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Qual è la miglior birra analcolica, nell’anno del boom delle birre zero alcol?

«Alex inutile e triste come la birra senz’alcol» scriveva Enrico Brizzi in “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, nel 1994. È passato più di un quarto di secolo e l’idea della “bionda senza alcol” non è cambiata. Si pensa alla birra analcolica come a qualcosa che vada bene giusto “in pizzeria”, con gli amici. Quando hai estratto la pagliuzza più corta e tocca a te guidare.

Perché diciamoci la verità: si compra la birra analcolica al supermercato solo se hai ospite l’amico astemio. La sollevi guardingo dallo scaffale, come un ladro. E la riponi nel carrello sperando che nessuno ti veda.

E una volta in cassa fai finta di niente, sorridi imbarazzato e cerchi di non incrociare lo sguardo della cassiera. Con l’atteggiamento dell’alunno che ha passato il weekend sui videogiochi, al posto di mettersi a studiare. Estremizziamo, ovviamente. Ma non troppo.

IL TREND
La vendita di birra a basso contenuto alcolico ha superato globalmente i 4 miliardi di dollari nel 2019 coprendo il 30% del mercato Usa e il 5% del mercato europeo. Non solo.

Da un’analisi di Global Market Insights recentemente pubblicata emerge un trend che porterà l’analcolica ad un giro d’affari di oltre 29 miliardi di dollari entro il 2026 con una produzione mondiale che supererà i 3 miliardi di litri.

Non esattamente bruscolini, tant’è che tutti i colossi mondiali della birra si stanno muovendo in questa direzione. Ultima in ordine cronologico Diageo che ha annunciato per il 2021 il lancio di Guinness 0.0, la prima Irish Stout a zero contenuto di alcol. Un settore che fa gola anche ai birrifici artigianali, alcuni dei quali l’hanno recentemente inserita in gamma.

Una crescente domanda di prodotti “low and no” alcol influenzata non solo dalle leggi sempre più restrittive in materia di consumo di alcolici, ma anche dalla volontà dei consumatori di adottare stili di vita più sani e un regime alimentare meno calorico.

Non a caso Heineken fa vanto della leggerezza della sua lager 0.0 riportando sulla confezione «69 calorie a bottiglia» e con uno spot pubblicitario ambientato in palestra. Lo abbiamo già scritto a inizio anno: le “Kcal” in etichetta saranno a nostro avviso un trend del 2021, anche nel mondo del vino.

LA DEGUSTAZIONE
Ma come si comporta la birra analcolica alla prova del calice? Abbiamo voluto testare le birre analcoliche reperibili nelle maggiori insegne della Grande distribuzione organizzata, ovvero al supermercato. Al solito, senza pregiudizi.

Occorre innanzitutto fare una precisazione: per la legge italiana si definisce “analcolica” una birra con un tenore alcolico inferiore a 1,2% (negli Usa il limite è 0,4%, in Uk di soli 0,05%). Occorre quindi fare attenzione all’etichetta se si vuol acquistare qualcosa di totalmente privo di alcol, così come all’indicazione delle calorie se vogliamo un prodotto “dietetico”.

Bavaria 0.0 – 0,0% – 24 Kcal/100 ml
Colore dorato, schiuma scarsa e scarsamente persistente. Al naso note di camomilla ed una leggera vena di erbe aromatiche come timo. Scorrevole al sorso e poco persistente non presenta alcuna nota amara.

Clausthaler Original – 0,49% – 26 Kcal/100 ml
Dorata con schiuma bianca, soffice e poco persistente. Naso erbaceo, fresco. Sentori di erba tagliata e cereale accompagnati da un tocco di camomilla. In bocca l’amaricante del luppolo accompagna la breve persistenza.

Moretti Zero – 0,0% – 20 Kcal/100 ml
Giallo paglierino carico, schiuma scarsa. Floreale al naso invita subito al sorso ma tradisce le aspettative nella fase gustativa. In bocca si svuota completamente lasciando solo un vago ricordo.

Tourtel – 0,5% – 22 Kcal/100 ml
Colore dorato carico che strizza l’occhio all’ambrato. Anche qui la schiuma ha vita breve. Al naso è il malto che la fa da padrone, facendo pensare ad una eccessiva “dolcezza”. In bocca la vena amara riporta in ordine la degustazione.

Beck’s Blue – 0,3% – 23 Kcal/100 ml
Dorato carico. Schiuma bianca ben poco durevole. Camomilla e miele al naso. Sfuggente in bocca. Amaro non pervenuto.

Heineken 0.0 – 0,0% – 21 Kcal/100 ml
Giallo paglierino carico sormontato da un bel cappello di schiuma bianca. Naso erbaceo ma poco intenso e sorso scorrevole ma equilibrato. Brevissima la persistenza. Una birra che “sa di poco”, ma quel poco è fatto bene.

