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L’Oltrepò di Quaquarini: Bonarda e Buttafuoco super con l’autoctono dimenticato

Ughetta di Canneto. O “Uvetta di Canneto”. Fondare un’intera produzione vinicola su un un uvaggio autoctono semisconosciuto potrebbe sembrare da folli, al giorno d’oggi. Ma se quel vitigno ha un nome “così”: beh, forse rischia d’esserlo ancor di più. Ciò che è veramente curioso è che succede – e per davvero – in Oltrepò Pavese. Terra di vino che sforna decine di “Bonarde” tutte uguali. Specie se ci si ritrova a pescare sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Tra i primi e i secondi prezzi. Ma all’azienda agricola Quaquarini Francesco, il sillogismo non quaglia. Un utilizzo particolare e attento dell’Ughetta di Canneto costituisce il vero segreto della produzione. Il suo incantevole fil rouge. Già. Ad un’attenta analisi, il blend su cui si fonda il più “banale” dei vini rossi oltrepadani conduce dritto alle punte di qualità espresse dal Buttafuoco. Quello Storico. Un filo spesso, solido. Palpabile. Tanto all’olfatto quanto al palato.

Capace di rendere speciale il vino di tutti i giorni, il Bonarda. E superlativo ciò che, per antonomasia in Oltrepò, deve risultare di per sé eccellente: il Buttafuoco Storico, per l’appunto. Una qualità così – trasversale, netta, oggettiva, lineare – che comincia dal vino “base” per raggiungere il top di gamma, passando peraltro dalle “bollicine”, in Lombardia come in altre regioni d’Italia è difficile da riscontrare in una singola realtà produttiva. Mettici pure che la Quaquarini produce in regime biologico – praticamente da sempre, ma con certificazione ufficiale per la campagna arrivata nel 2003 e per la vinificazione nel 2010 –  e ti sembrerà d’esserti addormentato, sognante, con un calice di vino in mano, lontano da Pavia. Nel bel mezzo di un raro, inatteso trionfo della Coerenza.

Dell’Ughetta di Canneto ha fatto un vanto Lino Maga, il “Signor Barbacarlo”. Ma anche Francesco Quaquarini, oggi giovanotto di 83 anni, ha giocato un ruolo fondamentale nella sua valorizzazione. “Uno dei primi libri che raccontava l’ampelografia del nostro territorio, la ‘Pomona italiana’ del botanico Giorgio Gallesio – spiega Umberto Quaquarini, timoniere e tuttofare dell’azienda giunta con lui alla terza generazione – all’inizio del 700 classificava in Oltrepò Pavese un’uva dalla quale si ricavava un vino, secondo l’autore, ‘tra i più buoni d’Italia’. Quell’uva era l’Uvetta, o Ughetta, o Vespolina. L’Uvetta era coltivata soprattutto a Canneto Pavese, nome preso nel 1886 dal nostro Comune, mutando dall’originario Montù de’ Gabbi. Dopo la fillossera, l’Uvetta è stata sostituita in quasi tutto l’Oltrepò da Croatina e Barbera, più resistenti, più facili da coltivare e più produttive”. Ma non dappertutto.

All’inizio degli anni 90, la svolta. “L’Università di Piacenza ha condotto uno studio sull’Uvetta – continua Quaquarini – ritrovando i primi cloni, quelli originali, nei vigneti di mio padre Francesco e in quelli di Lino Maga. Noi ne abbiamo tuttora diversi ettari. E la usiamo in tutti i nostri vini rossi, per un minimo dell’8%, sino a un massimo del 15”. Forse per quella scarsa vena imprenditoriale che caratterizza il 90 (+5) % dei vignaioli oltrepadani, la cosa non fu mai fatta ‘pesare’ sul piatto della bilancia vitivinicola italiana. Tant’è vero che lo stesso Quaquarini, oggi, vinifica in purezza la preziosissima Ughetta. Ma ne realizza solo poche centinaia di bottiglie, circa 300, che sostanzialmente hanno un ruolo marginale nel ventaglio della proposta commerciale dell’azienda. Un vero peccato. Perché quando assaggi l’Uvetta, o Ughetta, di Quaquarini, ti si apre un mondo.

Capisci davvero perché è speciale la sua Bonarda (sbalorditiva “La Riva di Sas” 2015, new entry “senza solfiti”), scoprendone il segreto intrinseco, nascosto sotto quella spuma corposa che si dissolve nell’aria, liberando profumi intensi di frutti rossi. E sorseggi un vino complesso come il suo Buttafuoco Storico Vigna Pregana (la 2003 è un trionfo tutto giocato sull’equilibrio tra il balsamico e il minerale, sullo sfondo di una frutta rossa ancora succosa e un tannino avvolgente, mentre la 2010 è da bronzo per Decanter 2016) andandone veramente a cogliere l’essenza. Con la semplicità con cui un bambino scarta una caramella. Ecco da dove ‘arrivano’ quei terziari che terziari, almeno per la Bonarda, non possono essere: pepe, cannella, paprika, liquirizia. Magica e tipicizzante Ughetta, insomma. Ma non solo.

Basti pensare che il vino che ha reso grande Quaquarini è il Sangue di Giuda Vigna Acqua calda (i vigneti sono situati sopra l’antico sito delle terme di Recoaro), risultato il vino più bevuto all’Expo 2015 di Milano. Ma c’è un altro prodotto che vale la pena di conoscere. E’ il Metodo Classico Brut Docg Classese, attualmente in commercio con la vendemmia 2009. La bollicina top di casa Quaquarini. Settanta mesi sui lieviti, sboccatura tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Ottenuto al 100% da uve Pinot nero. I sentori di lievito non sono invasivi, anzi. Una vena floreale domina naso e palato, assieme al miele d’acacia. Il sorso invoglia il successivo, non tanto per la freschezza conferita dall’acidità, quando per un’inattesa sapidità che ben si bilancia, specie in chiusura, con le note fruttate giovani. Il perlage è delicato, avvolgente, non aggressivo.

QUAQUARINI, LA GDO E LA BONARDA
Alti standard, dunque, che si ritrovano anche nei prodotti destinati alla grande distribuzione organizzata. Carrefour, Coop, Bennet, Pam, Alfi Gulliver e Basko le catene in cui sono presenti le etichette Quaquarini, ormai da 25 anni. Sono 250 mila le bottiglie che finiscono sugli scaffali dei supermercati, su un totale complessivo di 700 mila. “Fu una scelta rischiosa e allo stesso tempo coraggiosa – spiega Umberto Quaquarini – in quanto all’epoca il supermercato era vissuto come il nemico dei vignaioli. Iniziammo quest’avventura con il terrore addosso, dal punto di vista commerciale. Ma oggi non possiamo che essere fieri dei risultati conseguiti. E devo ammettere che l’azienda è cresciuta anche grazie alla Gdo”.

Un canale nel quale la realtà di via Casa Zambianchi 26 opera con coscienza e cognizione di causa. “La nostra Bonarda – sottolinea Quaquarini – è in vendita a un prezzo che supera abbondantemente i 5 euro, a dispetto di un prezzo medio di 2,60 euro. Purtroppo le prime dieci realtà della Bonarda in Oltrepò, dal punto di vista numerico, sono imbottigliatori e non produttori che possono permettersi prezzi del genere, o anche inferiori. Basti pensare che il 75% del Bonarda viene imbottigliato fuori dall’Oltrepò Pavese. Una follia pura, che costringe i produttori a guardarsi dall’estinzione. Il resto lo hanno fatto gli scandali, che hanno fatto diventare la nostra area vitivinicola la più controllata d’Italia”.

QUEI CONTROLLI IN VENDEMMIA
Umberto Quaquarini si riferisce ai “controlli a tappeto” effettuati dalle forze dell’ordine a carico della sua azienda, in occasione dell’ultima vendemmia. “Siamo stati ‘visitati’ due volte nel giro di 10 giorni, nel mese di settembre. Le verifiche hanno interessato l’attività di campagna, con i militari impegnati per ore a verificare la regolarità dei contratti di lavoro del personale assunto ad hoc. Controlli durante i quali le operazioni di vendemmia sono state ovviamente interrotte, con conseguenti costi ricaduti sui sottoscritti. Per sentirci dire, alla fine, che era tutto a posto”. Che sia arrivata qualche “falsa soffiata” da qualche concorrente? “Non lo so – replica il produttore – quel che è certo è che la cosa ci è suonata alquanto strana. E se la sommiamo a tutta la burocrazia legata alla certificazione biologica, rischiamo di finire per sentirci sempre più schiacciati dalla carta, in questo Paese”.

Un problema che, in estate, Umberto Ququarini ha affrontato direttamente con l’ormai ex ministro Maurizio Martina, che ha visitato l’azienda non in veste istituzionale, bensì da privato cittadino (ovviamente con Digos and company al seguito). “E’ stata una piacevole sorpresa – ammette il viticoltore pavese – perché da pochi mesi avevamo ricevuto un certificato di qualità da parte dello stesso Ministero per la nostra attenzione all’ambiente, tanto in campagna quanto in cantina. Ci fu pure modo di sorridere, con mio padre che tentava di offrire delle fette del nostro salame al ministro. Fino a scoprire, grazie all’intervento del suo portavoce, che è vegano!”.

QUAQUARINI E IL CONSORZIO
Eppure, come peraltro molte realtà di lustro dell’Oltrepò, la Quaquarini non aderisce al Consorzio di Tutela Vini locale. “Mio padre fu tra i soci fondatori – evidenzia Umberto – ma abbiamo preferito uscirne, per una visione completamente distante dalle posizioni dell’ente”. Oggi, l’azienda aderisce al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese. “Spiace combattere da fuori il Consorzio una battaglia che dovrebbe essere comune a tutti i produttori della zona – chiosa Quaquarini – ovvero quella per la qualità. Al di là degli annunci sulla stampa, ritengo che dovremmo parlarci davvero, tra di noi. Sederci allo stesso tavolo e prendere delle decisioni comuni, per l’interesse di tutti”.

“La mia ricetta? All’Oltrepò del vino – risponde Umberto Quaquarini – servirebbe un manager vero, credibile. Una figura di reale spessore, che col suo carisma sia in grado di mettere d’accordo tutti, promuovendo il territorio come merita. Il Distretto del Vino fa benissimo il suo lavoro, ma sarebbe ora che non esistesse più: perché il Consorzio di Tutela è anche il mio. O almeno vorrei che così fosse”. La sintesi perfetta di un territorio che, invece, pare sempre più diviso. E in bilico. Tra gli interessi dei grandi gruppi. E l’amore di chi vive da generazioni del frutto di questo territorio.

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Vino e sabotaggi, dall’Alto Adige all’Oltrepò: contadini e conti uniti per la qualità

Salorno, Alto Adige. Settembre 2015. Tempo di vendemmia per Patrick Uccelli della tenuta Dornach. Il vignaiolo altoatesino viene messo in ginocchio da un gesto vile: i cassoni d’uva conferiti alla nota cantina Alois Lageder vengono sabotati. Le analisi chimiche non lasciano spazio a interpretazioni. Le uve sono contaminate da gasolio. Interviene Slow Wine. Patrick Uccelli, autore di uno straordinario Gewurztraminer, recupera solo una parte dei 33 mila euro di danni causati dal sabotaggio. C’è chi sostiene che i “vandali” non volessero colpire lui, ma direttamente Alois Lageder.

Una delle realtà più prestigiose dell’Alto Adige del vino, non solo nella stretta cerchia della viticoltura biologica e biodinamica. “I responsabili del gesto – commenta Uccelli – non sono mai stati individuati. Ovviamente ho denunciato l’accaduto. Oggi, di fronte a quanto successo ai danni della Tenuta Conte Vistarino, dico che i commenti non servono a nulla. Perché un gesto così non merita commento. Serve sostegno, non commenti”.

Incalzato, Patrick Uccelli entra nel dettaglio. “Non commento – spiega – perché non ho commentato quello che è successo a me e non inizierò a farlo ora. Tra l’altro, nel mio caso, non furono svuotate le vasche, bensì mi fu messo del gasolio in un cassone con dell’uva raccolta che, sversata in pressa assieme a dell’altra, andò a contaminare 90 quintali. Un quantitativo ben lontano dai 5.300 ettolitri della collega dell’Oltrepò. Anche il danno economico – precisa Uccelli – fu di almeno un decimale inferiore a quello presunto nel caso dell’altro giorno in Oltrepò. Insomma: sì, fu un sabotaggio, ma in tutto e per tutto diverso”.

