulle bucce di 8/10 giorni e frequenti rimontaggi. Successivamente il vino affina per un anno in acciaio e cemento e quindi ancora per due mesi in bottiglia, prima della commercializzazione.

L’Azienda Agricola Santa Casa Loreto dispone di circa 1400 ettari di cui 50 dedicati alla viticultura. Una produzione vincola di fatto cominciata nel XIV secolo, quando il vino veniva prodotto principalmente per consumo interno e per i pellegrini. La distribuzione nei negozi è storia recentissima, dal 2014.

Prezzo: 4,90 euro
Acquistato presso: Ipersimply

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Kalterersee Auslese SudTirol Alto Adige Doc ‘”1840″ H.Lun (Girlan)

(4 / 5) Un vino fresco, “facile”, ma non banale. Sotto la nostra lente di ingrandimento il Kalterersee Auslese (Lago di Caldaro Scelto) Doc, linea 1840, di cantina H.Lun vendemmia 2016.

LA DEGUSTAZIONE
Colore rosso rubino, luminoso e trasparente. Al naso è fine, delicato. Emergono da subito note fruttate, piccoli frutti rossi come ciliegia e fragola seguiti da un leggera nota di pesca.

In bocca, con tannini fini appena accennati ha una bella acidità che ben si integra nel corpo leggero donando freschezza e piacevolezza di beva.

Il finale, non molto lungo, ripercorre le sensazioni del sorso per chiudere con un tratto leggermente mandorlato. Un vino vellutato, completo nella sua semplicità.

Il Kalterersee Auslese 1840 di H.Lun viene vinificato in fusti di cemento dopo attenta selezione delle uve, 100% Schiava.

LA CANTINA
Nata nel 1840, da cui il nome della linea, per volere di Alois H. Lun, la cantina fu una delle prime realtà imprenditoriali nella storia della vitivinicoltura Alto Atesina.

Volere del fondatore era quello di produrre vini di qualità dai terreni più vocati per ogni singolo vitigno. Anche dopo l’acquisizione da parte di Cantina Girlan, H.Lun continua a produrre e commercializzare con marchio proprio i propri vini, mantenendo immutata la propria filosofia.

Cantina e vigneti sono collocati a Cornaiano, un fazzoletto di terra, un terroir, ben noto agli amanti dei vini Alto Atesini. Quella striscia della Val d’Adige che parte da Termeno e sale verso nord attraverso Caldaro ed Appiano per arrivare a Terlano dove le forti escursioni termiche fra il giorno e la notte ed il clima mite garantiscono condizioni ideali per la viticultura.

Prezzo: 5,25 euro
Luogo d’acquisto: Despar

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Passerina Brut Spumante, Velenosi

(3 / 5) È spumantizzata nella patria del Prosecco (in provincia di Treviso) la Passerina Brut Spumante di Velenosi oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.

Un vitigno autoctono tipico di Marche, Abruzzo e Lazio riscoperto negli ultimi anni, che (fonte Coldiretti) nel 2016, con un incremento vendite del 24,4%, si è piazzato al secondo posto della classifica “Top 5 wines” venduti nella regione Marche. Primo incontrastato ancora il Verdicchio che resta il vino più consumato.

La Passerina resta seconda anche sul podio nazionale dei vini emergenti dopo la Ribolla Gialla e prima del Ripasso (fonte Vinitaly). Che il successo sia dovuto anche all’ambiguità del nome?

Insomma, ordinare una bottiglia di Passerina mette già allegria, anche se l’etimologia del nome (stessa del vitigno) ha ben altra origine e deriva dagli acini ad elevata concentrazione di zuccheri e di quercitina (flavonoide) di cui vanno ghiotti i passeri.

LA DEGUSTAZIONE
Di colore giallo paglierino scarico, si presenta nel calice con un perlage mediamente fine e persistente, apprezzabile per un metodo charmat. Il profilo olfattivo è poco intenso, tra il vegetale e il minerale, con lievi note agrumate di pompelmo giallo.

Al palato l’ingresso è ruvido, per una carbonica non adeguatamente bilanciata da altre sensazioni. Un effetto che sommato a una freschezza citrina rende il sorso un po’ sopra le righe della moderatezza e poco morbido.

Il finale, disimpegnato e con rimandi agrumati, si delinea sapido e pulito. Il che lo rende certamente perfetto in abbinamento ad un fritto di paranza.

LA VINIFICAZIONE
Dieci anni dalla prima vendemmia per la Passerina Brut Spumante (2007). Prodotta con uve 100% Passerina allevate a guyot a circa 200-300 metri sul livello del mare, su terreni in parte sabbiosi, con densità di impianto di 5 mila ceppi, resa per ettaro 80 quintali (1,5 Kg per ceppo). La vendemmia è effettuata manualmente, in cassette da 20 kg.

Il vino base viene rifermentato in autoclave con sosta sulle fecce per oltre 90 giorni, secondo il metodo charmat. Velenosi vini nasce nel 1984 come idea imprenditoriale di Ercole e Angela Velenosi. La cantina si trova ad Ascoli Piceno e i vigneti nella circostante zona del Tronto.

Prezzo : 8,79 euro
Acquistato presso: Sì con Te Supermercati

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Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan 2016, 47 Anno Domini Vineyard

(3,5 / 5) Bio e Vegan il Prosecco Millesimato Doc annata 2016 di 47 Anno Domini, oggi sotto la nostra lente di ingrandimento. Accoppiata, quella bio e vegan, che in qualche contesto scatenerebbe una disputa tra intransigenti integralisti enoappassionati o vignaioli.

Scelta etica o commerciale oppure combinazione delle due? Poco importa, fatto sta che negli ultimi anni è cresciuto in Italia il numero di consumatori di prodotti biologici ed il numero di persone che scelgono l’alimentazione vegana. L’ offerta del vino si è adeguata.

La menzione vegan, certificata da Vegan Society in questo caso, garantisce il non utilizzo, lungo tutta la filiera produttiva, di materiali o coadiuvanti di origine animali (come le colle utilizzate per la filtrazione).

LA DEGUSTAZIONE
Il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan 2016 di 47Annodomini si presenta nel calice color giallo paglierino. Una spuma vaporosa e compatta si sviluppa nel calice con  bollicine di media finezza discretamente persistenti.

Dal punto di vista olfattivo è un vino semplice con il frutto a far da padrone. Un naso intenso con i sentori tipici di mela e pera Williams corredati da ricordi floreali. Di alcolicità moderata il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan di 47 Anno Domini ha una buona freschezza che si bilancia al residuo zuccherino regalando un aperitivo gradevole, equilibrato coerente per la tipologia di prodotto.

Se siete vegani il suo posizionamento nella Gdo tradizionale è assolutamente vantaggioso (circa tre euro in meno) rispetto a quello praticato da note catene specializzate, piattaforme online o siti affini a prodotti biologici e vegani.

LA VINIFICAZIONE
Il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan di 47 Anno Domini è imbottigliato dall’azienda Vinicola Tombacco di Trebaseleghe in Provincia di Padova, di cui fa parte anche la Tenuta 47 Anno Domini, nata nel 1919 con all’attivo già tre generazioni.

E’ prodotto con uve 100% Glera bio da vigneti della provincia di Treviso. Le uve, accuratamente selezionate, vengono sottoposte a spremitura soffice e quindi a fermentazione in vasche di acciaio per dieci giorni.

Seguono travasi per rendere limpido il vino che diverrà spumante con rifermentazione secondo il metodo Charmat, in autoclave. Valoritalia, società specializzata nella certificazione della qualità delle produzioni aziende vitivinicole si occupa di verificare il rispetto dei protocolli biologici.

Prezzo: 7,49 euro
Acquistato presso: Crai

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Giro d’Italia in 80 vini all’Iper di Savignano sul Rubicone

Il “Giro d’Italia in 80 vini” sbarca a Savignano sul Rubicone. L’appuntamento “vacanziero” con i vini della linea “Grandi Vigne” è per venerdì 11 e sabato 12 agosto nel punto vendita Iper della provincia di Forlì, all’interno del centro commerciale Romagna Shopping Valley.

Si tratta della seconda tappa del tour, iniziato il 13 e 14 maggio al centro commerciale Fiordaliso di Rozzano, nell’hinterland milanese. Poi toccherà all’Iper Seriate (BG) il 9-10 settembre, all’Iper Portello di Milano il 6-7-8 ottobre e all’Iper di Arese (MI), il 21-22 ottobre.

DEGUSTAZIONE E SCONTI
Superato il giro di boa dei 10 anni, l’evento di degus
tazione è diventa un tour che nell’arco di 6 mesi invita clienti e appassionati del vino alla scoperta della private label Grandi Vigne. Non solo informazioni e consigli di enologi e produttori aderenti al progetto, ma anche un kit di degustazione e sconti per i possessori di Carta Vantaggi.

http://www.vinialsupermercato.it/iper-la-grande-i-giro-d-italia-in-80-vini-degustazione-sconti-linea-grandi-vigne/

Grandi Vigne, marchio creato da Iper La grande i, riunisce “i vini d’eccellenza di piccoli produttori italiani”. Il “Giro d’Italia in 80 vini” è una vera e propria immersione nell’affascinante mondo del vino, in un’ambientazione accurata e con postazioni accoglienti, prevalentemente all’aperto.

Un tour enologico durante il quale il pubblico potrà incontrare i produttori aderenti al marchio Grandi Vigne e farsi consigliare dai sommelier presenti ai banchi di degustazione.

Si potrà assaggiare tutti i vini acquistando un kit di degustazione (3 euro) che comprende, oltre alle consumazioni, un bicchiere di vetro, una sacca porta-bicchiere da collo, materiale informativo e un taccuino di degustazione con matita. I titolari di Carta Vantaggi potranno inoltre usufruire di uno sconto del 20 o 30% su tutti i vini Grandi Vigne.

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La felicità di Al Bano: 4,5 milioni con il vino al supermercato. In progetto la nuova cantina

Da “carrozzone” in perdita a macchina da soldi. La cantina di Al Bano Carrisi si è trasformata in 6 anni da brutto anatroccolo a cigno. Un milione e mezzo di bottiglie nel 2016, per 4,5 milioni di fatturato. Un successo che consentirà al cantante di investire ancora nel vino.

Il progetto della nuova cantina sarà ultimato entro fine agosto. Lo stabile sorgerà a pochi passi dall’attuale Tenuta, a Cellino San Marco, nel Brindisino. Un edificio in perfetto “Al Bano style”. Tremila metri quadrati su tre livelli. Quattro torri perimetrali, che si ergeranno su mura in tufo, integrate con il panorama agricolo. Tra le vigne e gli ulivi.

Un passo necessario per l’Al Bano contadino. La cantina attuale, 400 metri quadrati, è di fatto quasi al collasso. Merito del successo della linea di vini destinati ai supermercati. Il magazzino coordinato dall’enologo Michele Renna ha ritmi d’inferno. “Movimentiamo una media giornaliera di 27-32 bancali”, assicura. Ogni pallet è formato da 125 cartoni, per un totale di 750 bottiglie. Circa 20 mila i “pezzi di cuore” di Al Bano che ogni giorno partono per raggiungere i supermercati di mezza Italia.