Birra Coop Italiana Analcolica – 0,5% – 19 Kcal/100 ml
La privat label di Coop è prodotta nello stabilimento Pedavena con 100% malto d’orzo italiano. Il naso gioca su note di fieno, malto e camomilla. La nota amara guida il sorso togliendo stucchevolezza. Insieme a Clausthaler e Heineken è probabilmente la migliore alternativa “da pizzeria”.

Brooklyn Special Effect Hoppy Lager – 0,4% – 29 Kcal/100 ml
Prodotta in Europa da Carlsberg si presenta di color ambrato e schiuma soffice. Naso accattivante che gioca su note floreali e fruttate figlie dell’abbondante luppolatura aromatica. Bocca ricca e profumata anche se leggermente disequilibrata. Una birra a cui piace “vincere facile” col suo stile che strizza l’occhio alle APA.

Paulaner Weissbier Non-alcoholic – 0,0% – 24 Kcal/100 ml
L’unica Weiss della degustazione e pertanto outsider in un panel di lager, si presenta leggermente torbida e con l’abbondante schiuma tipica dello stile. Al naso non si avverte la differenza rispetto alle lager. Anche qui la tipica parte erbacea del frumento “vira” in camomilla. In bocca non si distacca dalle concorrenti.

Appare chiaro come l’assenza di alcol influenzi, e non poco, il gusto della birra. Al naso le tipiche note di malto e di fieno tendono ad addolcirsi ulteriormente e a ricordare sentori di camomilla e miele appiattendo lo spettro olfattivo. In bocca, inoltre, si avverte l’assenza della sensazione di calore tipica delle bevande alcoliche, risultando zoppa. Manca, in sostanza, qualcosa che sostenga il sorso.

COME SI PRODUCE LA BIRRA ANALCOLICA?
Vi sono differenti processi per la produzione di queste tipologie di birra sostanzialmente raggruppabili in due categorie: tecniche di diluizione e tecniche sottrattive.

Le tecniche di diluizione si basano sulla preparazione di mosti in cui, per via degli ingredienti utilizzati, l’attività enzimatica porta alla formazione di destrine ottenendo così un ridotto contenuto di zuccheri fermentescibili. Questo, unito all’uso di lieviti a basso potere alcoligeno o che degradano l’alcol per via ossidativa, porta a fermentare birre a basso tenore alcolico.

Nelle tecniche sottrattive si separa l’alcol normalmente presente nella birra a fine fermentazione con metodologie chimico-fisiche come l’evaporazione sottovuoto, l’osmosi inversa o la dialisi su membrana. Si tratta sostanzialmente di avanzate tecniche di filtraggio che, seppur tecnologicamente controllabili, eliminano dalla birra non solo l’alool ma anche quelle sostanze con peso molecolare simile a quello dell’etanolo.

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Birra Pedavena

È uno di quei marchi commerciali che riscuote molto seguito. Che sia per la storia travagliata del birrificio, che sia per la sua posizione geografica a ridosso delle Dolomiti e per una qualche forma di legame territoriale o che sia per una presunta qualità di prodotto fatto sta che non è raro sentirsi dire “a me piace la Pedavena“. Ma come si comporta la famosa Birra Pedavena al calice? Abbiamo assaggiato per voi la versione Pedavena Speciale.

LA DEGUSTAZIONE
Un bel dorato carico con schiuma candida e piuttosto compatta. Naso piuttosto intenso in relazione alla categoria (tipologia-prezzo) che apre sui sentori aromatici del luppulo. Note agrumate ed erbacee seguite poi dalla dolcezza del malto. Piena al sorso risulta piuttosto avvolgente e poco amaricante. Dominano in bocca le note maltate e morbide che lasciano spazio all’amaro del luppolo solo delicatamente sul finale. Una birra fresca e dalla bevuta rotonda e piacevole.

BIRRA PEDAVENA
Storia travagliata, dicevamo, quella del Birrificio di Pedavena. Fondato nel 1897 dai fratelli Luciani che, originari di Canale d’Agordo, scelsero il comune di Pedavena (BL) per la qualità dell’acqua e cresciuto negli anni vide requisire i propri impianti dall’esercito Austro-ungarico dopo la battaglia di Caporetto. Tornato in mano ai proprietari nel dopoguerra riparte la crescita che porta Pedavena ad acquisire Dreher nel 1928 non che ulteriori stabilimenti nel secondo dopoguerra.

Con l’apertura di un nuovo impianto nel 1965  a Massafra (provincia di Taranto. L’attuale impianto Heineken da cui provengono le birre Dreher e Birra Messina) la crescita continua fino alle prime avvisaglie di crisi concretizzatasi nel 1974 con l’acquisizione da parte di Heineken. Proprio Heineken decide, nel 2004, la chiusura dello stabilimento di Pedavena.

Grazie alla mobilitazione dei dipendenti, dei sindacati, delle autorità locali, della popolazione (oltre 44.000 le firme raccolte), e all’interessamento di imprenditori della zona nel 2006 l’impianto ed il marchio vengono rilevati da Birra Castello. Ripresa la produzione, dallo stabilimento bellunese escono oggi le bottiglie a marchio Pedavena, Birra Dolomiti ed alcune private label della Gdo.

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