Infine, un’esortazione. Accorata. “Date visibilità alla collega dell’Oltrepò, mettete in piedi una raccolta fondi. Quello vale molto di più che ricordare cosa successe a me”.

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Oltrepò Pavese, “buongiorno” un cazzo. Attentato della mafia alle Cantine Vistarino

Ci sono parole che vanno pesate. E altre che vanno usate. Una volta per tutte. Con coraggio e amore per la verità. “Mafia”, per esempio. Usiamola. Usiamola, oggi, domani e fino a che sarà necessario, in Oltrepò Pavese. Fino a che questo cancro sarà estirpato. Usiamo la parola “mafia” a pochi giri di lancette d’orologio dall’ultimo, vergognoso attentato che vede come teatro questa straordinaria terra del vino, martoriata con cadenza spaventosa da scandali che fanno a botte col buonsenso. La notte scorsa, personaggi ancora ignoti si sono introdotti nella Tenuta Conte di Vistarino, in frazione Scorsoletta 82 a Pietra de’ Giorgi, Comune di mille anime a mezzora da Pavia .

L’allarme – non è ancora chiaro perché – non sarebbe suonato. Una volta raggiunte le vasche dei vini bianchi in maturazione (soprattutto Pinot Grigio e Riesling), gli ignoti bastardi hanno aperto i rubinetti. Sversando per terra 5.300 ettolitri di quello che sarebbe diventato vino pregiato. “Un danno da mezzo milione di euro”, come precisa la contessa Ottavia Giorgi di Vistarino sulle colonne del Corriere. Immediata la denuncia alla Questura di Pavia, che ora indaga per dare un volto e un nome ai mafiosi. Già, i mafiosi. Perché di questo si tratta. E’ la mafia dei colletti bianchi, quella che opera a Pavia e provincia. Così come a Milano. Quella che non t’ammazza. Ma prova a distruggerti la vita. Cancellando i tuoi sogni. Ottavia Giorgi di Vistarino, a dispetto delle nobili origini, è una che si sporca le mani di terra da quando è nata.

Una che in Gdo presenta una Bonarda Doc a 6,50 euro. Alla faccia di chi la ‘spaccia’ ai buyer dei supermercati – assetati di affari a misura di pallet – per un prezzo alla clientela inferiore ai 2 euro. Nobile, sì. Ma d’animo, prima che di conto corrente. Una che sui social posta solo foto del suo orgoglio: i suoi vini, frutto di una filosofia impostata sulla rigorosa qualità, più che sui numeri.

Una che, solo lo scorso 29 novembre, aveva fotografato due bianchi Conte Vistarino commentando con un solenne “bere bianco”. E che, il giorno prima, 28 novembre, quasi profeticamente, aveva scritto: “Tra i migliori regali di Natale c’è sempre il vino: meglio un ottimo Charmat lungo che un inutile metodo classico giovane (cit. Ottavia Vistarino)”. Chissà che la pressione dei “nemici” della sua azienda cominciasse già a starle stretta…

Quel che conta, ora, sono i fatti. Sono le reazioni. Quelle ufficiali. Quelle che, forse, arriveranno dai consorzi. E quelle che noi proponiamo alla Gdo intera: via dagli scaffali tutti i vini dell’Oltrepò Pavese sotto i 3,50 euro. Via tutto. Pulizia. Bonarda, Chardonnay, Sangue di Giuda, Pinot Grigio. Pinot Nero vinificato in bianco. Repulisti. Solo così, la mafia dell’Oltrepò – che opera anche nel canale Horeca, non credete… – sarà sconfitta. L’Oltrepò merita di più. Merita gente come i Vistarino. Come i Bagnoli o i Marazzi. Come i Maga. Come i Quaquarini. Gente come i Cribellati e i Percivalle, o i Fiamberti. Per citarne solo alcuni.

Gente appassionata. Gente che ama l’Oltrepò Pavese. Gente che, questa sì, contro questi mafiosi di merda, combatterebbe in prima linea. Ogni giorno. Se solo gli fossero dati gli strumenti per farlo. Anche mentre si fa attendere una presa di posizione ufficiale del Consorzio di Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese sull’attentato. Magari sui social tanto cari ai massimi esponenti, distratti da inutili ed egocentrici “buongiorno” a una nazione che, dell’Oltrepò Pavese, continua a registrare solo gli scandali.

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Analisi e Tendenze Vino

Il Sangue di Giuda dell’Oltrepò a Salerno? Tranquilli. Lo porta Enoitalia

E alla fine dei conti, quello che ti fa più incazzare, è che gliel’hanno proposto in abbinamento a una frittura di paranza. Eppure, la controetichetta parla chiaro. “Questo vino dolce e leggendario dell’Oltrepò Pavese ha un ruolo chiave nei pranzi festivi della tradizione in Lombardia, ove la sua vivacità conferisce importanza al fine pasto. Un vino che trova il suo adatto abbinamento (…) con dolci quali crostate, pasta di mandorle e sfogliatine”. Sfogliatine? Sfogliatine, sì. Quelle campane? Forse. Sembra un’etichetta studiata ad hoc. Ma lo avete capito? Parliamo del Sangue di Giuda. Il vino dolce dell’Oltrepò Pavese.

Sono le 23.30 di sabato quando un lettore di vinialsuper ci contatta attraverso la nostra pagina Facebook. E’ al ristorante. A Salerno, dove vive. Gli hanno appena proposto un vino che non conosce, in abbinamento alla frittura di pesce che ha ordinato al cameriere. E’ un vino rosso. Qualcosa non torna. La domanda che ci rivolge è perentoria. “Non è che gli devo fare un assegno? Rispondente, prima che arriva il conto”.

Allega al messaggio la foto della bottiglia. Panico. Si tratta del Sangue di Giuda Doc “Il Pozzo”, vino frizzante dolce. Vendemmia 2015. Ammettiamo l’ignoranza. Non lo conosciamo. Il nome di fantasia non ci dice nulla. Chiediamo una foto dell’etichetta posteriore. Che arriva, di lì a qualche minuto. E’ tutto chiaro. L’azienda indicata è Enoitalia, gigante imbottigliatore di Bardolino, Verona, che serve i supermercati Lidl. Quelli, per intenderci, del Montepulciano Biologico Passo dell’Orso decantato da Luca Maroni. Boom. Questa bottiglia costerà 6 euro al lettore. Un ricarico notevole, quello del ristoratore salernitano, rispetto alle potenzialità della bottiglia.

E’ la legge dei grandi numeri. Quelli che in Italia vincono sempre, a prescindere dal valore che rappresentano realmente. Basti calcolare che una delle aziende leader del Sangue di Giuda, in Oltrepò, fissa il prezzo del proprio “base” – comprensivo di trasporto, ma con pagamento anticipato – a 4,30 euro a bottiglia. E a 6.90 euro per il “cru”. Troppo? Fin troppo poco, assicuriamo noi che quei due Sangue di Giuda (il base e il cru) li conosciamo bene. E allora vada per il Sangue di Giuda di Enoitalia. Pure al ristorante. Con la paranza. Ma si sappia: l’Oltrepò pavese è un’altra cosa. Quando imparerà a promuoversi a dovere in Italia? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Cantina La Versa: Giv non partecipa all’asta. Cavit in pole su Pirovano

Fuori uno. Gruppo Italiano Vini (Giv) non parteciperà all’asta per l’acquisizione della cantina pavese La Versa. Lo assicura in una nota inviata a vinialsupermercato.it la Spa veronese di Calmasino, mediante la portavoce Tiziana Mori. Tra le domande che dovranno pervenire al curatore fallimentare Luigi Spagnolo entro le ore 17 di venerdì 25 novembre, non ci sarà dunque quella della prima azienda vitivinicola italiana, già titolare di 15 cantine sparse per il Belpaese e implicata in importanti “partecipazioni strategiche” a livello mondiale, dagli Usa al Regno Unito, passando per Francia, Germania e Belgio.

A meno di sorprese dell’ultima ora, si riducono a due i potenziali acquirenti della cantina di Santa Maria della Versa. Con Cavit, Cantina Viticoltori del Trentino, che secondo i ben informati sarebbe in vantaggio su Cantine Pirovano, Srl di Calco (Lecco) già proprietaria dal 1997 di Tenuta Bentivoglio a Santa Giulietta, al confine tra Broni e Casteggio. La base d’asta è di 5,6 milioni di euro – oltre imposte di legge – e comprende il marchio, gli immobili e le attrezzature de La Versa Viticoltori dal 1905 Spa, ad eccezione del Wine Point Montescano. Interessate all’acquisto risultano anche due cooperative locali: la Cantina sociale di Canneto Pavese e Terre d’Oltrepò, coop nata dalla fusione delle cantine di Broni e Casteggio, a sua volta già sconvolta da uno scandalo.

IL FALLIMENTO DE LA VERSA
Da possibile salvatore, a cui era stato affidato il rilancio della cantina La Versa, alle accuse di “frode e autoriciclaggio basato su fatture relative a operazioni inesistenti”. Questa la parabola discendente che vede come protagonista Abele Lanzanova, amministratore delegato de La Versa Spa, finito in manette il 21 luglio scorso.

Il giorno successivo, anche la figlia dell’ad, Elena Lanzanova, è stata arrestata dalla Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Pavia. Nella sua abitazione sono stati rinvenuti 7 chilogrammi di marijuana. I militari stavano cercando possibili intrecci della donna con le attività illecite del padre, quando hanno scoperto la droga all’interno della sua abitazione di Urago D’Oglio, in provincia di Brescia.

Abele Lanzanova, secondo quanto riportano le forze dell’ordine, “si sarebbe appropriato di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. L’ad bresciano avrebbe riciclato denaro per alzare il capitale della cantina, trasferendolo sui conti correnti de La Versa Financial International Spa.

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degustati da noi vini#02

Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero, Cantina Scuropasso

Ci sono bottiglie di cui t’innamori al primo sorso. E ce sono altre di cui, poi, non faresti più a meno. Questa è la storia di un vino da avere sempre in cantina. Magari a partire dalle prossime feste di Natale. E’ la storia del Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero, di Cantina Scuropasso (Scorzoletta di Pietra dè Giorgi, Pavia). Quarantotto mesi sui lieviti per questo spumante dell’Oltrepò Pavese, privo di dosaggio zuccherino. Una di quelle etichette che, calice tra sorso e olfatto, ti portano con la mente altrove. Magari ai banchi di una degustazione alla cieca, dove – ne siamo certi – si mimetizzerebbe al cospetto di una batteria di Champagne. Già, lo Champagne. Quel prodotto che ci fanno pagare caro, tanto in enoteca quanto al supermercato. Ma che, in realtà, in Francia, si porta a casa con poche decine di euro.

Piccole produzioni di piccoli vigneron, capaci di assicurare (ma solo al consumatore più attento e, soprattutto, curioso) “poca spesa e tanta resa”. Non a caso l’Oltrepò e l’area dello Champagne si trovano tra il 40° e il 50° parallelo, l’area più prolifica al mondo per la viticoltura, in termini di qualità. E allora è impossibile non accostare seriamente questo Metodo Classico di Pinot Nero oltrepadano alle produzioni francesi. Anche perché – udite, udite – questa bottiglia si mette in frigorifero (quello di casa propria) per soli 10-12 euro. Come lo Champagne dei vigneron.

Di francese, il produttore Fabio Marazzi – un omone tanto grande quanto buono – ha l’eleganza e l’educazione, che poi trasferisce al proprio vino. Un vino, lo immaginiamo, coccolato grappolo per grappolo, in vigna, prima e durante la vendemmia. E pupitre dopo pupitre, in cantina. Coccole e parole: Marazzi deve proprio essere uno di quei viticoltori che parlano alle bottiglie. Amore e umiltà. Due vitamine che sembrano trasferite in purezza nel Pinot Nero Metodo Classico Pas Dosé Roccapietra Zero di Cantina Scuropasso.