“Sin da piccolino – dichiara il cantante vignaiolo – ho vissuto in mezzo alle vigne e al mosto. Cose che, ormai, fanno parte del mio Dna. Da bambino odiavo tutto ciò che era campagna perché significava duro lavoro. Quando me ne andai da Cellino per avviare la carriera da cantante promisi a mio padre di tornare per costruire una cantina. Ci sono riuscito, nel 1973. Lui non ci credeva, io sì. Oggi le cose vanno molto bene e stiamo attendendo che si espletino tutte le questioni burocratiche per la nuova struttura”.

DALLE ORIGINI AL FUTURO
“Quando comprai questi campi per trasformarli nella mia Tenuta – ricorda Al Bano – qui non c’era acqua, non c’era luce, non c’era linea telefonica. Ho cercato di creare un piccolo borgo autosufficiente, dove la gente arriva e non vede soltanto la fotografia di Al Bano o spera di incontrarlo. Questa vuole essere l’immagine di tutto ciò che si può fare quando si ha voglia di fare. Qui di voglia ce n’è stata tanta e ce ne sarà sempre tantissima: fare per creare lavoro, movimento, opinione. Per dire che questa terra è viva”.

Una questione di cuore, che interessa anche i figli del cantante pugliese. Mentre il padre si concede ai microfoni, l’ultimogenito, Al Bano Jr detto “Bido”, aiuta gli operai della cantina lungo la linea di imbottigliamento. Il viso non è quello del 15enne alle prese con la PlayStation. E il padre gliele canta.

“I miei figli – ammonisce Al Bano – devono imparare a capire sin da subito quanto è importante e indispensabile il lavoro e come affrontarlo. E’ comodo fare il figlio dell’artista e alzarsi sempre a mezzogiorno, ma così si rischia di creare i presupposti per i peccati del futuro. Bisogna estirpare subito questo tipo di cancro mentale”.

Sarà “Bido” l’erede delle vigne? “Intanto i figli devono imparano a lavorare – chiosa Al Bano – poi si vedrà. Anche a me non piaceva fare ciò che mi diceva mio padre e per questo mi sono creato l’alternativa. Come me, quindi, anche loro devono imparare a lavorare. Poi vedremo il da farsi”.

LA SVOLTA
Quello che Al Bano non sapeva fare, di fatto, l’ha affidato a Sergio Angioi. Il general manager delle Tenute Al Bano Carrisi è l’uomo della svolta per la cantina brindisina. Un curriculum di tutto rispetto nel mondo della grande distribuzione organizzata (Auchan, Despar), dove cresce da scaffalista a buyer, prima di approdare alla corte di Al Bano, nel 2011.

“Al mio arrivo – spiega Angioi – abbiamo dovuto sistemare i conti. Al Bano, molto pratico delle questioni di vigna e di cantina ma meno delle questioni commerciali, si era affidato a persone che non avevano capito quanto fosse importante, per lui, la cantina. Una vera e propria questione di cuore, perché Al Bano non è lo Sting o il Trulli di turno: è un contadino che ha zappato fino a 16 anni compiuti. Posso dire che se avesse iniziato sin da subito a improntare commercialmente l’azienda agricola come questa avrebbe meritato, oggi Tenute Al Bano Carrisi sarebbe la cantina più grande d’Italia”.

La crescita, con Angioi general manager, è stata esponenziale. Trenta gli ettari iniziali, passati oggi a 88. “La vera svolta – commenta Angioi – è stata la linea di vini per la Gdo, che oggi viene distribuita in numerose insegne: Il Gigante, nel nord Italia, ha creduto subito nel nostro progetto ed è una catena alla quale siamo molto affezionati. Siamo presenti anche in un’altra grande insegna come Coop, ma la logica è quella di approcciare più la distribuzione organizzata che la grande distribuzione. In questo modo riusciamo a risultare molto capillari, in tutto il Paese”.

Un marketing improntato sul “vino quotidiano” e sul buon rapporto qualità prezzo. “Al Bano è un cantane popolare – sottolinea Angioi –  e, come tale, propone vini per tutte le tasche, perché la gente non si giudica dal 730”. Accanto alla linea Do-Gdo, pari al 70% del fatturato complessivo delle Tenute, Al Bano promuove una gamma “premium”, destinata esclusivamente a ristoranti ed enoteche (horeca).

Da assaggiare “Felicità”, il Sauvignon blanc di Carrisi. Mentre in botte riposerà ancora per qualche mese il nuovo prodotto di punta di Al Bano. Un Salice Salentino Rosso Riserva Doc 2013 che si preannuncia ottimo. Si chiamerà “Aurito”, dal nome del cru. Ne saranno prodotte solo 3 mila bottiglie, “a riprova del progetto che mira all’altissima qualità”. Oggi l’etichetta di punta delle Tenute Carrisi è “Platone”: 20 mila bottiglie complessive. Il Salice Riserva sarà piazzato sul mercato italiano a non meno di 45 euro.

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Vini al supermercato

Blanc de Blancs Brut, J.P. Chenet

(3,5 / 5) Attenzione a non confondere questo bel prodotto di J.P. Chenet con lo Champagne. Prima avvisaglia il prezzo, nettamente inferiore a quello della gamma di “bollicine francesi” presenti nei supermercati italiani. Uno sparkling wine che dà comunque soddisfazioni. Soprattutto nel rapporto qualità prezzo. Gran bell’affare se in promozione.

Giallo paglierino con riflessi oro, il Blanc de Blancs Brut della cantina J.P. Chenet evidenzia nel calice un perlage fine e persistente. Naso profondo di lieviti, crosta di pane e mandorla, sfodera una leggera nota ossidativa che, solo in una fase iniziale, tende a smorzare la piacevolezza delle note fruttate mature di pesca e albicocca. Fanno capolino anche note floreali fresche, sempre meglio definite.

In bocca, lo spumante Blanc de Blancs Brut Chenet riconferma la leggera ossidazione. Trattasi, di fatto, di una bollicina da bere presto, a un anno circa dall’immissione in commercio. Al palato risulta comunque morbido, rotondo.

Una piacevolezza rinvigorita da una spuma avvolgente, per nulla appuntita, che solletica la lingua e chiama il sorso successivo. La nota zuccherina finale conferisce ulteriore gradevolezza alla beva. Peccato duri poco: la pecca di questo Blanc de Blancs (quella che gli costa mezzo punto nella nostra valutazione in “cestelli” della spesa) sta proprio nella semplicità monocorde del finale e nella scarsa persistenza.

Quanto agli abbinamenti, il Brut J.P. Chenet è un vero e proprio “animale” da aperitivo. Uno sparkling che, se servito alla corretta temperatura (6-8 gradi), finirà in un baleno, senza dare alla testa. Per tecnica di vinificazione e uvaggio (100% Chardonnay) si presta anche ad accompagnare pesce grigliato e carni bianche.

LA STORIA
Il vero tratto distintivo della J.P. Chenet è certamente la caratteristica bottiglia dalle curve originali e dal corpo generoso. Una forma nata nel 1984, per mano dell’artista e imprenditore Joseph Helfrich. La chiamò “Joséphine”.

L’originale prevedeva un collo leggermente inclinato. Una forma che conserva tuttora una linea di vini della J.P. Chenet. Forse questo il segreto del successo di un’azienda capace di guadagnarsi il podio delle vendite fra le cantine d’Oltralpe, distribuendo prodotti in oltre 160 Paesi.

Prezzo: 6,49 euro
Acquistato presso: Coop

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Vini al supermercato

Verticale di Chateauneuf du Pape da Auchan: quando il supermercato regala emozioni

(4,5 / 5) Continuate pure a chiamare “enologia di serie B” quella dei supermercati. Fatto sta che l’ignoranza in materia vinicola della maggior parte degli addetti delle catene della grande distribuzione organizzata è capace di regalare vere e proprie emozioni.

Una prova? La presenza di bottiglie di Chateauneuf du Pape di annate differenti sullo scaffale dei punti vendita Auchan. Avete capito bene: proprio Auchan offre l’inconsapevole ebrezza di una “verticale” del rosso Aoc tra i più rappresentativi della Francia, ottenuto nella zona meridionale della Valle del Rodano da uve Grenache, Syrah, Mourvèdre e Cinsault.

La catena francese, che in Italia tratta col giusto riguardo la viticoltura transalpina, con un’accurata “Selezione” di vini d’Oltralpe dallo sgargiante rapporto qualità prezzo, si perde in un bicchier d’acqua: quello della corretta rotazione delle vendemmie sullo scaffale. Regalando a vinialsuper la possibilità di raccontare un’emozionante “mini verticale”.

Prima un paio di precisazioni, per i meno esperti. Vi è mai capitato di “scavare” sul fondo degli scaffali dei supermercati alla ricerca di scadenze meno ravvicinate alla data nella quale avverrebbe l’acquisto? Certamente sì.

Lo fate con lo yogurt, con l’insalata. Ma anche con le brioche. Ecco il punto: i vini sullo scaffale dei supermercati andrebbero trattati dagli addetti alla stregua dei cornetti della Mulino Bianco.

La regola è semplice: first in, first out. Il pacco di crostatine all’albicocca con scadenza più ravvicinata alla data di potenziale acquisto deve essere esposto davanti a quelle con scadenza meno prossima. Così dovrebbe accadere al vino: la vendemmia 2015 davanti alla 2016, in modo da terminare le scorte di bottiglie più “vecchie” prima di iniziare a vendere quelle “nuove”. Ahinoi, così non accade.

Le “rotazioni” della merce, ovvero la velocità con quale si svuota lo scaffale, sono (o dovrebbero essere) tali da non rendere sempre necessario il “giro delle scadenze”: i banchi si svuotano indipendentemente dalla scadenza della merce esposta, se gli ordini sono tarati in base alle rotazioni. Esattamente quello che non è successo nel caso dello Chateauneuf du Pape della Selezione Auchan.

IL CASO
Due le vendemmie presenti a banco: la 2009, esposta sul fondo dello scaffale, tra la polvere; e la 2014, facilmente reperibile sopra all’etichetta prezzo e acquistabile senza alcuno sforzo. Un errore madornale che, ripetuto in larga scala, costringe le catene a ridurre i margini di guadagno sulle singole referenze.

Considerando che la maggior parte dei vini presenti sullo scaffale dei supermercati sono di pronta beva, ovvero consumabili al top della forma nel giro di un uno o due anni dalla data di vendemmia indicata in etichetta, immaginate a che prezzo (scontato) dovrebbero essere venduti i vini di annate vicine all’aceto.

Col rischio, peraltro, di far percepire male al consumatore non solo il brand posto in sottocosto, ma l’intera Denominazione di appartenenza. Fortunatamente non è il caso dello Chateauneuf du Pape della Selezione Auchan, che si conferma vino dal grande potenziale evolutivo in bottiglia. Anche al supermercato.

LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia 2014 (13,5%) si presenta nel calice di colore rosso rubino. Lascia perplesso, di primo acchito, la percezione olfattiva di un potenziale spunto acetico.

Un’acescenza in fase primordiale che, con l’ossigenazione, si dilegua in maniera definitiva. Il vino si apre su note di confettura di frutti rossi, su sottofondo terziario.

Non mancano una mineralità salina e una componente vegetale di macchia mediterranea, definibile nel sentore di rosmarino. L’affinamento in legno regala invece sentori altalenanti tra il cuoio e la balsamicità dolce del miele d’acacia.

