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Cantina Abraxas scarica Report: solidarietà a Donnafugata e promessa a Pantelleria

Cantina Abraxas scarica Report solidarietà a Donnafugata. E una promessa a Pantelleria achille scuderi Gruppo Adler Pelzer riporteremo i giovani sull isola
Se non una prova, quantomeno un indizio. Gigante. Anche Cantina Abraxas scarica Report e la sua ultima inchiesta sul passito di Pantelleria. La tenuta di proprietà del colosso dell’automotive Gruppo Adler Pelzer esprime solidarietà a Donnafugata, uscita a pezzi dal servizio della tv nazionale per via dell’utilizzo di serre per l’appassimento delle uve Zibibbo del passito-icona Ben Ryé. A parlare è nientemeno che il patron di Cantina Abraxas, Achille Scuderi, intervenuto ieri sera a Milano per la presentazione dei vini prodotti dalla sua tenuta di Pantelleria, acquisita da Adler Pelzer Group – multinazionale guidata dal padre, Paolo Scuderi – dall’ex ministro DC Calogero Mannino, nel 2019.

INCHIESTA REPORT PANTELLERIA, ACHILLE SCUDERE DIFENDE DONNAFUGATA

«In questo periodo – ha sottolineato Scuderi – siamo addolorati per quanto successo con Report. Sappiamo come lavora… Ha creato un caso, una notizia, che secondo noi non è del tutto veritiera. Noi da sempre lavoriamo la nostra uva secondo la nostra idea, che è quella più naturale possibile. Ma ciò non vuol dire che le altre idee di come si coltiva l’uva per il passito sia sbagliata. Massima vicinanza, quindi, per ciò che è successo sull’isola in questi giorni». Mai menzionata direttamente, dunque, Donnafugata. Ma il riferimento è chiaramente alla cantina guidata dalla famiglia Rallo che, dal canto suo, ha preferito non intervenire sull’argomento. Cantina Abraxas scarica Report.

Una presa di posizione, quella del titolare di Cantina Abraxas, non richiesta e del tutto spontanea. Genuina. Soprattutto se si considera che il servizio di Report, proprio in apertura, elogia il metodo tradizionale di appassimento delle uve tenuto vivo da Abraxas, mostrando le uve Zibibbo stese nel cortile dell’azienda, protette solo da tende automatizzate retraibili. Un intervento, quello di Achille Scuderi, in difesa dell’orgoglio di produrre sull’isola di Pantelleria. Tanto grande da mettere in secondo piano gli ostracismi tra competitor. Una bella dimostrazione di cosa significhi “fare territorio”.

LA PROMESSA DI CANTINA ABRAXAS: «RIPORTEREMO I GIOVANI A PANTELLERIA»

Eppure, l’accoglienza dei panteschi al Gruppo Adler Pelzer – gigante che ha sede ad Ottaviano, in provincia di Napoli, e che ha tra i propri migliori clienti Tesla di Elon Musk – non è stata delle migliori. «All’inizio – ha sottolineato Achille Scuderi, sempre in occasione del suo intervento a Milano – c’è stato, inutile nasconderlo, un po’ di diffidenza nei nostri confronti. Ma si è stemperata subito, presentandoci. Ovvero facendoci conoscere e facendo capire la serietà del progetto di Cantina Abraxas. Ora abbiamo un rapporto speciale con l’isola».

«Siamo molto sinergici e contenti di poter, oltre che lavorare su quest’isola fantastica, aiutare il territorio. Abbiamo ripreso i rapporti con tanti conferitori e siamo vicini alle famiglie dell’isola con la nostra Fondazione benefica. Sicuramente faremo nei prossimi anni delle azioni anche su Pantelleria, perché è un territorio che esprime tanto. Ma ha un grosso problema: i giovani non rimangono sull’isola, ma scappano. Questa è sicuramente una priorità per noi: poterli riportare a Pantelleria, contribuendo a creare un’economia stabile sull’isola».

I VINI DI CANTINA ABRAXAS: L’ENOLOGO È COTARELLA

Quella di Abraxas e di Donnafugata non è l’unica storia che si intreccia in salsa Report. Di mezzo, ancora una volta, c’è Riccardo Cotarella. Il numero uno degli enologi italiani cura infatti la produzione di Cantina Abraxas, attraverso la società di consulenza che lo vede protagonista con il collega Pierpaolo Chiasso, a sua volta presente a Milano in occasione della presentazione dei vini della tenuta. Cotarella era stato protagonista di una precedente puntata della saga di Report sul vino: quella in cui gli enologi venivano tacciati di essere «piccoli chimici». L’ennesima contraddizione, dunque, del sempre più contorto programma di Rai Tre, che sembra aver preso di mira alcuni brand del vino italiano (nell’ultimo caso caso Donnafugata e Cantine Pellegrino) per il solo gusto di screditarne fama e notorietà.

D’altro canto, di lavoro da fare, per il team Chiasso-Cotarella, ce n’è parecchio a Pantelleria. La cantina ereditata dall’ex ministro Mannino non aveva esaurito le scorte antecedenti l’acquisto da parte della famiglia Scuderi. Tanto che a Milano – scelta un po’ controversa – è stato presentato un vino rosso, il Sicilia Doc Vipera 2021, che nulla ha a che fare con la nuova annata – la 2023 – che entrerà in commercio sul finire del 2025, ad opera della nuova squadra di enologi messa in campo da Adler Pelzer Group. Il nuovo vino, un taglio bordolese Merlot-Cabernet Franc (60-40%), è pura poesia in divenire. Cantina Abraxas scarica Report.

CANTINA ABRAXAS PANTELLERIA, UN UNICUM: PIÙ UVE ROSSE CHE BIANCHE

Meglio del rosso 2021 il Passito di Pantelleria Doc 2014 “Don Achille”. E, ancor più, il Passito di Pantelleria 2017 “Sentivento”. Tra i nuovi vini di Cantina Abraxas – che produce oggi un totale di 50 mila bottiglie su una ventina di ettari – ben figura Doc Pantelleria Bianco 2023 “Alsine” (Zibibbo 90%, Viognier 10%): freschissimo, sapido e solo vagamente aromatico (per scelta). Più morbido e suadente, almeno in ingresso, il sorso del rosato “Reseda”: altro Sicilia Doc, ottenuto da uve Syrah e Merlot, che in chiusura vira sulla sapidità tipica di tutti i frutti dell’isola. Facile intuire, dalla composizione dei vini, quale sia la particolarità assoluta di Cantina Abraxas: l’80% del vigneto è composto da uve rosse. Un unicum per Pantelleria, quasi certamente destinato a ridimensionarsi, visti i trend di consumo che vedono i vini bianchi primeggiare. https://www.gruppoadler.it/

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Muoia Sassicaia, con tutti i Ben Ryé


EDITORIALE –
Caro Report ti scrivo, così mi distraggo un po’. E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò. Muoia Sassicaia, con tutti i Ben Ryé. Ma prima puoi spiegarci, una volta per tutte: perché? Fra citazioni letterali e rivisitazioni in salsa Rai, “L’anno che verrà” di Lucio Dalla calzerebbe a pennello per commentare la puntata I furbi del passito, andata in scena domenica 2 febbraio sulla tv nazionale. Se non fosse che, nel testo della canzone del 1979, la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione. Il nuovo anno è arrivato. Ma la litania di Report non è cambiata: sceglie uno stagno bello grande e lancia dentro una pietra di mezze informazioni e allusioni spacciate per scandali. Più per sentire il tonfo che fa, che per fare vera informazione. A meno che l’obiettivo non sia quello di portare avanti la battaglia dei “vinnaturisti”. Già perché di tutto si può accusare Report, tranne che di mancanza di coerenza.