Il colore, nel calice, è quello della paglia d’un fienile, su cui una nobile lussuriosa deve aver smarrito polvere d’oro, distratta dal mugnaio. Il perlage è meravigliosamente fine e persistente. Le catenelle riluccicano come gli ornamenti natalizi delle città del Nord Europa: ordinate, precise. In un contorno di limpidezza brillante.

Al naso la schiettezza del Pinot Nero, spiccata, penetrante. Capace di assumere tinte balsamiche, con l’aiuto dell’ossigeno. Al palato una freschezza invidiabile (sboccatura 6/14), lunga, che accompagna un finale al contempo minerale e (nuovamente) velatamente balsamico. Il compagno perfetto, a tavola: quello che riesce ad essere formale, se gli viene richiesta la compostezza, la struttura e la complessità degna di portate sublimi. Ma allo stesso tempo – poliedrico Metodo Classico come pochi – la capacità di scendere in gola facile, semplice, tutto sommato beverino (merito della straordinaria freschezza). La bollicina di Natale. La bollicina dell’Oltrepò della qualità.

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Lino Maga, alias Barbacarlo: dal vino al mito, in 79 vendemmie

Sul tavolo della sala di degustazione ci sono due piccoli calici. Mezzo dito di vino sul fondo, colora tutto il vetro d’un rosso acceso. La luce soffusa punta dritta negli occhi. Un omino piccolo si avvicina alla porta. Due giri di serratura. Mano tesa. “Buonasera, si accomodi pure. Arrivo”. Nello stanzino attiguo, qualcuno prova a far cambiare idea a Lino Maga. “Lino, no, non la voglio, ti ringrazio. Lino, davvero. Vado. Ciao Lino, ci vediamo”. “Aspetta”, risponde lui con dolcezza perentoria. Quella bottiglia di Barbacarlo, già incartata, rimarrà nella sala di degustazione. “La regalerò a qualcun altro”. Il sorriso di Lino Maga è quello di un condottiero stanco, ma ancora determinato a combattere. Stretto in una sciarpa blu, si siede al tavolo offrendo un tarallo dolce. Si abbina bene con le note fruttate, genuine, del Barbacarlo 2015. “La 2016 promette ancora meglio”, commenta subito, fiero. Incontriamo Lino Maga nella sua Broni, nella sala-bottega di via Mazzini 50.

Il conto alla rovescia per il Mercato dei Vini Fivi di sabato 26 e domenica 27 novembre è già iniziato. Nonostante qualche acciacco, il vignaiolo che ha contribuito a far conoscere al mondo intero l’Oltrepò pavese, presenterà in prima persona una verticale del vino-mito Barbacarlo. Cinque annate (2010, 2009, 2007, 2004, 2000), che saranno commentate da Walter Massa (altro vignaiolo simbolo di un territorio intero, col suo Timorasso che ha conquistato il pianeta) e il collega oltrepadano di Maga, Andrea Picchioni, che il “signor Barbacarlo” identifica come erede in Oltrepò, “dopo mio figlio”.

Ma non si aspettino scintille. Lino Maga, 80 anni suonati, è un personaggio schivo, riservato. Uno che non fa certo il paio con Massa, al contrario della sua “badante” Picci. Un agricoltore che ama la sua terra come si ama una sposa. Oggi, come quando aveva 6 anni. “A quell’età – ricorda Maga fissando il vuoto – aiutavo per la prima volta mio padre in vigna. Tiravo via le foglie dalle ceste di uva. Non mi ha insegnato niente nessuno. Semplicemente, se non facevo quello che diceva mio padre, erano legnate. E quando invece le prendevo da mia madre, sapevo che poi papà mi avrebbe dato il resto. Ho avuto una vita difficile, eppure riuscivamo sempre a sbarcare il lunario. I tempi difficili della guerra. Avevamo tutti i rifugi in vigna, per ripararci dalle mitragliate. La mamma faceva il pane in casa, il pollaio c’era, il maiale si ammazzava… Era dura, ma bella. Mi abbronzavo, in vendemmia”. Quest’anno, il figlio Giuseppe, ha provato a dare un freno all’intraprendenza del padre. “Mi ha tolto le chiavi del trattore. E allora io sono salito fin sulle vigne più alte a piedi”. Già, le vigne alte. Quelle più amate da Lino Maga. “Le più difficili da lavorare – ammette – ma allo stesso tempo le migliori. Quelle che regalano l’uva più bella. Quelle dove non arrivi con le macchine. L’agricoltore è un uomo libero che fa piccoli numeri. E nei piccoli numeri sta la qualità”.

Un dogma che, da oltre mezzo secolo, si traduce in una produzione che non supera le 10 mila bottiglie. “Eppure – evidenzia Lino Maga – c’è chi, ancora oggi, mi chiede di fare squadra con chi ne produce 200 milla, a dire poco. Ma come potrei? Il vino è una cosa seria. Il vino è un credo”. “Il problema – continua il viticoltore, tra un tiro stanco e l’altro alla sigaretta – è che l’industria ha superato l’agricoltura, anche nei termini. Si parla di vino biologico, ma mai di vino genuino. Non basterebbe dire che un vino è genuino per essere automaticamente biologico? E i sommelier? Sentiamo mai dire a un sommelier che quel vino sa…di uva? No, mai. Eppure questa sarebbe la cosa più naturale del mondo, per il vino”.

“Hanno complicato tutto – continua Lino Maga -. Mi hanno fatto la guerra sin dal 1979, quando ho fondato l’Associazione dei vignaioli dell’Oltrepò. Non ci riconoscevano, dicendo che avevamo un regolamento troppo rigido. Ci fecero decadere. Eppure è a noi che si deve la nascita dell’Oltrepò pavese come denominazione di origine controllata. Ho dato la vita per l’Oltrepò e ai contadini la possibilità di usare il nome della loro terra sulle etichette dei loro vini. Allora aveva un significato. Ma oggi? Lascio un punto interrogativo. Ultimamente vengo trattato con riconoscenza, ma non è stato sempre così. Anzi”.

Al figlio Giuseppe, l’eredità pesante di Lino Maga. “Mio figlio ha questo peso sulle spalle e lo stanno bombardando. Ma davanti a lui ci sono io. Come esempio. Faccio coraggio a lui e a tutti i giovani, di crederci. Perché la terra ti toglie, ma poi ti dà. La burocrazia ha tolto il sorriso agli agricoltori. Ma sono sicuro che se l’agricoltura saprà riprendersi i suoi valori, sarà anche in grado di dominare l’industria”. Agli oltrepò-steri l’ardua sentenza.

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Tutte le “piazze” del Buttafuoco storico: da Canneto pavese alla conquista di Esselunga

Il figliol prodigo dell’Oltrepò pavese. Il Davide oltrepadano. Da sempre contrapposto, per stile e filosofia, al gigante Golia, che dalle parti di Pavia prende il nome di Bonarda. E’ il Buttafuoco storico, vino rosso da invecchiamento dell’Oltrepò Pavese. Una produzione limitata che, secondo gli ultimi dati, si assesta sulle 65 mila bottiglie. Numero che sale a 360 mila considerando l’intera Doc, che comprende un 25% di vino frizzante. Nulla a che vedere, insomma, con i 20 milioni di bottiglie di Bonarda che ogni anno escono dalle cantine pavesi. Ma per il Buttafuoco, e in particolare per il Buttafuoco storico, il 2016 potrebbe essere l’anno della riscossa. L’intitolazione di una piazza a Canneto Pavese (PV), avvenuta sabato 22 ottobre per volere dall’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Francesca Panizzari, è solo uno degli indicatori della crescente attenzione verso questo nobile blend, ottenuto con sapienza dai vitigni Croatina, Barbera, Ughetta e Uva Rara. La vera rivoluzione parte dalla vigna. E arriva sino ai supermercati Esselunga, l’insegna del compianto Bernardo Caprotti. Da qualche settimana, infatti, è possibile trovare il Buttafuoco Storico Doc “Vigna Sacca del Prete” dell’azienda agricola Giulio Fiamberti in tutti e 90 i punti vendita Esselunga dotati di enoteca con servizio sommelier, dislocati sul suolo nazionale. Fa eccezione la sola regione Toscana, dove la catena milanese sta puntando sulla valorizzazione di altri nobili vini locali. Ad annunciarlo è proprio Giulio Fiamberti, non a caso presidente del Club del Buttafuoco storico.

“Negli ultimi anni – dichiara il viticoltore – siamo riusciti a imprimere una decisiva accelerata alle attività del Club, dando forma a una serie di progetti commerciali e di valorizzazione che erano in cantiere da un po’ di tempo. Un interesse sempre maggiore da parte delle istituzioni, complice probabilmente la scarsa forza dell’Oltrepò pavese in generale, che ha permesso di valorizzare ulteriormente alcune eccellenze che sono ormai da anni in controcorrente, oltre a una certa voglia e necessità di avere un prodotto bandiera che indichi una linea di qualità per tutta l’area oltrepadana, sono gli ingredienti del successo del Buttafuoco storico”. Risultati sotto gli occhi di tutti. Che gli attenti buyer di Esselunga non si fanno sfuggire.

“Quello con la catena di Caprotti – commenta ancora Fiamberti – è un rapporto che affonda le radici nei primi anni del 2000, quando è stato inaugurato il punto vendita di Broni, qui in Oltrepò pavese. La mia azienda è stata selezionata in quanto in grado di assicurare tutta la gamma di vini locali e, in più, anche il Buttafuoco storico e il Sangue di Giuda. In particolare, il Buttafuoco fu introdotto in 20 punti vendita. Poi il numero fu ridotto a 10, limitandosi alle province di Milano e Pavia. Arriviamo così sino ad oggi, con il cru ‘Sacca del Prete’ acquistabile in tutti e 90 i punti vendita Esselunga che possono vantare il servizio dei sommelier Ais all’interno delle loro enoteche”. Fiamberti, di fatto, è il maggiore produttore di Buttafuoco storico dell’Oltrepò pavese, con le sue 3.873 bottiglie. Il posizionamento del prodotto in Gdo è – per ora – lievemente sotto standard. “Si parla di 17,50 euro – ammette Fiamberti – ma il prezzo è destinato ad assestarsi, nei prossimi mesi, sui 18,50 euro circa”. In generale, il Buttafuoco storico si aggira tra i 16 e i 20 euro al pubblico, in enoteca. Mentre le cifre salgono a un minimo di 30 euro, grazie ai (grassi) ricarichi applicati dalla ristorazione locale. Mentre a livello nazionale, le carte dei vini sembrano quasi disconoscere il Buttafuoco.

“La produzione, complice la crescente richiesta non solo in Lombardia e in Italia ma anche e soprattutto all’estero, dal Canada alla Cina, è volata dalle 30-35 mila bottiglie del 2010 alle 65 mila potenziali del 2016”, aggiunge Armando Colombi, direttore del Club del Buttafuoco storico. “La superficie vitata è di circa 10 ettari – spiega – ma anche questo numero è destinato a salire. Uno dei progetti più importanti del Club è infatti quello di mappare nuove superfici, recuperando vigne abbandonate e valorizzando i terreni più vocati. I Vignaioli del Buttafuoco storico, che contribuiscono alla produzione del ‘cru dei cru’ consortile, vedono inoltre riconosciuto un valore commerciale di 3 volte superiore alle loro uve: questo perché il Buttafuoco necessita dell’apporto e dell’esperienza di tutti per diventare qualcosa di importante ed affermarsi, non solo come prodotto di nicchia, a livello nazionale e internazionale”.

Grande anche il lavoro sulla comunicazione del marchio. “Chi produce Buttafuoco storico – evidenzia Armando Colombi – non si pone più di tanto il problema di comunicare il prodotto, in quanto la produzione è talmente limitata da risultare sold-out in pochi mesi. Per questo il Club si sta concentrando sulla promozione del Buttafuoco storico nei confronti di chi si occupa di realizzare guide del vino e, in generale, nei confronti di tutti i comunicatori del settore”. Gomiti alti in area di rigore, insomma, per uno dei prodotti della viticoltura italiana più sottovalutati. Almeno nel Belpaese.