L’ingresso in bocca del Chateauneuf du Pape 2014 della Selezione Auchan è caldo, sempre giocato sui frutti rossi, in un crescendo di struttura e mineralità. Il tannino è vivo ma equilibrato, soffice: ricorda il cacao bagnato. Anche l’alcolicità è equilibrata e non infastidisce la beva. Bel vino, che lascia tuttavia qualche dubbio sul potenziale evolutivo.


La vendemmia 2009 (14%) tinge il calice, come atteso, di un rosso granato impenetrabile. Il naso è appannaggio della balsamicità: terziari conferiti dall’affinamento in legno, vegetale spinto tra la macchia mediterranea (di nuovo rosmarino) e la resina di pino. Mirtilli sotto spirito, pepe nero a zaffate.

Al palato stupisce per l’acidità ancora viva. Lo Chateauneuf du Pape 2009 della Selezione Auchan mantiene un gran corpo e un piacevole calore. Lungo nel retro olfattivo, su note di frutti rossi. All’apice della curva evolutiva, regala belle emozioni a tavola, soprattutto per chi ha la pazienza di attendere le sfumature del calice. Da consumare entro la fine dell’anno, per non perdere il bel ricordo di un grande vino francese.

Prezzo: 13,90 euro
Acquistato presso: Auchan

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Vini al supermercato

Fiano di Avellino Docg 2015, Feudi di San Gregorio

(4,5 / 5) Una linea di vini che spazia dai bianchi ai rossi, passando per le bollicine, contraddistinta da un ottimo rapporto qualità prezzo, senza perdere di vista la territorialità del prodotto.

Feudi di San Gregorio, ormai storica cantina di Avellino, propone ai supermercati un assortimento completo, capace di tratteggiare l’Irpinia del vino adatto a tutte le tasche.

Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi il Fiano di Avellino Docg di Feudi di San Gregorio, vendemmia 2015. In commercio è presente anche la vendemmia 2016: interessante valutare l’evoluzione in bottiglia dell’annata precedente.

Nel calice, il Fiano Docg di Feudi si presenta di un giallo paglierino acceso, leggermente velato per la presenza di fini particelle in sospensione (nulla che ne comprometta la qualità). Al naso l’intensità è decisa: le note floreali e fruttate fresche, assieme a una spiccata mineralità, evidenziano la tipicità del vitigno Fiano.

Fiori di camomilla, pesca gialla e note agrumate invitano a un sorso che parla di campi sterminati e sterminate pianure di mare. L’alcolicità sostenuta (13,5%), tutt’altro che “ubriacante”, fa da cuscino a una spalla acida e a una mineralità che donano freschezza alla beva. Un sorso che non stanca mai. Completa il quadro il tipico finale di nocciola mista a pepe bianco.

Perfetto l’abbinamento del Fiano di Feudi di San Gregorio con crostacei, primi e secondi a base di pesce, anche grigliato. Per gli amanti della cucina giapponese, un vino perfetto per accompagnare sushi e sashimi.

LA VINIFICAZIONE
Semplicissima la tecnica di vinificazione di questo Fiano che punta a valorizzare, assieme, la prontezza della beva della vendemmia in commercio e le buone doti di ulteriore affinamento in bottiglia. Le uve vengono raccolte, diraspate e poste a fermentare in serbatoi di acciaio, a una temperatura controllata di 16-18 gradi. Anche la maturazione – della durata di quattro mesi – è affidata a serbatoi in acciaio, capaci di garantire la conservazione dei profumi e degli aromi tipici del vitigno.

Prezzo: 8,90
Acquistato presso: Carrefour

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Caso Scotti: l’Unione nazionale Consumatori vigila su Caduta Libera

“In linea generale la pubblicità non deve mai essere occulta e camuffata. Il Codice del Consumo, all’articolo 22, prescrive di indicare sempre l’intento commerciale di una pratica. Qualunque trasgressione può essere segnalata all’Antitrust per le opportune valutazioni”.

E’ quanto afferma l’Unione Nazionale Consumatori in merito al caso Caduta Libera, il programma di Canale 5 condotto da Gerry Scotti. Il conduttore, come denunciato da vinialsuper, avrebbe più volte fatto riferimento alla propria linea di vini della Doc Oltrepò Pavese, in vendita dal mese di maggio in diverse catene di supermercati.

LENTE D’INGRANDIMENTO
Secondo indiscrezioni, l’organismo che vigila sulla tutela dei diritti dei consumatori in Italia avrebbe inviato agli uffici competenti la documentazione sul caso Scotti. L’obiettivo sarebbe quello di stabilire se ci si trovi di fronte a semplici coincidenze o a violazioni di legge.

Per la seconda ipotesi non basterebbero sospetti. Servirebbero piuttosto precisi indizi. Sufficienti, dal punto di vista legale, per provare eventuali illeciti. Su Caduta Libera avrebbe puntato gli occhi anche l’Antitrust, che tuttavia “non rilascia commenti su casi specifici”. Almeno in questa fase.

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Squinzano Dop Rosso Riserva 2013, Corte Aurelio

(3,5 / 5) Un vino a due marce, da aspettare nel calice per comprenderlo fino in fondo. E’ lo Squinzano Dop Rosso Riserva “Corte Aurelio”, marchio Lidl. Una Denominazione raramente riscontrabile sugli scaffali dei supermercati, fuori dai confini della Puglia. Coraggiosa la catena tedesca della grande distribuzione a proporlo nei propri store, al prezzo (sconcertante, per certi versi) di 2,99 euro.

Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, la vendemmia 2013. Nel calice, lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio si presenta di un colore rosso rubino impenetrabile. Una bella tinta, tipica dell’uvaggio Negroamaro. La prima impressione all’olfatto non è invece delle migliori. Si limita, di fatto, al calore dell’alcolicità: la percezione, monocorde e poco definita, è quella dei frutti rossi sotto spirito. Troppo presto, però, per catalogare lo Squinzano di Lidl tra i vini al supermercato meno lodevoli.

Pian piano, di fatto, l’ossigenazione fa il suo lavoro sul nettare. Ecco che le note fruttate cominciano a prendere forme note: domina la scena la ciliegia, accanto a ribes, lamponi e more selvatiche. Netto lo spunto vegetale tipico della macchia mediterranea: salvia, rosmarino, ginepro. Poi, zafferano e pepe nero a folate.

In bocca la complessità non è certo pari a quella espressa al naso. Lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio di Lidl si conferma vino di alcolicità sostenuta. Nonostante ciò, un nettare connotato da una grande semplicità di beva.

Alle note fruttate di ciliegia e lampone risponde un tannino vivo ma tutt’altro che “verde”, cui fa eco una bilanciata sapidità. Sufficiente la persistenza. In cucina, ottimo l’abbinamento di questo Squinzano Dop con le carni rosse in generale, con predilezione per le lunghe preparazioni e la selvaggina. Ottimo con primi a base di ricchi ragù di carne.

LA VINIFICAZIONE
Come spesso accade da Lidl, quasi impossibile risalire alla cantina produttrice e all’esatta tecnica di vinificazione. Sull’etichetta, di fatto, è indicato solo l’imbottigliatore: la solita V.E.B. di Bardolino, ovvero Enoitalia.

Di certo la Doc Squinzano, come da disciplinare, racchiude i vini prodotti nell’omonimo Comune della provincia di Lecce, oltre a quelli ottenuti per almeno il 70% dai vigneti di Negroamaro nei comuni di Novoli, San Pietro Vernotico e Torchiarolo e, solo in parte, nei Comuni di Campi Salentina, Cellino San Marco, Lecce, Surbo e Trepuzzi. Tutte realtà della provincia di Lecce e Brindisi.

Possono concorrere al blend la Malvasia nera e altri vitigni a bacca rossa coltivati nella zona. In generale, la predilezione è per il Sangiovese (massimo 15%). Lo Squinzano “Riserva” deve affinare per almeno due anni in cantina, di cui almeno 6 mesi in botti di legno. Da qui la complessità di un calice a due marce, come quello di Corte Aurelio.

Prezzo: 2,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Dieci Champagne da favola nel “mare” di Alassio

Meno “zucchero”, ma più “legno” e struttura nel calice. E in vigna, grande attenzione alle frontiere della viticoltura biodinamica, oltre a una spinta sostanziale sulla valorizzazione della parcellizzazione.

“Un Mare di Champagne”, evento di punta delle bollicine francesi in Italia, si conferma anche quest’anno passerella privilegiata per comprendere i nuovi trend di mercato del Metodo Classico più venduto al mondo.

Dall’11 al 14 giugno, al Grand Hotel Alassio & Spa, le 56 maison presenti hanno presentato Champagne con dosaggi zuccherini generalmente risicati, o comunque al di sotto dei massimali della classificazione ufficiale. Un discorso che vale soprattutto per i Brut, trovati troppe volte “piacioni” all’edizione precedente di “Un mare di Champagne”. Merito del dilagare della moda Pas Dosè? Può darsi.

Altro dato che emerge, l’innalzamento qualitativo degli Champagne biodinamici. Con le maison “verdi” ormai pronte a competere alla pari con chi adotta metodi tradizionali, in campagna e dans la cave. “Merito, nella maggior parte dei casi – spiega Livia Riva, La Dame du Vin – della grande attenzione alla pulizia in cantina da parte delle maison che si cimentano nella viticoltura biodinamica”.

Realtà eccezionali come quella di Hugues Godmé, vigneron di Verzenay che vive quasi ventiquattr’ore su ventiquattro tra le sue vigne. Troviamo Godmé direttamente sul podio dei nostri migliori assaggi all’edizione 2017 di Un Mare di Champagne.

I MIGLIORI SECONDO VINIALSUPER
1) Brut Reserve, Boizel. Blend composto per il 55% da Pinot Noir, 30% da Chardonnay e 15% da Pinot Meunier. Tre anni sui lieviti, 30% di vini di riserva. Bollicina finissima e persistente. Al naso zabaione, crema pasticcera, biscotti e lime. In bocca tagliente, minerale e agrumato.

Complesso, ma di una bevibilità eccezionale. Caratteristiche che, unite a un prezzo da listino veramente interessante, gli consentono di raggiungere la vetta della nostra classifica. Uno Champagne, il Brut Reserve Boizel, distribuito in Italia da Feudi di San Gregorio.

2) Cuvée Extra Brut 3c, Bourgeois-Diaz. Il “base”, che “base” non è. Champagne eccezionale questo, considerando il posizionamento nella gamma della maison di Crouttes-sur-Marne.

Nasce dai 7 ettari in conversione biodinamica di proprietà della Bourgeois-Diaz ed è composto da un 55% di Pinot Meunier, un 28% di Pinot Noir e un 17% di Chardonnay. Eccole le “3c”, ovvero i tre vitigni (cépages), che danno vita a un calice indimenticabile, in perfetto equilibrio tra il morbido e l’austero.

3) Extra Brut Fins Bois, Hugues Godmé. Eccolo qui il capolavoro bionamico dell’uomo che sussurra alle vigne. Sessanta percento Pinot Noir, 40 Chardonnay, con il 60% di vini di riserva affinati per l’80% in botti piccole: la formula, più complicata a leggersi che a bersi, di uno Champagne profumato, freschissimo e succoso. Tre grammi litro di residuo zuccherino, giusto per offrire l’ultimo dettaglio tecnico. Per il resto, è da provare.

