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Scavi di Pompei, vigneti abbandonati da 9 mesi. Il nuovo gestore deve produrre “vino naturale”

Scavi di Pompei, vigneti abbandonati da 9 mesi. Il nuovo gestore deve produrre vino naturale mastroberardino

I vigneti degli scavi di Pompei sono abbandonati da 9 mesi e il nuovo gestore dovrà produrre “vino naturale“. Le caratteristiche del nuovo bando attivato dal Ministero dei Beni Culturali per la gestione del “vigneto dei romani” non ha convinto Mastroberardino. La cantina irpina aveva in gestione gli appezzamenti di 1,5 ettari nel Parco Archeologico dal 1996 e ha investito ingenti somme di denaro, a titolo di donazione. Bocche cucite sull’argomento, a Roma.

La possibilità di presentare «manifestazioni di interesse per l’attivazione di una forma speciale di partenariato avente ad oggetto la gestione dei terreni attualmente nella disponibilità del Parco Archeologico di Pompei destinati e da destinare a vigneti e al ciclo produttivo del vino» si è chiusa alle ore 10 del 26 agosto.

Fonti di winemag.it assicurano che la ricerca di un nuovo gestore sia tuttora in corso in Campania, lasciando presuppore che la scadenza del bando possa essere prorogata dal Ministero dei Beni Culturali. Tra i nomi dei candidati – non confermati ufficialmente – spunterebbe anche quello di Mario Pagano, tra i titolari di Cantine Villa Regina F.lli Pagano Srl di Boscoreale, in provincia di Napoli.

VIGNETI DEL PARCO ARCHEOLOGICO DI POMPEI SENZA GESTORE

Sempre secondo fonti di winemag.it, Mastroberardino starebbe valutando la possibilità di un’azione legale utile a tutelare i propri interessi. Sul tavolo degli avvocati anche un potenziale danno di immagine per l’azienda. Sui vigneti abbandonati da dicembre 2021, ovvero allo scadere della convenzione, continua infatti a campeggiare la cartellonistica che fa riferimento al noto brand del vino campano.

D’altro canto, le aziende che intendono presentare il proprio interesse per il bando attivato dal Ministero della Cultura in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei devono rispondere a precisi criteri. Tra questi, l’aver «maturato esperienze nella gestione di vigneti di eccellenza e nella commercializzazione in Italia e/o all’estero dei prodotti vitivinicoli».

Vengono richiesti inoltre almeno 5 anni di esperienza nel settore, dal vigneto alla commercializzazione. E un fatturato di almeno 5 milioni di euro, cifra ottenuta aggregando il volume d’affari degli ultimi cinque anni. Per l’adesione al progetto di valorizzazione, rinominato “Azienda Agricola Pompei“, Sono ammesse anche manifestazioni d’interesse di gruppo, oltre che di singole aziende.

VIGNETI DI POMPEI: IL NUOVO GESTORE DEVE PRODURRE “VINO NATURALE”

La coltivazione dei vigneti, si apprende sempre dall’avviso pubblicato dal Ministero, «dovrà essere esclusivamente biologica». Ma le richieste si spingono ben oltre. Il nuovo gestore dei vigneti del Parco Archeologico di Pompei dovrà produrre vino «possibilmente “artigianale/naturale”».

Il tutto «ai sensi della definizione di “vino naturale“» fornita da Alice Feiring nel libro “Vino naturale per tutti“, pubblicato nel 2019 da Slow Food Editore. La produzione, si legge sempre sull’avviso, dovrà essere «effettuata nel rispetto ed interpretazione aggiornata delle tecniche e modalità colturali del mondo antico».

In particolare derivate dalla conoscenza archeologica dei siti di Pompei, Villa Regina e Stabiae nel loro periodo di vita (dunque fino al l secolo d.C.), nonché secondo le regole imposte dalle superiori istanze di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio archeologico».

Nel suo volume, Alice Fiering definisce «vino naturale» quello «ottenuto da viti coltivate in modo sostenibile e realizzato con fermentazione spontanea del mosto, senza aggiunta di altre sostanze (a nostra insaputa frequenti nei vini convenzionali) fatta eccezione in qualche caso di una minima dose di solfiti».

La commercializzazione «dovrà svolgersi in via esclusiva presso tali spazi, oltre che sul web, anche attraverso la creazione di una piattaforma dedicata». Inoltre, il nuovo gestore dovrà arrivare progetti che coinvolgano «individui e gruppi disagiati, quali persone con disabilità, famiglie viventi in contesti socialmente fragili e segnati da un alto tasso di disoccupazione e dalla presenza diffusa di forme di criminalità, persone sofferenti di dipendenze e malattie croniche, detenuti volonterosi di reintegrarsi nella società civile ecc».

MASTROBERARDINO E POMPEI: ADDIO DOPO 25 ANNI

Un contesto, quello del nuovo affidamento dei vigneti presenti nel Parco Archeologico di Pompei, in cui fa rumore l’addio di Mastroberardino. Ad affidare l’incarico per la gestione degli 1,5 ettari di vigneti del Parco Archeologico di Pompei a Mastroberardino era stata nel 1996 la Soprintendenza Archeologica di Pompei, sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica Italiana.

