Categorie
degustati da noi news news ed eventi vini#02

L’Ovada Docg e quel tentativo di somigliare al Barolo

MILANO – A distanza di quasi un anno da Vinitaly 2019, il Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg ha riproposto ieri a Milano, in collaborazione con Ais, una degustazione di annate storiche non del tutto convincente. Se è vero che il Dolcetto “invecchia” bene dalle parti di Ovada, il reiterato tentativo di “somigliare al Barolo – con vini anni 90 al limite della potabilità – rischia di adombrare le doti (eccellenti) dell’Ovada “giovane”. Confondendo ancor più i consumatori, che hanno appena iniziato a “digerire” la manovra (dialettica) dal “Dolcetto” all’“Ovada”, tout court.

Ne ha tante di cose da raccontare il vino simbolo del Monferrato Ovadese, nei suoi primi anni di vita. Viene da chiedersi a chi giovi forzare la comunicazione di un Consorzio nato nel 2013 sulle doti da maratoneta di un atleta prezioso sin dai primi cento metri della “corsa”.

La chiamano #OvadaRevolution, ma sembra più #OvadaConfusion. Una sindrome del lungo affinamento a tutti i costi propagatasi forse dai vicini di casa del Gavi Docg, che sbandierano la longevità del Cortese senza avere scorte di vecchie annate in cantina. Cui prodest?

In zona, ovvero in quella fetta di Piemonte limitata all’Alessandrino, pare avere le idee chiare più di tutti il Derthona, illuminato dal genio più rinnovabile dell’energia green di Walter Massa e dalle scelte di un Consorzio guidato quasi sottovoce – ma con grande determinazione – da Gian Paolo Repetto.

Il punto è che le vicende e le storie delle varie Denominazioni dell’Alessandrino finiscono per mescolarsi ai banchi d’assaggio, come quello allestito ieri al The Westin Palace di Milano. L’Ovada Docg e il Dolcetto d’Ovada, accanto al Gavi e al Derthona, sono pezzi dello stesso puzzle che amplificano il rumore di scelte (forse) discutibili.

Difficile trovare Dolcetti capaci di far davvero gridare al Barolo o al “Barolino”, tra le vecchie annate in degustazione. Ecco una selezione degli assaggi più convincenti tra i 27 produttori presenti alla prima milanese dell’Ovada Docg.

  1. Ovada Docg 2017 “1919”, Alvio Pestarino. Splendido frutto, freschezza balsamica, tannino di gran eleganza, gran persistenza. Un vino capace di rappresentare appieno l’eccellenza della Denominazione. Ottenuto da un “cru” aziendale, l’etichetta del giovanissimo enologo Andrea Pestarino (nella foto) celebra nel migliore dei modi i 100 anni della cantina di Capriata d’Orba (AL).
  2. Ovada Docg 2018 “Du Sü”, Tenuta La Piria. Frutti rossi (ciliegia e mora) e fiori (violetta) esplosi nel calice, per un Dolcetto dalla gran bevibilità, rinvigorita da un finale ammandorlato e vagamente salino. Colpisce per la capacità di coniugare verticalità e polpa. Altro vino simbolo della Docg.
  3. Ovada Docg 2018 “Celso”, Cascina Boccaccio. Un Ovada Docg giocato tutto sull’espressività del frutto, polposo e pieno: la leggera volatile porta al naso i profumi, senza disturbare. Tannino elegante per un vino da godere oggi, eppure di gran prospettiva.
  4. Ovada Docg Riserva 2016 “Le parole servono tanto ma il cuore fa di più”, Cascina Gentile. Giovane e bravo Daniele Oddone, che si districa tra le varie denominazioni dell’Alessandrino con risultati sempre convincenti. Sotto i riflettori, in particolare, il suo impegno a Ovada in qualità di vicepresidente del Consorzio. Gran bel frutto per una riserva versatile e dall’eccellente bevibilità, in commercio da metà marzo.
  5. Ovada Docg 2016, Castello di Tagliolo. Best of nell’utilizzo del legno per questa etichetta che coniuga una beva tonda, senza rinunciare ai piacevoli “spigoli” tipici del vitigno. Un vino che esalta il gran lavoro in vigna, assieme alla mano dell’enologo.
  6. Ovada Docg 2016, Tenuta Elena. Terreni in parte tufacei per questa etichetta, che racconta una mineralità curiosa, al naso. Sorso agile, tannino elegante e di prospettiva. Frutto e balsamicità come cifra definitiva.