4) Brut Nature – Dosage zero, Ar Lenoble. Altro ottimo blend che vede il Meunier farla da padrone con un 45%, su Chardonnay (25%) e Pinot Noir (30). Prezzo da listino, 27 euro. Qualità da vendere. Il Meunier proviene da Damery, Valle della Marna, mentre per lo Chardonnay Ar Lenoble ricorre al Grand Cru di Chouilly.

Il Pinot nero, Premier Cru, è invece coltivato a Bisseuil. Un Brut Nature che ha conferma nel calice tutte le aspettative: “dritto”, capace di arrivare al cuore con note fruttate di pera e arancia candita, ben bilanciate con una schietta mineralità e da folate di zenzero.

5) Zero dosage Blanc de Blancs, Encry. Finalmente uno Chardonnay emozionante, pensato e voluto da Encry come la “massima espressione del territorio”. Per intenderci, stiamo parlando dei “vicini di vigna” di Krug, a Mesnil-sur-Oger. Il Blanc de Blancs Zero dosage, 36 mesi sui lieviti, è sboccato à la voleè. Un Blanc de Blancs tipico, ma anche moderno. Impossibile staccarsi da un calice che offre un sorso non eccessivamente complesso ma assolutamente pieno, rigoglioso.

6) Brut Esprit Nature, Henri Giraud. Non tragga in inganno il nome di fantasia, “Nature”. Si tratta infatti di un Brut, da 7-8 grammi litro di dosaggio. Diciotto mesi di affinamento sui lieviti. Quanto basta per ottenere un altro Champagne tutt’altro che banale, ma dalla straordinaria bevibilità. Ottanta percento Pinot Noir, 20 Chardonnay della Valle della Marna. Colpisce per la mineralità e la muscolatura, capaci insieme di “coprire” lo zucchero e di far pensare a un dosaggio zero sui generis. Uno dei prodotti più caratteristici della Maison Henri Giraud.

7) Extra Brut Le Fond du Bateau n 9, Pertois-Lebrun. Un luogo unico come il villaggio di Cramant, grand cru della Côte des Blancs. Un unico vitigno, ovviamente Chardonnay. Un solo anno di raccolta, che riflette l’andamento climatico. E un basso dosaggio zuccherino, pari a 1,5 grammi. Le Fond du Bateau n 9 è lo Champagne  che fa dell’insieme di diverse unicità il proprio punto forte. Minimo cinque anni di affinamento sui lieviti per un Extra Brut che offre un pregevole naso di pasticceria, utile a “stordire” prima di un palato tagliente, dominato da note agrumate di pompelmo. Finale e retro olfattivo virano nuovamente sulla crema. Uno Champagne stupefacente, di delicata complessità.

8) Rosé, Boizel. Di nuovo Boizel, questa volta con il rosé ottenuto al 55% da Pinot Nero, cui viene aggiunto un 30% di Chardonnay e un 15% di Meunier. L’impronta dell’uvaggio predominante è evidente, grazie anche all’utilizzo di un 8% di vino rosso proveniente dai vigneti di Cumières e Les Riceys. Come dalle migliori attese dominano il quadro i frutti rossi, la cui fragranza viene mitigata dalla morbidezza del Meunier e dall’eleganza dello Chardonnay. Uno Champagne che fa dell’equilibrio il suo punto forte, sfoderando un finale lungo, fresco e piacevolmente sapido.

9) Cote de Noir, Henri Giraud. Tutto bellissimo, tranne il conto: si aggira attorno ai 100 euro il prezzo medio sul mercato di Cote de Noir, Champagne Blanc de Noir della maison Henri Giraud. Un calice che fa della struttura e della profondità il proprio asso nella manica. Frutta esotica e miele si incontrano al naso col pepe bianco. Grande freschezza al palato, con il sorso chiamato da una spiccata mineralità, che contribuisce a definire la struttura della beva. Un 100% Pinot Noir di grande compattezza e carattere.

10) Brut Selection, Le Brun Servenay. Vien voglia d’assaporare un’altra delle ostriche servite dagli chef Selecta al Grand Hotel Alassio & Spa mentre si assapora il Brut Selection della maison Le Brun Servenay. Un 100% Chardonnay, dunque un Blanc de Blancs, di tutto rispetto. Ottenuto da vigne di età compresa tra i 20 e i 25 anni, regala un naso intenso di iodio e agrumi. Pregevole la corrispondenza al palato, dove questa selezione proveniente dal gran cru di Avize si conferma Champagne di finissima struttura e carattere.

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Gerry Scotti vignaiolo: nuova sfida all’Antitrust a Caduta Libera (video)

Più che alla verdura, alla frutta. A meno di due mesi dall’esposto dell’Associazione nazionale Consumatori all’Antitrust per la “pubblicità occulta di prodotti commerciali sui social network” da parte di alcuni vip – tra cui Belen, Fedez, Anna Tatangelo, Melissa Satta – Gerry Scotti sembra voler sfidare in tv l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Nel mirino l’ultima puntata di Caduta Libera, il quiz di Canale 5 condotto dal popolare presentatore Mediaset di Miradolo Terme (Pv). Come successo in un altro caso denunciato da vinialsuper, Scotti ha utilizzato una domanda a tema enologico per fare riferimento alla sua linea di vini, in commercio in alcuni supermercati dallo scorso mese di aprile.

IL CASO
“Verdura a cui può essere difficile trovare il giusto vino da abbinare”. Otto lettere. La concorrente ci mette poco a rispondere: “Carciofo”. Gerry ancora meno a cogliere l’ennesima palla al balzo: “Io l’ho trovato il vino ideale per il carciofo. E’ un bel rosato che si fa in provincia di Pavia”.

ll pubblico rumoreggia. Qualcuno si lascia scappare una sonora risata, svelando di aver ben capito il riferimento. A questo punto lo Zio Gerry alza le mani: “No – si affretta a precisare – non sto pubblicizzando nulla. Ho detto che è un bel rosato”. Per poi rincarare la dose, inequivocabilmente: “Ha un nome di una vigna. E non posso aggiungere altro”.

LA BEFFA
Duplice la beffa dello scatenato conduttore pavese. Il riferimento non sarebbe solo al suo rosato da Pinot Nero “Pumgranin”, ma anche all’utilizzo in etichetta della parola “vigna”, contestato da Michele Antonio Fino, professore associato di Fondamenti del Diritto Europeo dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo in un’intervista esclusiva rilasciata a vinialsuper, lo scorso 6 aprile.

“La pubblicità occulta – dichiara Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, a proposito dei casi di Fedez, Belen, Tatangelo e Satta – ha il potere di influenzare inconsapevolmente i consumatori nella scelta di un prodotto o nel giudizio su un brand. A maggior ragione è efficace se fatta da personaggi famosi, i cosiddetti influencer“.

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Brut Rosè Trentodoc Le Premier, Cesarini Sforza

(4 / 5) E’ tra i vini spumanti Metodo Classico trentini più diffusi al supermercato. Parliamo del Brut Rosè Trentodoc Le Premier di Cesarini Sforza. La variante rosata del classico Le Premier, prodotto con sole uve Chardonnay.

Per ottenere il colore rosato viene infatti aggiunta una piccola percentuale di Pinot Nero, uva dal grappolo rosso. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper la sboccatura 2016.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Brut Rosè Trentodoc Le Premier Cesarini Sforza si presenta di un colore buccia di cipolla cristallino, luminoso. Il perlage è fine e persistente. Non resta che avvicinarlo al naso per avvertire l’impronta tipica del Pinot Nero: i frutti rossi come la fragolina di bosco, i lamponi e il ribes fanno tuttavia da sfondo alle più marcate note di lieviti e crosta di pane.

Corrispondente al palato, il Rosè Cesarini Sforza Le Premier sfodera nuovamente la carica delicata e sottile dei frutti rossi già avvertita al naso. Netta, poi, la svolta verso tinte mediamente balsamiche, che ricordano le erbe di montagna. Chiusura sulla mineralità tipica del Trentodoc, capace di ricordare la soluzione salina. Percezioni che, unite in un sorso mediamente caldo e secco, esaltano la sottigliezza di un perlage capace di solleticare delicatamente la lingua. Un bel quadro trentino, di assoluta qualità.

LA VINIFICAZIONE
Il Brut Rosè Le Premier Cesarini Sforza è prodotto all’85% con uve Chardonnay, cui viene addizionato un 15% di Pinot Nero. La zona di produzione, come da disciplinare, è quella della Trento Doc. In particolare, i vigneti hanno esposizione a Sud, Sud-est e sono collocati su una fascia che va dai 450 ai 700 metri sul livello del mare.

La composizione del terreno è di tipo strutturato e profondo, franco argilloso. Le radici della vite affondano in un composto ricco di pietre, sciolti fluvio-glaciali da disfacimento di rocce porfiriche e sabbiosi. La forma di allevamento è il Guyot, a pergola semplice trentina, con una densità di impianto di 4 mila ceppi per ettaro.

La vinificazione prevede la raccolta manuale di Chardonnay e Pinot Nero nella prima decade di settembre, pressatura soffice delle uve intere, decantazione statica dei mosti, fermentazione a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox e affinamento sulle lisi per circa 6 mesi.

Prezzo: 11,70 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Vermentino di Sardegna Doc 2016 Aragosta, Cantina Santa Maria La Palma

(2 / 5) Non ce ne vogliano il Decanter, l’International Wine Challenge, il Gambero Rosso e l’associazione italiana sommelier (Ais), che tra il 2003 e il 2014 hanno premiato il Vermentino di Sardegna Doc Aragosta della Cantina Santa Maria La Palma con medaglie, “bicchieri” e “grappoli”.

Il vino simbolo della cantina di Alghero, pur presentandosi sugli scaffali di gran parte dei supermercati italiani a prezzi più che allettanti, non andrebbe certo segnalato nel “gotha” dei grandi vini della Sardegna. Un vino bianco che non risponde certo alle esigenze di chi cerca qualcosa più del prezzo, acquistando vino al supermercato.

LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia sotto la lente di vinialsuper è la 2016, l’ultima in commercio. Il Vermentino di Sardegna Doc Aragosta di Cantina Santa Maria La Palma si presenta nel calice di colore giallo paglierino, con riflessi verdolini. Al naso, l’aromaticità tipica del vitigno è solo apparente. Analizzando con attenzione l’olfatto, paiono evidenti i sentori “rinoplastici” di mela golden, pesca, frutti esotici (ananas, mango) e fiori di glicine.

Al palato il corpo è leggero. La percezione “amarognola” tipica della chiusura di gran parte dei Vermentini di Sardegna sovrasta, fin dall’ingresso in bocca, le attese note fruttate. Una nota tanto evidente da coprire anche la mineralità, altro tratto distintivo del vitigno sardo. Un peccato. La persistenza è tutta giocata, monocorde, sul contrasto tra la suddetta nota amarognola, la frutta e la soluzione salina. Facile la beva, per chi non ha pretese di gusto tipico e d’abbinamento. Unica raccomandazione una temperatura di servizio non superiore ai 12 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Il nome “Aragosta”, scelto dalla Cantina Santa Maria La Palma per il suo Vermentino “base”, si deve all’abbinamento per antonomasia di questo vino bianco ad Alghero: quello con l’aragosta alla catalana. Ricetta e vino “popolare”: un binomio che funziona, proprio per il prezzo allettante di questo nettare, colonna portante del fatturato di una cantina che vinifica 700 ettari complessivi di terreni dei circa 600 soci della cooperativa. La mancanza di notizie sulla tecnica di vinificazione di Aragosta, suggerisce una lavorazione tradizionale degli acini di Vermentino, raccolti senza una particolare selezione nei vigneti algheresi della nota cantina sarda.