REPORT E IL PARTITO DEI VINNATURISTI

Anche l’ultimo show del duo Ranucci-Bellano ha avuto come baricentro un atto di accusa, bello pesante, contro due brand che hanno scritto – stanno scrivendo e scriveranno, piaccia o no a Report – la storia del vino italiano nel mondo. Ovvero Donnafugata, che produce l’icona Ben Ryé, presente in gran parte dei ristoranti stellati (e non solo), italiani ed internazionali, così come in alcune insegne Gdo. E Cantine Pellegrino, nota per il Marsala e per il passito di Pantelleria, disponibile in varie fasce prezzo e tipologie, in supermercati ed enoteche. A fine 2024 era toccato a Sassicaia – mostro sacro di Bolgheri, di proprietà della famiglia Incisa della Rocchetta – finire sotto accusa. Nelle scorse ore è stato il turno delle due icone dell’industria vinicola della Sicilia. Il nodo della questione – lo ripeterò finché non mi stanco – dev’essere proprio questo.

RAI 3, REPORT E L’ODIO VINNATUISTA SPACCIATO PER INCHIESTA GIORNALISTICA

Chiunque bazzichi per fiere del settore, o abbia a che fare con produttori e amanti del vino naturale, sa che aziende-brand come Tenuta San Guido, Donnafugata e Pellegrino sono considerate alla stregua del diavolo in un segmento che innalza ad emanazioni di divinità alcuni difetti come brett, volatili e puzze di merda di stalla riscontrabili in più d’un “vino naturale”. Sfottere Sassicaia e Ben Ryé è un atto di rivoluzione tra vinnaturisti, paragonabile a quello dell’adolescente che fuma al parchetto coi coetanei, in sfregio ai genitori. Il ridicolizzare il successo commerciale di un vino o di una intera denominazione, per il solo gusto di farlo, è il sintomo più fieramente palesato dell’onanismo vinnaturista. Fenomeno di nicchia, che dilaga sempre più anche grazie a chi, per canone preso, ha deciso di parteggiare per questi ultras del vino, sulla tv nazionale.

IL SILENZIO DEI “VINNATURISTI DELL’EDITORIA”

Mentre vien da chiedersi quali saranno le prossime etichette commerciali nel mirino, emergono però due conclamati fatti. Sul cemento delle “serre” in cui appassisce il Ben Ryé, versato sui terreni del Parco Nazionale isola di Pantelleria – vincolo che, fino a prova contraria, dovrebbe preservare da qualsivoglia colata di calcestruzzo ed opere murarie – il titolare di Donnafugata, Antonio Rallo, tace. Trincerandosi, interpellato da Winemag attraverso il proprio ufficio stampa, dietro un laconico «no comment». Un vero peccato per l’occasione persa, che sarebbe stata utile a chiarire l’unico vero punto dolente (presumibilmente) toccato da Report nel servizio. A far ancora più “rumore” è il silenzio dei tromboni siciliani: ovvero quella stampa (di settore) che si spaccia per “nazionale”, appena può. Ma che quando si tocca l’isola, con argomenti scomodi o pericolosi per equilibri e adv, non ha neppure la decenza di scribacchiare due righe.

L’EX SINDACO 5 STELLE: «LE SERRE DI DONNAFUGATA? COME FORNI»

Vinnaturisti dell’editoria di vicinato, con la penna che funziona a targhe provinciali alterne, a seconda del vento che tira sull’isola: emuli di molti altri, dal centro al nord Italia. Nel servizio I furbi del passito, spazio infine per una vecchia conoscenza di Winemag: l’ex sindaco 5 Stelle di Pantelleria, Vincenzo Campo (2018-2023), a cui il duo Ranucci-Bellano si è sentito in dovere di dare la parola – sulla tv nazionale! – per consentirgli di paragonare (sentite bene…) le serre di Donnafugata a dei «forni». Alludendo, così, a un mancato rispetto del disciplinare di produzione del Passito di Pantelleria, da parte della nota cantina dei Rallo (ipotesi che risulta, carte alle mano, del tutto infondata). Un intervento utile ad introdurre una delle beghe più assurde dell’Italia del vino dei nostri tempi: la cosiddetta «sicilianizzazione dello Zibibbo». Un’altra storia di provincia, da scolarsi insieme a un buon Sassicaia, o Ben Ryé. Nella speranza di distrarsi un po’. I furbi del passito Report

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Altro che «sicilianizzazione»: crescono le bottiglie di Zibibbo a Pantelleria


«Lo Zibibbo è un vitigno antico, presente in provincia di Trapani da secoli, con due piccolissime eccezioni poco significative in termini di superfici coltivate e questa è l’unica provincia in cui per legge ne è ammessa la coltivazione». Benedetto Renda, presidente del Consorzio per la tutela e la valorizzazione dei Vini Doc dell’Isola di Pantelleria, replica ai contenuti controversi del convegno organizzato dall’amministrazione comunale pantesca, lo scorso weekend.

A dimostrare che non è in atto una «sicilianizzazione» del vitigno – ovvero, nell’idea dei promotori dell’iniziativa, uno scippo dell’isola “madre” nei confronti della terra d’origine del vitigno – è l’elenco delle varietà idonee dell’Irvo, che stabilisce come lo Zibibbo sia coltivabile esclusivamente nella provincia di Trapani e – dal 13/09/2007 – anche nell’isola di Ustica, nonché nelle isole Pelagie (D.A. 30/06/2015 anche). «Crediamo fermamente che l’elemento più importante, unico e distintivo, sul quale concentrare la tutela e promozione sia in ogni caso quello dell’origine “Pantelleria” più che il vitigno».

Basti pensare – aggiunge Benedetto Renda – che ci sono produttori australiani che vinificano Nero d’Avola o Glera, imbottigliando quest’ultima come Prosecco. Il Consorzio è fortemente impegnato nel racconto e nella valorizzazione della viticoltura eroica e dell’Isola di Pantelleria: un unicum con un grande primattore, lo Zibibbo.

Dai progetti destinati alla formazione agli operatori della ristorazione e della ricettività, i primi “ambasciatori” dell’Isola, all’ organizzazione di educational dedicati alla stampa fino al lancio campagne di comunicazione sui media nazionali».

CRESCE LA PRODUZIONE DI BIANCO FERMO, SPUMANTE E PASSITO A PANTELLERIA

«Coltivare la terra qui è un atto d’amore – continua il presidente del Consorzio pantesco – che chiama tutti noi a un sempre maggiore impegno, ma ci sono dati che confermano come la Doc Pantelleria sia viva ed in evoluzione. Se paragoniamo i dati di imbottigliamento del 2018 con quelli del 2022, si registra un +25% per la denominazione doc Pantelleria bianco, un +68% per la denominazione Pantelleria Moscato spumante e un +10% per il Passito».

Sul banco degli imputati, anche la modifica del disciplinare della Doc Sicilia, contestata in quanto consente di menzionare in etichetta il vitigno “Zibibbo”, anche se presente in maniera inferiore, nell’uvaggio, rispetto ad altri vitigni. «Teniamo presente – replica a winemag.it il Consorzio presieduto da Antonio Rallo – che si tratta solo del caso dei bivarietali e, ad oggi, nella Doc Sicilia i bivarietali con lo Zibibbo non sono mai stati prodotti».

Le repliche dei due Consorzi confermano, dati alla mano, come l’attacco dell’amministrazione comunale di Pantelleria non trovi conferme nei numeri. Una mossa, quella dalla giunta guidata dal sindaco Vincenzo Campo, arrivata peraltro a pochi giorni dalle elezioni comunali, che vedono il primo cittadino ricandidarsi in una lista sostenuta dal Movimento 5 Stelle. Per organizzare la tre giorni di convegni utile a lanciare l’attacco alla Doc Pantelleria e alla Doc Sicilia, Campo ha avallato uno stanziamento di 25 mila euro. Soldi pubblici in cambio di un pizzico di visibilità?