UNA DENOMINAZIONE IN CRESCITA

“È la prima volta che un gruppo così numeroso di aziende esce dai ‘cortili’ per presentarsi unito a Milano – commenta il presidente del Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg, Italo Danielli, intervistato da WineMag.it – ed è proprio in città e in luoghi d’eccellenza come questo che la nostra Denominazione si vuole collocare”.

“Siamo tra i produttori dei grandi rossi piemontesi – continua il numero uno dell’ente – e vogliamo raccontarlo e ribadirlo nelle sedi opportune: oggi a Milano e presto a Vinitaly 2020. Mete importanti, che fino a poco tempo fa era difficile anche solo immaginare”.

“Il Consorzio è nato nel 2013 con 12 aziende, adesso siamo 37 e piano, piano stiamo creando una massa critica importante. I produttori stanno capendo che assieme, facendo un passo in avanti da colleghi e non da concorrenti, si possono raggiungere risultati importanti”.

Secondo i dati più aggiornati, riferiti al 2018, l’Ovada Docg ha superato quota 100 mila bottiglie. “Un numero esiguo – sottolinea Danielli – ma considerati gli imbottigliamenti del 2017, il 2018 ha registrato una crescita del 20%: numeri in controtendenza nel panorama italiano, che dimostrano quanto il territorio stia credendo nel progetto”.

Un disegno che riguarda anche la superficie vitata della Docg, oggi a quota 100 gli ettari complessivi. “Abbiamo un’opzione favorevole nell’ottica di crescita del peso specifico della Denominazione – evidenzia ancora il presidente del Consorzio – ovvero la possibilità di rivendicare la Docg sui terreni iscritti a Dolcetto d’Ovada Doc”.

Si tratta di altri 500 ettari vitati complessivi, già a disposizione dei produttori. “Ovviamente – precisa Dainelli – il disciplinare della Docg è più restrittivo e prevede, per esempio, rese massime di 70 quintali all’ettaro per il ‘base’ e 60 per la Riserva, mentre la Doc si assesta sugli 80 quintali per ettaro. Le nostre rese sono comunque attorno ai 50″.

“Raccolta delle uve, vinificazione e imbottigliamento devono avvenire all’interno del territorio della Denominazione – conclude Danielli – e non a caso stiamo puntando sul nome Ovada Docg per identificare il nostro Dolcetto: un modo per tutelare l’unicità della Denominazione, impossibile da garantire utilizzando semplicemente il nome del vitigno”.

[URIS id=45361]

Categorie
degustati da noi Gli Editoriali news news ed eventi vini#02

Grignolino e Dolcetto: dieci etichette da fare assaggiare al vostro amico enofighetto

EDITORIALE – D’accordo, avete riso? Adesso dimenticate la rima, sempre da evitare nel linguaggio giornalistico – specie nei titoli – e godetevi questa lista di dieci etichette di Grignolino e Dolcetto da far bere al vostro amico enofighetto.

Prima, però, un grazie a Go Wine, l’associazione capitanata da Massimo Corrado che ha avuto il coraggio di portare a Milano – ieri pomeriggio, all’Hotel Michelangelo – due grandi vitigni del Piemonte, mai del tutto tramontati. Dettaglio non trascurabile: sono tutte etichette dal prezzo inferiore ai 10 euro.

1) Dolcetto d’Alba Doc 2018 “Bric ‘dla Vila”, Azienda Agricola Giorgio Sobrero (Montelupo Albese, CN)
Semplicemente straordinario: l’assaggio che sbanca il tavolo. L’etichetta va sul mercato a partire dall’agosto successivo alla vendemmia, dopo una vinificazione minuziosa in acciaio e un periodo di (necessario) riposo in vetro.

Un Dolcetto giocato sulla croccantezza e l’armonia, che sfodera un tannino tipicamente langarolo. Ma coinvolge e convince già al naso, con la sua nota tipica di marasca, piccoli frutti rossi e fiori di viola mammola.

La vigna da cui prende vita è costituita da viti particolarmente vecchie e poco produttive, sul punto più alto di una collina che dà il nome all’etichetta: “Bric ‘dla Vila”. Terreni molto simili a quelli di Serralunga, e si sente. Chapeau.

2) Dolcetto d’Alba 2018, Cascina Castella di Cassino Silvio (Roddino, CN)
Macerazione a cappello sommerso per un’estrazione ottimale delle sostanze utili allo scopo, chiaro a chi assaggia: un Dolcetto che abbia corpo e struttura, ma che mantenga netta e intatta la bevibilità. Ne risulta un vino materico, giocato su precisione del frutto, freschezza e pulizia. Pregevole il finale, disteso ma asciutto.

