(4,5 / 5) Il Chianti Docg 2015 dell’Azienda Agricola Piandaccoli entra di diritto tra i portabandiera della Toscana al supermercato.
Sempre più difficile trovare “toscani” di qualità, senza spendere una fortuna. Questo rosso si inserisce nel solco. Coniugando qualità e prezzo in maniera esemplare.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Chianti Docg 2015 di Piandaccoli si presenta di un rosso rubino poco trasparente. Un colore che ne sintetizza l’essenza profonda, fatta di un’eleganza tutt’altro che ostentata. Anzi, da scoprire pian piano: come quella delle donne che non amano concedersi al primo “sorso”.
Al naso, le prime olfazioni rimandano dritto al Sangiovese e alle sue note, tipiche, di viola mammola. Poi prendono la scena i frutti di bosco, su un sottofondo a metà tra il vinoso e la soluzione salina: amarena, more, mirtilli, ciliegie.
Timidi quelli che potrebbero sembrare i “terziari” (ma questo Chianti non fa legno), coperti dalla frutta: una spruzzata di zafferano, leggera, e una nuvola di fumo dolce, quando il nettare si è ormai ben ossigenato nel calice. Assieme a richiami di macchia mediterranea, che ricordano l’alloro.
Nel frattempo lo hai già assaggiato, almeno un paio di volte. Ingresso nuovamente a metà tra il fruttato e il minerale “salato” per il Chianti 2015 di Piandaccoli. Bella pienezza offerta dalle note di frutti di bosco, a braccetto con la percezione alcolica (13%). La sensazione è quella della frutta sotto spirito. Eterea, anche se si tratta di un vino – tutto sommato – giovane.
Il tannino è morbido, ben arrotondato e levigato. Mostra ancora qualche riflesso adolescenziale in chiusura, in un retro olfattivo sufficientemente persistente, dominato dalla frutta.
Un Chianti, il Piandaccoli 2015, criticabile solo per la mancanza di una spalla acida degna del resto dei descrittori. Un vino, dunque, pensato per un consumo precoce, piuttosto che per l’affinamento. Ad oggi, il perfetto accompagnamento per piatti a base di carne rossa, nonché di primi al ragù.
LA VINIFICAZIONE
Il Sangiovese coltivato nelle tenute Piandaccoli si caratterizzano per grappoli di grandezza media-grossa con una o due ali, acini sub rotondi, quasi ellissoidali, e buccia pruinosa e sottile, dal peso medio di 300 grammi.
La vendemmia avviene manualmente, sulla base di un’accurata scelta dei grappoli. L’obiettivo è quello di portare in cantina “solo frutti perfettamente sani e maturi”. Le uve raccolte vengono poste in cassette da 13-14 kg ciascuna, per evitare l’avvio di indesiderate fermentazioni. Le caste vengono poi collocate in un camion frigo.
Un accorgimento necessario, dal momento che la cantina è distante circa 20 chilometri dalle vigne Piandaccoli. Una volta giunti nella struttura, i grappoli vengono sottoposti a un’ulteriore scrupolosa diraspatura, durante la quale vengono eliminati eventuali acini difettati.
La cantina in cui avviene la vinificazione è dotata delle più avanzante tecnologie. Il Chianti Docg di Piandaccoli matura generalmente in solo acciaio per 12 mesi, a cui fa seguito un affinamento in bottiglia di 3-4 mesi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Torniamo ancora una volta sullo scaffale dei vini bianchi per pescare, tra le referenze della regione Marche, un’altra espressione del suo vitigno simbolo.
Finisce così sotto la nostra lente di ingrandimento il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc vendemmia 2016 prodotto dall’azienda Santa Barbara di Stefano Antonucci.
Fondata nel 1984, con l’obiettivo di produrre vini per bevitori, per amanti del vino, la storia di Stefano Antonucci parte da un invidiabile impiego in banca che non lo appaga più e arriva ad un cantina da 900 mila bottiglie con vini serviti in prima classe sui voli internazionali Bristish Airways. Il “posto fisso” Antonucci lo voleva nel cuore delle persone (con i suoi vini) come canta Marracash.
LA DEGUSTAZIONE Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc 2016 prodotto da Santa Barbara si presenta nel calice limpido e trasparente. Al naso è delicato, con profumi leggeri di frutta a polpa gialla e accenni floreali.
In bocca l’assaggio è morbido, giocato su note agrumate e rimandi di ananas. Fresco e sapido, nella sua semplicità e nel suo equilibrio si fa apprezzare stuzzicando la beva col suo piglio sapido. Perfetto con uno spaghettino alle vongole si accosta in generale al pescato. Da provare anche con la pizza ai formaggi.
LA VINIFICAZIONE Prodotto con uve Verdicchio da vigneti che si trovano su terreni tufacei sabbiosi a 250 mt s.l.m allevati col sistema del controspalliera capovolto. La vinificazione è tradizionale in bianco, in serbatoi d’acciaio a temperatura controllata con una durata media di due settimane e ausilio di lieviti selezionati.
La cantina di Santa Barbara si divide tra due anime: una parte moderna con cisterne d’acciao e cemento termocontrollate e la barricaia, all’interno dell’ex monastero del borgo.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Il Pinot Grigio (Pinot Gris) è una mutazione del più celebre Pinot Noir, da cui eredita la capacità di stupire per finezza e profondità olfattiva.
Lo si trova prevalentemente in Alsazia (fino al 1984 chiamato Tokay d’Alsace), in Italia (Alto Adige, Friuli e Veneto soprattutto) e in Germania (Grauburgunder se secco o Ruländer nelle versioni dolci), anche se negli ultimi anni si sta diffondendo (evviva!) anche in Nuova Zelanda, Argentina e California.
Basta uno sguardo per notare la decisa consistenza di questo Unterebner, che si presenta giallo paglierino brillante e luminoso. Il naso è intenso, di grande complessità e finezza. Si parte con le note fruttate di pera, pesca e agrume leggero.
Con un po’ di pazienza arrivano spezie dolci, in particolare vaniglia, e poi camomilla e fieno caldo. Infine, come a benedire il sorso, una nota balsamica di tè e incenso.
L’ingresso in bocca è potente, caldo, di grande struttura ed equilibrio. Morbido e succulento, conserva grande piacevolezza grazie soprattutto alla sapidità. Lunghissimo, lascia la bocca pulita e calda, e torna il tè. Davvero difficile non finire la bottiglia una volta iniziata.
LA VINIFICAZIONE
L’uva raccolta interamente a mano svolge la sua fermentazione in botti di legno e parzialmente in tonneaux, dove avviene anche la fermentazione malolattica. Affina in grandi botti e in parte in tonneaux, sempre a contatto con i lieviti, fino ad agosto e riposa in bottiglia altri 4 mesi almeno prima della commercializzazione.
Tramin è una delle più antiche cantine sociali dell’Alto Adige, con sede a Termeno, sulla strada del vino, meta obbligata di ogni winelover che si rispetti! Proprietari della cantina sono 300 contadini viticultori che lavorano la terra nelle microzone di Termeno, Ora, Egna e Montagna su una superficie totale di circa 260 ettari, 15 dei quali sono oggi coltivati secondo i disciplinari biologici e biodinamici.
Tutti i vini top di gamma della cantina, quindi anche l’Unterebner, provengono da terreni nei quali, dal 2007, non viene utilizzato alcun diserbante, e la mission aziendale è quella di estendere l’abolizione degli erbicidi a tutti i 260 ettari di coltivazione.
Un progetto ambizioso che che ci auguriamo possa prendere forma al più presto per fare di Tramin davvero un “laboratorio permanente di viticoltura illuminata”.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(4 / 5) Sotto la lente di vinialsuper il Pecorino Terre di Chieti Igt 2016 Val di Fara di cantine Spinelli, già affrontata per la recensione del rosso Montepulciano.
Un’azienda nata nel 1973 grazie a Vincenzo Spinelli, oggi nelle mani dei figli Carlo e Adriano. Attualmente i volumi produttivi si attestano attorno ai 5 milioni di bottiglie.