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Pantelleria, lo Zibibbo, il sindaco 5 Stelle e gli esperti mondiali di Consorzi e Denominazioni


EDITORIALE –
Una conca, scavata attorno ad ogni singola pianta. Abbastanza profonda da proteggerla dalle raffiche di vento e dalla luce del sole, raccogliendo come in una piccola diga la poca pioggia concessa dal cielo, convogliandola alle radici della vite. Ha il sapore di un abbraccio materno, la viticoltura a Pantelleria. Una terra del vino che galleggia tra Sicilia e Tunisia. Come un vascello sopravvissuto, intatto, alla furia del mare. Un miracolo, anzi una casualità. Un’isola tanto bella da sembrare impossibile. Cinematografica. Le cammini sopra sprofondando in campi di sabbie mobili scure, che si sciolgono sotto ai piedi come burro. E riemergi pochi centimetri dopo su solide, rassicuranti colate nere, di pietra vulcanica.

Pantelleria è l’ossimoro, la contraddizione. È quella voglia di non svegliarsi da un bel sogno se non per riviverlo, più forte. Coltivare la vite, da queste parti, è ormai divenuto un atto di fede. Una preghiera ripetuta all’infinito, in ogni gesto utile a tenere in vita ogni singola pianta. Ci sono i ceppi, a Pantelleria. Non i “vigneti”. Così si dice sul posto, sintetizzando in un concetto, una filosofia. Il ceppo, a Pantelleria, è l’entità che rende onore al termine “vite” e alla sua accezione singolare, “vita”.

Pantelleria, il trait d’union tra la botanica e la poesia. Passando per l’archeo-viticoltura. Non produttori di vino ma custodi, coloro che – oggi, ancora – se ne occupano quotidianamente, in un mix di follia e passione sempre più raro, appannaggio di uomini e donne che sembrano provenire da altre epoche. Da un altro mondo, da un altro pianeta. Gente nata e cresciuti nella terra dell’impossibile che diventa vero. Dell’onirico che diventa tangibile.

A PANTELLERIA UNA TRE GIORNI IN DIFESA DEL VITIGNO ZIBIBBO. ANZI NO

Ecco perché si fatica a comprendere la battaglia intrapresa – piuttosto goffamente – dall’amministrazione comunale di Pantelleria guidata dal sindaco Vincenzo Campo. Con una previsione di spesa di 25 mila euro approvata dalla giunta, l’esponente del Movimento 5S ha chiamato a Pantelleria per tre giorni (da venerdì 5 a domenica 7 maggio) giornalisti (tra cui il sottoscritto), ricercatori e commentatori del settore vitivinicolo e agricolo, con lo scopo di «difendere il vitigno Zibibbo dallo scippo perpetrato dalla Doc Sicilia», ritenuta colpevole di averne approvato la produzione sull’isola madre, a dispetto della terra (pantesca) d’origine.

La (dispendiosa) tre giorni organizzata dal sindaco Campo è risultata non solo poco partecipata dai produttori di uve e di vino della Doc Pantelleria (per contare quelli presenti al dibattito bastavano meno delle dita di due mani) ma ha avuto anche aspetti fortemente contraddittori. Su tutti, lo stravolgimento del cardine su cui si basava la stessa tre giorni, intitolata “Pantelleria è Zibibbo“. La tesi iniziale di uno dei relatori, Giampietro Comolli, che nel comunicato stampa di lancio dell’evento si autopresentava come «uno dei più grandi esperti negli anni di Consorzi e vini DO, allievo di Fregoni e Scienza», è passata da «delocalizzare lo Zibibbo vuol dire incentivare un lento declino produttivo economico vitale a vantaggio di pochi imprenditori non panteschi» a, sintetizzando, «la battaglia sul vitigno Zibibbo è persa, occorre puntare su “Pantelleria”, promuovendo piuttosto un Pantelleria Docg “Zibibbo Classico”, solo Naturale Passito Dolce». Altra proposta stravagante dell’esperto di Consorzi e Denominazioni: Salvatore Murana, piccolo e appassionato produttore locale che nella sua gamma ha anche una tiratura limitatissima di Metodo classico base Zibibbo, dovrebbe puntare a vendere le sue poche bottiglie sugli scaffali di Autogrill: «C’è Ferrari, perché non dovrebbe esserci Murana?», si chiede (per davvero, non per scherzo) il relatore del convegno.

Alla base della preoccupazione del sindaco 5S di Pantelleria e della sua giunta, che così scaldano i motori in vista delle elezioni del prossimo 28 e 29 maggio 2023, ci sarebbero i numeri «drammatici» della viticoltura di Pantelleria, con gli ettari vitati che risulterebbero in picchiata. In altre parole, sempre più vigne rischierebbero l’abbandono. «Il Comune di Pantelleria – spiega Campo – ha lanciato l’evento “Zibibbo è Pantelleria” partendo dallo status precario, difficile, vulnerabile dello Zibibbo di Pantelleria. La vite di Zibibbo, altrove denominato Moscato di Alessandria, è il vino principe di Pantelleria da secoli. Nessuno può e deve portarcelo via. Penso al Barolo, al Picolit, al Prosecco. Lo ho visto io: modelli come quelli fanno sì che la bottiglia di Barolo possa uscire anche a 85 euro a bottiglia e il Nebbiolo di fianco 10, 12 euro, quando va bene».

L’ATTACCO AL CONSORZIO DOC SICILIA

«Recenti decisioni del Consorzio di tutela, con la modifica e rimodifica del disciplinare Doc del 1971 – continua l’esponente del M5S – fanno intravedere e temere un abbandono e una clonazione dello Zibibbo nella Doc Sicilia e Igt Terre Siciliane. Queste decisione hanno allarmato gli ultimi 360 viticoltori puri rimasti (erano 3700, 60 anni fa), unici titolari dell’Albo Doc Pantelleria e hanno sollecitato il Comune di Pantelleria a (nel comunicato questa “a” era preceduta da una “h”, ndr) difenderli: 2500/3000 gli ettari di vigne di Zibibbo impiantate negli ultimi 10 anni sull’isola Sicilia, sono una prova».

Riecco la Pantelleria che è l’ossimoro, anche lontana dalla vigna, anzi dai ceppi. Riecco la Pantelleria che è contraddizione intrinseca tra evoluzione e commiserazione. La bellezza contrapposta alla propaganda. Le potenzialità, che solo una parte dell’isola sembra intravedere e vivere. E la freddezza dell’interpretazione di massimi sistemi e numeri, ancora più gelidi sotto elezioni, anche quando a Pantelleria non tira vento. Ma ecco soprattutto la distanza abissale che c’è tra chi, ancora, in Italia, difende il nome di un vitigno, peraltro inserito come tale nel Registro nazionale delle varietà di vite del Ministero dell’Agricoltura. E chi, invece, si rende conto che una “Docg dello Zibibbo”, fondamentalmente, già esiste e non ha tantomeno bisogno di essere definita “Classica”: Pantelleria (Doc), col suo passito, solo da raccontare (meglio) e vivere (di più). Prosit.

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Siccità, nubifragi, grandine, Confagricoltura: «Gestione rischio climatico nel futuro agricoltura»

La gestione del rischio climatico è ormai una questione primaria nel mondo dell’agricoltura. A sottolinearlo è il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, intervenuto oggi sulla concentrazione di fenomeni meteorologici che stanno interessando tutta la Penisola. Siccità, nubifragi, grandine, trombe d’aria, ma anche incendi, spesso di natura dolosa – forti dubbi su quello che ha devastato Pantelleria nelle ultime ore – hanno «conseguenze devastanti per il settore primario». Tanto da «mettere a rischio la tenuta delle imprese agricole», ricorda la Confederazione.

«È evidente – dichiara Giansanti – che la gestione del rischio climatico è diventata una questione di primo piano per il futuro dell’agricoltura italiana, ma anche europea. I danni sono pesanti e la disponibilità finanziaria dell’apposito fondo ristori è inadeguata, nonostante l’aumento di 200 milioni disposto dal governo con il DL Aiuti Bis».