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Dalle Marche il Pinot Nero vinificato in bianco che fa incazzare l’Oltrepò Pavese

Dici Pinot Nero e pensi all’Oltrepò Pavese. E invece no. Paradigma ribaltato ieri sera alla degustazione alla cieca organizzata in provincia di Pavia da Vinum Narrantes. Non un’associazione ma un “esperimento sociale”, come piace definirlo ai promotori Luca Bergamin e Cinzia Montagna (lui sommelier Ais, lei giornalista), volto a “promuovere la cultura del vino attraverso uno sguardo che consideri tanto il consumatore inesperto quanto i tecnici e i critici del settore, con un approccio professionale ma non per questo esclusivamente formale”. All’incontro “numero zero” c’eravamo anche noi di vinialsupermercato.it. Ospiti super partes a un tavolo che ha visto sedersi uno accanto all’altro imprenditori, artisti, degustatori, produttori vitivinicoli e neofiti del vino. Segni particolari: tutti residenti e operanti in Oltrepò Pavese. In batteria, una verticale di 6 annate diverse di quello che, tolta la stagnola, si è rilevato essere “L’Impero” Blanc de Pinot Noir di Fattoria Mancini (strada dei Colli 35, Pesaro). Un Pinot Nero vinificato in bianco, dunque. Prodotto nelle Marche. L’outsider. Anzi l’intruso. O, ancora meglio, il cavallo di Troia con cui la coppia Bergamin-Montagna ha voluto – letteralmente – provocare una discussione che, dal tavolo di Vinum Narrantes, aspira a raggiungere tutti i produttori della zona. Bussando anche alle porte del Consorzio di Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese e del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò: i due organismi ‘politici’ del vino oltrepadano, che vivono in uno stato di paradossale convivenza pacifica armata in quel di Pavia. “Se non siamo capaci di fare le cose in grande da soli – ha dichiarato Luca Bergamin – allora copiamo chi è riuscito e riesce a farle meglio di noi. Perché in Oltrepò Pavese, terra del Pinot Nero italiano, non siamo in grado di concentrare le forze su un prodotto che renda grande il nostro territorio? Perché Fattoria Mancini ci riesce nelle Marche, esportando anche all’estero migliaia di bottiglie di un vino come il ‘L’Impero’ Blanc de Pinot Noir, bagnando il naso a una terra storicamente vocata per la coltivazione del Pinot Nero come l’Oltrepò?”.

PAROLA AI PRODUTTORI
Domande, anzi provocazioni, che non sono passate inosservate al tavolo di degustazione. Il parere di Fabio Marazzi di Cantine Scuropasso non lascia spazio a interpretazioni: “In Oltrepò stiamo producendo ormai da anni un Pinot Nero di altissimo livello. Il problema è che non lo stiamo comunicando efficacemente al pubblico. La verità è che l’Oltrepò è storicamente una terra di conquista: la mia azienda, per esempio, dal 1963 ai primi anni 2000 ha fornito a Berlucchi le basi per le cuvée che hanno contribuito al consolidamento di quello che oggi è un grande marchio della spumantistica italiana”. Secondo il titolare della cantina di Pietra dé Giorgi, “è mancata nella zona un’azienda leader che trascinasse tutte le altre sulla via di un successo di territorio”. “In Oltrepò – ha aggiunto Marazzi – abbiamo paura della sola idea di avere le cantine piene: siamo contadini un po’ ignoranti, che guardano con invidia allo spirito imprenditoriale di viticoltori come i vicini bresciani, che con il Franciacorta hanno dimostrato che l’unione fa la forza”. “E’ impossibile internazionalizzare facendo affidamento alle sole energie che riescono a esprimere i piccoli produttori – ha aggiunto Paolo Percivalle, vignaiolo bio a Borgo Priolo -. In una zona in cui il 70% delle uve viene venduto alle cantine sociali, quale voce in capitolo può avere, nella stanza dei bottoni, chi mira a innalzare il livello qualitativo?”. Amaro anche il commento di Ettore Cribellati dell’Azienda Agricola Anteo di Rocca de’ Giorgi: “Terre D’Oltrepò conta numericamente in Consorzio e detta legge. Noi piccoli produttori siamo relegati al ruolo di mezzadri. E un calcio in culo se reclami… Qualcuno, in passato, mi disse che in Oltrepò siamo come arabi con il petrolio sotto al sedere, ma incapaci di venderlo e, quindi, di distribuire ricchezza al territorio. Tutto il mondo sa cosa produciamo in Oltrepò Pavese e a che livello qualitativo siamo giunti. Il problema è che parliamo del mondo dei tecnici e non di quello della gran parte dei consumatori. Insomma: non siamo in grado di comunicare la grandezza di queste terre”.

IL VINO IN DEGUSTAZIONE
La chiave di lettura dei produttori alla provocazione lanciata da Vinum Narrantes non lascia spazio, insomma, a interpretazioni. Per noi di vinialsupermercato.it è impensabile che un territorio come l’Oltrepò rinunci alle “bollicine” Metodo Classico per iniziare a produrre un Pinot Nero fermo, vinificato in bianco, come ‘L’Impero’ Blanc de Pinot Noir di Fattoria Mancini. Ottimo tuttavia lo spunto offerto da Luca Bergamin e da Cinzia Montagna a un Oltrepò del vino che potrebbe puntare alla produzione di un vino bianco fermo longevo, capace di evolversi in bottiglia negli anni, passando dalla grande freschezza e sapidità espressa in degustazione dal calice della vendemmia 2013 de “L’Impero” (22 euro in cantina!) alle tinte sempre più avvolgenti e ‘glicerinose’ delle annate 2012 (25 euro), 2011 (28 euro), 2008 (28 euro) e 2006 (30 euro). Purché – ma questo è un giudizio puramente soggettivo e purista – non si trasformi (anche) il Pinot Nero in un concentrato di vaniglia che piacerà pure al pubblico europeo e internazionale, ma che snaturerebbe, al posto di valorizzare, l’intero Oltrepò.

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“Bollicine di Lombardia”: la Franciacorta snobba l’evento Ais in Oltrepò Pavese

“Non voglio polemizzare. Loro, semplicemente, non si riconoscono nelle ‘Bollicine di Lombardia’ e noi ne prendiamo atto”. Commenta così Fiorenzo Detti, presidente Ais Lombardia, la decisione del Consorzio Franciacorta di disertare l’evento “Bollicine di Lombardia”, organizzato proprio dall’Associazione Italiana Sommelier in Oltrepò Pavese. L’appuntamento, in programma da ieri pomeriggio e fino a questa sera all’Enoteca Regionale della Lombardia di Cassino Po, a Broni, ha come obiettivo la valorizzazione e la promozione degli spumanti Metodo Classico e Metodo Charmat prodotti nella regione. Più di 50 le aziende che hanno aderito, di cui 35 sono pavesi. Secondo quanto spiegato da Detti, i “franciacortini” avrebbero storto il naso proprio di fronte alla definizione di “Bollicine di Lombardia”. Troppo “riduttiva” per descrivere quello che, dalle parte di Brescia, amano definire “Metodo Franciacorta”, snobbando così anche la definizione di “Metodo Classico”, internazionalmente riconosciuta per la seconda rifermentazione in bottiglia. Il presidente Ais si mostra pacato davanti ai microfoni di vinialsupermercato.it. Ma non risparmia qualche stoccata in occasione della conferenza di presentazione del banco di assaggio. “Da qualche parte, in Lombardia – ha dichiarato Detti – amano guardare gli altri dall’alto al basso. I 15 milioni di bottiglie che è arrivata a produrre la Franciacorta sono tanti, ma credo che faranno sempre più fatica in futuro, soprattutto per come intendono posizionarsi su un mercato dove il competitor principale è lo Champagne, con i suoi 340 milioni di bottiglie”.

L’APPELLO ALL’UNITA’ DELL’OLTREPO’
Parole in cui affiora l’orgoglio pavese del presidente Ais, nato e cresciuto a Bereguardo. Di fatto, Fiorenzo Detti coglie la palla al balzo per lanciare un appello anche al suo Oltrepò. “La Franciacorta – ha commentato – resta per tutti un esempio da imitare. Da osservatore mi sembra di poter sostenere che da quelle parti viga una sorta di dittatura democratica: tutti parlano, ma alla fine si arriva al dunque e si decide qualcosa. E quello che si decide è sempre nel bene comune della Franciacorta. Vorrei che anche il nostro Oltrepò discutesse e si confrontasse costruttivamente, per portare a casa un valore aggiunto e non per distruggere. Sono convinto che le idee possano essere diverse, ma nel momento in cui insieme discutiamo, litighiamo, picchiamo i pugni sul tavolo, da quella riunione si debba uscire più compatti e più forti di prima, non più frazionati”.

Un appello al cuore del Consorzio Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese, rappresentato nella giornata di ieri all’enoteca regionale dal direttore e segretario Emanuele Bottiroli. Ma anche al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, costola scissionista dello stesso Consorzio, capitanata da Fabiano Giorgi. La ricetta del presidente Ais? “Non è facile, ne sono consapevole – ha chiosato -. Se fosse un piatto, sarebbe sicuramente complicato da realizzare e ricco di tanti ingredienti difficili da far sposare assieme. Ci sono tante teste, tanti interessi. Il mio invito, tuttavia, è quello di mettere nel cassetto i personalismi in nome di un valore che possa essere di territorio e di gruppo”.

IL BANCO D’ASSAGGIO
Un valore assoluto, quello dei vini dell’Oltrepò Pavese, che spicca al banco d’assaggio organizzato dall’Ais, anche tra ottime “bollicine” di Franciacorta. All’eccezionale Extra Brut Riserva 2009 “Curtel”, di cui la cantina Massussi di Iseo (Brescia) ha prodotto solo 2.500 bottiglie (70% Chardonnay, 15% Pinot Bianco, 15% Pinot Nero, 60 mesi sui lieviti che danno vita a un nettare dorato, dai profumi intensi e dal palato in cui lievitano note persistenti di agrumi) risponde a testa alta il Pinot Nero Brut Roccapietra di Cantina Scuropasso (Pietra de’ Giorgi, Pv), tra gli assaggi più interessanti di “Bollicine di Lombardia” per complessità, senza disdegnare un rapporto qualità-prezzo strabiliante.

Delizioso anche il Metodo Classico Extra Brut La Perla di Marco Triacca, interessante realtà della Valtellina capace di spaziare da un’austera Chiavennasca (Nebbiolo) a una bollicina fragrante, ottenuta dalla vinificazione per iperossidazione dell’autoctona Pignola valtellinese, vitigno a bacca rossa. Ventiquattro mesi sui lieviti. Risponde per l’Oltrepò l’ottima Cuvée Bussolera Extra Brut Pinot Nero 2013 Le Fracce (Mairano di Casteggio, Pv) nonché il 100% Pinot Nero Giorgi 1870, Gran Cuvèe storica Metodo Classico Docg provenienti dalle zone più vocate del vigneto, nei comuni di Montecalvo Versiggia, Santa Maria Della Versa e Rocca De’ Giorgi.

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Enoturismo

Tano passami… il vino: Simonato inaugura “La Cantina degli Chef” in Oltrepò

Un storia di vera amicizia, un progetto enogastronomico esclusivo, un luogo per sognare ad occhi aperti. Sono questi gli ingredienti che Roberto Lechiancole, patron di Prime Alture Wine Resort, e Tano Simonato, patron del ristorante stellato milanese Tano Passami l’Olio, hanno messo in tavola per inaugurare, domenica 18 settembre,  “La Cantina degli Chef”. “Quando Roberto mi ha chiesto se me la sentivo di aprire io questa iniziativa a casa sua, non ho esitato a dare subito la mia disponibilità – spiega Tano Simonato – per tre motivi molto semplici: conosco da tempo Roberto e come lavora con il suo unitissimo team, apprezzo i suoi vini che non mancano mai in carta da me al ristorante, lo stimo come uomo e come imprenditore. Domenica ci divertiremo, è sicuro”.