La zona di produzione è l’Abruzzo, nel cuore della provincia di Chieti, tra il massiccio della Maiella e il mare Adriatico. Un territorio particolarmente vocato alla coltivazione della vite. Cinquanta gli ettari di proprietà di cantine Spinelli, che può anche contare su 30 in affitto.
LA DEGUSTAZIONE Nel calice, Pecorino Terre di Chieti Igt Val di Fara 2016 si presenta di un giallo paglierino brillante e abbastanza consistente. Al naso è intenso e complesso, con un bouquet che spazia dalla frutta esotica matura (ananas) alla pesca a polpa bianca, passando per i fiori gialli come la mimosa.
Al gusto, il Pecorino Igt di cantine Spinelli si rivela caldo, morbido, ma con una piacevole freschezza nel finale. Un vino abbastanza persistente che potremmo definire “pronto”: capace dunque di evolversi ulteriormente in bottiglia. Ottimo come aperitivo, si abbina bene con tutta la cucina a base di pesce, pietanze delicate a base di carne e verdure con cotture semplici.
LA VINIFICAZIONE Pecorino in purezza, vitigno autoctono abruzzese, coltivato in terreni collinari di tipo argilloso e calcareo, con altitudine media di 250 metri. Dopo una breve macerazione a freddo del mosto, si procede con la pigiatura soffice e la fermentazione a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox. La commercializzazione inizia dal gennaio dell’anno successivo a quello di vinificazione.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(5 / 5) Giovane, immediato, senza eccessive pretese. Eppure contraddistinto da una precisa personalità. Così si presenta già al primo naso il Valpolicella Classico Doc 2016 di Speri Viticoltori.
LA DEGUSTAZIONE Rosso rubino intenso con riflessi violacei, limpido e trasparente. I profumi sono freschi e giovani, con una ricchezza floreale contornata da note fruttate di prugna e ciliegia.
Di medio corpo, in bocca ripropone i sentori fruttati accompagnati da un bella freschezza, che rende piuttosto facile la beva. Di persistenza sufficiente, il Valpolicella Doc Classico 2016 di Speri Viticoltori si dimostra elegante, nella sua disimpegnata giovinezza.
Perfetto l’abbinamento di questo vino rosso veneto con primi al ragù di carne e secondi come bolliti, carne alla griglia o alla brace. Grande versatilità dunque, purché la temperatura di servizio si aggiri tra i 16 e i 18 gradi.
LA VINIFICAZIONE I grappoli di Corvina veronese (60%), Rondinella (30%) e Molinara (10%) vengono raccolti a mano, tra la fine di settembre e la metà di ottobre. La pigiadiraspatura avviene subito dopa la raccolta. Fermentazione e macerazione in serbatoi d’acciaio a temperatura controllata di 20-24 gradi per 8 giorni, quindi trasferimento in vasche di cemento vetrificato per il completamento della fermentazione alcolica e malolattica. Filtrazione e imbottigliamento nel mese di febbraio.
LA CANTINA Speri Viticoltori è la storia di sette generazioni che si sono susseguite dalla metà del 1800 ad oggi. L’azienda di San Pietro in Cariano, in provincia di Verona, è passata dai pochi ettari adiacenti la casa di famiglia agli attuali 50 ettari, tutti nella zona della Valpolicella classica. Speri vinifica solo uve di proprietà coltivate con la tradizionale “pergoletta inclinata aperta”.
Rispetto dei ritmi della natura, assenza di concimi, trattamenti fitosanitari ridotti al minimo, con la convinzione che “il vino sia frutto della terra”.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(4 / 5) E’ ottenuto dall’assemblaggio di più di cento vini lo Champagne Brut Imperial di Moet & Chandon. Uno dei mostri sacri della maison francese, che è possibile reperire in tutte le maggiori catene di supermercati in Italia.
Non certo l’eccellenza assoluta tra le bollicine d’Oltralpe, pur restando nel ristretto spettro della gamma offerta dalla Gdo nostrana. Per di più a un prezzo fuori dalla portata di molti.
L’Imperial di Moet & Chandon è comunque un ottimo Champagne “base”. L’antipasto di un mondo tutto da scoprire e approfondire. Ecco motivato il giudizio di 4 cestelli della spesa su 5.
LA DEGUSTAZIONE Di limpidezza cristallina, questo Champagne presenta una veste dorata luminosa, con riflessi verdolini. Perlage di grana fine e di buona persistenza. Al naso evidenti richiami alla mela verde e al lime fanno da contraltare alle classiche note di lievito (brioche) e di noci. Spazio anche per una componente minerale non indifferente, che sembra voler mostrare i muscoli davanti a un bouquet di fiori bianchi freschi.
Al palato, lo spettro fruttato si allarga. Mela e limone si mescolano alla morbidezza della pesca bianca e della pera. L’acidità, piuttosto spiccata nelle sue reminiscenze di ribes, è ben equilibrata col resto delle percezioni. La mineralità avvertita al naso si fa soffice, sotto al velo di un dosaggio zuccherino ben calibrato. Obiettivo centrato, per Moet Chandon. La vera vittoria è la facilità di beva di uno Champagne Brut che di “Imperial” ha più il nome che la struttura imponente.
Più che versatile l’abbinamento di questo sparkling wine francese con la tavola. Perfetto per annaffiare le chiacchiere tra amici, come aperitivo “di classe”, accompagna bene il pescato crudo, dalle ostriche ai tipici tagli da sushi (salmone, branzino, tonno). Buono anche con le carni bianche come il pollo, purché non sia troppo speziato.
LA VINIFICAZIONE
Lo Champagne Brut Imperial di Moet & Chandon è ottenuto – come da tradizione – in percentuali variabili dal blend tra uve Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay. Si va dal 30 al 40% dei Pinot Noir e Meunier al 20-30% di Chardonnay.
“Dosi” che cambiano, per garantire di anno in anno il medesimo risultato al consumatore. Concorrono all’assemblaggio, come anticipato, più di cento vini, con un 20-30% di utilizzo di vini di riserva. Moet & Chandon produce questo Champagne, sua vera icona, dal 1869.
Si tratta della maison che detiene, da sola, la parte più vasta dell’intero territorio della Champagne. Per l’esattezza 1150 ettari vitati, la metà dei quali godono dell’appellazione “Grand cru” e il 25% della “Premier cru”.
Vigneti dislocati dalla Montagne de Reims alla Côte des Blancs, dalla Vallée de la Marne a Sézanne e Aube. Per un totale di 200 dei 323 “cru” nella regione (17 Grand cru e 32 dei 44 Premier cru).
Prezzo: 28/32 euro
Acquistabile presso: maggiori catene Gdo
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(5 / 5) Preziosa etichetta quella che la catena di supermercati Il Gigante ha “in carta” ormai da diversi anni. Parliamo del Pomino Bianco Doc Frescobaldi, da qualche mese reperibile anche nelle “enoteche” dei punti vendita Esselunga più “attrezzati”.
LA DEGUSTAZIONE
Di un giallo paglierino carico con vaghi (ma accesi) riflessi verdolini, Pomino è uno di quei vini che invogliano la beva, già dal colore. Al naso sentori di frutta esotica (banana e papaya su tutti), ma anche di mela cotogna e agrumi come il cedro.
Conferiscono freschezza i richiami ai fiori di gelsomino e biancospino. Non manca una vena più “austera”, che ricorda la nocciola. Profumi che si rincorrono nel calice. Un’analisi olfattiva da promuovere a pieni voti per la finezza che è capace di esprimere.
Al palato, il Pomino Bianco Doc Frescobaldi conferma le attese e rincara la dose con la consueta eleganza. Sapidità e acidità molto ben bilanciate: una “salinità” che sboccia subito, in ingresso, per lasciare poi spazio a un sottofondo fruttato finissimo, esotico.
Il fin di bocca, leggermente amarognolo, completa una beva raffinatissima. Perfetto come aperitivo d’eccezione, questo vino bianco della cantina toscana Frescobaldi si abbina a piatti a base di verdure e pesce, non troppo elaborati.
LA VINIFICAZIONE
Il Pomino Bianco Doc Castello di Pomino Frescobaldi è prodotto in una delle zone della Toscane più vocate alla coltivazione delle varietà di uva a bacca bianca. Si ottiene dal blend di Chardonnay e Pinot Bianco, completato da altre varietà complementari.