3) Dogliani Docg 2018, Poderi Luigi Einaudi (Dogliani, CN)
Non sarà l’etichetta di punta di questa nota cantina barolista, ma avercene di vini di “seconda fascia” fatti così. Se poi si considera che di questa etichetta vengono prodotte ben 150 mila bottiglie, l’amico enofighetto dovrà farsene ancor più una ragione.

Un Dolcetto (Dogliani Docg, nel caso specifico) che si esprime in punta di fioretto, sia al naso sia al palato. Al palato predomina la nota calcarea, gessosa, essenziale, che conferisce gran finezza ed eleganza al sorso. Bella chiusura ammandorlata per questo vino che nasce dall’assemblaggio delle uve dei vigneti San Luigi, San Giacomo e Madonna delle Grazie.

4) Dolcetto d’Alba Doc 2015 “I Terrazzamenti – Vigne Eroiche”, Terrenostre (Cossano Belbo, CN)
Vino da piazzare alla cieca in una batteria di Sangiovesi, tanto per far ribaltare dalla sedia il vostro amico enofighetto. Un Dolcetto di gran struttura, che riesce a portare nel calice tutta la preziosità delle viti di 30 anni disposte su terrazzamenti, tra i muretti a secco.

Un nettare di struttura possente ma elegante, che alle note fruttate tipiche del Dolcetto (principalmente more e marasca) abbina ricordi di corteccia, goudron e inchiostro. La leggera speziatura finale (pepe nero) chiama il sorso successivo, ben amalgamata ad un accenno salino.

5) Grignolino d’Asti 2018, Fratelli Biletta – Cascina Moncucchetto (Casorzo, AT)
One shot “Grigno”. Se una sola carta da giocarvi per spiegare il Grignolino al vostro amico enofighetto, scegliete questa. Tipicità all’ennesima potenza per uno dei vini più schietti presenti al banco allestito a Milano da Go Wine.

Il “Grigno” del Grignolino si sente eccome, con tutta la sua asperità. Ma il sorso è piacevolmente riequilibrato dalla vena fruttata, di precisione commuovente. Ne risulta un assaggio più che mai centrato, asciutto, essenziale come chi parla poco, perché sa che basta guardarlo negli occhi per capire cos’ha da dire.

6) Dogliani Docg 2018 “Briccolero”, Chionetti Quinto (Dogliani, CN)
Un altro “esemplare” di Dolcetto di gran tipicità, giocato sulla precisione e croccantezza del frutto. Il tutto senza che  il tannino si vergogni di salire sul palco, evidenziando tutta la gioventù del sorso. Tra gli assaggi più preziosi dell’intero tasting, in termini di potenzialità future e valorizzazione di vitigno e terroir.

7) Ovada Docg 2018 “Du Sü”, Tenuta La Piria (Rocca Grimalda, AL)
Frutti rossi (ciliegia e mora) e fiori (violetta) ancora una volta esplosi nel calice, per un Dolcetto dalla gran bevibilità, rinvigorita da un finale ammandorlato e vagamente salino, certamente essenziale. Colpisce per la capacità di coniugare verticalità e polpa.

8) Dolcetto di Diano d’Alba Docg Sorì Pradurent Superiore 2017, Alario Claudio (Diano d’Alba, CN)
La filosofia della cantina viene premiata, in particolar modo, dal calice di questo Dolcetto: la raccolta posticipata è un rischio coi tempi che corrono, ma regala un tannino presente ma levigato e un frutto di gran pienezza, colto prima di sfociare nel marmellotoso. Il legno, in vinificazione, fa il resto. Un vino che parla di un’ottima materia prima e della sapienza di chi la lavora.

9) Grignolino d’Asti Doc 2018 “Leserre”, Caldera (Asti, AT)
Cantina alla quinta generazione e, c’è da scommetterci, il Grignolino da queste parti è sempre stato così. Del resto siamo nella patria del rosso piemontese: Portacomaro. Il calice si illumina di un rubino luminoso, dal quale si liberano delicati sentori floreali e precisi richiami di frutta rossa e nera.

Al palato scalpita, come deve fare un Grignolino d’annata. Il tannino è presente ma non disturba. Anzi, fa venire in mente modi speciali per imbrigliarlo: come abbinarci un bella frittura di pesce. Il colore, del resto, aiuta a considerare più “rosato” che rosso “Leserre”. Vino tipico e divertente.

10) Dogliani Superiore Docg 2018 “Terra”, Cantina Clavesana (Clavesana, CN)
Si conferma ad alti livelli Cantina Clavesana, realtà che come poche in Italia riesce a coniugare numeri e qualità. Succosità del frutto espressa all’ennesima potenza – tanto da toccare il frutto di bosco, oltre alla classica marasca – per un Dolcetto che non rinuncia comunque a struttura e verticalità.