Prezzo: 4,50 euro
Acquistato presso: Auchan / Carrefour / Coop / Esselunga

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Sorpresa da Auchan: Franciacorta 2005 a 5,93 euro

(5 / 5) L’astuccio nero, è vero, è un po’ usurato. Ma chi se ne importa, se poi il vino in bottiglia è buono. E di fatto non riserva sorprese il calice di Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia, prodotto dall’omonima cantina di Erbusco, nel Bresciano.

La catena di supermercati Auchan doveva “disfarsi” di alcuni avanzi di magazzino. Ecco dunque il prestigioso metodo classico lombardo a prezzi pazzi sugli scaffali: 5,93 euro. Un 40% di sconto su un prezzo pieno comunque allettante per uno spumante vendemmia 2005: 9,89 euro.

Decidiamo di acquistare tre bottiglie e di testarlo. Ne traiamo l’ennesima testimonianza di come i prezzi del vino della Grande distribuzione, spesso, non siano figli della qualità del prodotto. Piuttosto delle mere logiche commerciali (qui il nostro approfondimento), legate ai contratti stipulati con i fornitori e ai costi di stoccaggio, non indifferenti.

LA DEGUSTAZIONE
Una degustazione, quella del Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia che tornerà sicuramente utile in futuro: perché questo spumante – ne siamo certi – tornerà a presentarsi nei prossimi mesi sugli scaffali di Auchan o di altre catene di supermercati, vista l’impronta aziendale della cantina di Erbusco. E allora voi sarete lì, pronti a farne incetta.

Nel calice, questo metodo classico franciacortino si presenta di privo di particelle in sospensione. Cristallino, molto trasparente, luminoso. Il colore è un invitante giallo dorato, di grande intensità. Le premesse per un’ottima conservazione del nettare in bottiglia, prima della sboccatura avvenuta nel 2016 (a scaffale anche una 2015), ci sono tutte: di fatto, anche il naso non delude.

Con intensità sostenuta, ma allo stesso tempo con grande pulizia, si riescono a distinguere sentori di frutta matura e richiami esotici di lime, uniti alla scorza della buccia d’arancia. Poi, il corredo che ci si può attendere da un metodo classico affinato così a lungo: biscotto al burro e lievito. Non manca una vena sottile balsamica, che impreziosisce il quadro complessivo.

Al palato, nuove conferme della straordinarietà del prodotto, in termini di qualità prezzo: la nota di lime già avvertita al naso si fa tutt’uno col perlage, in ingresso, per tornare poi a presentarsi in un finale sufficientemente lungo.

In mezzo, il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia sfodera corpo e calore di tutto rispetto, giocato sull’equilibrio tra un’acidità piena e la vena dolciastro-balsamica del miele di tiglio. Non mancano echi di frutta secca. Chapeau.

Per quanto riguarda l’abbinamento in cucina, è straordinaria anche la versatilità di questo prodotto, che ricorda quella di certi metodo classico a base di uve Durella: evoluti sì, ma non troppo impegnativi. Dunque bene a tutto pasto, o in accostamento a primi e secondi a base di carne bianca e pesce (in frittura, perché no?), mediamente elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia si compone per il 70% di uve Chardonnay e per il 30% di uve Pinot Nero, allevate a mezza collina in diversi comuni della Franciacorta. In seguito alla raccolta manuale delle uve viene eseguita la pressatura soffice. La fermentazione del mosto avviene in serbatoi d’acciaio a temperatura controllata, con l’impiego di lieviti selezionati. In primavera il vino viene posto in bottiglia per una lenta rifermentazione, a contatto con il proprio lievito. Ultimo dettaglio? Sul web, il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia è reperibile a un prezzo che oscilla tra i 19 e i 25 euro. Ancora dubbi sui vini in offerta al supermercato?

Prezzo: 9,89 euro
Acquistato presso: Auchan

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vini#1

Curtefranca Doc Bianco 2010 Uccellanda, Bellavista

Ci avviciniamo oggi a uno dei must della Doc bresciana Curtefranca, prodotto da una grande cantina che del suo vino bianco fermo ha fatto una bandiera, assieme alle bollicine. Parliamo del Curtefranca Doc Bianco Uccellanda di Bellavista. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento è la 2010.

Un vino che si presenta giallo oro, limpidissimo, scorrevole. Archi strettissimi che scendono sulla parete del calice, opponendo un minimo di resistenza.

Al naso tanta complessità: frutti esotici predominanti, con litchi più evidenti di banana e ananas. Poi l’Uccellanda 2010 di Bellavista vira su note di mandorla e miele, che ne denotano la perfetta evoluzione in bottiglia.

Estremamente elegante la bevuta. Sapidità e morbidezza ben si sposano. Un 2010 vigoroso, fragrante, ma soprattutto ancora giovanissimo, che fa presagire una potenzialità ulteriore di invecchiamento.

La componente alcolica è molto percettibile e regala alla beva del vino calore e pienezza. Al palato anche leggere note di agrumi, che precedono una chiusura lunga, su sentori di frutta secca, mandorle e nocciole. In cucina, l’abbinamento è con primi e secondi piatti (anche piuttosto elaborati) a base di carne bianca, pesce e crostacei.

LA VINIFICAZIONE
Il Curtefranca Doc Bianco Uccellanda Bellavista è prodotto in purezza da uve Chardonnay provenienti dal vigneto Uccellanda, situato nella frazione Nigoline del Comune di Corte Franca, a una quota altimetrica media di 300 metri sul livello del mare. I filari sono disposti parallelamente alle curve di livello, in numero variabile a seconda della profondità delle terrazze. L’esposizione del vigneto è totalmente a Sud-Est.

La raccolta avviene a perfetta maturazione dopo un’attentissima selezione in pianta. Dopo la pigiatura, il mosto è sottoposto a una leggera macerazione con le bucce. La fermentazione avviene in pièces da 228 litri. L’Uccellanda termina la sua evoluzione in contenitori in acciaio inox, dove riceve il freddo dell’inverno. Nella seconda primavera dalla vendemmia, il vino viene imbottigliato. Prima della commercializzazione l’Uccellanda affina per almeno altri 6 mesi in bottiglia.

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Vini al supermercato

Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014, Sartori

(4 / 5) E’ uno dei prodotti di punta della casa vinicola Sartori, nel mondo della Grande distribuzione organizzata. Il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo, spesso soggetto a promozioni nelle varie catene di supermercati, è un ottimo prodotto di avvicinamento ai grandi vini della Valpolicella, area nota soprattutto per la produzione dell’Amarone.

Di fatto, il Ripasso è un “cugino” del grande vino del Veneto, portabandiera del Made in Italy nel mondo. Il nome “Ripasso” è dovuto alla particolare tecnica di produzione, che prevede un periodo di macerazione del vino a contatto con le vinacce fermentate di uve atte alla produzione di Amarone (o di Recioto).

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014 Sartori si presenta di un rosso rubino tendente al granato, impenetrabile. Al naso richiami inconfondibili e tipici di frutti di bosco, tra cui dominano quelli a bacca rossa (ribes e lamponi), senza tuttavia coprire i sentori di mora. Anche i terziari sono evidenti all’olfatto: a tre anni dalla vendemmia, ricordano soprattutto il tabacco, ma anche lo stecco di liquirizia. Con l’ossigenazione, il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo Sartori guadagna un pregevole spunto di rosmarino.

L’ingresso al palato è caldo, corrispondente all’olfatto nei richiami ai frutti rossi di bosco. Bocca che poi vira sulla sapidità, che assieme a una equilibrata acidità contribuisce a regalare una beva seriosa ma tutto sommato facile, su piatti di media elaborazione a base di carne e selvaggina. Più che sufficiente la persistenza nel retro olfattivo, dove si assiste al ritorno piuttosto prepotente dei frutti di bosco, questa volta in veste più simile alla confettura.

LA VINIFICAZIONE
Il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014 Sartori è prodotto con uve Corvina (55%), Corvinone (25%), Rondinella (15%) e Croatina (5%), allevate nella zona collinare attorno alla città di Verona. Le radici affondano in terreni di tipo argilloso-calcareo.

In seguito alla selezione delle uve nel vigneto, viene eseguita una delicata pigia-diraspatura e fermentazione a temperatura controllata, per 8-10 giorni. La fase che caratterizza il prodotto, come anticipato, è quella del successivo “ripasso” del vino sulle vinacce dell’Amarone. Un’operazione condotta nel mese di febbraio.

Una seconda fermentazione che favorisce sia l’estrazione dei tannini, sia la longevità, sia l’estrazione degli aromi tipici dell’Amarone. Dopo la fermentazione malolattica inizia l’affinamento di circa 12-18 mesi, che prevede anche un passaggio in botti di medie e grandi dimensioni. Dopo l’imbottigliamento il vino riposa per almeno 6 mesi in bottiglia.

Prezzo: 7,49
Acquistato presso: Esselunga

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Vini al supermercato

Passito di Pantelleria Doc 2013 Nabil, Miceli

(3,5 / 5) Una chiara nota ossidativa per la bottiglia della vendemmia 2010 ci convince a testare anche la 2013 prima di recensire Nabil, il Passito di Pantelleria Doc delle cantine Miceli. Se nel primo caso il “difetto” è evidente (ma comunque non abbastanza da disturbare in maniera netta la beva) nel secondo è appena percettibile.

Un marchio di fabbrica del produttore? Forse. Di certo c’è che, a conti fatti, il Passito di Pantelleria Nabil è un buon compromesso “qualità prezzo” per chi è a caccia di un vino da abbinare a dolci e prodotti di pasticceria.

Nel calice si presenta di colore ambrato, limpido e trasparente, intenso. Al naso è intenso e tipico. La caccia alla nota ossidativa lascia presto spazio all’albicocca, agli agrumi (arancia candita) e al miele millefiori. Sentori che certamente prevalgono su una leggera balsamicità (finocchietto sotto spirito, anice, mentuccia,) e, soprattutto, sulla percezione di soluzione salina che ritroveremo poi al palato. Un olfatto schietto, dunque, di sufficiente finezza. Ma non certo di elaborata complessità.

In bocca, il Passito di Pantelleria Doc Nabil di Miceli si conferma di corpo, caldo, di buona morbidezza. Le note fruttate mature rendono piacevole la beva, ben calibrate con un’acidità rinfrescante e una salinità che chiama il sorso successivo. Un Passito che, tuttavia, lascia qualcosa a desiderare nel retrolfattivo: leggera la carica aromatica, abbandonata anche dall’acidità. Lo zucchero, così, risulta troppo invasivo e preponderante.

LA VINIFICAZIONE
Nabil è l’etichetta destinata ai supermercati nel quadro della produzione di vini passiti delle Cantine Miceli, che oltre a Sciacca possiedono vigneti e uno stabilimento per l’imbottigliamento dei vini sull’isola di Pantelleria, in contrada Rekale. La base per ottenere il passito Nabil, come da disciplinare, è lo Zibibbo. Uve che vengono lasciate ad appassire sulla pianta e successivamente al sole, prima di essere vinificate.