I vigneti si trovano a un’altitudine di 700 metri sul livello del mare. La tecnica di vinificazione è particolare. La fermentazione di gran parte del mosto avviene in serbatoi di acciaio inox. Un’altra porzione fermenta invece in barrique, dove si svolge anche la malolattica, ovvero la trasformazione dell’acido malico in acido lattico, utile a conferire tinte più “morbide” al nettare.
Anche l’affinamento avviene in acciaio, per una durata complessiva di quattro mesi. Prima di essere messo in commercio, il vino affina in bottiglia per un altro mese.
Il Pomino Bianco Doc di Frescobaldi prende il nome dal Castello di Pomino. Una splendida tenuta della famiglia dei Marchesi de’ Frescobaldi, nel cuore della campagna fiorentina. Vigneti che si arrampicano fino a un’altitudine di 700 metri sul livello del mare, strappati a un bosco di sequoie, abeti e castagni.
Prezzo: 8,49 euro
Acquistato presso: Il Gigante / Esselunga
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Utilizzare l’anfora, il contenitore più antico della storia dell’uomo, per affinare il vino è una pratica ormai nota ed accettata, ma utilizzarla per i distillati è possibile? E con che risultato?
Ha provato a dare una risposta la distilleria Marzadro di Nogaredo (TN) con la sua “Anfora. Grappa affinata in terracotta”, 43%.
LA DEGUSTAZIONE
Incolore, perfettamente trasparente e brillante. Intensa e pulita al naso, emergono da subito note di erba tagliata e un bel bouquet floreale, con sentori di calendula in primo piano. Più in profondità si colgono profumi fruttati sia di frutti a polpa bianca sia di piccoli frutti rossi.
In bocca, la grappa affinata in terracotta “Anfora” delle distillerie Marzadro, entra morbida. L’alcolicità è presente ma non fastidiosa, ben integrata nel corpo vellutato della grappa. Una leggera dolcezza iniziale che lascia subito spazio a tutti i profumi sentiti al naso, che si percepiscono chiaramente nel retronasale. Piena ed armonica, chiude con una leggera nota amaricante ed una lunga persistenza.
LA PRODUZIONE
Sul collo della bottiglia è apposta la fascetta con il marchio “Trentino Grappa”, rilasciato dall’Istituto Tutela Grappa del Trentino, che certifica l’utilizzo di solo vinacce della provincia per “offrire al consumatore la garanzia di una qualità certificata dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, attraverso analisi di laboratorio, e della Camera di Commercio di Trento presso la quale è operante una commissione per l’analisi organolettica”.
Una grappa al 100% figlia del territorio, quindi, per la quale viene utilizzato un blend di uve: 80% da vitigni a bacca rossa (Teroldego, Marzemino, Merlot) e 20% a bacca bianca (Chardonnay, Müller Thurgau, Moscato). Base molto simile a quella di un grande classico di casa Marzadro, la “Diciotto Lune”.
Come per tutte le grappe di Marzadro, la distillazione avviene solo nei cento giorni fra settembre e l’inizio del mese di dicembre, con vinacce fresche di spremitura. La distillazione segue i canoni della tradizione, con alambicco discontinuo a bagnomaria. Alambicchi in rame costruiti artigianalmente ma dotati di controlli computerizzati per impedire sbalzi di temperatura e salvaguardare gli aromi, la fragranza e la morbidezza tipici della grappa trentina. Artigianalità e tecnologia a braccetto.
La grappa riposa per minimo 10 mesi in anfore da 300 litri, realizzate con creta e argilla, che giungono da Montelupo e da Impruneta, località toscane note fin dal Medioevo per la lavorazione della terracotta.
Queste anfore garantiscono una micro ossigenazione doppia rispetto a quella che avviene con l’uso della botte. La grappa si arricchisce in eleganza e morbidezza, regalando così le caratteristiche tipiche dell’invecchiamento senza però ricevere profumi, sapori e colore dal legno.
LA DISTILLERIA
Nata sul finire degli anni ’40 a Brancolino (TN) per volere dei fratelli Sabina ed Attilio Marzadro, la distilleria si contraddistinse subito per la qualità della propria produzione e negli anni ’50 e ’60 divenne sinonimo stesso di “grappa trentina”.
Dall’introduzione nel 1975 della prima grappa da monovitigno autoctono trentino (il Marzemino) l’azienda è cresciuta costantemente, con nuovi alambicchi negli anni ’80 ed i primi distillati di frutta, fino alla realizzazione della nuova e moderna sede di Nogaredo (ad 1 Km da dove nacque) nel 2004.
Giunta alla terza generazione, Marzadro oggi offre 46 etichette di grappa differenti (fra bianche, affinate, monovitigno ed aromatizzate) e 28 etichette di liquori, coniugando una capacità produttiva industriale con l’attenzione artigianale, utilizzando quasi esclusivamente materie prime del territorio.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Più di 200 persone a Bellazoia (UD), sui colli orientali del Friuli, per l’inaugurazione dell’azienda agricola Tenimenti Civa. Una cantina proiettata principalmente sul mercato della grande distribuzione organizzata, i supermercati. Quarantatré ettari per 350 mila bottiglie annue, la capacità del sito produttivo.
In particolare è sulla valorizzazione in Gdo della Ribolla Gialla, “volano per far tornare in auge il Friuli vitivinicolo”, che punta il titolare Valerio Civa. Andrea Romito, sindaco di Povoletto, ha dichiarato come questa nuova realtà rappresenti una “spinta per il territorio a realizzare qualcosa di innovativo”.
“La grande sfida – ha dichiarato Civa – nasce dalla passione nei confronti del vino. Vino che viene venduto attraverso la distribuzione moderna, ovvero i supermercati, che richiedono sempre più prodotti di alta qualità. Non dimentichiamo che l’80% delle bottiglie prodotte in Italia sono vendute attraverso la Gdo. Il mio progetto agricolo è dedicato ai consumatori che sono e saranno molto attenti a ciò che vorranno bere e mangiare”.
I COMMENTI
“Un grazie a Valerio Civa per aver riportato l’interesse sulla ribolla gialla – ha affermato Ernesto Abbona, neo presidente dell’Unione Italiana Vini e titolare della Cantina Marchesi di Barolo – un vitigno con un nome curioso e bello. Spesso dimentichiamo che la nostra storia deve essere raccontata al mercato e se questo avviene attraverso un nome così musicale e suadente tutto è più facile”.
“Ho sempre ammirato in Valerio – ha raccontato Antonio Rallo già presidente Uiv e titolare della cantina siciliana Donnafugata – la capacità di organizzare la propria azienda e di creare il suo team di lavoro. E’ accaduto con la Effe.ci Parma, ora sono curioso di vedere come riuscirà ad affrontare questa nuova sfida, con tutte le variabili non controllabili che comporta l’essere un produttore vitivinicolo”.
“Se un produttore emiliano ha deciso di investire nel nostro territorio – ha evidenziato Debora Serracchiani (nella foto con Valerio Civa), presidente del Friuli Venezia Giulia – significa che siamo una regione che attrae investimenti. È importante accompagnare questi sforzi per recuperare il territorio, proteggerlo, farlo conoscere, dare visibilità al Friuli Venezia Giulia. Credo che la competenza di Valerio Civa rispetto alla grande distribuzione possa essere un tassello importante che mancava nel mondo della produzione vitivinicola di questa regione”.
“Molti vini sono conosciuti a livello nazionale e internazionale – ha aggiunto Serracchiani – ma si ignorano i luoghi di produzione e raramente si sa collocare geograficamente il Friuli Venezia Giulia, che ha bisogno di darsi visibilità attraverso i propri prodotti. L’attenzione della Gdo è non solo alla qualità dei prodotti, ma anche al territorio. Questo ha permesso di far rinascere luoghi che prima erano chiusi: penso ad esempio alla latteria di Castions di Strada o al lavoro fatto sulle vongole a Marano e tante altre piccole filiere che da sole non riuscirebbero a stare sul mercato, ma spinte dalla distribuzione moderna o da chi fa questo mestiere riescono non solo a sopravvivere, ma a vivere bene”.