La normativa in vigore risulta inadeguata, troppo complessa e lenta. Gli interventi pubblici devono essere più veloci per assicurare, oltre all’indennizzo dei danni, la ripresa dell’attività produttiva. Quest’anno abbiamo registrato eventi climatici eccezionali che in passato capitavano nell’arco di un decennio. E la situazione si è registrata anche in altri Stati europei».

«INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN AUSILIO ALL’AGRICOLTURA»

Il presidente di Confagricoltura ricorda che «non si tratta più di episodi sporadici». «È necessario – sottolinea ancora – un nuovo approccio alla questione, che comprenda la cura e la gestione del territorio con tutti i soggetti coinvolti, sfruttando anche le ricerche in materia di intelligenza artificiale e di elaborazione sempre più puntuale di modelli previsionali per contrastare, anche con forme di difesa attive, i fenomeni meteorologici estremi».

Il quadro, tuttora in evoluzione, evidenzia danni ingenti in Toscana, Liguria, Emilia Romagna, Sardegna, Lazio, Veneto e Friuli, concentrati in alcune province dove i nubifragi hanno spazzato via frutteti, sradicato piante, allagato campi, scoperchiato serre, stalle e danneggiato gravemente le strutture.

La pioggia tanto attesa, laddove caduta, è arrivata in quantità abbondante in troppo poco tempo, senza permettere ai campi di essere assorbita. Raffiche di vento e grandine hanno dato il colpo di grazia.

Confagricoltura, sottolinea in una nota l’organizzazione, è al lavoro per monitorare gli eventi, segnalando le criticità che necessitano di interventi straordinari, «anche alla luce della situazione di difficoltà che sta vivendo il settore primario, a causa della siccità e dell’aumento dei costi produttivi». [foto di copertina ig pantelleria]

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Cantine Pellegrino, nuovo impianto fotovoltaico a Pantelleria

È stato inaugurato a Pantelleria il più grande impianto fotovoltaico privato ad energia rinnovabile dell’isola. L’unico al servizio di un’attività produttiva: Cantine Pellegrino. Un impianto di potenza complessiva pari a 86,40 kWp, che permette alla cantina di essere quasi autosufficiente dal punto di vista energetico, grazie a fonti rinnovabili.

Il nuovo impianto è costituito da 270 moduli fotovoltaici del tipo vetro-vetro, di potenza pari a 320 Wp cadauno. L’installazione è avvenuta «nel pieno rispetto del paesaggio». Non risulta visibile da nessun osservatore e appare integrata nella skyline della zona.

L’investimento nel fotovoltaico consentirà a Pellegrino di godere di un notevole risparmio di energia elettrica, pari a circa 105 MWh l’anno. Anche l’ambiente ne trarrà beneficio. Si stimano infatti circa 49.600 kg di emissioni di CO2 evitate.

«Crediamo fortemente nello sviluppo sostenibile della nostra attività produttiva – commenta Benedetto Renda, presidente della Pellegrino e del Consorzio Vini Pantelleria Doc – e sempre e comunque nel rispetto dell’ambiente. Oggi siamo la prima cantina sull’isola ad essere dotata di un impianto fotovoltaico, ma ci auguriamo che anche altri possano seguire la nostra iniziativa al fine di preservare questo territorio unico e sostenerne l’economia».

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Mandrarossa sbarca a Pantelleria con il Passito Doc 2019 Serapias

Sempre più organica l’offerta, tutta siciliana, di Mandrarossa, Dopo l’Etna, la cantina-brand di Menfi, punta di diamante di Cantine Settesoli nel segmento Horeca, sceglie Pantelleria. Il nuovo capitolo delle “Storie ritrovate” riguarda il Passito Doc Serapias. Una chicca, prodotta con uve Zibibbo in purezza, in un numero limitato di 6 mila bottiglie per l’annata 2019.

Perché Mandrarossa ha deciso di produrre un Passito di Pantelleria Doc? “La risposta è semplice – commenta il presidente di Mandrarossa, Giuseppe Bursi – si sta cercando di indagare e approfondire le potenzialità dei territori più importanti della Sicilia e Pantelleria rientra di diritto tra queste”.

“L’ambizione di Mandrarossa – continua Bursi – è crescere sempre più di livello e proporsi sempre più nella ristorazione che conta. Abbiamo quindi ritenuto di poter affrontare questa sfida, perché tale la riteniamo, per cercare di fare un prodotto sicuramente importante che chiude la nostra gamma con un vino dolce di sicuro valore”.

Il debutto sul mercato è avvenuto da pochi giorni. Il progetto di Mandrarossa, nato con l’obiettivo di “produrre vini da uve autoctone siciliane in purezza che raccontino la vera essenza dei territori in cui nascono”, trova dunque una nuova casa nell’isola gioiello del Mediterraneo.

L’etichetta è frutto della rinnovata collaborazione con Nancy Rossit, già autrice delle altre quattro etichette della linea “Storie Ritrovate”. Riprende l’immagine dell’orchidea autoctona chiamata Serapias Cossyrensis o Orchidea Pantesca. Un fiore raro e delicatissimo che cresce solo in un’area limitata dell’isola di Pantelleria.

Le uve Zibibbo destinate alla produzione del Passito di Pantelleria Doc Serapias crescono su una superficie di 2 ettari, che si estende su tre contrade isolane: Bukkuram, Monastero e Piana di Ghirlanda. I vigneti si ritrovano su terrazzamenti che poggiano su suoli di origine vulcanica a grande prevalenza sabbiosa.

Qui, la presenza di scheletro e di affioramenti rocciosi è massiccia. Sono suoli poveri di sostanza organica, a causa delle elevate temperature estive: scarse quantità di azoto, di fosforo e di calcio, ma grande abbondanza di potassio.

Le uve sono state raccolte a mano nella quarta settimana di agosto e riposte in piccole cassette. Una parte è stata appassita per circa 20/22 giorni. Successivamente, l’uva Zibibbo passita è stata aggiunta al mosto in fermentazione in acciaio, ottenuto dalle uve fresche. Il vino ha affinato per circa 10 mesi in silos di acciaio e per tre mesi circa in bottiglia.

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Halará vignaioli in Marsala: 6 produttori “naturali” insieme in Sicilia per 3 etichette

“Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. Citano Fernand Braudel i “vignaioli del Mediterraneo” protagonisti del nuovo progetto “Halará, vignaioli in Marsala“.

Questo il nome scelto per la “casa comune trovata nel territorio marsalese” da Tanca Nica (Francesco Ferreri, Pantelleria), Bonavita – Vignaioli in Faro Superiore, La Distesa (Cupramontana, Marche), Stefano Amerighi (Cortona, Toscana), Antonino Barraco (Marsala) e ‘A Vita – Vignaioli a Cirò (Calabria).

La Sicilia al centro di un’idea comune di fare vino, con Tanca Nica, Bonavita e Barraco pronti a rotolare verso nord, accogliendo il calabrese Francesco Maria De Franco, i marchigiani Valeria Bochi e Corrado Dottori il toscano Stefano Amerighi, presidente del Consorzio Vini di Cortona.

“Siamo in sei – anticipano i vignaioli – 6 famiglie, amici prima che aziende. Siamo insieme a Marsala per un’idea, un sogno o solo per il piacere di stare insieme”. I dettagli del progetto, come conferma a WineMag.it Francesco Maria De Franco, saranno divulgati nei prossimi giorni.

Quel che è certo è che Halará vignaioli in Marsala esordirà sul mercato con tre etichette, imbottigliate da Nino Barraco: i vini da tavola Halará bianco (13%) e Halará rosato (11,5%) e il Terre Siciliane Igp Halará rosso (12%).

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Sicilia, etichettatura Doc divide i produttori: malumori a Pantelleria. Etna attendista


PANTELLERIA –
E’ giusto dare la possibilità ai produttori di scrivere in etichetta, oltre al nome della Doc d’appartenenza, anche la parola “Sicilia“? E’ la questione che divide la Trinacria, da quando la governance regionale ha messo gli occhi sull’etichettatura delle Denominazioni di ricaduta.