La Miceli nasce negli anni 30 quando il comandante di Marina Ignazio Miceli smise di ammassare e trasportare con la sua goletta Jasper vino sfuso siciliano da Castellamare del Golfo in diversi porti italiani e francesi. Aprì dunque una rivendita di vino in via Gagini, nel cuore di Palermo. Negli anni Sessanta, il figlio Salvatore e il nipote Ignazio iniziando a produrre in proprio. Una tradizione arrivata sino ai giorni nostri.

Acquistato presso: Auchan
Prezzo: 13,29 euro

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Vini al supermercato

Frappato Terre Siciliane Igt 2014 Nuttata, Cantine Madaudo

(2 / 5) Non è certo il miglior Frappato in vendita in Gdo il Terre Siciliane Igt Frappato 2014 Nuttata di Cantine Madaudo. Quello che poteva essere uno dei fiori all’occhiello della “Collezione di 9 etichette” che la cantina di Villafranca Tirrena dedica alle “notti stellate di Sicilia”, si rivela piuttosto un prodotto più vicino alla base che alla media qualitativa della gamma di vini siciliani presenti nei supermercati italiani. Al limite della definizione di “vino quotidiano”. Tant’è.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Frappato Nuttata Madaudo si presenta di un viola sostanzialmente impenetrabile. Al naso la parte migliore: buona intensità delle note di frutti di bosco e ribes, tra le quali fa capolino uno spunto vegetale che ricorda il peperone tipico del Cabernet (ma l’uvaggio utilizzato è 100% Frappato). Sempre sul terreno dei richiami vegetali, la carruba. Infine, all’olfatto, spazio anche per una spezia tanto comune nei vini siculi, il pepe nero.

Veniamo dunque all’esame gustativo, che determina la sostanziale bocciatura di quest’etichetta. L’acidità è spiccata, al limite del disturbante. Le belle note di frutti rossi avvertite al naso sforano nel citrico, nell’acerbo. Una sensazione appesantita dai 13 gradi di percentuale d’alcol in volume: letteralmente stonanti. Addio, dunque, alla piacevolezza della beva che ci si può attendere da un Frappato. E addio al corretto abbinamento (potenziale) con salumi, formaggi di media stagionatura, primi leggeri e antipasti in generale. Neanche da citare la possibilità di abbinamento con il pesce (tonno).

LA VINIFICAZIONE
Le uve Frappato crescono nei vigneti di proprietà di Cantina Madaudo, nella Sicilia Occidentale. In seguito alla selezione e alla diraspatura, gli acini vengono posti a macerare e fermentare per circa 15 giorni a temperatura controllata. La fermentazione malolattica viene svolta in vasche d’acciaio inox. Anche l’affinamento avviene in inox per circa 3 mesi e successivamente in botti di rovere francese, per altri 3 mesi. Una volta imbottigliato il vino rimane a riposare in magazzino per 1-2 mesi, prima di essere commercializzato. Il Frappato Terre Siciliane Igt Nutatta di cantine Madaudo è un vino da consumare entro 3 anni dalla vendemmia.

Prezzo: 2,90 euro
Acquistato presso: Coop

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a tutto volume

Red Rye Finish Blenders’ Batch, Johnnie Walker

Fa capolino già dalla bottiglia di vetro trasparente. Giallo ambrato, pieno, luminoso. L’etichetta bianca con la scritta rossa, come il tappo, sottolinea ed evidenzia il colore. Lo versiamo nel bicchiere.

LA DEGUSTAZIONE
Sì, il colore è un bel giallo ambrato carico, più scuro del suo compagno di scaffale, il famoso Red Label. Al naso è dolce e speziato. Dolce come il miele e la banana, speziato di pepe nero. Netta la nota di legno e vaniglia.

In bocca è di medio corpo, tendente al leggero. Emergono subito il miele e la vaniglia seguiti dai sentori di cereali ed ancora note speziate e leggere d’agrumi. Il finale è breve: persistono in bocca i sentori di legno ed un po’ di dolcezza fruttata.

IL BLENDING
Chiunque vi dirà che mettere insieme Whisky e Whiskey è quanto meno sconveniente. Peggio che peggio coniugare Scotch e Rye. Non nè era per nulla convinto Jim Beverage, Master Blender di Johnnie Walker. E così, dopo svariati tentativi, ecco nascere il Red Rye Finish, primo di una nuova gamma di “Blender’s Batch”, serie di prodotti “nuovi, innovativi e sperimentali che spingano in là i confini del sapore dei nostri whisky” (dal sito di Johnnie Walker).

Per il Red Rye è stato creato un apposito blend di whisky di grano e di malto maturato in botti ex-Bourbon First Fill e poi affinato in botti ex- Rye Whiskey per ottenere quel gusto dolce speziato e legnoso che abbiamo nel bicchiere.

Il Brand
Vi raccontiamo una storia. La storia di John Walker. Siamo in Scozia agli inizi del XIX secolo. È il 1819 quando John, a soli 14 anni, si ritrova orfano di padre e per sbancare il lunario lavora come garzone in una drogheria. Passano pochi anni e John “Johnnie” Walker vende la piccola fattoria eredita per poter aprire un proprio negozio a Kilmarnock. Nel 1823 il whisky scozzese viene reso legale (Dio salvi il periodo dei Moonshiners, a loro dobbiamo molto di ciò che è lo Scotch oggi…ma questa è un’altra storia) e tutti i droghieri acquistano botti di whisky che imbottigliano e rivendono ai loro clienti.

Ma questi whisky non sono mai costanti in qualità e può capitare di averne uno buono così come di averne uno piatto. L’idea di John è semplice: tagliare le varie partite di whisky le une con le altre in modo da mantenere costante la qualità. Nasce così il Blended Whisky. L’idea è vincente e profittevole. Il business cresce, passando da Johnnie al figlio Alexander e poi ai nipoti. E poi via via fino ai giorni nostri. Oggi Johnnie Walker è il più grande whisky brand mondiale. Un colosso facente parte del gruppo Diageo, la più grande multinazionale del beverage.

Per darvi un’idea si stima che al mondo ogni 4 secondi si aprano 1.5 bottiglie di Johnnie Walker (mentre scriviamo e Voi leggete ne avranno aperte tre, forse quattro). Presente in ogni mercato Johnnie Walker ha costantemente a catalogo ben 6 prodotti diversi (Red Label, Black Label, Double Black Label, Gold Label, Platinum Label e Blue Label) cui si affiancano Batch particolari, come il Red Rye, o special editions, come un paio d’anni fa la Explorers’ Club Collection commercializzata solo nei Duty Free.

Nel 2016 inoltre, con grande gioia di molti Whisky Lovers, è stato rieditato il Green Label.  Dopo quasi due secoli Johnnie sta ancora “camminando” e non sembra avere la minima intenzione di fermarsi.

Prezzo: 13.70 euro
Acquistato presso: Auchan

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Vini al supermercato

Metodo Classico Trentodoc Brut Allini, Lidl

(2,5 / 5) Torniamo a parlare della cantina Lidl, questa volta addentrandoci nel mondo degli spumanti con il Metodo Classico Trentodoc Allini. Di limpidezza cristallina, si presenta di un giallo intenso con riflessi dorati. La grana del perlage è mediamente fine e persistente: le “catenelle” di bollicine scorrono in maniera piuttosto ordinata dal basso verso l’alto.

Al naso, il Trentodoc Allini è intenso e tutto sommato schietto: le note preponderanti richiamano il lievito e la classica crosta di pane. Non mancano sentori di agrumi e un accenno di mineralità. Una qualità, quella olfattiva, che definiremmo mediamente fine, per una complessità sottile.

Le premesse di uno spumante “nella media”, aderente alla fascia prezzo in cui è stato collocato dagli attenti selezionatori Lidl, vengono confermate anche al palato. In bocca, di fatto, il Trentodoc Allini – Brut ottenuto da sole uve Chardonnay – conferma le note fruttate, prima di una mineralità piacevole e una chiusura ammandorlata. Il corpo è di buona struttura, l’alcolicità calda. Buona anche l’acidità, capace di rinfrescare il sorso. A disturbare la beva è piuttosto l’anidride carbonica: troppo aggressiva, al punto da disturbare l’intero pasto.

Al secondo calice, la sensazione sarà quella d’aver bevuto mezza bottiglia d’acqua gassata. Un difetto che, forse, andrà ad attenuarsi nel tempo, col permanere di questo Trentodoc in bottiglia. Uno spumante questo Allini, al netto della sensazione appena descritta, da stappare in occasione di un aperitivo. O da abbinare a tutto pasto a piatti non troppo strutturati della cucina italiana e internazionale, ad eccezione – ovviamente – del dolce.

Prezzo: 6,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Approfondimenti

Vino online: a comprarlo sono i 50enni

L’identikit è chiaro: il “consumatore tipo” di vino acquistato online è una persona di genere maschile, di 48 anni di età, residente nelle regioni del Centro-Nord Italia. E con una predilezione verso i vini rossi fermi e gli spumanti. E’ quanto emerge dal Report sul profilo dell’acquirente italiano di vino on-line realizzato da Wine Monitor attraverso la partnership con VINO75.COM, l’enoteca specializzata per la vendita online nata a Firenze nel 2014 all’interno dell’acceleratore di startup Nana Bianca.

Sebbene l’e-commerce pesi ancora per meno del 2% sulle vendite off-trade di vino in Italia, i tassi di crescita a doppia cifra percentuale che stanno interessando, anno dopo anno, gli acquisti in questo canale non possono passare certo inosservati, soprattutto da parte dei produttori.

“Sebbene in Italia l’e-commerce del vino pesi in maniera ancora marginale sulle vendite totali – dichiara Denis Pantini, Responsabile Wine Monitor di Nomisma – è indubbio che il trend sia in crescita; basti guardare cosa sta accadendo al di fuori dei confini nazionali dove in mercati come Francia o Regno Unito l’incidenza delle vendite di vino on-line supera il 10% o addirittura il 20% nel caso della Cina”.

Sul fatto che si tratti di un fenomeno in crescita non ci sono dubbi e gli stessi produttori di vino ne sono consapevoli, così come hanno dichiarato le circa 200 imprese vinicole intervistate da Wine Monitor in occasione dell’approfondimento. “Già oggi circa il 50% delle imprese intervistate vendono on-line i propri vini – direttamente o tramite siti specializzati – mentre un altro 17% ha intenzione di ricorrere a questo canale nei prossimi anni” continua Pantini.

LA “SPESA” ONLINE
Ma quanto si spende mediamente nell’acquisto di vino on-line? Il prezzo medio di una bottiglia acquistata (da 0,75 ml, iva inclusa) si aggira attorno ai 13 euro, ma arriva a superare i 14 nel caso dei rossi fermi e degli spumanti. Facendo poi un confronto per fascia di età degli acquirenti, si scopre che i Millennials italiani, per quanto pesino meno (per ora) negli acquisti rispetto alla generazione X (36-55 anni) e ai baby boomers (56-65 anni), comprano però bottiglie più costose: nel caso dei rossi fermi il prezzo medio a bottiglia arriva vicino ai 16 euro mentre negli spumanti supera addirittura questo livello.

“Dalla nostra esperienza come piattaforma tecnologica di riferimento per le piccole e medie imprese vitivinicole di eccellenza, l’e-commercerappresenta sempre di più un canaledi vendita fondamentale per la strategia commerciale delle cantine” dichiara Andrea Nardi Dei (nella foto), Fondatore e Ceo di VINO75.COM.