LA RIBOLLA GIALLA
Fede & Tinto, autori e conduttori di Decanter su Rai Radio2, moderatori e animatori della serata di inaugurazione della nuova cantina Tenimenti Civa, hanno presentato al pubblico presente Enos Costantini, esperto di viticoltura, che ha intrattenuto il pubblico con un interessante excursus storico sulla ribolla gialla.
“Il vino ha bisogno di spessore culturale – ha evidenziato Costantini – spessore che appartiene al vino friulano. Quanto è stato scritto della storia della vite e del vino in Friuli non trova pari neppure a Bordeaux o in Borgogna. Un valore aggiunto che dovremmo imparare a comunicare: 786 anni, tanti sono quelli della Ribolla. Un vitigno e un vino friulano riconsegnato alla storia, che prevedo avrà almeno altrettanti anni davanti a sé”.
Presenti all’evento anche gli assessori regionali alle Infrastrutture e territorio Mariagrazia Santoro e alle Risorse agricole e forestali Cristiani Shaurli. Quest’ultimo ha espresso soddisfazione per “un imprenditore che da subito ha dimostrato di conoscere il nostro territorio e di apprezzare i vitigni autoctoni friulani a partire dalla Ribolla gialla, sulla quale crede e che considera tra le bollicine nobili d’Italia”.
Per Shaurli l’investimento di Tenimenti Civa “rappresenta un orgoglio per tutto il territorio, anche perché questo imprenditore ha la volontà di far crescere ancora i nostri vitigni più tradizionali, quelli che rappresentano la nostra identità e quelli che non possono essere replicati altrove”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È un brand immediatamente riconoscibile sugli scaffali dei supermercati, anche dai non appassionati di birra. La gamma di Leffe è ricca e varia, vi parliamo oggi della Royale Whitbread Golding.
LA DEGUSTAZIONE Stile Belgian Strong Ale, 7,5%. Biondo dorato carico, tendente all’ambrato. Molto limpida nel bicchiere e sovrastata da un bel cappello di spuma color crema. Perlage abbastanza fine e piuttosto persistente.
Elegante al naso, di media intensità, si percepiscono sentori floreali e di frutta bianca matura, seguiti da note speziate e resinose con una punta agrumata che dona freschezza.
In bocca scopriamo una piacevole evoluzione di Leffe Royale. L’ingresso è morbido e sembra quasi prevalere la dolcezza, senza però perdere di equilibrio con l’amarezza dei luppoli e l’acidità.
Proseguendo emerge una leggera astringenza, che riporta in primo piano le note speziate. Di media persistenza, chiude ricordando sia le note fruttate che le luppolate.
Una birra elegante e pulita per chi cerca qualcosa di diverso e raffinato, senza spingersi fino alle trappiste o alle artigianali. Di corpo leggero, Leffe Royale si abbinata a piatti di pesce leggermente affumicato come il salmone, a formaggi non troppo stagionati o anche a pasticceria secca.
LEFFE Prodotta con tecnica di dry hopping (luppolatura a freddo) vengono utilizzate tre varietà di luppolo, di cui quella prevalente è il whitbread golding, coltivato nelle fiandre che è il responsabile delle note citriche e resinose.
Fondata nel 1152, l’abbazia di Notre Dame de Leffe a Leffe, oggi quartiere di Dinant in Vallonia, iniziò a produrre birra nel 1240 con lo scopo di ottenere una bevanda sana in un periodo di continue e pericolose epidemie. L’abbazia conobbe periodi di crescita e splendore fino alla rivoluzione francese durante la quale il birrificio venne distrutto.
La produzione di birra ripartì solo nel 1952 grazie alla collaborazione con un birrificio di Bruxelles, birrificio successivamente acquisito dalla multinazionale AB InBev (leader mondiale della produzione di birra). Seppur non più prodotte nel monastero le birre Leffe mantengono una loro precisa identità.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(4,5 / 5) Giallo paglierino lucente, con sfumature verdoline. Quante degustazioni di vino bianco iniziano così? Molte. Ma l’Umbria Igt 2016 di Cantine Bigi offre anche altro.
Un’ottima etichetta nel rapporto qualità prezzo, reperibile sugli scaffali di diversi supermercati. Tra cui Carrefour ed Esselunga.
LA DEGUSTAZIONE
Definito il colore, l’analisi si focalizza sulla parte olfattiva. Il naso della Vipra Bianca Bigi striscia, suadente, tra sentori di frutta tendente al maturo (pesca gialla, albicocca), agrumi (arancia e bergamotto) e fiori di ginestra.
La mandorla accompagna sino a richiami minerali salini, sempre più evidenti col permanere del vino nel calice. Al palato, Vipra Bianca si rivela fresca e succosa in ingresso, sfoderando poi tutta la mineralità dei vitigni con cui viene prodotta da Cantine Bigi.
Solo in apparenza sensazioni contrastanti: in realtà, il quadro è quello di una morbidezza di eleganza esemplare, vero punto forte di questo vino umbro. Un po’ come bere velluto. Corrispondenti al naso le percezioni gustative, con la frutta a polpa gialla e la mandorla di nuovo evidenti (quest’ultima, in particolar modo, nel retro olfattivo).
Vipra Bianca 2016 di Cantine Bigi è un ottimo vino da aperitivo, abbinabile alla perfezione con salumi, primi piatti a base di pesce, nonché carni bianche e formaggi non stagionati.
LA VINIFICAZIONE
Vipra Bianca è un blend costituito per il 60% da uve Grechetto e per il 40% da Chardonnay, principale “responsabile” della parte ammandorlata sopra descritta. Le vigne si trovano a 300 metri di altitudine, nel circondario di Orvieto.
Vigne che vengono selezionate di anno in anno tra quelle con esposizione a Sud-Ovest. Densità di 4.500 piante per ettaro per le viti, allevate a cordone speronato e Guyot su terreni di natura argilloso sassosa. La resa in vino è di 56 ettolitri per ettaro.
Giunte in cantina, le uve Grechetto e Chardonnay fermentano in acciaio, per tre settimane su lieviti selezionati, a una temperatura di 14-16 gradi. Segue un ulteriore affinamento in acciaio di 5 mesi, prima dell’imbottigliamento.
La vendemmia 2016 ha segnato per Cantine Bigi (oggi parte integrante di Giv, Gruppo italiano vini) i 10 anni dall’inizio della produzione di Vipra Bianca.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5) Non tutti gli studiosi sono d’accordo sull’origine della parola Arneis. C’è chi la fa risalire a Renexij, antico nome della località Renesio di Canale. Chi alla parola dialettale piemontese arneis (“indumento”, “veste”).
In seguito arneis ha assunto anche il significato di arnese, attrezzo, e da arneis derivano anche espressioni come mal an arneis, “male in arnese”, ovvero “mal vestito”, “mal equipaggiato”.
LA DEGUSTAZIONE L’Arneis di Enrico Serafino è di un bel giallo paglierino con riflessi verdolini, cristallino, vivo. Il naso è semplice, fruttato e floreale avvolto in una nota agrumata, delicato e fine. Se i profumi mancano di un po’ di intensità, la stessa cosa non si può dire del sapore. In bocca entra deciso, caldo, morbido, succoso e di buon corpo.
Si consiglia di berlo a una temperatura non superiore agli 8-10 gradi, per smorzare la nota alcolica leggermente sopra le righe. Nel complesso è un vino semplice ma assolutamente godibile, che potrebbe accompagnare molto bene dei ravioli di magro conditi con burro e salvia.
LA VINIFICAZIONE
Dopo la spremitura soffice delle uve (100% arneis), la fermentazione avviene in vasche d’acciaio inox a temperatura controllata. Anche l’affinamento avviene esclusivamente in vasche d’acciaio. I vini della cantina Enrico Serafino, nata nel lontano 1878, sono divisi tra “Cantina Maestra”, “Vini classici” e spumanti.