La Cantina degli Chef” è il nome di un progetto ambizioso ed elegante: un lungo ciclo di incontri, degustazioni ed eventi che avranno come ospiti chef di rilievo sul panorama nazionale ed internazionale, invitati a creare un menu in armonia con le referenze vinicole di Prime Alture (nella foto il patron e la famiglia).  E non a caso è stata scelta la Domenica a pranzo: lo scopo è aprire le porte del Wine Resort a tutti coloro desiderino rilassarsi in una location senza tempo, coccolandoli con prelibatezze frutto dell’eccellenza culinaria italiana, condividendo storie, aneddoti, segreti di cucina e di cantina, patrimonio della cultura italiana. Tano Simonato aprirà dunque domenica 18 settembre alle 13 “La Cantina degli Chef”, cucinando a quattro mani con Mariglent Plaku, chef del Resort, un menu inedito creato per l’occasione.

“Menu al Volo” di Tano Simonato

Aperitivo di benvenuto dello chef Mari

Spuma d’oca, il suo foie gras, mela confit e ribes,
abbinato al Metodo Classico ‘Io per Te’

Ravioli con formaggio di capra in ristretto d’anatra tiepido, la sua mousse e insalata di tuberi,
abbinato al ‘CentoperCento’ Pinot Noir

Piccione laccato nel suo fondo e Pinot Nero Prime Alture, uva e Prugna,
abbinato al Merlot ‘L’Altra Metà del Cuore’

Pre dessert mousse di yogurt, mirtilli e crumble alle mandorle

Semifreddo di fichi e meringa con croccante di zucchero sabbiato alla nocciola e limone
abbinato a… reminiscenze di Tano barman

Per info e prenotazioni:
tel. 0383 83214 – info@primealture.it

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Analisi e Tendenze Vino

Coldiretti Lombardia: “Il maltempo condiziona la vendemmia 2016”

Il maltempo ha lasciato il segno. Secondo le prime stime della Coldiretti regionale, in Lombardia la vendemmia sta partendo in ritardo di una settimana rispetto allo scorso anno e con un taglio medio di almeno il 10% delle rese a causa delle grandinate che nei mesi scorsi hanno devastato la regione, in particolare la Bergamasca. Intanto oggi sono stati staccati i primi grappoli nei filari dell’azienda Faccoli di Coccaglio (Bs), nella zona del Monte Orfano, in Franciacorta, che è tradizionalmente la prima a partire in tutta la Regione e a livello nazionale. A seguire toccherà all’Oltrepò Pavese, alla collina di San Colombano, al Mantovano, alle altre aree bresciane del Lugana e della Riviera del Garda, alla Bergamasca e alla Valtellina. Quest’anno – stima la Coldiretti regionale – la produzione lombarda di vino potrebbe scendere intorno al milione e 100 mila ettolitri contro il quasi milione e 300 mila del 2015. In alcune aree della Bergamasca i cali nei vigneti potrebbero superare il 30%, così anche nel Mantovano dove la raccolta inizierà con almeno una settimana di ritardo rispetto all’anno scorso. Una diminuzione delle rese si attende in Franciacorta, mentre l’Oltrepo Pavese dovrebbe confermare, più o meno, i livelli 2015. Stessa situazione per le colline di San Colombano. Anche la Valtellina andrà lunga con la vendemmia, prevista dopo la metà di ottobre, con quantità in linea con quelle dello scorso anno.

In Lombardia ci sono oltre 20mila ettari a vigneto dei quali 17.500 sono dedicati a produzioni di qualità Doc, Docg e Igt. Le province più “vinicole” sono Pavia e Brescia, che da sole rappresentano i due terzi delle superfici vitate in Lombardia e il 70% delle oltre tremila aziende lombarde. A seguire si trovano Mantova, Sondrio, Bergamo, Milano e Lodi (con le colline fra San Colombano e Graffignana), ma zone viticole con piccole produzioni si stanno sviluppando anche fra Como, Lecco e Varese. L’intera filiera, fra occupati diretti e indiretti, temporanei e fissi, offre lavoro – stima la Coldiretti regionale – a circa 30 mila persone in Lombardia e la produzione genera un export di circa 280 milioni di euro all’anno, diretto in particolare verso Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, Canada e Giappone. “Il vino – spiega Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia – è uno dei pilastri della dieta mediterranea e un suo consumo responsabile ed equilibrato è fonte di salute”. In Lombardia – spiega Coldiretti su dati Istat – quasi 5 milioni di persone consumano vino durante l’anno e il 19% ne beve uno o due bicchieri al giorno

“Il vino italiano – conclude Prandini – ha successo in Italia e all’estero non solo per la qualità, ma anche per il racconto del territorio che è legato a ogni bottiglia che viene stappata. Dalle colline della Franciacorta a quelle del Chianti, dalle Langhe ai vigneti siciliani e pugliesi, dalla Valpolicella alle terre del Lambrusco, tra i filari si racconta un pezzo importante della storia d’Italia oltre a sviluppare un importante volano per la nostra economia e l’occupazione”. Con l’inizio della vendemmia in Italia si attiva un sistema che, solo con la vendita del vino, genera quasi 10 miliardi di fatturato e offre opportunità di lavoro a 1,3 milioni di persone. Nel primo quadrimestre del 2016 le esportazioni di vino Made in Italy sono ulteriormente aumentate del 2% in valore rispetto al record storico fatto segnare lo scorso anno, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, con il risultato che oltre la metà del fatturato realizzato dal vino quest’anno sarà ottenuto dalle vendite sul mercato estero.

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Calici di Stelle in Oltrepò Pavese: appuntamento a Santa Giuletta

L’Oltrepò Pavese e le Stelle. Del vino. Appuntamento imperdibile domenica 7 agosto per i winelovers lombardi a Santa Giuletta, in provincia di Pavia. Dalle ore 18, Tenuta La Tessèra (Casa Rossa, frazione Castello) ospiterà Calici di Stelle, manifestazione organizzata in ogni angolo del Belpaese da Città del vino e dal Movimento Turismo del Vino. Numerose le aziende agricole del territorio pavese che aderiscono all’iniziativa: dalla Cignoli Carlo a La Costanza, da La Travaglina a Lozza Roberto, senza dimenticare Montini, Sangiorgio, Terre Bentivoglio e Borgo Santuletta. Il programma prevede la degustazione guidata dei vini a cura del sommelier Luca Bergamin, che saprà certamente consigliare il vino migliore da gustare con le prelibatezze gastronomiche del territorio. I partecipanti saranno invitati a scattare fotografie dei loro momenti di convivialità per “La Stella di Federica”, concorso organizzato annualmente dall’associazione nazionale dei Comuni vitivinicoli d’Italia, Città del Vino. Per partecipare sarà sufficiente inviare gli scatti all’indirizzo email piscolla@cittadelvino.com. Le tre migliori foto saranno appunto premiate con tanto buon vino. Calici in mano e occhi puntati al cielo, per ammirare le stelle. Un appuntamento fortemente voluto dal sindaco di Santa Giuletta, Simona Dacarro, che ha potuto contare sulla locale Pro Loco Santa Julita, cui sarà affidata la ristorazione. Per maggiori info: Sergio (334.59.87.952) e Francesca (338.38.78.617).

Il sommelier Luca Bergamin
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Scandalo La Versa, Rossetti: “Lanzanova allontanato dal Consorzio e accolto da altri come eroe”

Il presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, Michele Rossetti, commenta così la notizia dell’arresto dell’amministratore delegato di La Versa, Abele Lanzanova. “È un giorno di dolore profondo per l’intero Oltrepò Pavese, un territorio fatto da 1700 aziende vitivinicole di qualità che non vanno buttate tutte in un calderone. Si è decretato nel modo più doloroso – spiega Rossetti – il fallimento di un marchio storico, dopo mesi di speranza creata da un uomo che non era il redivivo Duca Denari che prometteva di essere. Sarà la magistratura ad appurare la sua condotta ma i segnali c’erano e, non a caso, una volta che l’abbiamo misurato, Lanzanova ha ritenuto di uscire dal Consorzio dando grande enfasi al fatto sui giornali. In un territorio normale sarebbe stato isolato da tutti, invece lo hanno accolto altri come un eroe”.

“SERVE UN TAVOLO TERRITORIALE DI CONFRONTO”
Rossetti ricorda che il Consorzio ha fatto tutto ciò che era nelle condizioni di fare per non ostacolare la ripresa di La Versa: “Siamo stati strumentalmente attaccati a mezzo stampa varie volte da Lanzanova, che sembrava diventato l’opinionista fisso di molti giornali, ma abbiamo saputo distinguere. Il Consorzio non ha infatti avviato il decreto ingiuntivo che era nelle condizioni di far scattare per non infliggere il colpo fatale ai soci di La Versa, rimasti ancora una volta vittime delle tante promesse non rispettate e di reati su cui faranno piena luce le autorità preposte”. Sul futuro possibile Rossetti precisa che non è suo compito gestire le aziende degli altri però un suggerimento lo dà: “Ogni volta che si cade è data l’opportunità di rialzarsi più forti, magari imparando a diffidare dai falsi miti e a giocare piuttosto sull’unità d’intenti. Se c’è ciò che divide c’è sempre anche qualcosa che unisce. Il post fallimento La Versa – spiega il presidente del Consorzio – può rappresentare un’occasione per la ripartenza dell’intero territorio e della cooperazione, che certo si gioverebbe di un marchio storico e identitario per portare con fierezza le sue bottiglie di qualità in Italia e nel mondo. Servirebbe un tavolo di confronto territoriale, con il traguardo di un piano d’impresa che anziché basarsi su leadership personali affondi le radici in un lavoro tra professionalità e squadra”.

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Pavia, Cantina La Versa: vino, fatture false e droga. Il declino della famiglia Lanzanova

Avrebbe messo in piedi “un articolato meccanismo di frode e autoriciclaggio basato su fatture relative a operazioni inesistenti”. Con questa accusa è stato arrestato Abele Lanzanova, amministratore delegato de La Versa Spa, cantina attiva a Santa Maria della Versa (Pavia) dal 1905.

Le manette sono scattate giovedì 21. E venerdì anche la figlia dell’ad Lanzanova, Elena, è stata arrestata dalla Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Pavia. Nella sua abitazione sono stati rinvenuti 7 chilogrammi di marijuana. Le Fiamme Gialle proseguono l’indagine in Lombardia e, nelle ultime ore, anche in Emilia Romagna.

I militari stavano ricercando possibili legami tra Elena Lanzanova con le attività illecite del padre, quando hanno scoperto la droga a Urago D’Oglio, in provincia di Brescia, dove abita la donna. La Procura di Brescia ha convalidato l’arresto e fissato il processo per il prossimo 28 settembre. Gravi le accuse mosse ai due famigliari.

Abele Lanzanova, secondo quanto riportano le forze dell’ordine, “si sarebbe appropriato di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. Il colonnello Cesare Marangoni e i militari del comando provinciale della Guardia di Finanza di Pavia, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Abele Lanzanova.

Quattro le persone indagate, oltre all’amministratore delegato. Due le richieste di fallimento presentate dalla Cantina La Versa Spa di via Crispi 15, Santa Maria della Versa, dinnanzi alla Procura della Repubblica di Pavia su istanza di due gruppi di soci e fornitori. Abele Lanzanova, in particolare, avrebbe riciclato denaro per alzare il capitale della Cantina, trasferendolo sui conti correnti de La Versa Financial International Spa.

“Abbiamo cominciato un percorso di rinnovo e di rilancio del marchio e dell’azienda La Versa – si può leggere anacronisticamente sul sito web della Cantina di Santa Maria della Versa -. Presto potrete fruire di tutto il mondo La Versa, vi ringraziamo per la pazienza e per il sostegno”.

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Pavia Wine, un sabato di vino per l’Oltrepo Pavese

Pavia Wine, l’evento organizzato da Comune di Pavia, Provincia di Pavia, Distretto Urbano del Commercio del Comune di Pavia, Consorzio Tutela Vini Oltrepo Pavese, Distretto del Vino di Qualità e il Paniere Pavese per promuovere le tipicità enogastronomiche del territorio della provincia di Pavia. Una giornata di degustazioni ed eventi sabato 18 giugno, a partire dalle 16.30, tra Corso Garibaldi e Ponte Coperto.