[URIS id=39716]

Categorie
Approfondimenti

Anche l’Ovada Docg a “Di Gavi in Gavi” 2019


GAVI –
Ci sarà il grande rosso dell’ovadese, l’Ovada Docg da uve dolcetto, accanto al grande bianco piemontese, il Gavi Docg al Di Gavi in Gavi Festival, domenica 9 giugno. L’Ovada Docg sarà protagonista in una delle 6 corti allestite nelle vie e piazze della bella cittadina piemontese.

Il Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg si presenta compatto e agguerrito con tutte le 36 etichette in degustazione, accompagnate da panini farciti con il tipico salame della zona aromatizzato all’Ovada Docg.

L’iniziativa si inserisce nelle attività che il Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg ha previsto per celebrare il “2019 Anno del Dolcetto” decretato dalla Regione Piemonte su impulso, in primis del giovane e agguerrito Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg per riportare alla ribalta la potenzialità dello storico vitigno dolcetto, tra i più tipici del Piemonte e coltivato diffusamente in tutta la regione.

Categorie
news

L’Ovada Docg fa la “Revolution” a Vinitaly: buona la prima, in verticale dal ’91


VERONA –
C’era una volta l’Ovada Docg, vino simbolo del Piemonte “pop” e “quotidiano”. Quello che da tutti è considerato il fratello minore del Nebbiolo, assieme al cugino di Alba, ha fatto il giro largo per l’esordio a Vinitaly, in occasione dell’edizione 2019 che si chiude oggi a Verona. La rampa di lancio per quella che viene definita Ovada Revolution.

Uno sbarco in carrozza nel padiglione del Piemonte, con una verticale-orizzontale dal 1991 al 2017 organizzata dal Consorzio di Tutela costituitosi solo nel 2013, presieduto da Italo Danielli e dal suo giovane vice, Daniele Oddone.

Già, perché l’Ovada Docg è una principessa che ha perso la scarpetta per strada. Ma che, pur scalza, ha saputo ritrovare la via maestra. Merito soprattutto di un ricambio generazionale che sta portando la luce del rinnovamento sulla Docg ovadese, spinta anche dalla scelta di Regione Piemonte di indicare il 2019 quale “Anno del Dolcetto“.

Un vino prodotto in 22 comuni collinari dell’Alto Monferrato Ovadese e negli immediati dintorni. Siamo tra Acqui e Gavi, in quel lembo di terra che dagli Appennini scivola verso la valle del Po, ad un’altitudine compresa tra i 200 e i 400 metri sul livello del mare (massimo ammesso dal disciplinare 600 metri).

Una Denominazione di origine controllata e garantita che conta una produzione annua complessiva di circa 100 mila bottiglie. Crescita a doppia cifra nell’ultimo biennio, con percentuali superiori al 20%. Un vino che trova in Italia il suo mercato fertile. Resta nel Bel Paese il 90% della produzione.

L’export, di fatto, è tra le sfide del futuro per la cinquantina di  aziende produttrici (dato 2018), il 70% delle quali associate al Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg, per un totale di 110 ettari vitati. La maggior parte delle cantine è a conduzione famigliare ed esegue internamente le fasi di produzione, vinificazione e imbottigliamento.

Le specifiche caratteristiche dei terroir dell’Ovadese e il particolare microclima della zona danno vita a un vino di notevole struttura, caratterizzato da robustezza e forza, in un mix di alcol, tannini e acidità. Un vino dal sapore generalmente concentrato e persistente.

L’abbondante carica antocianica garantisce una spiccata attitudine all’invecchiamento di questa Denominazione piemontese. Non di rado completa il quadro organolettico dell’Ovada Docg una mineralità sapida, per via del vento marino che soffia dalla Liguria attraverso i filari.

GLI INTERVENTI A VINITALY

“E’ un momento particolarissimo per il nostro territorio – ha sottolineato il presidente del Consorzio Italo Danielli – c’è tantissima emozione. Siamo certi di avere potenzialità incredibili nel nostro territorio. Dimostreremo che l’Ovada Docg non è una meteora, bensì un vino che è lì dalla notte dei tempi”.

Lo abbiamo perso per qualche anno – ha aggiunto Danielli – per colpa nostra. Ma adesso c’è un gruppo di persone che ha riconquistato l’entusiasmo e per raccontare con orgoglio quello che siamo e possiamo fare”.