Caratteristica che accomuna tutti i vini classici, di cui fa parte questo Arneis, è la bottiglia dalla forma inusuale, via di mezzo tra la classica albesia delle Langhe, e l’anfora di Provenza. Un tocco in più di originalità sulla tavola.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Ci sono diversi modi per approcciare i vini e le cantine. Fiere, guide, degustazioni, blog o siti specializzati fra cui ovviamente vinialsuper, passaparola, supermercati, enoteche.
Stavolta il contatto passa da un regalo. Una bottiglia “sconosciuta’’ acquistata in Gdo omaggiata in un cesto di benvenuto nelle Marche: Ribona Le Grane annata 2015, dell’azienda agricola Boccadigabbia.
L’idea iniziale è di recensirla nella categoria Recensioni Supermercatodel sito. Contattiamo la cantina per avere informazioni sul vino, sulla vinificazione, sulla distribuzione.
Pochi giorni dopo, Elvidio Alessandri, istrionico titolare di Boccadigabbia, telefona incuriosito e ci invita direttamente in cantina per spiegarci la sua Ribona (e non solo).
Lo raggiungiamo nella sua tenuta. Siamo a Civitanova Marche, in contrada Castelletta di Fontespina, a poche centinaia di metri dal mare. Elvidio ci attende e ci apre le porte della cantina invasa dai gas di fermentazione. “Non sto a spiegarvi come funziona perché sicuramente lo sapete”, esordisce mostrando subito il suo piglio pragmatico.
Un rapido giro alla bottaia, anche per prendere un po’ di fresco. Il soffitto è tutto in rame. Elvidio ci confessa di averlo scelto come materiale per la sua bellezza. Pragmatico ed esteta. Ci piace.
LA STORIA DI BOCCADIGABBIA Di proprietà di un discendente di Napoleone Bonaparte, Boccadigabbia è stata acquistata dal padre di Elvidio nel 1956. Per i primi anni di attività, espiantati tutti i vitigni internazionali, l’azienda si dedica a produzioni massive di uva destinata a vini da tavola, con rese per ettaro che, a detta di Elvidio, oggi non fanno la sommatoria delle rese di tutti i singoli vini.
Negli anni Ottanta lo scettro passa di padre in figlio. Elvidio decide di reimpiantare i vitigni francesi coltivati nel passato come Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Nero, Chardonnay, oltre a vitigni locali. Negli anni novanta arrivano le prime grandi soddisfazioni.
Akronte, Cabernet Sauvignon in purezza in gamma ancora oggi, tra il 1992 e il 1998 guadagna ben sei volte gli ambiti Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Le vendite decollano all’estero, dove i vini di Boccadigabbia sono presenti nei menù di grandi nomi della ristorazione newyorkese. Nel 1996 la famiglia Alessandri acquista anche la Tenuta Villamagna Floriani, vicino a Macerata, dove oggi si coltivano Montepulciano, Sangiovese e Ribona.
Un ciclo di anni positivi cui segue un capitolo discendente, per vari motivi. Un mercato dei vini “drogato” dai premi e dalle guide. A farne le spese anche aziende che, pensando di essere “arrivate” si sovraespongono in termini di investimenti.
“Del vino – continua Elvidio – si è cominciato a parlare troppo e questo è stato un fattore determinante: l’inizio della fine”. Ma nei primi anni Duemila il mercato proiettato su vini rossi strutturati, pane quotidiano di Boccadigabbia, vira improvvisamente.
“Facevo un Chardonnay barricato, il Lamperti. Allora ti picchiavano se dicevi che facevi il vino in barrique: io non bevo il vino del falegname, dicevano’’.
“C’è stato un calo clamoroso dei vini barricati, però il mio enologo Emiliano Falsini, l’anno scorso mi ha proposto di rifarlo. E così abbiamo fatto”. In legno sta tre o quattro mesi, fa tutta la fermentazione e poi rimane ad affinare per un po’ di tempo, senza assorbire troppo il sentore di legno grazie alle barrique nuove piegate a bagno in acqua calda”.
La fase calante di Boccadigabbia passa tra le nuove tendenze dei consumi e i meccanismi del nascente ‘”sistema vino”. “Ho fatto un passo indietro quando ho visto che cominciavano ad arrivare i falchi. Non mi è piaciuto più. Non ho seguito più la produzione, non avevo più un pr, non andavo più alle degustazioni. Era diventato un giro un po’ particolare. Tra il 2000 e il 2010 sono cresciute le guide, gli eno-giornalisti di tutti i tipi, ti chiedevano, ti promettevano, non si capiva…e allora mi sono scansato da una parte”, racconta Elvidio con amarezza.
Come scriveva Antoine de Saint-Exupéry, per ogni fine c’è un nuovo inizio. Elvidio è il pilota e il Piccolo Principe al tempo stesso. La rosa da curare è Boccadigabbia. Elvidio capisce che inizia la riscoperta dei vitigni autoctoni. E lui i vitigni autoctoni li alleva. E’ l’incipit di un nuovo capitolo, scritto anche grazie all’ingresso di Lorenzo, suo figlio, e di nuovi preziosi collaboratori. Da qualche tempo è cominciata una nuova era.
LA DEGUSTAZIONE
Partiamo naturalmente dalla Ribona, il vino del “risorgimento” di Boccadigabbia. Precursore del Verdicchio, qualcuno la definisce la sorella maggiore. In passato veniva chiamata Verdicchio marino. Le Grane 2015, ha ricevuto i 91 punti da Ian D’Agata e le “5 Star Vinitaly”. Sul tavolo del salone degustazione però ce ne sono due diverse, entrambe annata 2016: Ribona dei Colli Maceratesi e Le Grane 2016.
La Ribona Colli Maceratesi Doc è una Ribona tout court, vinificata in acciaio con un po’ di macerazione a freddo fatta inizialmente col ghiaccio. La Ribona Le Grane, invece, proviene da uve selezionate sottoposte a doppia fermentazione per aggiungere corpo a un vitigno che non dà molta consistenza.
“Idea nata da un dialogo con un contadino, tra il 2006 ed il 2007”, spiega Elvidio Alessandri. Gli acini diraspari, leggermente surmaturi, vengono aggiunti al mosto per far rifermentare il vino. Al naso entrambi i vini hanno sentori vegetali come il Sauvignon. La salvia, su tutti. Al palato sono estremamente minerali, freschi e con una sapidità marcata. Degustati in sequenza, la differenza di corpo non è così netta.
A Elvidio Alessandri, uomo di cultura sopraffina, il bouquet della Ribona ricorda un profumo degli anni 70, di Paco Rabanne. Un profumo da donna, incredibilmente elegante, che in giro non si sente più. “Ma io lo riconoscerei tra mille”, ammette.
Il secondo assaggio è il Rosso Piceno Doc, bestseller a livello internazionale. Un blend di Montepulciano e Sangiovese in proporzione 60-40, la cui caratteristica è una fermentazione un po’ più corta, per via della delicatezza del Montepulciano che è un po’ greve.
Il Rosso Piceno Doc Boccadigabbia riposa per circa 14 mesi in barrique usate per Merlot, Sangiovese e Cabernet. Qualcuno lo chiama “il vino del furgoncino”, per la raffigurazione in etichetta. Il mezzo esiste, è di proprietà dell’azienda e orgoglio di Elvidio.
Immatricolato nel 1939, Pupi Avati lo ha voluto nel suo film del 2011 Il cuore grande delle ragazze”, insieme ad Elvidio che ha fatto la comparsa. Rosso rubino scurissimo, al naso le note di mora e ribes si mescolano a vaniglia e accenni di cuoio e tabacco. Al palato il tannino è graffiante, ma integrato da una buona acidità altrettanto presente. Un Rosso Piceno di grande personalità.
L’ultimo assaggio non può che essere l’Akronte. Un peccato non averlo aperto in tempo per dargli modo di esprimersi in tutta la sua complessità. Ma siamo fortunati: Elvidio è una persona loquace, ma anche un ottimo ascoltatore e la conversazione diventa variegata tra i suoi tantissimi aneddoti da raccontare e la sua curiosità.
L’annata è la 2012. Si tratta di un 100% Cabernet Sauvignon con un naso davvero potente. Un vino di una finezza ed eleganza memorabili. Inizialmente è un po’ chiuso, poi col passare del tempo, tra lo scorrere della parole, fiorisce e prende vita.