Tra i territori del vino siciliano più restii c’è Pantelleria. Fa discutere, in questi giorni, la proposta di modifica del disciplinare. Tra i contrari, il sindaco dell’isola, Vincenzo Campo. Si tratterebbe di “offrire la possibilità (non l’obbligatorietà) di usare, in aggiunta alla Denominazione ‘Pantelleria’, l’unità geografica più ampia ‘Sicilia’, ai sensi del disciplinare della Doc Sicilia.

“Questa proposta di innovazione – spiega Benedetto Renda (nella foto), presidente del Consorzio Vini Doc Pantelleria – ha fondamentalmente due scopi: incrementare il livello di tutela della denominazione ‘Pantelleria’ avvalendosi dei servizi di vigilanza effettuati dal Consorzio Doc Sicilia, che ha avuto il riconoscimento erga omnes e che quindi è investito di ampi poteri di controllo. Grazie alla sinergia con il Consorzio Doc Sicilia, la vigilanza comporterà minori costi per la Doc Pantelleria”.

“Il secondo vantaggio – aggiunge Renda – è l’opportunità per i vini ‘Pantelleria Doc’ di usufruire del massiccio piano di attività promozionali organizzate dal Consorzio Doc Sicilia, in Italia e all’estero, con campagne pubblicitarie, campagne social, incoming di giornalisti, eventi e fiere”.

Un esempio? “La Doc Sicilia organizza degustazioni in alcune delle maggiori fiere del vino nel mondo, come Usa e Cina. Se un ‘Passito di Pantelleria’ avrà la menzione ‘Sicilia’ il suo produttore potrà mandare il proprio vino e averlo tra quelli in degustazione, senza dover prendere uno stand, e senza dover fare la trasferta all’estero”.

“L’idea – spiega ancora il presidente Renda – è anche che il brand ‘Sicilia’ nel mondo sia ben più conosciuto di quello di ‘Pantelleria’. E che pertanto possa aiutare molti consumatori a comprendere meglio l’origine dei vini di Pantelleria e a valutarne la scelta d’acquisto”.

A tal proposito – conclude Renda – è fondamentale aggiungere che tale previsione, non modifica il nome della “Doc Pantelleria”, semplicemente consente l’aggiunta della menzione ‘Sicilia’ a seguire quello di ‘Pantelleria’. Si tratta quindi di una facoltà e di un’opportunità, non di un obbligo. Vuol dire che un produttore può liberamente decidere se mettere in etichetta anche la Denominazione ‘Sicilia’ oppure no”.


Ma le polemiche montano sull’isola anche per la scelta del giorno della riunione dei soci, indetta dal Consorzio per domenica 26 maggio. Lo stesso giorno delle Elezioni europee. “Le assemblee del Consorzio – spiega Renda – si sono sempre svolte di domenica per permettere al maggior numero di associati di prendervi parte, liberi da impegni lavorativi”.

“Si consideri che molti viticoltori, lavorando in economia i propri terreni, spesso sono impegnati anche di sabato, ecco un motivo in più per fissare l’assemblea di domenica. Infine, visto che la concomitanza con le elezioni europee, la convocazione per il 26 maggio aveva suscitato delle richieste di slittamento dell’assemblea pertanto abbiamo deciso di posticipare la convocazione in un’altra data di giugno”.

ETNA DOC FAVOREVOLE
La decisione spetterà dunque ai 325 viticoltori e alle 8 grandi cantine che compongono il Consorzio Vini Doc di Pantelleria, che rappresentano l’85% della produzione Doc dell’isola (dati vendemmia 2018). Polemiche, quelle nate tra i produttori pantesi, che non sembrano lambire un’altra importante Denominazione siciliana: l’Etna. Il Consorzio, tuttavia, preferisce non sbilanciarsi troppo.

Il Consorzio di Tutela dei Vini Etna Doc – assicura il presidente Antonio Benanti (nella foto) – ha già avviato una procedura per consentire legittimamente, in un prossimo futuro, l’utilizzo facoltativo della semplice parola ‘Sicilia’: ciascun produttore sarà libero scegliere, per mera completezza di informazione al consumatore”.

“Si tratta della possibilità di farne menzione con delle specifiche limitazioni – continua Benanti – assicurando che sia sempre la Denominazione Etna a prevalere con la massima evidenza e chiarezza. L’utilizzo più comune della parola ‘Sicilia’ sarà non sull’etichetta, ma sul retro, nel corpo del testo. Pur rispettando la facoltà del singolo produttore, l’identità del territorio Etna rimarrà, come è, ben nota e molto ben distinta nella sua unicità”.

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news ed eventi

Unesco, muretti a secco Patrimonio dell’Umanità (VIDEO)


L’arte dei muretti a secco è Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. Oltre all’Italia, sono interessati altri sette Paesi europei: Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. Lo ha deciso l’apposito Comitato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, riunito dal 26 novembre al 1 dicembre 2018 a Port Louis, nelle isole Mauritius.

L’Unesco evidenzia che “l’arte dei muretti a secco consiste nel costruire sistemando le pietre una sopra l’altra, senza usare altri materiali se non, in alcuni casi, la terra asciutta”. Un patrimonio riscontrabile da Nord a Sud della penisola: dalla Valtellina a Pantelleria, passando le Cinque terre, la Costiera amalfitana e la Puglia, con Salento e Valle d’Itria.

Per l’Italia si tratta del nono riconoscimento Unesco, il terzo transnazionale dopo la Dieta Mediterranea e la Falconeria. Un premio a un’arte “realizzata e conservata nel tempo grazie al lavoro di generazioni di agricoltori impegnati nella lotta al dissesto idrogeologico provocato da frane, alluvioni o valanghe”, come evidenzia Coldiretti.

Di fatto, queste conoscenze e pratiche vengono conservate e tramandate nelle comunità rurali, in cui hanno radici profonde, oltre che tra i professionisti del settore edile. Le strutture con muri a secco vengono usate come rifugi, per l’agricoltura o l’allevamento di bestiame. Testimoniano i metodi usati dalla preistoria ai nostri giorni per organizzare la vita e gli spazi lavorativi ottimizzando le risorse locali umane e naturali.

Costruzioni che, per l’Unesco, “dimostrano l’armoniosa relazione tra gli uomini e la natura e allo stesso tempo rivestono un ruolo vitale per prevenire le frane, le inondazioni e le valanghe, ma anche per combattere l’erosione del suolo e la desertificazione”.

LA TECNICA DEI MURETTI A SECCO
La tecnica del muretto a secco riguarda la realizzazione di costruzioni con pietre posate una sull’altra senza l’utilizzo di altri materiali, se non un po’ di terra. La stabilità delle strutture è assicurata dall’attenta selezione e posizionamento dei sassi.

Questi manufatti, diffusi per la maggior parte delle aree rurali e su terreni scoscesi, hanno modellato numerosi paesaggi, influenzando modalità di agricoltura e allevamento, con radici che affondano nelle prime comunità umane della preistoria.

I muretti a secco svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione delle frane, delle inondazioni e delle valanghe e nella lotta all’erosione e alla desertificazione della terra, aumentando la biodiversità e creando condizioni microclimatiche adeguate per l’agricoltura in un rapporto armonioso tra uomo e natura.

“Su un territorio meno ricco e più fragile per il consumo di suolo – sottolinea Coldiretti – si abbattono i cambiamenti climatici con le precipitazioni sempre più violente e frequenti con vere e proprie bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire”.

“Il risultato – continua Coldiretti – è che sono saliti a 7.275 i comuni italiani, ovvero il 91,3% del totale, che sono a rischio frane e/o alluvioni secondo le elaborazioni su dati Ispra. Per proteggere la terra e i cittadini che vi vivono, l’Italia deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività agricola”.