PONTE COPERTO
Degustazioni non stop dei vini dell’Oltrepo pavese durante tutta la manifestazione.
16.30 Apertura ufficiale della manifestazione, con accompagnamento di un quartetto di sassofonisti dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Franco Vittadini”
18.00 Il Pinot Nero e le sue sfumature: degustazione guidata a cura di Roberto Pace, delegato FISAR
19.00 Il vino incontra la buona cucina: Elisabetta Balduzzi e Guido Conti presentano il “Ricettario tradizionale della Lomellina e del Pavese”
20.00 Il Pinot Nero e le sue sfumature: degustazione guidata a cura di Roberto Pace, delegato FISAR
20.30 Degustazione risotto con pasta di Salame di Varzi e Bonarda e prodotti tipici del Paniere Pavese
21.30 Degustazione risotto con pasta di Salame d’Oca di Mortara e Zucca Bertagnina di Dorno e prodotti tipici del Paniere Pavese
22.30 Degustazione risotto con Cipolle Rosse di Breme e Metodo classico e prodotti tipici del Paniere Pavese

CORSO GARIBALDI
Apertura serale dei negozi in Corso Garibaldi
17.30 Attività di live painting a tema, in Piazzetta Azzani, nell’ambito della manifestazione “Pavia Street Art”
19.30 Musica Live al Bliss Pavia
19.30 Musica Live al Bar Italia

E questo non potrebbe che essere l’antipasto. Giovedì 23 giugno, infatti, l’Enoteca Regionale della Lombardia  di Cassino Po celebra il Metodo Classico dell’Oltrepò Pavese, “magia del Pinot nero”, in abbinamento a caviale e storione prodotto dall’azienda agricola Pisani Dossi di Cisliano (MI).

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Enoturismo

All’ex convento dell’Annunciata gli “chef del futuro”. Parola di Carlo Cracco

Hanno dai sedici ai 18 anni i giovani studenti degli Istituti Alberghieri della Lombardia selezionati da Carlo Cracco, presidente dell’Associazione Maestro Martino promotrice del progetto Ambasciata del Gusto – Annunciata Milano, sviluppato in collaborazione col Comune di Abbiategrasso e  il Parco del Ticino, con il patrocinio  del Ministero degli Affari Esteri, Regione Lombardia, Milano Città Metropolitana e Camera di Commercio di Milano.

Il progetto trova piena ispirazione nel Food Act 2016 firmato a marzo dai migliori chef italiani e dal Governo per attuare un piano di azione per valorizzare la cucina italiana e le sue eccellenze enogastronomiche nel mondo.

L’obiettivo è quello di formare cuochi con una spiccata conoscenza del territorio del Parco del Ticino e della filiera agricola lombarda attraverso un modello didattico che coniuga una parte teorica a diverse ore di laboratorio e di esperienze pratiche di cucina realizzate sotto la pressione di eventi gastronomici che vengono organizzati nell’ex Convento dell’Annunciata di Abbiategrasso, sede dell’evento.

Ambasciata del Gusto – Annunciata Milano rappresenta per il territorio un vero  e proprio progetto pilota finalizzato a comprenderne la valenza in termini didattici, promozionali e di valorizzazione del territorio, sia a livello culturale che economico. Il progetto didattico è completamente gratuito per gli studenti: dodici diplomandi di cucina degli istituti alberghieri lombardi oltre ad uno studente dell’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo con un obiettivo formativo di tipo gestionale.

IL CALENDARIO
In aggiunta all’attività didattica, tra maggio e ottobre 2016, saranno organizzate delle iniziative domenicali, aperte al pubblico (dei veri e propri test per produzione di grandi quantità di piatti) nelle quali i protagonisti saranno i giovani cuochi insieme a docenti, agricoltori e agli Chef Ambassador dell’Associazione Maestro Martino.

Dieci domeniche dedicate alla scoperta del territorio del Parco del Ticino grazie anche alla possibilità di utilizzare gratuitamente (su prenotazione e fino a esaurimento) le belle biciclette del marchio storico milanese Doniselli, partner del progetto, disponibili presso l’Ambasciata del Gusto per coloro che volessero acquistare il cesto da pic nic con le offerte gourmet della settimana (il tutto a sole 15,00 Euro).

Ad arricchire l’offerta dedicata al pubblico, lezioni di cucina, degustazioni e show cooking. I giovani studenti sono stati selezionati tra circa duecento candidati, indicati dai presidi degli istituti e scelti dall’associazione.

Si tratta di ragazzi che si sono distinti all’interno della loro scuola per impegno e serietà e provengono dai seguenti istituti: Mantegna di Brescia, Cossa di Pavia, Ballerini di Seregno, Falcone di Gallarate, Vespucci di Milano, San Pellegrino di Bergamo e Pollini di Mortara.

Il percorso formativo è partito il 14 maggio con il supporto di Toni Sarcina, famoso gastronomo italiano, la chef Lucia Tellone, e gli esperti del Parco del Ticino e i produttori a Marchio Parco del Ticino. Domenica 15 maggio ha rappresentato quindi il primo appuntamento aperto al pubblico con quasi trecento cestini da pic nic distribuiti sia per il pranzo sull’erba del magnifico chiostro del 1500 dell’ex Convento dell’Annunciata sia da asporto.

Le venti bici Doniselli sono state tutte utilizzate durante l’intera giornata per escursioni nelle zone limitrofe. Tutto esaurito invece per le lezioni della scuola di cucina aperta al pubblico. I prossimi appuntamenti estivi vedono come protagonisti il 4 e 5 giugno Daniel Canzian e la cucina a vapore, l’11 e il 12 giugno Dario Guidi e la sua cucina creativa e il 25 e 26 giugno Sabrina Tuzi e i segreti di un fritto perfetto. A settembre si ripartirà con Andrea Provenzani, Lorenzo Lavezzari, Sara Preceruti, Antonio Colombo, Fabiana Scarica e Matteo Monfrinotti.

L’EX CONVENTO DELL’ANNUNCIATA
La location del progetto è l’ex Convento dell’Annunciata di Abbiategrasso, un complesso voluto da Galeazzo Sforza nel 1472. I lavori di ristrutturazione hanno riportato alla luce importanti affreschi rinascimentali. Proprio nella chiesa è ricomparso un intero ciclo di affreschi di Scuola Leonardesca.

La struttura dell’Ambasciata del Gusto – Annunciata Milano è stata attrezzata con le migliori tecnologie e attrezzature italiane: i Cooking Chef by Kenwood, i forni professionali di Unox e la linea abbattitori e conservatori di Irinox. Abbiategrasso s’inserisce nel Parco del Ticino, il più antico Parco Regionale Italiano e confina con il Parco Agricolo Sud di Milano; territorio ricco di storia, tradizioni e di vie d’acqua, tra tutte l’Alzaia Naviglio Grande, il luogo ideale per trascorrere una domenica all’insegna del gusto e della natura.

La partecipazione agli showcooking è libera e gratuita. Le cooking class (lezioni di cucina) sono su prenotazione e a pagamento al costo di euro 15 comprensivo di degustazione. Infoline: 340 8377991 – email eventi@freedot.it. Per prenotare visite guidate all’ex Convento dell’Annunciata contattare la Pro Loco Abbiategrasso, all’indirizzo email info@prolocoabbiategrasso.it o al numero 348.74.25.163.

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”Non accettiamo lezioni da chi rappresenta solo se stesso” la sferzata di Prandini sulla vicenda Terre d’Oltrepò

Non va giù a Coldiretti l’accusa di aver frenato il cambiamento all’interno della cantina ”Terre d’Oltrepò” nota per le frodi che hanno gettato un’onta di sospetto su tutto l’Oltrepò Pavese. ”Non accettiamo lezioni da chi rappresenta solo se stesso”, parole del presidente regionale di Coldiretti, Ettore Prandini.

”Come Coldiretti siamo pronti a chiedere alla Regione una verifica dei requisiti per il riconoscimento all’attività di alcune organizzazioni agricole, che negli ultimi anni hanno perso molti associati rischiando così di non avere più i titoli per la rappresentanza – attacca Prandini -. Fa sorridere che chi non si è mai preoccupato delle sorti della cooperativa pavese, venga ora a pontificare soluzioni definitive senza essersi mai speso in prima persona per il bene del territorio, dei produttori agricoli onesti e delle loro famiglie.

Come Coldiretti abbiamo sempre chiesto chiarezza e trasparenza, denunciando anche in passato manovre opache e comportamenti ambigui mentre altri stavano in silenzio”. Prandini è contrario al commissariamento della cantina, il danno economico arrecato alle famiglie degli 800 soci sarebbe disastroso. ”Da quando siamo stati chiamati a entrare nel Cda insieme a Confcooperative, stiamo lavorando ogni giorno per garantire il corretto funzionamento della cantina avendo assicurato il ritiro e il pagamento delle uve, in attesa del cambio dei vertici che abbiamo fortemente voluto fin dall’inizio della vicenda”. Le nuove elezioni del Cda si terranno a fine giugno, prima data utile prevista dalla normativa di legge con l’augurio, da parte di Prandini che da lì si possa partire per ridare la giusta valorizzazione all’Oltrepò.

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Oltrepò Pavese protagonista al GoWine italian tour

Nuovi scenari di mercato per vini e spumanti dell’Oltrepò Pavese, ma anche per la prima zona vitivinicola di Lombardia che rivendica “il proprio valore aggiunto, con 13500 ettari a vigneto e una produzione che rappresenta il 60% dell’intera regione”. Il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese lancia “GoWine Italian Tour”, per portare all’attenzione di professionisti, esercenti e appassionati al mondo del vino delle grandi città italiane le migliori etichette del territorio pavese. Si partirà da Genova, Milano,
Torino e Roma. Il primo evento della serie si svolgerà mercoledì 24 febbraio allo StarHotel President del capoluogo ligure. Sarà prevista un’apertura dei banchi d’assaggio ad accesso riservato agli operatori di settore, dopodiché le porte si apriranno a stampa e appassionati della rete GoWine.

“Certi del fatto che alla nostra zona vitivinicola occorra rafforzare la rete vendita e la qualità percepita dei suoi vini e spumanti – spiega Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio Tutela vini Oltrepò pavese – abbiamo deciso di promuovere una serie di degustazioni soprattutto orientate al mondo del business”. In virtù di questa intesa, nel corso del 2016, il Consorzio darà alle aziende l’opportunità di essere protagoniste con i rispettivi marchi aziendali e le loro etichette in contesti importanti.

IL PROGRAMMA
“Gli appuntamenti – spiega Bottiroli – saranno promossi e divulgati capillarmente per favorire un miglior posizionamento delle referenze Oltrepò Pavese nel canale hotel, ristoranti e catering, oltre che sugli scaffali delle principali enoteche. Inoltre l’obiettivo è quello di raccontare a professionisti, ‘winelovers’ e agli opinion leader italiani un territorio, la sua identità e la sua storia”. Il partner sarà l’associazione Go Wine, nata nel 2001 da un’idea semplice, che prende ispirazione da come è cambiata, e velocemente, l’immagine del vino. Vino non solo inteso come prodotto di qualità ed espressione della cultura agroalimentare di un Paese, ma come prodotto che “mobilita e che fa viaggiare”.

Go Wine guarda “al consumatore di qualità che ama viaggiare per il vino, per conoscere i luoghi della produzione e si propone di costruire un progetto che gradualmente possa coinvolgerlo e stimolarlo”. “Il socio Go Wine – precisa Bottiroli – è sempre un professionista o un appassionato altamente preparato che promuove e pratica il turismo del vino ed è consapevole del particolare rapporto che lega ogni vino al suo territorio, con quei caratteri di tipicità ed unicità che sono alla base delle motivazioni del turismo del vino”.

LA RIBALTA NAZIONALE
Un Oltrepò che guarda dunque al futuro, cercando di levarsi di dosso l’etichetta di zona di produzione di vini di largo consumo. Un cammino lungo, che a Roma ha affondato nei giorni scorsi radici ben solide: il premio per il Miglior Spumante Metodo Charmat d’Italia nella guida “I Migliori vini italiani 2016” del noto critico, sommelier e giornalista Luca Maroni se l’è aggiudicato di fatto il Pinot Nero Spumante Extra Dry dell’azienda Vanzini di San Damiano al Colle. L’ennesima conferma del buon operato di un’azienda che opera dal 1890 nel territorio dell’Oltrepò Pavese, che per l’ottavo anno consecutivo si aggiudica il prestigioso riconoscimento.