Le note vegetali iniziali danno spazio a intense note di frutta matura, vaniglia, chiodi di garofano e rabarbaro. Il palato è altrettanto possente: il tannino è molto presente, ma non spigoloso. Un gran vino, una sorpresa nelle Marche. Poesia pura.
Il RAPPORTO CON LA GRANDE DISTRIBUZIONE Boccadigabbia produce 100-150 mila bottiglie all’anno, che vengono convogliate (con la medesima etichetta) sugli scaffali dei supermercati (Do-Gdo) e nella ristorazione (Horeca).
“Abbiamo una gamma abbastanza diversificata – spiega Elvidio Alessandri – perché come tutte le aziende piccole facciamo un sacco di vini, un po’ per divertimento, un po’ perché bisogna fare vedere cosa sappiamo fare anche su certi prodotti che internazionalmente ti qualificano. Ad esempio, trent’anni fa ho cominciato a produrre il Cabernet Sauvignon. All’estero nessuno conosceva il Rosso Piceno e dovevo far vedere cosa sapevo fare’”. Il Rosso Piceno di Boccadigabbia oggi è invece un bestseller, sia nella grande distribuzione marchigiana che all’estero: negli Stati Uniti, in Giappone, nel Nord Europa.
Distribuire i propri vini (anche) al supermercato ha creato “qualche difficoltà”, ma Elvidio è “favorevole a questo canale”. Ma gli affari non vanno benissimo. “La Gdo si è un po’ fermata, non si capisce perché, forse per via delle vendite online, ma fino un paio di anni fa era il canale distributivo migliore, ricompravano sempre. E poi hanno una grande caratteristica: pagano! A differenza della ristorazione. Anche se lavori con i grossisti – confessa – loro non riescono a prendere i soldi e devi dargli respiro”.
Le Marche sono una regione emergente nel panorama del vino. Come mai le vendite hanno una battuta di arresto? “E’ vero – replica il produttore – ma oggi è conosciuto il Verdicchio e se non hai il Verdicchio è meglio che non ti presenti. Qui siamo in una zona in cui il Verdicchio non c’è. Qui abbiamo la Ribona”.
IL PALCOSCENICO DEL VINO Sulla tavola di Elvidio i protagonisti sono i suoi vini, ma anche quelli piemontesi, per evidenti ragioni di eleganza e finezza. Tra i suoi preferiti il Barolo Bussia 90 Riserva di Giacomo Fenocchio. Di Toscana beve poco, nonostante il suo enologo sia toscano e il fatto che si tratti di una regione storicamente piena di contadini marchigiani. Elvidio Alessandri beve anche spumanti. “Di bollicine bevo solo Champagne, al massimo Franciacorta. Posso dirlo che io non sopporto il Prosecco?”.
Elvidio va a ruota libera. “Sta diventando sinonimo di spumante – denuncia – addirittura al matrimonio di mia figlia, per il quale avevo previsto un Franciacorta importante, c’era un cameriere che andava in giro a chiedere ‘Chi vuole un prosecco?'”. Un duro colpo al suo cuore assimilare il Prosecco al Franciacorta. “Il vino italiano si sta identificando con il prosecco. Magari ti offrono una Passerina spumante dicendo ‘vuole un po’ di Prosecco?”. Abbiamo trovato casualmente un sostenitore della nostra campagna #nonsoloprosecco.
Dal Prosecco primo attore ai vini macerati, altrettanto interpreti principali degli ultimi anni, il passo è breve. Il punto di vista di Elvidio è chiarissimo. “E’ un fenomeno che passerà, ne ho visti tanti…”.
PROGETTI PER IL FUTURO Elvidio sta scrivendo un libro. Lo vuole intitolare “Memorie di un vignaiolo pentito”. Ci stupisce l’uso di questo aggettivo, proprio oggi che il mestiere del vignaiolo sta subendo una rivalutazione.
Il pentimento si riferisce non a un mutamento di opinione rispetto alla sua scelta professionale (al di là degli studi classici prima di avvicendarsi al padre) quanto a una sorta di autocondanna morale: per aver fatto parte di un sistema, un girone dell’inferno che oggi non gli appartiene più.
“Quello delle guide, dei premi, dei peana del vino”. Oggi Elvidio è guarito e il vino lo fa soprattutto per divertirsi. Non si sa se e quando sarà pubblicato il libro. Lo scrive a pezzi. Poi forse lo metterà insieme.
Il “Piccolo Principe” di Boccadigabbia ha troppe avventure cui dedicarsi. Prima di salutare gli chiediamo una foto. Si vergogna, è timido. ”Prendete quella del mio profilo Facebook tratta dal film, lì sono meglio”, ci saluta sorridente.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Venti bottiglie di Prosecco in degustazione “alla cieca”, per decretare il migliore presente sugli scaffali delle maggiori catene di supermercati italiani.
Da Esselunga a Iper Coop, passando per Auchan, Carrefour, Iper – la grande I, Penny Market e Lidl, senza dimenticare insegne importanti come Il Gigante, Unes e Despar.
Tre i Prosecco che la spuntano, adatti ad accompagnare dall’aperitivo alle carni bianche, passando – perché no? – anche da piatti di pesce non troppo elaborati.
Tre prodotti capaci di accontentare ogni tipo di palato: da quello di neofiti e bevitori occasionali, a quello di chi pretende di più, anche da un “semplice” Prosecco.
I MIGLIORI PROSECCO AL SUPERMERCATO 1) Bel perlage, profumati invitanti. Zucchero dosato al punto giusto, tanto da non stancare mai la beva e chiamare un sorso dopo l’altro. Sul podio dei Prosecco in vendita al supermercato finisce il Prosecco Doc Superiore di Martini & Rossi (gruppo Bacardi). Un Extra Dry da 11,5% vol.
E’ questo il miglior Prosecco “pop”, secondo la redazione di vinialsuper. Rappresenta, cioè, esattamente quello che ci si deve aspettare da un (buon) Prosecco. Semplicità, dunque. Ma anche un certo carattere. Peraltro una bottiglia dall’ottimo rapporto qualità prezzo (5,50 euro circa), in tutte le catene di supermercati che lo espongono in vendita.
Giallo paglierino con riflessi verdolini velati, bollicina fine nel calice, anche se la persistenza delle “catenelle” non è da superstar. Naso tipico, intenso e pulito, che lascia spazio anche a sorprendenti note esotiche di mango, banana e mandarino.
Palato corrispondente dal punto di vista degli aromi, con spuma satinata e cremosa che accompagna, verso la chiusura, un’acidità ben dosata. Buona anche la persistenza, agilmente sopra le soglie della sufficienza.
2) Il Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg di Carpenè Malvolti è la “bollicina” veneta consigliata a chi, al Prosecco, chiede qualcosa di più. Anche in questo caso siamo di fronte a un Extra Dry, mentre la percentuale d’alcol in volume scende di mezzo grado rispetto al Prosecco Doc Martini, assestandosi sugli 11.
L’etichetta, del resto, parla da sola: svecchiata rispetto all’originale, senza perdere tuttavia l’eleganza che contraddistingue da sempre la casa spumantistica di Conegliano (TV). Che di questo Prosecco ha fatto un’icona.
Giallo paglierino con riflessi dorati, il Prosecco Superiore Docg di Carpenè Malvolti sfodera un naso da Metodo classico (la tecnica utilizzata per la produzione dello Champagne). Roba da far sospettare di non essere di fronte a una bottiglia del più venduto degli Charmat al mondo.
Miele d’acacia, fruttato elegante di ananas, una punta di lime. Note che arrivano a sfiorare anche l’idrocarburo. Che ci sia dell’ottimo Chardonnay nel blend con la Glera? Il disciplinare, del resto, lo consentirebbe.
Ingresso di bocca morbido, sul filo di una corrispondenza gusto olfattiva pregevole. L’acidità non manca, anzi. Anticipa (e controbilancia) una sapidità capace di conferire ulteriore “gusto” al sorso. La chiusura richiama ancora una volta il nobile vitigno di origine francese, con le sue percezioni ammandorlate. Chapeau.