«In circa un ettaro all’interno degli scavi di Pompei – si legge sul sito web aziendale della nota cantina campana – è stato possibile impiantare vigneti a base Piedirosso e Sciascinoso, seguendo scrupolosamente le tecniche di allevamento degli antichi romani, prima che il Vesuvio, con l’eruzione del 79 d.C. seppellisse la città».

Da queste vigne è nato un vino, Villa dei Misteri, la cui prima annata, 2001, venne collocata all’asta e distribuita tra appassionati di ogni parte del mondo. I proventi furono utilizzati per sostenere il recupero della Villa dei Misteri, «uno dei più suggestivi siti archeologici di Pompei». Successivamente il progetto è stato ampliato e all’originaria scelta varietale si è aggiunto l’Aglianico, impiantato ad alberello.

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Vini al supermercato

Greco di Tufo Docg 2016, Cantine Di Marzo

(4,5 / 5) “Sei veramente gelida, Bice, se ieri sera nemmeno il vino Greco è riuscito a scaldarti”. Questa frase, rinvenuta negli scavi di Pompei, testimonia quanto antico sia questo vino campano e quanto già allora lo si ritenesse capace di scaldare (quasi sempre…) l’atmosfera.

LA DEGUSTAZIONE
Cristallino, giallo paglierino tenue, al naso questo Greco di Tufo è subito caldo, del sud, con frutta tropicale e fiori gialli, ma anche sapido di iodio e con salsedine e pietra focaia sullo sfondo. L’ingresso in bocca conferma il calore e la sensazione di dolcezza già percepita al naso, sebbene sia un vino chiaramente secco.

La tipica sapidità del vitigno è ben percepibile e, assieme ad una sensazione agrumata, compensa abbastanza bene le note più morbide. Probabilmente, il Greco di Tufo di Cantine Di Marzo ha bisogno di un po’ di tempo in bottiglia per essere apprezzato appieno.

Il finale è lungo e leggermente amarognolo, tra la mandorla e la scorza di agrumi. Un vino di cui farne la scorta in promozione. E da lasciare in cantina per la prossima primavera, quando probabilmente darà il meglio di sé.

Il Greco di Tufo Docg di Cantine Di Marzo, ottimo come aperitivo, si abbina bene con gli spaghetti aglio, olio e peperoncino, con piatti a base di pesce grasso e con le fritture. Da provare con il Salmorejo, la tipica zuppa fredda andalusa.

LA VINIFICAZIONE
La vendemmia per questo Greco di Tufo avviene a mano, verso la metà di ottobre. Dopo una lieve pressatura il mosto svolge la fermentazione alcolica e malolattica in acciaio. Prima dell’imbottigliamento viene decantato a freddo e infine filtrato.

Nel comune di Tufo in Irpinia, lungo la ferrovia che da Avellino porta a Rocchetta Sant’Antonio e che fu definita “la ferrovia del vino”, si trova questa cantina la cui storia inizia addirittura nel 1647, quando Scipione Di Marzo lasciò il suo paese natale, vicino Nola, per sfuggire alla peste, e portò con sé alcune viti di Greco del Vesuvio.

Si può quindi affermare che il capostipite della famiglia Di Marzo fu il creatore di quello che oggi è noto come Greco di Tufo. Nel 1648 Scipione prese possesso di una parte delle mura di cinta della città e vi installò le cantine, dove sono visibili ancora oggi.

Un vino storico, una cantina storica, una zona storica della viticultura italiana, il tutto racchiuso in una bottiglia, ad un prezzo più che conveniente, anche senza offerte. Se tutto ciò non basta a scaldarti, o Bice, ti ci vuole una tachipirina.

Prezzo: 6,89 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Food Lifestyle & Travel

Eatstory, a Pompei il menu degli antichi romani

Per la prima volta nell’area archeologica di Pompei arriva il cibo degli antichi romani per far conoscere ai visitatori da tutto il mondo il legame che unisce la storia dell’Italia al proprio patrimonio enogastronomico. L’inaugurazione dell’iniziativa è fissata per sabato 5 novembre dalle ore 9.30 presso il Quadriportico Teatro Pompei con la presenza di Luigi Curatoli, Direttore Generale grande progetto Pompei, di Massimo Osanna, Soprintendente della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia, di Dario Franceschini, Ministro Beni Culturali Roberto Moncalvo, Presidente Coldiretti. E’ prevista la degustazione del menu Pompeiano (gustum, primae mensae e secundae mensae) preparato secondo le ricette e consumato secondo le modalità del passato nel contesto storico originale.

Una opportunità unica al mondo per l’Italia dove cultura e cibo sono le principali leve di attrazione turistica strategiche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione nel mezzogiorno ed in tutta Italia, come dimostra il dossier Coldiretti presentato nell’occasione. “Eatstory – da noi il cibo ha una storia” è il titolo del progetto realizzato dalla Coldiretti nell’area archeologica di Pompei che consentirà di fare rivivere ai visitatori degli scavi atmosfere e sensazioni del passato, ma anche l’opportunità di apprendere e partecipare direttamente ad attività di coltivazione, trasformazione e conservazione dei prodotti locali. A conclusione di tale percorso è prevista la degustazione di pietanze o l’acquisto di prodotti preparati secondo le tecniche in uso all’epoca dell’eruzione.

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