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Approfondimenti

Al via la prima edizione del Pantelleria DOC Festival

In occasione della prima edizione del Pantelleria Doc Festival, il più grande evento dedicato alla scoperta dell’isola e dei suoi vini Doc che dal 31 agosto al 9 settembre animerà l’isola, enoturisti e appassionati del buon bere potranno visitare la cantine e scoprire tutti segreti sui vini ottenuti dalle uve di zibibbo, il vitigno principe di Pantelleria, coltivato con la tecnica dell’alberello pantesco, oggi riconosciuta patrimonio Unesco dell’Umanità.

Esaltare il potenziale turistico dell’isola così come non era mai stato fatto: questo, l’obiettivo principale del Festival organizzato e promosso dal Consorzio vini di Pantelleria Doc, in collaborazione con il consorzio turistico dell’isola Pantelleria Island.

Natura, sport, cultura, enogastronomia, eventi mondani, sono gli ingredienti che compongono e che danno colore a un programma di dieci giorni, in cui i vini di Pantelleria sono il trait d’union. Il Festival innesterà il proprio racconto sulla viticoltura eroica, simbolo stesso di Pantelleria, distribuendosi in una miriade di eventi che, partendo dalla scoperta del territorio e dei suoi prodotti, restituiranno una fotografia d’insieme unica, espressione di una sinergia autentica tra vino e turismo.

“Il termine viticoltura eroica – spiega Benedetto Renda, presidente del Consorzio vini di Pantelleria DOC e amministratore delegato di Cantine Pellegrino – non è utilizzato a caso, o arbitrariamente. Produrre vino a queste latitudini, che si tratti di passito, vini secchi o spumanti, è una vera propria impresa eroica: in media, infatti, a Pantelleria occorre più del triplo del tempo di lavoro che si richiede in altre realtà territoriali. Le condizioni geografiche estreme, l’orografia dei terreni in forte pendenza, il vento che soffia costante, le limitate disponibilità di manodopera, la scarsità di piogge e l’assenza di sorgenti d’acqua dolce rendono l’attività dei vignaioli un miracolo continuo, premiato dalla qualità di vini che non hanno eguali in tutto il panorama enologico”.

“Il Pantelleria DOC Festival – conclude il presidente Benedetto Renda – riunisce un mix irripetibile tra natura, sport, cultura, enogastronomia ed eventi mondani, un programma eccezionalmente variegato il cui trait d’union sono i vini panteschi e l’uva Zibibbo da cui nascono, corpo e anima dell’isola”.

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Vini al supermercato

Passito di Pantelleria Doc 2013 Nabil, Miceli

(3,5 / 5) Una chiara nota ossidativa per la bottiglia della vendemmia 2010 ci convince a testare anche la 2013 prima di recensire Nabil, il Passito di Pantelleria Doc delle cantine Miceli. Se nel primo caso il “difetto” è evidente (ma comunque non abbastanza da disturbare in maniera netta la beva) nel secondo è appena percettibile.

Un marchio di fabbrica del produttore? Forse. Di certo c’è che, a conti fatti, il Passito di Pantelleria Nabil è un buon compromesso “qualità prezzo” per chi è a caccia di un vino da abbinare a dolci e prodotti di pasticceria.

Nel calice si presenta di colore ambrato, limpido e trasparente, intenso. Al naso è intenso e tipico. La caccia alla nota ossidativa lascia presto spazio all’albicocca, agli agrumi (arancia candita) e al miele millefiori. Sentori che certamente prevalgono su una leggera balsamicità (finocchietto sotto spirito, anice, mentuccia,) e, soprattutto, sulla percezione di soluzione salina che ritroveremo poi al palato. Un olfatto schietto, dunque, di sufficiente finezza. Ma non certo di elaborata complessità.

In bocca, il Passito di Pantelleria Doc Nabil di Miceli si conferma di corpo, caldo, di buona morbidezza. Le note fruttate mature rendono piacevole la beva, ben calibrate con un’acidità rinfrescante e una salinità che chiama il sorso successivo. Un Passito che, tuttavia, lascia qualcosa a desiderare nel retrolfattivo: leggera la carica aromatica, abbandonata anche dall’acidità. Lo zucchero, così, risulta troppo invasivo e preponderante.

LA VINIFICAZIONE
Nabil è l’etichetta destinata ai supermercati nel quadro della produzione di vini passiti delle Cantine Miceli, che oltre a Sciacca possiedono vigneti e uno stabilimento per l’imbottigliamento dei vini sull’isola di Pantelleria, in contrada Rekale. La base per ottenere il passito Nabil, come da disciplinare, è lo Zibibbo. Uve che vengono lasciate ad appassire sulla pianta e successivamente al sole, prima di essere vinificate.

La Miceli nasce negli anni 30 quando il comandante di Marina Ignazio Miceli smise di ammassare e trasportare con la sua goletta Jasper vino sfuso siciliano da Castellamare del Golfo in diversi porti italiani e francesi. Aprì dunque una rivendita di vino in via Gagini, nel cuore di Palermo. Negli anni Sessanta, il figlio Salvatore e il nipote Ignazio iniziando a produrre in proprio. Una tradizione arrivata sino ai giorni nostri.

Acquistato presso: Auchan
Prezzo: 13,29 euro

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Food Lifestyle & Travel

Pancake alle fragole

Ecco i Pancake con purea di fragole “In Cucina con Fede”, per una colazione fresca e golosa. Ma anche per una merenda diversa dal solito, da gustare in compagnia dei vostri ospiti!

Quantità per: circa 20 pancake in base a quanto li farai grossi
Realizzazione: facile
In abbinamento: perché non un centrifugato di fragole e lamponi?

TI SERVE

  • 1 uovo
  • 450 ml di latte fresco
  • 50 gr di burro
  • 2 cucchiai di zucchero
  • Il succo di mezzo limone
  • 260 gr di farina (00 o di riso)
  • 1 bustina di lievito
  • 1 cucchiaino di bicarbonato
  • 250 gr di fragole
  • Qualche lampone per guarnire
  • Zucchero a velo

PREPARAZIONE

  1. In una ciotola rompi l’uovo, aggiungi il latte, il burro fuso (ma lascialo raffreddare) e il succo del limone. Con una frusta o una planetaria mescola il tutto.
  2. Ora unisci gli ingredienti secchi: lo zucchero, la farina, il lievito e il bicarbonato e continua a mescolare.
  3. Fai scaldare una padella per crepes (è larga almeno 20 cm e piatta) a fuoco medio/basso. Io uso una padella antiaderente così non necessita di essere unta con il burro.
  4. Comincia a cuocere i pancake: con un mestolo (o un dosatore) prendi un po’ d’impasto e mettilo al centro della padella. Quando cominceranno a formarsi delle bolle significa che il lievito sta facendo il suo dovere e il pancake si sta gonfiando quindi lo può girare dall’altra parte.
  5. Continua così finché non termini l’impasto. A me piacciono i contorni irregolari, ma se vuoi dare una forma perfettamente tonda al pancake o una forma di cuore etc. puoi acquistare le formine in silicone.
  6. Mentre i pancake raffreddano con un frullatore a immersione riduci in purea le fragole. A piacere puoi aggiungere dello zucchero e filtrare i semini.
  7. Puoi comporre il dolce: un pancake, purea di fragole, lamponi e sopra lo zucchero a velo.
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news

Timorasso, Walter Massa shock: “Nel 2018 smetto di fare vino”

Si scrive “Walter Massa”, si legge “Timorasso”. Anzi: oggi, più che mai, “Derthona”. Ma cosa succederebbe se il re del vino dei Colli Tortonesi decidesse di gettare la spugna?

La notizia shock in esclusiva al microfono di vinialsupermercato.it: “Non ci sto più dentro e nel 2018 cambio lavoro. Faccio ancora due vendemmie. Poi la mia azienda andrà avanti coi miei nipoti o con qualcun altro. Ma non vi dico che lavoro farò! Dico solo che devo prendere tanti voti per cambiare lavoro”.