3)Last but not least, come direbbero gli inglesi che del Prosecco ne hanno fatto ormai un’ossessione (in Inghilterra lo spumante veneto fa ormai a gara con la birra locale), il Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg di un altro colosso del Wine in Italy, Santa Margherita Spa di Fossalta di Portogruaro (VE). Questa volta siamo di fronte a un Prosecco più secco, un Brut, da 11,5% vol.
Giallo paglierino con riflessi oro, spuma creosa che si dissolve lenta. Fine e persistente il perlage. Dal calice di Prosecco Superiore Docg Santa Margherita si elevano note fruttate dalla leggerissima vena “dolce”, come da attese per uno spumante dal grado zuccherino più modesto rispetto a quello dei compagni Prosecco Extra Dry.
Un naso di eccellente finezza quello del Valdobbiadene Santa Margherita. Lasciato a “riposo” per qualche minuto, l’olfatto arriverà a donare sentori pregevoli di foglia secca di pomodoro. Al palato dominano la morbidezza e la tipicità del Prosecco. Con l’aggiunta di un pizzico di mineralità, che sboccia soprattutto nel retro olfattivo assieme alla pera Williams. Facile berne un bicchiere dietro l’altro, senza mai stancarsi.
A UN PASSO DAL PODIO
A un passo dal podio il Prosecco Doc Zonin: naso elegante, bolla satinata, acidità giocata su note d’arancia, prima di una chiusura lunga. Non male al palato Bellussi (U2 – Unes): bocca pulita, acidità e mineralità piacevolissime, ma solo dopo un naso piuttosto costruito. Olfatto che è anche la croce del Prosecco Doc Mionetto, che invece al palato regala un frutto piacevole e uno zucchero ben dosato, così come una buona persistenza retro olfattiva.
I PEGGIORI Tra i Prosecco degustati, ci sentiamo di sconsigliarne (tassativamente, o quasi) due in particolare. Ad accomunarli – oltre al costo al limite del sotto-costo – un perlage grossolano, una spuma degna d’una birra, un naso citrico e un palato tra il piatto e l’artificiale.
Si tratta del Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Villa de’ Bruni”, in vendita negli storePenny Market, e il Prosecco Doc Allini della catena tedesca di supermercati Lidl.
Male anche alcuni Prosecco di nomi importanti: insufficiente l’Extra Dry di Cescon, così come il Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Col del Sol” di Ca’ del Sole Vini, in vendita nei supermercati Il Gigante. Male entrambi i Prosecco (Doc e Docg Valdobbiadene) della linea “Il Viaggiator Goloso” (Finiper – Unes).
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4,5 / 5) Nobile vitigno siciliano il Nerello Mascalese, che troviamo sugli scaffali di Tigros in versione spumante. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi “Capovero”, Metodo Classico Brut Rosé di Cantine Madaudo.
Catalogato come VsQ, “Vino spumante di Qualità”, è stato sboccato a novembre 2016 (vendemmia 2014). Nel calice si presenta di un rosa corallo con riflessi aranciati che ricorda per certi versi alcuni nebbioli spumantizzati in Valle d’Aosta. La cristallina limpidezza viene spezzata da un perlage fine e persistente, primo sinonimo della qualità del prodotto.
Al naso, il Metodo Classico Brut Rosé Capovero di Cantine Madaudo regala la seconda soddisfazione: buona l’intensità delle note d’agrumi e di piccoli frutti maturi a bacca rossa, unite a percezioni floreali di rosa e crosta di pane, indice dei mesi d’affinamento sui lieviti. Non manca all’appello una vena leggermente balsamica, che rende ancora più interessante il “naso” di questo calice.
Al palato l’ingresso è piuttosto caldo, nonostante la gradazione alcolica si assesti sui 12,5%. Un aspetto tutt’altro che spiacevole, anche perché rinfrancato da una “bollicina” che diviene cremosa al sorso. Riecco dunque i frutti rossi, con melograno e ribes a farla da padrona. Buona acidità, ricordata anche da sottili note di lime, cui fa eco una mineralità capace di bilanciare ed equilibrare (verso l’alto) la beva.
Sufficientemente persistenti le sensazioni retro olfattive, dominate da ricordi di polpa di frutti rossi, nocciola e iodio. Un quadro complessivo soddisfacente ed elegante: ottimo il rapporto qualità prezzo espresso dalla bottiglia.
E in cucina bello l’abbinamento che vi suggeriamo – tutt’altro che scontato – con un simbolo caseario del nord Italia come il Gorgonzola. Formaggio stagionato che dà ottimi risultati anche in soluzione cremosa, sciolto in padella, a condire poi un goloso piatto di ravioli ripieni ai porcini.
LA VINIFICAZIONE
Il Metodo Classico Brut Rosé di Nerello Mascalese fa parte della collezione “Capovero” di Cantine Madaudo. Una linea che comprende anche un altro spumante, sempre a base Nerello ma vinificato in bianco, nonché due bianchi, tre rossi e un rosato. Tutti siciliani.
La tecnica di vinificazione del Metodo Classico Brut Rosé prevede la diraspatura delle uve Nerello, seguita da una pressatura soffice e delicata. La fermentazione avviene in serbatoi di acciaio inox alla temperatura controllata di 12 gradi, per circa 20 giorni. Anche l’affinamento in serbatoi in acciaio inox, per 7-9 mesi.
La presa di spuma è prevista per la primavera successiva alla vendemmia, con l’aggiunta di lieviti selezionati e tappatura a corona. Il vino affina dunque in bottiglia, sui lieviti, per un periodo variabile fra i due e i tre anni, prima della sboccatura.
Promossa nel 2012 da una testimonial d’eccezione come Maria Grazia Cucinotta, siciliana Doc, Cantine Madaudo nasce nel 1945 per volere di “nonno Alfio”. Oggi la cantina di Larderia di Messina è guidata dalla seconda e terza generazione della famiglia. La “mission” rimane invariata da 70 anni: “Estrarre il massimo della qualità dalle fertili terre di Sicilia”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Tre parole: colline fertili, lavoro e passione. Da qui nascono i vini di Umberto Cesari, una sfida iniziata negli anni Sessanta con venti ettari di vigneto nei terreni collinari al confine tra l’Emilia e la Romagna.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi il Sangiovese Doc di Cesari, vendemmia 2014, in vendita nei supermercati Interspar.
LA DEGUSTAZIONE Il vino si presenta limpido, color rubino vivace, consistente nel calice. Al naso si percepisce intenso e piuttosto complesso, bouquet fruttato e floreale con frutti maturi di ciliegia e frutti di bosco e fiori come la violetta, sentori di marmellata e marasca e spezie tostate come tabacco e caffè.
In bocca, il Sangiovese Iove di Umberto Cesari è caldo, morbido, pieno ed elegante, abbastanza fresco, leggermente tannico. Di corpo, risulta avvolgente e armonico nel complesso. Piuttosto duttile nell’abbinamento, è particolarmente consigliato con piatti saporiti di carne e selvaggina, ma anche con formaggi stagionati, salumi o primi piatti di pasta ripiena.
LA VINIFICAZIONE
Il vino è classificato come Romagna Doc Sangiovese, ottenuto da uve 100% Sangiovese, con titolo alcolometrico di 12,5%. L’affinamento avviene in vasche di acciaio per 3 mesi.
Le uve usate per produrre Iove Sangiovese Doc vengono raccolte interamente nel podere Parolino, che copre due versanti di una stessa collina, con un’esposizione ottimale tutto l’anno. Nel Podere Parolino si coltivano anche Merlot, Trebbiano e Sauvignon Blanc.
La grande ricchezza dell’azienda sono di fatto 6 poderi (Ca’ Grande, Liano, Laurento, Tauleto, Casetta e Parolino). La Umberto Cesari consta di 175 ettari di vigneti, una cantina di 18 mila metri quadrati, nonché una sede aziendale che accoglie il wine shop e la sala degustazione.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(3,5 / 5) Il fiume Tanaro divide due delle zone maggiormente vocate alla viticultura di tutto il Piemonte: le Langhe, sulla riva destra, e il Roero sulla riva sinistra.
Il vitigno principe è lo stesso, il Nebbiolo. Mentre il territorio è molto diverso: calcareo e argilloso nelle Langhe, soffice e sabbioso sull’altra sponda.