“Ovada era forse la zona più vocata per il Dolcetto, in Piemonte – ha evidenziato Filippo Mobrici, presidente di Piemonte Land of Perfection, la Scarl che riunisce i Consorzi di tutela del vino del Piemonte – ma piano, piano ci siamo dimenticati tutti quanti di questo grande vitigno che ha rappresentato la storia del Piemonte vitivinicolo. A tavola il vino più bevuto era il Dolcetto, assieme alla Barbera. I vini quotidiani”.

“Il fatto che i produttori di Ovada abbiano deciso di prendere in mano il loro destino andando in giro a proporsi senza sentirsi gli ultimi – ha aggiunto Mobrici – dimostra il rinnovato orgoglio per le proprie radici e per il proprio territorio. Senza Dolcetto e senza Barbera nemmeno il Nebbiolo avrebbe fatto la sua strada”.

A Vinitaly anche Gianfranco Comaschi, presidente dell’Associazione Paesaggi vitivinicoli dell’Unesco. Una presenza utile a sottolineare il risultato ottenuto in seguito al Forum culturale Italia-Cina del 2017.

Nei giorni scorsi è stato infatti concretizzato il gemellaggio tra i paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato e i terrazzamenti di Honghe Hani, nella regione dello Yunnan in Cina. “Il ruolo del Dolcetto è importantissimo – ha commentato Comaschi – per la sua centralità nella storia della produzione del vino in Piemonte”.

Mario Arosio, presidente Enoteca Regionale di Ovada e Monferrato, ha evidenziato la compattezza del gruppo di produttori che sta animando la Ovada Revolution: “Oggi ho visto molti vignaioli qui a Vinitaly, partiti appositamente da Ovada per venire a Verona, pur non avendo uno stand. Significa che il territorio ha voglia di stare assieme e di fare squadra: questa è la strada maestra che ci porterà lontano”.

“Il bicchiere è pieno, o quantomeno si sta riempiendo. Per Ovada questo è un punto di partenza”, ha confermato il vicepresidente del Consorzio, Daniele Oddone, prima dell’inizio della verticale orizzontale alla cieca (i produttori non sono stati appositamente resi noti) guidata dal sommelier Ais Piemonte Paolo Novara. Ecco come è andata.

LA DEGUSTAZIONE

2017
. L’annata in commercio. Rosso rubino, riflessi violacei. Naso di frutta rossa fresca, ciliegia, lamponi, poi corrispondenti in centro bocca, assieme al carattere tipicamente vinoso del Dolcetto. Tannino e sapidità controbilanciano, prima della chiusura, un alcol importante. Vino contraddistinto da un’acidità spinta e da una gran freschezza.

2016. Vino più violaceo, più profondo. In bocca meno spinta fruttata e ancor più verticalità e freschezza, opltre al consueto slancio vinoso. Tannino che taglia il sorso, che chiude appunto su una leggera nota amaricante. Giovanissimo, ma fa presagire un ottimo futuro.

2011. Rosso rubino, intenso. Al naso mostra sentori evolutivi, di terziarizzazione. Frutto maturo, ciliegie e prugne, ma anche fiori appassiti e una leggera spezia. Sbuffi balsamici. In bocca gran consistenza, tannino un po’ troppo invadente, ma ancora una volta l’alcol ci gioca bene sopra, bilanciandolo. Un vino che si rivela giovanissimo e con ottime prospettive di un positivo affinamento.

2004. Il vino più sorprendente del tasting organizzato dal Consorzio dell’Ovada Docg. Un Dolcetto dal colore rosso rubino scarico, tendente al granato, mediamente trasparente. Naso che evidenzia l’evoluzione: chiodo di garofano, pepe bianco, confettura, buccia d’arancia. In bocca la frutta si perde in maniera voluttuosa nel tannino, nella freschezza e nella spinta minerale salina. Un vino tattile, nel pieno della sua maturità, che può ancora migliorare.

1998. Granato trasparente. Vino che mostra la sua evoluzione al naso, con la frutta che lascia spazio a percezioni di tabacco e liquirizia dolce, cioccolato, spezia dolce, su sfumature ematiche nette, ferrose. E la frutta c’è ancora, ma sotto spirito. In bocca il tannino è dolce e fa il paio col calore glicerico. La chiusura è tendente all’amaro, che ricorda le erbe macerate e la china.

1991. Granato classico. Naso tra l’ematico e il frutto, con prevalenza di terziari di caffè, tabacco, di liquirizia dolce, ma anche di cereali. Al palato meno piacevole, con la percezione ematica che prende il sopravvento in centro bocca, complicata dal tannino. Meglio il retro olfattivo, tra il balsamico e il frutto sotto spirito.

[URIS id=31929]

Exit mobile version