Fermi tutti. Seduti. Un sorso d’acqua. Fatto? Bene. Flashback. Sulla terrazza di piazza Casponi 10, a Monleale, quartier generale alessandrino del vignaiolo che ha avuto il merito di rilanciare il Timorasso in Piemonte e nel mondo, sono da poco passate le 17.30 di domenica 19 giugno.

Un pubblico di appassionati di vino affolla la casa del guru in occasione di Quatar Pass per Timurass, la (riuscitissima) quarta tappa del tour organizzato da Slow Food Piemonte – Cantine a Nord Ovest. Strappiamo letteralmente Massa dalla ressa. E ci facciamo concedere un’intervista. Parliamo del rapporto tra vino e grande distribuzione. Un argomento su cui il re dei Colli Tortonesi mostra un’inaspettata apertura.

“Il mio è un progetto ambizioso e quindi cerco di stare sui canoni, come li definiscono quelli che hanno studiato, dell’horeca. Però il vino è un prodotto per il quotidiano, da sempre. E quindi va messo alla portata di tutti: va distribuito in maniera diligente e rispettosa. Ci sono dei supermercati che hanno fatto investimenti diligenti sul vino e io li rispetto tantissimo. Poi, finché riesco e se riesco, cerco di starne fuori. Ma apprezzo davvero chi ha fatto grandi sforzi per rendere alla portata di tutti i vini agricoli e i vini di qualità”.

“Siamo tutti uguali, la carne è debole. Quando vendi, quando tiri, quando sei di moda – ammette Massa – fai il fenomeno e magari ti permetti di dare il vino solo a chi te lo paga anticipato, alle grandi enoteche, ai ristoranti stellati. Poi, appena comincia a mancarti qualcosa o a entrarti in società qualcuno che preme per il fatturato e per il business, paventando la possibilità che l’azienda possa altrimenti chiudere, ti fermi un attimo e ti rendi conto che forse bisogna dire basta alla filosofia. E di filosofi siamo tanti, nel vino, in Italia”.

“Il vino – prosegue Walter Massa – deve essere sempre il seguito di un pensiero. Un pensiero che va sostenuto. Questo si ottiene solo con delle scelte e io ho fatto le mie: cerco di differenziare i prodotti, di tenerli sotto controllo… Poi sarà sempre la legge della domanda e dell’offerta, la legge degli uomini, la legge della fortuna a prevalere su tutto. Io penso di essere più che la mia fortuna, la fortuna di un territorio. Qui ho trovato tanti colleghi con cui ho un bel feeling e con cui sto cercando di recuperare un gap storico. A Savona, dieci anni fa, pensavano che a Tortona neppure si facesse il vino. Oggi, che si fa il vino a Tortona, lo sanno i salotti buoni che ci sono a Hong Kong, piuttosto che a Tokio, piuttosto che a New York o nel nord Europa”.

LA SVOLTA
Proprio per questo, secondo Massa, è arrivato il momento di svoltare. Di cambiare prospettiva. “Adesso – evidenzia – dobbiamo anche pensare a un Timorasso, anzi meglio a un Derthona, per tutti. Io ho fatto il Petit Derthona copiando dal Petit Chablis, perché voglio difendere al massimo il Timorasso”.

“Non voglio che il Timorasso sfuso sia alla mercé di gente che col vino centra come io centro con gli aeroplani. Come? Imbottigliandolo io, fino all’ultima goccia. Pensate che un Lugana sfuso vale 4,50 euro al litro, quando una Barbera del mio vicino di casa un euro al litro: questa è pazzia, è una cosa vergognosa. Non per il Lugana, ma per il Barbera”.

“Il Gavi sfuso – sottolinea Massa – vale 3 euro al litro! E io non voglio che il Derthona sfuso esista! Perché noi del Derthona siamo tutte aziende con un know how  in cantina per imbottigliare il vino e vogliamo far sì che, se il Derthona a casa mia esce a 10 euro, il Petit Derthona esca dalla mia cantina a 6 euro. E il consumatore, sugli scaffali, trovi il Petit a 7-8 euro, e il Derthona a 15-16 euro”.

Un’apertura alla Gdo? “Non nel mio caso – precisa Massa – perché il Petit Derthona è l’ultimo prodotto a cui io penso. Quando ho fatto tutte le selezioni per i cru e per il Derthona, quello che avanza diventa Petit Derthona. Lo dichiaro al mio distributore e mi auguro che lo gestisca come tale. Dobbiamo smetterla di fare i commercianti falsi, noi del vino”.

“Se finisco il mio vino e lo vado a comprare dal mio vicino – aggiunge Massa – finisce la filosofia, la poesia del vignaiolo indipendente. Il vignaiolo è indipendente quando può mandare tutti a cagare e andare al mare, la terza domenica di giugno. Non star qui a mendicare o a dare a retta a tutti. Lo faccio volentieri, ma il vignaoiolo indipendente è tale quando dice che va nella vigna e ci va davvero! Io vado in cantina, vado in vigna, vado in giro a raccontare fiabe ma, soprattutto, sono sempre in prima linea come uomo. La cosa è semplice: o siamo contadini, o siamo commercianti. Questo è quello che detesto del pianeta vino in Italia. La mia partita è fare il versus: versus Borgogna, versus Reno, versus Sancerre, versus Verdicchio, versus San Gimignano, versus Collio, versus Gavi. Io voglio che il Derthona entri nell’olimpo dei grandi bianchi del mondo”.

IN VINO POLITICA
Massa ha voglia di parlare e ci incalza con risposte sempre più piccate. Risposte che fanno solo lontanamente presagire un finale shock. “Come fondatore della Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti, ndr) – continua il re dei Colli Tortonesi – assieme ad altri 300 grandi uomini italiani, alcuni grandi vignaioli e alcuni grandi del vino, ho dovuto fare esattamente come De Gasperi e Togliatti: per tenerci lontana la Russia abbiamo dovuto parlarci e inventare una Democrazia Cristiana che avesse dentro tutti. Dai latifondisti agli operai, dai cattolici ai partigiani. Dagli ex partigiani, ai fumatori e agli astemi! Quindi nella Fivi, per adesso, troviamo tutto quello che in Italia si chiama ‘Azienda agricola’, che comprende anche chi può fatturare il 49% del totale. E’ una cosa che, col cuore, definirei vergognosa. Ma con il cervello non posso che giudicare quale passaggio indispensabile. Adesso metteremo delle regole un po’ più rigide”.

“Io sono al quarto mandato – continua Massa – e al secondo da vice presidente. Il patto è quello di stringere le maglie. Perché io voglio lavorare per i grandi, non per i grossi. E i grandi sono anche quelli che hanno due ettari di vigna e fanno mangiare una famiglia intera, la loro. Facendo al contempo grande l’Italia intera nel mondo. Perché l’Italia la fa bella Salvatore Ferrandes, a Pantelleria, come la fa bella Anselmet o Lo Triolet, o Zidarich, o Dirupi. In Valle D’Aosta, nel Carso o in Valtellina. Ho messo in croce l’Italia, come piace a me metterla in croce”.

Ma è quando si parla di e-commerce che Walter Massa non ci vede più: “Se ti cercano, ti comprano, ti vogliono, perché nascondersi? Io, intanto, sto con chi, in Inghilterra, vuole uscire dalla Ue. Perché mandare il vino nella Ue è un lavoro, mandare il vino a Singapore, in Giappone, in Russia, in Norvegia è un gioco? Ti vessano, dicendoti che devi fare una bolla solo per far mangiare qualche essere dannoso all’economia e al Pil italiano. Per me il lavoro non è solo un diritto, ma soprattutto un’opportunità. E, quindi, noi dobbiamo far sì che il vino in Europa giri liberamente”.