“Il motivo risiede nel fatto che l’e-commerce valorizza il prodotto grazie a contenuti divulgativi facilmente fruibili, oltre a poter far raggiungere mercati lontani e complessi come quello cinese, dove la distribuzione tradizionale del vino italiano fatica ad entrare” conclude Nardi Dei.

“In effetti – conclude il Ceo – pur a fronte di una crescita di oltre il 30% nelle importazioni cinesi di vino dall’Italia registrata nel 2016 rispetto all’anno precedente, la quota dei nostri prodotti sul totale degli acquisti di questo paese resta ancora marginale, non arrivando al 6%. Qualche motivo ci sarà”.

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Vino e datteri (omaggio) da Pubbli Store: il nuovo business del “Baffo” Roberto Da Crema

“Signora, guardi: di questi non sa quanti ne abbiamo venduti… Si fidi. Io stessa ne ho già comprati tre! E per fortuna non lavoro in Rinascente. Altrimenti sa quanta roba porterei a casa ogni giorno?”. Divisa gialla, cordialità, buona preparazione sulla merceologia esposta. Ma soprattutto una frase. Infilata tra un dettaglio tecnico e l’altro. Scandita come un mantra: “Ne. Abbiamo. Venduti. Tantissimi”. L’identikit non lascia spazio a dubbi: i dipendenti Pubbli Store sono stati ben addestrati da Roberto Da Crema, in arte “Il Baffo”.

Si fatica nel trovare un posto libero nel parcheggio dello store di San Vittore Olona, terzo punto vendita della nuova catena di “bazar” del televenditore più rumoroso d’Italia. E’ sabato pomeriggio e sono tanti i milanesi a caccia dell’affare shock, in quello che in tv e sul web viene pubblicizzato (e da chi, se non dal Baffo?) come lo “Store più risparmioso d’Italia”. E chi se ne frega del parere dell’Accademia della Crusca. Roberto Da Crema è sempre stato uno capace di guardare solo al sodo.

Tra le corsie affollate di questo grande magazzino del risparmio, ci siamo anche noi. Prima delle casse, il mondo ci crolla addosso: ecco spuntare una bella fila di pallet colmi di cartoni di vino. “Promozione tesserati: con l’acquisto di 6 bottiglie, in omaggio una confezione di datteri”. Tutto vero. Non è uno scherzo. Datteri. Dat-te-ri.

Forse per consolazione? Forse perché per battere sul campo i cinesi – maestri del low cost -non resta che l’omaggio? Può darsi. Fatto sta che con 2,29 euro ti porti a casa una bottiglia  di Castelli Romani Doc Bianco annata 2015, Borgo dei Vignaioli. Per la stessa cifra – datteri sempre compresi ogni 6 “bocce” – si può prelevare anche un “vino bianco” Regalmonte.

A 2,90 euro si può optare per un Alcamo Doc Fiorile, o per un Marche Rosso Belisario. A tenere alta la bandiera della Lombardia, il “vino rosso” Belvedere imbottigliato dalla Neuroniagrari Soc. Agr. Srl di San Colombano al Lambro, che altro non è se non quel Poderi di San Pietro che si fa apprezzare in Gdo con il Rosso dei Poderi proposto a 6,49 euro alla catena di supermercati Il Gigante.

“Il Baffo” Roberto non dimentica la Sardegna: ecco dunque il Cannonau Doc Cala Sarmentu 2015, distribuito da quelle Cantine Pirovano di Calco (Lecco) balzate di recente agli onori delle cronache per il presunto interessamento nelle quote di Cantina La Versa, storica e prestigiosissima realtà dell’Oltrepò pavese finita nelle mani del gruppo Cavit, in cordata con Terre d’Oltrepò.

Sempre nell’ottica di un perfetto abbinamento con i datteri, ecco la ciliegina sulla torta: la Cuvée Dolce Duchessa Lia, cantina piemontese di Santo Stefano Belbo che dietro a questo nome cela il proprio spumante dolce ottenuto da uve Moscato bianco. Prezzo? 2,49 euro per i tesserati Pubbli Store.

Occhio invece alle scadenze se preferite la birra al vino: la Tennent’s Extra Strong Lager che fa bella mostra di sé su un pallet espira il prossimo 31/05/2017. Abbastanza tempo per approfittare appieno dei 29,90 euro a cui viene proposto il cartone da 24 bottiglie, in formato 33 cl.

Nel 2012, quando è iniziata l’epopea Pubbli Store, Roberto Da Crema escludeva la possibilità di vendere alimentare. Solo trapani, phone per capelli, borse, scarpe e cappotti, per intenderci. Oggi, il business riguarda anche prodotti dolciari, sughi pronti. E vino. Tutto lecito. Purché non si parli di vera qualità “Made in Italy”.

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Vini al supermercato, degustazione alla cieca: ecco i migliori dell’Oltrepò pavese

Bottiglie “fasciate” con la stagnola e lista “muta” dei vini in batteria. Tante conferme e qualche sorpresa alla degustazione alla cieca di vini dell’Oltrepò pavese organizzata dal Consorzio di Tutela oltrepadano. Ospiti del direttore Emanuele Bottiroli, abbiamo testato 57 referenze destinate agli scaffali dei supermercati italiani.

Quindici le tipologie: spumanti bianchi, rosati, Pinot nero vinificato in bianco, Pinot grigio, Bianco Provincia di Pavia, Riesling, Pinot nero vinificato in rosa, Bonarda, Rosso Oltrepò pavese, Pinot nero vinificato in rosso, Barbera, Buttafuoco, Moscato e, infine, Sangue di Giuda. Ecco dunque, suddivisi per categoria, i vini migliori per ognuna delle categorie. Al servizio Gaia Servidio, della Segreteria del Consorzio.

Spumanti bianchi (prima batteria): Brut Castel del Lupo s.a.
Spumanti bianchi (seconda batteria): Gianfranco Giorgi 2013, Cantine Giorgi (vincitore assoluto di categoria)

Spumanti rosati (charmat): V.S.Q. Extra Dry Cuvée Eleonora, Giorgi
Spumanti rosati (metodo Classico): Maison Royale 2012, Az. Agr. Tenuta Elisabet di Pagani Elisabetta (Terre Lombardo Venete Group)
Spumanti rosati (menzione speciale): Rosé Mornasca, Cascina Gnocco

Pinot Nero vinificato bianco: Cantine Francesco Montagna (Broni)

Pinot Grigio e Bianco Provincia di Pavia: presenti solo – rispettivamente – La Diana di Cantine Giorgi e il Bianco di Tenuta Elisabet

Riesling: Giorgi 2015

Pinot nero vinificato rosa: Cantine Francesco Montagna (Broni)

Bonarda (batteria 2016): Bronis 2016, Terre d’Oltrepò (la spunta nel testa a testa con C’era una volta di Losito e Guarini); menzione speciale per La Brughera di Cantine Giorgi

Bonarda (batteria 2015, pari merito): Quaquarini e Conte Vistarino

Rosso Oltrepò Pavese: Avalon 2015, Tenuta Elisabet

Pinot nero in rosso: 7 stelle 2014, Az. Agr. Torti

Barbera: Az. Agr. Torti, vendemmia 2015; menzione speciale per Le Vignole della Società Agricola Fratelli Guerci di Guerci Claudio Cesare & C., Casteggio.

Buttafuoco: Quaquarini 2015

Moscato: Guarini per tipicità; La Signora 2016 di Castel Del Lupo (Calvignano)

Sangue di Giuda: Losito e Guarini

IL COMMENTO DEL CONSORZIO
“Abbiamo registrato una grande adesione di aziende a questa degustazione con vinialsupermercato.it – dichiara il direttore Emanuele Bottiroli (nella foto, a sinistra), direttore del Consorzio di tutela vini Oltrepò pavese – sia perché è un media molto seguito, sia perché oggi la presenza in Gdo dei vini dell’Oltrepò pavese è ancora tutta da spiegare. Molte volte non viene percepita per come effettivamente si presenta a scaffale: ovvero con grandi produttori che abbinano un rapporto qualità prezzo eccezionale, e lo garantiscono al consumatore. Invece l’Oltrepò si vede ancora purtroppo per quei fenomeni di taglio prezzo sui quali anche il Consorzio è concentrato, con l’obiettivo di renderli sempre più un fenomeno residuale, accendendo l’attenzione rispetto alla qualità che invece in grande distribuzione organizzata i produttori, in particolare quelli di filiera, portano con le loro referenze”.

“Referenze – continua Bottiroli – che partono dal Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc che all’anno rappresenta 23 milioni di bottiglie, per finire poi in altri ambiti di alta gamma, rappresentati dal Metodo classico, dal Pinot nero e da vini dal profilo qualitativo molto interessante come il Buttafuoco e il Buttafuoco storico, che in Gdo si colloca quasi alla stregua dell’enoteca. Per non dimenticare i Riesling, venduti a un rapporto qualità prezzo vantaggioso per chi acquista”.

Per il Consorzio di tutela Vini Oltrepò pavese, la Gdo è “un’opportunità”. “Perché si può fare story telling territoriale”, spiega Bottiroli. “Per farlo – spiega il direttore – bisogna lavorare molto sul brand. Il brand Oltrepò pavese dev’essere la garanzia di questo terroir di 13.500 ettari di vigneti, 1.700 aziende vinicole impegnate e, per lo più, una tradizione contadine che è anche valoriale. Dentro una bottiglia in Gdo di Oltrerpò pavese, c’è la storia di tante famiglie che, da generazioni, coltivano i vigneti per fare qualità. La grande distribuzione è quindi certamente il mercato del futuro. Un luogo, questi supermercati, dove si incontra il cliente che purtroppo si incontra sempre meno in enoteca e si incontra, con ulteriore difficoltà, nella ristorazione”. Ed è su questa “sfida” che si concentra gran parte dell’impegno del Consorzio Oltrepò pavese. Su quella che, per dirla con Bottiroli, è la “percezione delle nostre etichette”.

Ma come si garantiscono, assieme, gli interessi di chi vede la Gdo come la gomorra del vino e chi, invece, con la Gdo campa? “Fortunatamente – risponde Emanuele Bottiroli – il nostro territorio presenta diversi modelli aziendali. C’è chi coltiva l’esclusivo interesse di posizionarsi nel mercato dell’Horeca e chi ha bisogno di lavorare nella Grande distribuzione in equilibrio tra vini quotidiani e vini di fascia medio-alta. Per tutti il Consorzio sta cercando di dotare tutta la sua Doc di fascetta di Stato: uno strumento che è garanzia per il consumatore, in termini di tracciabilità e di autenticità. Il nostro Cda ha già approvato questo iter nell’ambito di una revisione dei disciplinari che è un piano molto ampio che sta arrivando a compimento. L’altro tema è cercare di smettere di demonizzare un canale in sé e per sé: oggi in grande distribuzione ci sono grandi Champagne, grandi bollicine italiane, grandi vini da lungo affinamento. E dunque è ora di smettere di dire che soltanto le enoteche o il ristoratore stellato può proporre vini di qualità”.