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Vino, all’Oltrepò Pavese l’oscar della contraffazione

La Guardia Forestale ha stilato il bilancio delle sofisticazioni alimentari del 2015 recentemente concluso. In tema di vino, “l’oscar della contraffazione”, se così si può chiamare, è andato all’Oltrepò Pavese. E’ stato ricordato infatti il maxi sequestro avvenuto nel marzo del 2015 di ciirca 60.000 litri di Pinot “taroccato” prodotto nelle cantine sociali di Broni Stradella e gestito dalla società Terre d’Oltrepò.

Lo scandalo aveva colpito circa 60 produttori: i vini erano annacquati, addizionati di zucchero di canna, frutto di vendemmie diverse da quelle dichiarate e soprattutto prodotti con uve acquistate in provincia di Brindisi e di Oristano e non con uve di vitigni pregiati del territorio come dichiarato. La truffa era destinata in parte ad una catena di supermercati danesi, una parte invece di vino rosso da tavola era finito in Veneto venduto come vino di qualità senza averne i titoli di legge.

Nessuna conseguenza per la salute, ma una frode stimata in circa 20 milioni di euro le cui indagini erano partite addirittura nel 2014. L’augurio è che il Consorzio di Tutela dei Vini dell’Oltrepò, recentemente riunito per lanciare iniziative di promozione territoriale monitori queste situazioni nell’interesse dei consumatori, ma anche di tutti gli onesti produttori sulla quale ricade di riflesso l’onta di queste contraffazioni.

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Vini al supermercato

Rosso di Valbissera San Colombano Doc 2013, Poderi di San Pietro Neuroni Agrari

(3,5 / 5) Anche Milano ha la sua Denominazione di origine controllata. La Doc meneghina è quella che risponde al nome di San Colombano al Lambro, piccolo Comune alle porte del capoluogo lombardo, a cavallo tra le province di Lodi e Pavia. Proprio qui viene prodotto il Rosso di Valbissera San Colombano Doc 2013 Poderi di San Pietro della Neuroni Agrari Società Agricola Srl. Un vino ottenuto dal blend tra Croatina (45%), Barbera (45%) e Uva Rara (10%), che nel calice si presenta di un rosso rubino intenso, con riflessi violaceo. Il profumo è prettamente fruttato.

Frutti rossi, in particolare maturi: lampone, ribes. Sullo sfondo una vena speziata di liquirizia. In bocca, Rosso di Valbissera San Colombano Doc Poderi di San Pietro presenta una buona struttura generale, di corpo. Alcolicità calda, piacevole avvolgenza. Più fresco che sapido, per un residuo zuccherino che torna a farsi sentire nella parte finale della beva, iniziata con toni decisamente più caldi, vicini alla spaziatura. Il tannino è giunto a una maturazione ottimale e l’equilibrio generale, seppur vagamente ‘infastidito’ da una leggera predominanza della Croatina sul Barbera, è sufficiente. È da evidenziare che annate precedenti, come per esempio la 2011, non presentassero questa caratteristica all’esame gustativo.

L’intensità retro olfattiva è normale, mediamente fine la qualità. La persistenza sufficiente, per una bottiglia che definiremmo matura, pronta quindi per essere servita al meglio in abbinamento a salumi, carni e formaggi stagionati. La tecnica di vinificazione del Rosso di Valbissera San Colombano Doc Poderi di San Pietro prevede, dopo la raccolta manuale delle uve tra la terza settimana di settembre e la prima settimana di ottobre mediante l’ausilio di carri frigoriferi, una fermentazione in vasche in acciaio inox con meccanismo di rimontaggio automatizzato, controllo della temperatura e scarico delle vinacce. La fermentazione alcolica avviene sempre in inox, mentre la malolattica viene svolta in barrique, dove il vino matura poi per altri 18 mesi. La Neuroni Agrari Srl è un’azienda agricola nata nel 1998, che può contare oggi su una superficie vitata di 65 ettari e una cantina di 4 mila metri quadrati dotata tra l’altro di pannelli solari.

Prezzo pieno: 6,49 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Vini al supermercato

Pinot Nero Oltrepò Pavese Doc, Tenute Achilli

(3 / 5) Perché i vini dell’Oltrepò Pavese non compaiono mai sulle carte dei vini dei ristoranti stellati? Pagano forse lo scotto di una brutta nomea? Cerchiamo di capirci di più. Ci riproviamo con l’ennesima recensione di un vino proveniente dalla Doc in questione. In particolare con il Pinot Nero Doc frizzante vinificato in bianco dalle Tenute Achilli Società Agricola di Santa Maria della Versa, in provincia di Pavia. Acquistato, per la verità, a un prezzo “stracciato”.

Diciamocelo tra i denti: quando si apre una bottiglia il cui prezzo è al di sotto dei tre euro non si possono avere grandi aspettative. Ma siamo qui anche per sfatare ogni tabù, nella speranza di scovare prodotti interessanti a buon prezzo. E il Pinot Nero Doc frizzante vinificato in bianco delle Tenute Achilli ci è riuscito. Vediamo perché. Lo versiamo nel calice e il colore scatena discussioni. Il Pinot nero vinificato in bianco generalmente ha un colore giallo paglierino scarico con riflessi verdolini.

Quello delle Tenute Achilli ha una vena tendente al rosa tenue. Forse un prolungato contatto del mosto con le bucce? L’azienda, peraltro, produce anche un Pinot Nero Doc vinificato in rosa. Il perlage però ci convince: mediamente fine e molto persistente. All’olfatto si presenta con note fruttate di mela e pera, ma anche delicatamente floreale. Vino secco, sapido e fresco, assolutamente equilibrato. Il finale è lungo e invitante. Insomma, colore a parte (elemento che molti consumatori ordinari non avrebbero considerato) questo Pinot nero vinificato in bianco si dimostra vino abbinabile a tutto pasto, ma in particolare consigliato con risotti, carni bianche e pesce.

Le Tenute Achilli di Santa Maria della Versa nascono addirittura prima dell’unità d’Italia, nel lontano 1847. Producono una vasta gamma di vini e distillati da vigneti che, in questa fetta di provincia di Pavia, godono di un’ottima esposizione solare, atta alle produzioni del vasto disciplinare dell’Oltrepò. Onestamente, chiarirsi le idee sui vini dell’Oltrepò è operazione complessa. Resta aperta, in questo caso, la domanda sul colore. Ed è difficile constatare l’effettivo valore di un prodotto come il Pinot Nero pavese in vendita al supermercato, dal momento che bottiglie più costose e già recensite non offrono poi così tante emozioni in più rispetto a questa, che rasenta il primo prezzo. Per il Pinot Nero vinificato in bianco delle Tenute Achilli, basta pensare al prezzo risicato – 2,79 euro – per buttarne giù un altro sorso senza pretendere orgasmi enologici. La stessa “modalità”, insomma, con la quale abbiamo degustato (e giudicato) altri vini in vendita al supermercato. Del resto, non serve molto più di un semplice “pinottino” per brindare al bar con gli amici. Cin cin.

Prezzo pieno: 2,79 euro
Acquistato presso: Supermercati SuperDì

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Cantine degustati da noi vini#02

Oltrepò Pavese, viaggio nel tempio del Bonarda fermo dell’Azienda Agricola Vitivinicola Bagnoli

La signora Luisa esce di casa con un golfino di lana sulle spalle. “Comincia a far davvero freddo”, constata facendosi ancora più piccola, nello stringersi il collo fin dentro le clavicole. In effetti, quella di sabato notte, 21 novembre, è stata la prima timida nevicata sulle colline dell’Oltrepò Pavese. Una spruzzata che domenica pomeriggio imbianca ancora, qua e là, il circondario di San Damiano Al Colle. Regalando a questo paesino di 800 anime della provincia di Pavia posato delicatamente su una collina al confine con Piacenza, un’atmosfera ancora più magica. Col Sole negli occhi, la signora Luisa guarda a destra e a sinistra. Attraversa la strada. E citofona al figlio: “Ti cercano, scendi”. Luigi arriva dopo cinque minuti. Breve scambio di saluti e decidiamo di darci subito del tu, mentre entriamo nella cantina dell’Azienda Agricola Vitivinicola Bagnoli. Di cartelli che indicano l’attività di via Cascina Nuova 7, non ce ne sono sul tragitto. “E’ una nostra scelta – precisa Luigi Bagnoli – dal momento che non vogliamo che entri chiunque, specialmente durante l’estate, quando questa strada è molto battuta dai ciclisti. Chi viene qua, è perché già conosce i nostri vini”. Centro. Avete mai provato un Bonarda senza ‘spuma’, fermo? Un Bonarda da 14 gradi che, dell’originale, conserva la facilità di beva e la piacevolezza degli aromi, ma con tannini ben più evidenti e sentori che richiamano grandi vini passati in barrique? Ebbene, vinialsupermercato.it si trova all’Azienda Agricola Vitivinicola Bagnoli per questo.

BONARDA FERMO IL GIUBELLINO
Si chiama Giubellino ed è il Bonarda fermo da 14 gradi degustato quasi per caso a Mortara (PV), in occasione di un pranzo all’Agriturismo “La Gambarina” di Gianluca Gallina. Uno dei vini “top” della Bagnoli, che serve “per scelta solo l’alta ristorazione e i negozi di gastronomia di alto livello”. Giubellino, di fatto, è molto più di un Bonarda. “E’ il nome di una vigna particolarissima – spiega Luigi Bagnoli – che abbiamo acquistato e vitato negli anni Ottanta. A differenza dei due appezzamenti che la circondano, questa era in precedenza occupata solamente da alberi di ciliegio. Li abbiamo estirpati, lasciando nel terreno migliaia e migliaia di radici, che ancora oggi condizionano in modo unico i profumi elaborati dalla pianta di vite. Per questo Il Giubellino è un Bonarda irripetibile, sotto tutti i punti di vista, con un terreno che imprime un’impronta unica e inconfondibile in ogni annata prodotta”. La raccolta delle uve della vigna Giubellino è lasciata per ultima all’interno dei 21 ettari totali della Bagnoli, situati a un’altitudine che varia tra i 210 e i 260 metri slm. Viene spinta così al limite la maturazione sulla pianta, per consentire la successiva estrazione in cantina di aromi fruttati e, assieme, di un’eleganza impareggiabile, anche grazie a una lenta macerazione delle bucce a temperatura controllata e soprattutto a diversi délestage, al raggiungimento dei due terzi della fermentazione. Nel calice, questo Bonarda (annata 2012) scorre denso e regala note di frutti di bosco in un sottofondo di vaniglia e cannella. In bocca è corposo, grasso, di frutta di bosco che sembra d’assaporare in macedonia più che bere. In un concerto tannico evidente ma che si equilibra alla perfezione con l’armonia delle note speziate, di vaniglia e mentuccia. E’ l’accompagnamento perfetto per i piatti dicarne della tradizione Pavese, come i bolliti, ma anche per brasati, selvaggina, formaggi stagionati e carne rossa in generale. Ma se Giubellino è il re dei vini rossi dell’Azienda Agricola Vitivinicola Bagnoli, Luna Blu è certamente la sua regina bianca.