“Disfiamo questa Europa – attacca Walter Massa – è ora di dire basta. O, piuttosto, rimettiamola a posto. Tutte queste barriere, tutta questa burocrazia, non è altro che una presa per il culo per mandare i D’Alema della situazione a prendere uno stipendio”. Fine del flashback. A questo punto Massa vuota il sacco. E fa presagire come Montecitorio (nome di un vigneto Massa) e Anarchia Costituzionale (nome di un suo vino), possano essere molto più di un messaggio subliminale.

“Di certo dico subito che non andrò con i Cinque Stelle – precisa il vignaiolo – anche se per Roma faccio il tifo per Virginia Raggi e non certo per Orfini. I partiti istituzionali vanno messi al loro posto, lasciando i bastardi, i falliti e quelli in via di fallimento a casa, al posto di farsi salvare come sempre dalla politica”. Il mondo del vino trema. E forse, da oggi, anche quello della politica. Situazione meteo: uragani su Roma, provenienza Piemonte.

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Il miglior Vino del Sindaco 2016 è pugliese. Ecco i premiati

E’ prodotto a Novoli, in provincia di Lecce, il miglior vino della XV edizione de La Selezione del Sindaco, il concorso enologico delle Città del Vino, che quest’anno ha visto protagonista come sede delle commissioni di assaggio la città dell’Aquila, in Abruzzo. Con 94,50 punti su 100 si è affermato al primo posto conquistando una Gran Medaglia d’Oro il Falco Nero Salice Salentino Riserva 2009, prodotto con uve Negroamaro dalle Cantine De Falco. Da oltre mezzo secolo questa realtà pugliese si propone di realizzare “vini di qualità, unendo alla tradizionale arte del fare buon vino l’uso delle migliori tecnologie innovative”. La sede è a Novoli mentre i vigneti dai quali si ricavano i vini sono dislocati fra le province di Lecce, Brindisi e Taranto, tutte “terre vocate alla grande e affermata produzione dei vini del Salento”. L’esperienza del capostipite Salvatore De Falco, la passione e l’impegno costante del figlio Gabriele sono gli elementi che hanno reso notevoli apprezzamenti nel mondo vinicolo nazionale e posto le basi “per orizzonti più vasti verso i mercati esteri ove sono particolarmente affermati il Primitivo e il Negroamaro”. Non a caso, un’altra annata di Falco Nero Salice Salentino Riserva, la 2013, si è di recente aggiudicata la medaglia d’oro al Concours Mondial de Bruxelles.

Al secondo posto a pari punteggio (94 punti) l’Arbaria Passito di Pantelleria Dop da uve Zibibbo, annata 2011, dell’azienda Vinisola, di Pantelleria (Tp); e il vino pugliese Rivo di Liandro Salice Salentino Doc Riserva 2012, prodotto dalla cooperativa dei produttori agricoli di San Pancrazio Salentino (Brindisi). Quarto posto per un altro pugliese: il Selvarossa Salice Salentino Doc di Cantina Due Palme. In generale il concorso ha visto protagonisti i grandi vitigni italiani: Negroamaro, Montepulciano, Gaglioppo, Raboso, Zibibbo e Corvina. Ma ai primissimi posti anche tre vini portoghesi, che si aggiudicano  tre Gran Medaglie d’Oro. Al primo posto tra le 108 Medaglie d’Oro con 91,80 punti il Clematis, un vino dolce annata 2011 da uve Montepulciano, prodotto in Abruzzo con la denominazione Igt Colline Pescaresi dall’azienda agricola Ciccio Zaccagnini. Al secondo posto tra gli Ori un vino portoghese, il Venanzio da Costa Lima Moscatel Reserva Doc Setubal 2008. Invece tra le 215 Medaglie d’Argento al primo posto il Morellino di Scansano Docg 2012 della cantina Conte Guicciardini Castello di Poppiano (86,80 punti).

I PROTAGONISTI
Biologici, passiti, autoctoni, in argilla, kosher, spumanti e sempre e comunque “piccole partite di vino di qualità, prodotte nelle Città del Vino”. Sono questi i protagonisti dell’ultima edizione de La Selezione del Sindaco, organizzato dall’associazione che aggrega 450 Comuni in Italia e un migliaio in Europa attraverso Recevin. La Selezione del Sindaco è un concorso enologico unico perché le cantine possono partecipare solo in alleanza con il Comune di riferimento.  Inoltre perché il concorso è pensato per piccole partite di vino (minimo 1.000 massimo 50.000 bottiglie) e con un’attenzione particolare a vitigni autoctoni, anche a vini passiti, vini maturati in argilla e produzioni di qualità delle cantine sociali. Anche in questa edizione non sono state previste Medaglie di Bronzo, mentre il limite inferiore delle Medaglie d’Argento è stato innalzato dal punteggio minimo di 82 a 84,40, segno di ulteriore distinzione e qualità per i vini premiati. “La Selezione del Sindaco si conferma il primo concorso enologico internazionale organizzato in Italia – commenta Floriano Zambon, presidente di Città del Vino -. Con la realizzazione del concorso all’Aquila abbiamo voluto mantenere viva l’attenzione sulle problematiche che ancora permangono dopo il terremoto in Abruzzo e dare un segnale di come attraverso la viticoltura di qualità sia possibile rilanciare un’area con forti vocazioni anche enoturistiche. Il 4 luglio – conclude Zambon – torniamo all’Aquila per un grande evento di degustazione che consentirà al pubblico di assaggiare le 1.100 etichette partecipanti”. Dalle Città del Vino i ringraziamenti alla Regione Abruzzo, alla Camera di Commercio, al comune dell’Aquila e all’Istituto Alberghiero Leonardo da Vinci – O. Solecchi dell’Aquila per l’ottima organizzazione e l’ospitalità. Un benvenuto particolare all’Aquila che diventa Città del Vino.

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Vini al supermercato

Nes Passito di Pantelleria Dop 2013, Cantine Pellegrino 1880

(4 / 5) Natale è ormai alle porte e sulla tavola degli italiani non potrà certo mancare un passito. Sotto la lente di vinialsupermercato.it finisce quindi Nes Passito di Pantelleria Dop 2013 delle Cantine Pellegrino 1880. Si tratta di uno dei prodotti top di gamma presente sugli scaffali dei supermercati, come denota lo stesso prezzo, che supera anche di tre volte quello di altri prodotti della stessa ‘famiglia’: e lo fa a buona ragione. Il Passito di Pantelleria 2013 Nes si presenta nel calice di un giallo dorato, tendente all’ambrato. Al naso è ricco, persistente, carico. Si evidenziano in successione note di miele, frutta candita, uvetta, albicocca e pesca sciroppata. All’olfatto anche note di pera matura glassata e fichi. Il palato è altrettanto armonioso. Dolce, ma non stucchevole. Morbido, rotondo e vellutato. Ecco nuovamente le note sciroppate di albicocca e pesca, miele, pera cotta e, nel finale, l’arancia stramatura. Nes Passito di Pantelleria Dop delle Cantine Carlo Pellegrino è l’accompagnamento perfetto per i dolci da forno della tradizione natalizia, panettone e pandoro, ma anche con la pasticceria secca. Suggerito anche l’accostamento a formaggi piccanti a pasta dura, in modo da creare un coraggioso contrasto. Da provare. Nes è ottenuto mediante la vinificazione in purezza di uve Zibibbo di Pantelleria, conosciute anche come Moscato di Alessandria. La pressatura avviene in maniera delicata, a temperatura controllata. Durante questo passaggio viene aggiunta uva precedentemente lasciata ad appassire al sole. La fermentazione viene quindi interrotta a freddo. Segue il periodo di affinamento, prima in vasca e infine in bottiglia. Nes Passito di Pantelleria Dop presenta una percentuale alcolica in volume di 14,5 gradi ed è uno dei prodotti di punta della Cantina Carlo Pellegrino, giunta ormai alla sesta generazione con l’ingresso in azienda dei giovani Maria Chiara Bellina e Sebastiano Renda.

Prezzo pieno: 11,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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