E-COMMERCE E GDO A CONFRONTO
E l’e-commerce del vino? “E’ un fenomeno – commenta Bottiroli – che vedo con un po’ di preoccupazione. E’ completamente spersonalizzante. Oggi è ormai comune vedere catene come Esselunga, Iper o Carrefour che dedicano corsie molto belle e molto attrezzate nell’ambito della comunicazione dei vini e dei loro abbinamenti in cucina, addirittura con indicazioni sulla temperatura di servizio. L’e-commerce rischia invece, al contrario, di allontanare una zona rurale come la nostra dal consumatore, lavorando solo sui brand. Credo che in questa Italia che guarda sempre più all’estero, ci sia un modo per valorizzare il vino agli occhi del consumatore italiano, anche dicendo alla casalinga di Voghera che può bere spendendo il giusto, non pensando però di comprare sempre vini in taglio prezzo al posto di vini venduti al giusto prezzo. Un dialogo che va cercato con strumenti e intensità nuova”.

LA DEGUSTAZIONE
Parole tutte condivisibili, quelle di un direttore e di un Consorzio che, dal giorno seguente l’attentato alle Cantine Vistarino, sembrano aver preso in mano con il giusto piglio la situazione. E finalmente. Dalla parte dell’ente di via Riccagioia 48 a Torrazza Coste (Pv), l’indubbia qualità del vino oltrepadano. Espressa fuori e dentro la Gdo. Sugli scaffali dei supermercati italiani si trovano prodotti di assoluto valore come quelli di Cantine Giorgi. Lo spumante Metodo classico Pinot nero Docg Gianfranco Giorgi si porta a casa con 14,60 euro in Gdo. Un regalo. E’ ottenuto da uve Pinot Nero 100% provenienti dalle zone più vocate, nei comuni di Montecalvo Verseggia, Santa Maria Della Versa, Rocca De Giorgi, ad un’altitudine compresa tra i 250 e i 400 metri sul livello del mare, in terreni calcarei argillosi.

Ottimo anche, per rimanere tra i vini migliori decretati da vinialsuper nella categoria “Spumanti bianchi”, lo Charmat proposto da Castel del Lupo, azienda agricola di Calvignano che, per il suo Pinot Noir Brut biologico, fa seguire alla fermentazione delle uve in vasche d’acciaio un ulteriore affinamento sui lieviti di circa quattro mesi in autoclave, dopo la presa di spuma. Prezzo? 7,50 euro al supermercato.

Cambiamo categoria per assistere a un altro trionfo di Cantine Giorgi. Tra gli “Spumanti rosati Extra Dry” dell’Oltrepò la spunta Cuvée Eleonora: 7,90 euro il costo di un nettare fragrante come un biscotto.

Tra i Metodo classico Rosè ecco spuntare il Cruasè Maison Royal 2012 dell’azienda agricola Tenuta Elisabet di Pagani Elisabetta, gruppo Terre Lombardo Venete Spa. Un 100% Pinot nero proveniente dai vigneti di Borgo Priolo, Montebello della Battaglia e Torrazza Coste. Raccolta manuale, pressatura soffice dei grappoli anticipata da una preziosa criomacerazione delle uve a 5 gradi. Lieviti selezionati e fermentazione in acciaio per 20 giorni, prima dell’affinamento della durata di 6 mesi, sempre in acciaio, malolattica, tiraggio a marzo e maturazione sur lies per almeno 36 mesi. Uno spumante cremoso, dalla bollicina finissima, suadente già dai riflessi aranciati di cui colora il calice. Prezzo folle (in positivo, ovviamente): solo 8 euro al supermercato.

Menzione speciale (e approfondiremo quanto prima il discorso) per il Rosè Mornasca Spumante Metodo Classico Igt di Cascina Gnocco. Questa cantina di Mornico Losana stupisce con uno dei suoi prodotti di punta del Il “Progetto Autoctoni”, che “nasce dal desiderio di raccontare il territorio utilizzando solo uve originarie dell’Oltrepò Pavese, e in particolare una varietà di uva rossa, la Mornasca, che alcuni secoli fa si sviluppò in alcuni vigneti siti nel comune di Mornico Losana. Con questa idea in mente, da qualche anno abbiamo abbandonato la produzione di altri vini che, seppur ottimi e di gran successo, ottenevamo con uve non autoctone dell’Oltrepò Pavese”. Chapeau. E una promessa: verremo presto a farvi visita, in cantina.

Cantine Francesco Montagna di Broni sbaraglia la concorrenza alla cieca nella categoria Pinot nero vinificato in bianco. Da dimenticare c’è solo il packaging, che fa eco a un sito web di difficile lettura. Ma se ciò che conta è il vino, non si discute: il prodotto, sullo scaffale per soli 4,99 euro, è validissimo. Sottile e finemente fruttato. Un vino in giacca e cravatta, seduto alla tavola di tutti i giorni.

Il Pinot grigio è di Giorgi: La Diana 2016 è in vendita a 7,60 euro. Il Bianco Provincia di Pavia 2015 di Tenuta Elisabeth: bel bere, per meno di 3 euro.

Nella categoria “Riesling”, il 2015 delle onnipresenti Cantine Giorgi (euro 6,90) la spunta per un soffio sul frizzante 2016 della linea Bronis, Terre d’Oltrepò.

Il miglior Pinot nero vinificato in rosa è quello di Cantine Montagna. Del pack abbiamo già parlato. Del vino non ancora: gioca “facile” in batteria con la referenza proposta dall’azienda agricola Losito e Guarini, che con l’intera linea “Le Cascine” si gioca letteralmente la faccia in Gdo (ed è uno di quei marchi che non fanno certo il gioco dell’Oltrepò pavese, con continui tagli prezzo sotto i 2 euro). Meglio parlare, dunque, di chi trionfa. Il Pinot nero vinificato resè Op Doc di Cantine Montagna è un dignitosissimo vino da tavola, dal bouquet fruttato ed aromatico di sufficiente qualità. Prezzo: 4,99 euro.

Lunghissima, invece, la lista di Bonarda proposti in degustazione. La spunta, per la vendemmia 2016, l’azienda agricola Quaquarini Francesco di Canneto Pavese (5 euro), a cui è andato il riconoscimento come “Miglior cantina Gdo 2016” di vinialsuper. La consegna della pergamena a Umberto Quaquarini è avvenuta in Consorzio, proprio in occasione della degustazione. Nello specifico del tasting alla cieca di Bonarda, si tratta di un pari merito con Conte Vistarino di Pietra de’ Giorgi (prezzo che si aggira tra i 5,90 e i 5,95 euro al supermercato). Menzione speciale, tra i 2015 degustati, per il Bonarda Bronis: altro riconoscimento, dunque, per questa linea di Terre d’Oltrepò. E sorprende il Bonarda La Brughera di Giorgi, cui sentiamo di riconoscere il premio della critica, scevro dalle logiche della Gdo: vino, addirittura, di ossimorica prospettiva. Provate a scoprirne il tannino.

Passiamo alla categoria “Rosso Oltrepò pavese” per trovare sul gradino più alto del podio lo strepitoso Rosso Op 2015 Avalon di Tenuta Elisabet. Sapiente mix di Barbera e Croatina da terreno calcareo argilloso. Il segreto sta nell’affinamento, che avviene solo parzialmente in inox per 12 mesi, mentre il resto destinato a tonneau e botte grande. Segue assemblaggio e chiarifica, prima dell’imbottigliamento. Sullo scaffale per poco più di 2 euro: provatelo.

Il miglior Pinot nero vinificato in rosso è dell’azienda agricola Torti. “L’eleganza del vino”, è il claim della cantina di frazione Castelrotto 6, a Montecalvo Versiggia. Uno charme che si esprime nella vendemmia 2014 del Pinot nero Op Doc 7 Stelle. Un nobile, tra i nobili dell’Oltrepò: profumo etereo e buona complessità al palato lo rendono un vino degno di piatti importanti, anche al di là di quelli della tradizione oltrepadana. Prezzo: dai 9,50 ai 12 euro.

Altro successo per Torti nella categoria Barbera Doc, in vendita dai 9 agli 11,50 euro. La vendemmia premiata è la 2015. Menzione particolare per il Barbera Op Doc 2011 Le Vignole della Società Agricola Fratelli Guerci di Guerci Claudio Cesare & C. (Località Crotesi 20, Casteggio). Otto euro il prezzo a scaffale di questa vera e propria gemma, la cui vinificazione prevede una macerazione sulle bucce di 15 giorni. “Un tempo il vigneto più piccolo era anche il più curato e prezioso tanto da essere affettuosamente chiamato Vignola. Oggi in questo amato terreno la famiglia Guerci produce con passione la sua Barbera. Un vino profumato, di carattere. Un vino di cui innamorarsi”. Nulla di più vero delle parole usate dalla stessa azienda, per presentare il proprio rosso.

Per il Buttafuoco si presenta in degustazione il solo Quaquarini (dov’è Fiamberti?) con la vendemmia 2015. Il premio per il miglior Moscato si divide tra la tipicità di Losito & Guarini – che guadagna punti in Gdo con tutta la linea “C’era una volta”, capace di spuntarla nel tasting anche nella categoria “Sangue di Giuda” – in vendita tra i 5,90 e i 6,90 euro, e il caratteristico taglio del Moscato 2016 La Signora della società agricola Castel del Lupo di Calvignano (prezzo: 6,50 euro). Un taglio, per intenderci, che lo avvicina di molto a quello piemontese.

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Vini al supermercato

Falanghina Campania Igt 2016 Strangolagalli, Fattoria Alois

(4 / 5) Pluripremiata a livello nazionale per i prodotti destinati al mercato horeca, Fattoria Alois propone in qualità di imbottigliatore una linea di vini campani per la Gdo, appoggiandosi per la distribuzione a Caviro, la cooperativa emiliana del Tavernello (progetto Dalle Vigne). E lo fa con buoni risultati.

Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi la Falanghina Campania Igt Strangolagalli 2016, messa in bottiglia da Fattoria Alois Azienda Agricola Srl nello stabilimento di via Ragazzano, località Audelino di Pontelatone, in provincia di Caserta. Il vino si presenta di un giallo paglierino intenso, con riflessi dorati. Al naso è intensa, aromatica. Le note floreali fresche di ginestra e macchia mediterranea si mescolano piacevolmente a quelle fruttate (pera su tutte, ma anche banana).

Un olfatto che rivela una componente “minerale” importante, poi confermata da un palato sapido. In bocca, la Falanghina Strangolagalli svela un’acidità sostenuta, che gioca a rinfrescare la beva e a chiamare – assieme alla percezione di soluzione salina – il sorso successivo. Un vino decisamente secco, di alcolicità moderata (12.5%) ma comunque capace di scaldare e stuzzicare il palato, anche grazie a una chiusura agrumata, ravvivata da una spruzzata di polvere di zenzero ed anice. In cucina, perfetto l’abbinamento della Falanghina Strangolagalli ad antipasti leggeri e primi a base di frutti di mare. Un vino che si adatta bene anche a minestre o zuppe di verdura.

LA VINIFICAZIONE
La Falanghina è un uvaggio autoctono della Campania, che negli ultimi anni si sta imponendo sul mercato in maniera dinamica, proponendo versioni spumantizzate accattivanti. Strangolagalli è invece la versione ferma: quella fedele alla tradizione. Per mantenere e dare risalto agli aromi tipici del vitigno, la vinificazione avviene in maniera classica, con l’utilizzo dell’acciaio.

Prezzo: 6,90 euro
Acquistato presso: Esselunga

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