LUNA BLU
Si tratta di un Riesling Igt, che non sembra Riesling. Non scherziamo: in bocca e al naso ricorda più uno Chardonnay, o un Sauvignon. “La prima vendemmia di Luna Blu – dichiara fiero Luigi – è avvenuta nel 2003. Ogni anno, da allora, ci sorprendiamo per il risultato eccezionale che riusciamo a ottenere”. Il terreno vitato da cui nasce Luna Blu, guarda caso, è un’altra scommessa vinta da Luigi e da suo fratello Fausto con Madre Natura. Si tratta di una vigna in precedenza vitata a Barbera. “Una Barbera che dava risultati ormai abominevoli – spiega Luigi – che quindi abbiamo deciso di estirpare, piantando Riesling. Nel 2003 Luna Blu vantava 13,5 gradi. La produzione 2014 si è assestata sui 12”. E Luna Blu finisce spesso sold-out. La vinificazione avviene in bianco, con macerazione iniziale per alcune ore delle uve ancora integre, in ambiente inerte (azoto), in pressa a membrana. Il mosto ottenuto, dopo essere stato defecato e illimpidito tramite abbattimento termico, inizia a fermentare in autoclave. “Io utilizzo una tecnica poco usata in Italia – spiega Luigi Bagnoli – perché rischiosa. È quella della fermentazione a temperatura e pressione controllata. Questo consente di evitare la dispersione degli aromi primari e mi permette di arrivare a vino finito con un’intensità aromatica notevole. Poi si procede con i normali travasi, sempre in ambiente inertizzato per poi arrivare alla fase dell’imbottigliamento”. Un procedimento che permette di assaporare in questo Riesling aromi freschissimi anche a distanza di oltre un anno dall’imbottigliamento, come nell’annata 2013 da noi degustata. Dunque, re rosso e regina bianca. Non manca nulla alla Bagnoli. Neppure una storia da raccontare.

DAL VINO SFUSO AL CONSUMO D’ELITE
Fino alla fine degli anni Ottanta questo piccolo gioiello incastonato nell’Oltrepò Pavese soddisfaceva appena il sostentamento di Ugo Bagnoli, della moglie Luisa e dei due figli Luigi e Fausto. E se oggi il giro d’affari si assesta su cifre considerevoli (250 mila bottiglie l’anno), lo si deve alla disubbidienza ostinata dei due figli d’arte agli inviti di papà Ugo e mamma Luisa. “I nostri genitori – ammette Luigi Bagnoli – sognavano un futuro a Milano per noi. Volevano che ci laureassimo e che abbandonassimo questo duro lavoro, anche se sono sicuro che oggi, in cuor loro, sono contenti di quello che abbiamo costruito”. Luigi, 47 anni, ragioniere diplomato, e il fratello Fausto, 53 anni, laureato in Economia e Commercio, sul finire degli anni Ottanta si guardano in faccia e capiscono di avere “molto potenziale tra le mani, senza sapere bene come gestirlo”. Innanzitutto viene eliminata la stalla e raddoppiata la superficie vitata, grazie all’acquisizione di terreni e soprattutto alla riconversione in vite di alcuni appezzamenti già di proprietà. “Fiore all’occhiello – evidenzia Luigi Bagnoli – era e rimarrà sempre la vigna del Sabbione”. Un terreno a forma di cupola che sovrasta la cantina, oggi sviluppata su una superficie di 1200 metri quadrati, che può vantare grazie alla sua forma semisferica un’ottima esposizione solare, la massima ventilazione anche nei periodi inverali (non a caso “qui la neve si scioglie una settimana prima che nel resto dei terreni circostanti”) e una composizione chimica fortemente argillosa, perfetta per la coltivazione della vite e in particolare per l’ottenimento di un altro prodotto di punta della Bagnoli, il Barbera Il Sabbione Igt, anch’esso fermo come il Bonarda Il Giubellino.

“Oltre alla consapevolezza di avere terreni straordinari – commenta Luigi Bagnoli – io e mio fratello ci siamo resi conto sin da subito che per distinguerci nel panorama vitivinicolo dell’Oltrepò avevamo bisogno di introdurre innovazioni tecnologiche in cantina”. L’ossessione dei Bagnoli, come quella di tanti altri viticoltori, diventa ben presto quella dell’ossidazione. “A partire dalla fine degli anni Ottanta – spiega Luigi Bagnoli – abbiamo investito cifre considerevoli in macchinari di appurata qualità mondiale,  che ci hanno consentito di fare uno straordinario salto dalla vendita di vino sfuso praticata dai nostri genitori alla commercializzazione di vino esclusivamente mediante canali professionali di alto livello. Un salto necessario per contrastare la concorrenza spesso sleale di molti competitor, creandoci una platea di clienti di prim’ordine che non chiedono vino da bere, bensì vino di qualità, prodotto peraltro senza diserbanti in vigna”. Una scelta abbracciata in piena coscienza, che ha portato Luigi e il fratello Fausto a declinare addirittura l’invito di entrare nel mondo della grande distribuzione organizzata, avanzato da un noto colosso di supermercati italiani. Oggi l’azienda Agricola Vitivinicola Bagnoli può contare in cantina su un 70 per cento di macchinari per la vinificazione prodotti in Germania. “Perché i tedeschi sappiamo tutti come sono”, sorride Luigi, “precisi e maniacali come posso apparire anch’io”.

E il macchinario per la pressatura delle uve dotato di puntamento laser di cui dispone la Bagnoli, sembra uscito da un film di fantascienza. Così come è avveniristico il sistema di pompaggio utilizzato per i travasi, sempre tedesco, utilizzato esclusivamente nel settore farmaceutico e chimico. “Viene solitamente utilizzata per il passaggio di sostanze altamente infiammabili – spiega Luigi Bagnoli-. Questa pompa, che assicura dunque la massima delicatezza nel passaggio del mosto durante i travasi, senza alterare minimamente la temperatura, è molto più delicata di quelle utilizzate convenzionalmente nell’industria vinicola e dimostra la nostra particolare attenzione nei confronti della qualità del prodotto finale“. Un prodotto, l’uva, che alla Bagnoli viene accarezzato e coccolato, più che lavorato, sino all’imbottigliamento e al consumo finale. Ed è grazie a questi investimenti che Luigi e il fratello Fausto riescono a portare avanti la cantina, avvalendosi della sola collaborazione di altri tre dipendenti, che si dedicano esclusivamente alle vigne. “Durante la fase di vendemmia – dichiara Luigi – saliamo a circa venti persone, cui chiedo la massima collaborazione ed elasticità, perché da noi non si lavora come dagli altri. Qui si raccoglie manualmente solo al giusto grado di maturazione delle uve, a scalare tra le vigne. Quest’anno, per esempio, quando attorno a me gli altri viticoltori avevano finito di raccogliere, io iniziavo. Ho rischiato molto, ma è obbligatorio rischiare quando il tuo pallino è solo ed esclusivamente il prodotto finale”. La vendemmia 2015, terminata il 13 ottobre, segnerà peraltro l’avvento di un nuovo prodotto.

LE BOLLICINE BAGNOLI
“Si tratta di uno spumante Brut da uve Pinot nero – annuncia Luigi – il cui tratto distintivo sarà l’utilizzo di uve eccezionali, che noi abbiamo deciso di raccogliere piuttosto mature rispetto ai canoni di produzione dello spumante, che richiedendo buona acidità e dunque uve non mature. Per questo spesso si assiste alla smodata introduzione di dosi di solfiti, liqueur de dosage e ‘sciroppi’ vari”. Le bollicine Bagnoli saranno ottenute attraverso il metodo Martinotti Charmat, in autoclave. Ma l’intraprendenza dei titolari li porterà presto a sperimentare, forse già per la vendemmia 2016, lo Champenoise, il metodo classico di rifermentazione in bottiglia, che consentirà di dare una maggiore impronta di unicità alla bottiglia, conferendogli inoltre maggiore longevità. “L’Oltrepò – sostiene Luigi Bagnoli – potrebbe diventare il vero territorio leader del panorama vitivinicolo nazionale, se solo fosse compatto e unito nel lavorare bene. Se ci mettessimo in testa tutti di puntare più sulla qualità che sulla quantità, riusciremmo a creare seri problemi anche a zone rinomate come il Piemonte e la Toscana”. Alla Bagnoli si sogna in grande, insomma. Anche con gli occhi degli altri.

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Terre d’Oltrepò di Broni: scandalo tra i vini Doc, Igp e Igt del Pavese in Lombardia

“Un Po’ di pazienza. Il nuovo sito sarà online a settembre”. O forse no. Nelle scorse ore, Guardia Forestale e Guardia di Finanza hanno perquisito la sede dell’azienda vinicola Terre d’Oltrepò, in via Sansaluto 81, a Broni, provincia di Pavia. Lo riferisce una nota dell’Ansa, secondo la quale sarebbero stati effettuati sequestri di vino all’interno della cantina, per un quantitativo totale di 16 milioni di litri di vino sfuso e settecentomila bottiglie.

L’intera annata 2014 della maggiore società cooperativa del settore in Lombardia è sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti con l’ipotesi di aver tentato di “commercializzare imponenti quantitativi di Doc, Igp e Igt dell’Oltrepò Pavese, per origine, provenienza e qualità diverso da quello dichiarato e del tutto incompatibili con l’effettiva quantità e qualità di uva prodotta e conferita dai soci” della cantina.

L’inchiesta, partita nel novembre 2014, ipotizza un giro d’affari fraudolento per un ammontare totale di circa 20 milioni di euro. In sostanza, è come se un Barolo venisse prodotto e commercializzato con uve non Nebbiolo, indicate però in etichetta, sulla base del disciplinare. Proprio negli ultimi giorni, la cantina Terre d’Oltrepò aveva iniziato una massiccia campagna pubblicitaria e sui social network, come Facebook, dove può già vantare oltre 3.500 iscritti. Le autorità competenti escludono comunque rischi per la salute dei consumatori.

 

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Vini al supermercato

Pinot nero vinificato in bianco vivace Oltrepo’ Pavese Doc – La vinicola Broni

(3 / 5) Il Pinot nero vinificato in bianco de La Vinicola Broni è un vino bianco di grande tradizione nella zona di produzione di questa Denominazione di Origine controllata: l’Oltrepò Pavese. Si fa apprezzare per la sua leggerezza e versatilità, che lo rende adatto come aperitivo ma anche come accompagnamento a tutto pasto: dai primi piatti leggeri, passando da primi di pesce o di carni di pollo e maiale, sino al contorno e infine al dolce. Un vino, dunque, che non offre particolare attrattiva olfattiva né gustativa, ma che spicca per capacità di adattamento e freschezza. Nel calice si presenta di un colore giallo paglierino con lievi riflessi verdognoli, velati da leggere bollicine. Il naso è piuttosto piatto, anche se si avvertono le note floreali caratteristiche del vigneto. All’assaggio, il Pinot nero vinificato in bianco de La Vincola Broni si presenta sapido, con note fruttate di albicocca e pesca e un retrogusto agrumato piuttosto persistente. Il finale è morbido, lievemente ammandorlato. La temperatura di servizio adatta è di 8 gradi, fino a un massimo di 10 gradi. La vinificazione in bianco si ottiene separando le bucce dal pestato, durante la fase di pressaggio. Il mosto viene poi lasciato a riposare a una temperatura controllata di 5-6 gradi. Va bevuto giovane, per apprezzarne meglio l’aromaticità e la freschezza.

La Vinicola Broni è la più antica azienda di produzione vinicola del territorio Oltrepadano. Fondata a Broni, piccolo Comune di 10 mila anime in provincia di Pavia, nel 1948 dal padre dell’attuale amministratore delegato, Roberto Calì, la Vinicola Broni si trova nel centro vitivinicolo dell’Oltrepò, zona collinare 50 chilometri a sud da Milano, a ridosso della Pianura Padana al confine fra l’Emilia ed il Piemonte. “Una grandissima tradizione enologica unita ad un’équipe di esperti enologi e cantinieri della zona – si legge sul sito Internet aziendale – fanno di quest’azienda un equilibrato mix di moderna tecnologia e grande tradizione, da cui nascono tre linee di vini, per noi sinonimo di passione ed armonia. Passione che sfocia anche nell’ambito sportivo quando nel 1958 La Vinicola Broni porta al Giro d’Italia con il capitano Aldo Moser ed il direttore sportivo Cosante Girardengo la squadra Calì-Broni Girardengo”. Un’armonia esaltata anche dalla produzione di vini spumanti e vini barriccati, premiati nei concorsi enologici Spumanti d’Italia della Valdobbiadene (Veneto) e Talento d’oro dell’Oltrepò Pavese (Lombardia). Oggi l’azienda dispone di uno stabilimento di 10 mila metri quadrati a Broni e di una cantina di pigiatura a Santa Maria della Versa, con una produzione di circa un milione e mezzo di bottiglie a Denominazione di Origine controllata all’anno.

Prezzo: 5 euro

Acquistato presso: Carrefour

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