LA DEGUSTAZIONE
Il Roero Teo Costa ha un bel colore luminoso, granato con ancora un ricordo rubino. La trasparenza è quella che ci si aspetta dal Nebbiolo. Il naso è intenso, abbastanza complesso, fine. Il frutto resta sullo sfondo per lasciare spazio a sensazioni erbacee un po’ troppo in evidenza, assieme a leggere note floreali e ferrose.
Più sapido che fresco, ha un buon ingresso in bocca, subito scalzato però dal tannino ancora troppo verde. Una caratteristica che andrà ad ammorbidirsi col trascorrere dei mesi in bottiglia, rendendo il Roero Teo Costa più apprezzabile dal prossimo anno. Il finale, ad oggi, risulta quindi non così piacevole. Può essere comunque un buon compagno di una succulenta bistecca.
LA VINIFICAZIONE
La tecnica di vinificazione è quella tradizionale in rosso e segue i dettami della Denominazione di origine controllata e garantita Roero. Si tratta dunque di un Nebbiolo in purezza, con 20 mesi di affinamento di cui almeno 6 in legno.
Teo Costa è un’azienda storica piemontese, nata verso la fine del 1800. Possiede circa 50 ettari di vigneto su entrambe le rive del Tanaro, potendo quindi offrire due diverse interpretazioni dello stesso vitigno, il Nebbiolo dei comuni di Treiso e Novello, e il Roero di Castellinaldo e Castagnito.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Diciotto milioni di euro netti di ricavi nel 2009. Poi giù. Nel buio più profondo. Fino ad arrivare a una voragine dal diametro impressionante.
Un buco (finanziario) da 12 milioni di euro, consolidato dal bilancio 2016. E un vuoto (morale) ancora più disorientante, allo scattare delle manette ai polsi dell’eterno presunto Messia, giunto dalla Franciacorta: quell’Abele Lanzanova capace, secondo la GdF, di “appropriarsi di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. Era il 21 luglio 2016.
L’araba Fenice dell’Oltrepò pavese ha un nome solo ed è La Versa. Evocativo. Tattile. Come i trattori dei contadini in canottiera che, nella culla del Pinot Nero italiano, passano accanto a quel blocco di cemento di 15 mila metri quadrati, pronti a tornare a popolarsi di uomini, di passioni, di idee.
Ci credono in molti – ma forse ancora in troppo pochi – nel rilancio della storica cantina pavese ad opera della nuova società costituita da Terre d’Oltrepò e Cavit. In questo quadro, in una terra che da troppi anni è un puzzle di buoni propositi e di ottimi progetti individuali annegati nell’incapacità di “fare rete”, la cooperazione pare l’unico asso nella manica.
Lo sa bene Andrea Giorgi, personaggio a metà tra il cow boy e il sindaco sceriffo: presidente della newco scioglilingua “Valle della Versa”, partecipata al 70% dai lombardi e al 30 dai trentini. Ironia sottile, silenzi dosati. Risposte mai banali o scontate. A volte pungenti. Un giardiniere pronto a seminare nel deserto. Un minuto Gandhi, il minuto dopo William Wallace (a parole) prima di Bannokburn. Senza però sfociare nel bipolarismo.
Al suo fianco Marco Stenico, il mediatore. Il direttore commerciale per antonomasia. Trentino d’origine, è lui il braccio destro di Giorgi. L’uomo perfetto per riconquistare il mercato.
E non importa se, al 24 agosto, i due non sappiano ancora quali siano, esattamente, i bottoni da premere sul quadro elettrico per accendere la luce nel “caveau” di La Versa, intitolato allo storico presidente duca Antonio Denari. Per risorgere ci vuole tempo. E occorre fiducia. La ricetta? Ripartire dal passato, in chiave moderna.
“Questa è un’azienda nuova – precisa Stenico – costituita dai due soci. Terre d’Oltrepò e Cavit si sono prese carico, ognuna per le proprie competenze, di alcune attività. Noi seguiremo la parte commerciale, mentre i nostri partner trentini la parte tecnica, la vinificazione e la parte industriale, che sta per essere messa in attività a partire già da settembre”.
Dalla scorsa settimana, i conferitori della zona di Santa Maria della Versa e di Golferenzo hanno ricominciato a portare le loro uve a La Versa. “Tutto raccolto a mano – evidenzia Stenico – Pinot Nero, Riesling e Moscato”. La prima vendemmia della nuova società si assesta sui 25 mila quintali di uva. Masse certamente inferiori ai 450-500 mila quintali che Terre d’Oltrepò e i suoi soci sono in grado di produrre annualmente. Ma siamo, appunto, solo all’inizio.
La parte del leone spetta al Pinot Nero, con oltre 10 mila quintali. A seguire il Riesling, 5 mila. E infine il Moscato, con 7-8 mila quintali. Quantità risicate da maltempo e gelate che hanno interessato l’Italia, travolgendo anche l’Oltrepò Pavese. Cento i soci conferitori di quella che fu La Versa, cui si andrà a sommare la base sociale di Terre d’Oltrepò, costituita da oltre 700 soci. Tradotto in vigneto: 6 dei 13 mila ettari complessivi sono controllati da Valle della Versa, con un potenziale produttivo che supera il 55% dell’intera zona.
“Da questa vendemmia – commenta Andrea Giorgi – ci aspettiamo un prodotto da collocare nel più breve tempo possibile sul mercato con il marchio La Versa. Un’operazione strategica per Terre d’Oltrepò, che ha già due stabilimenti: uno a Broni, l’altro a Casteggio. Il primo ha un grande potenziale dal punto di vista tecnologico, che arriva fino alla trasformazione di 15 mila quintali di prodotto al giorno. Casteggio si sta invece specializzando nell’imbottigliamento di prodotti fermi. Qui a Santa Maria La Versa vogliamo invece sviluppare il marchio e destinarlo a prodotti spumanti e a frizzanti in genere”.
Il mercato di riferimento è chiaro. “Nella nostra strategia complessiva – risponde Giorgi – visti i quantitativi enunciati, possiamo abbracciare tutta la gamma, dalle enoteche ai supermercati, passando dai ristoranti. Stiamo accuratamente selezionando i canali nei quali entrare nel modo più redditizio possibile, per creare uno zoccolo duro sul mercato italiano e sviluppare l’estero, dal momento che l’export, oggi, riguarda solo una piccola parte. Quello che vogliamo fare è accontentare i diversi target di clientela, dando senso al lavoro delle nostre centinaia di conferitori”.
Al canale moderno, quello della distribuzione e della grande distribuzione organizzata (Do-Gdo) sarà affidato il 70-75% della produzione. Il resto alla nicchia della ristorazione e delle enoteche. Diverso il discorso per il marchio La Versa. Ed è qui che si gioca una delle partite fondamentali per il rilancio della cantina pavese.
IL TESORO NEGLI ABISSI Nei due piani sotterranei della cantina sono infatti custodite oltre un milione di bottiglie di metodo Classico oltrepadano (o futuro tale). Voci incontrollate assegnerebbero a questo scrigno un valore di 4,2 milioni di euro. Lo stesso per il quale la newco si è aggiudicata l’asta.
Una cifra che Giorgi e Stenico non confermano. E che, anzi, sembrano ridimensionare. Cosa ne sarà di questo bottino, vera carta da giocare anche nei confronti delle resistenze sull’operazione di Cavit in Oltrepò, da parte di una frangia di vignaioli delle Dolomiti? Cinque le annate custodite nel Caveau, comprese tra la 2004 e la 2015 , tra Docg e Vsq.
“Vorremmo identificare il posizionamento del prodotto in una fascia alta – precisa il direttore commerciale -. Canalizzeremo in Gdo La Versa, fatta eccezione per marchi storici come Testarossa e Cuvée storica, che invece saranno appannaggio del canale tradizionale. Sintetizzando, sia per la Gdo sia per l’Horeca, un posizionamento alto per i prodotti La Versa e numeri più bassi. Ristoranti, enoteche e bar di prestigio avranno l’esclusiva del top di gamma di La Versa, protetto dalle logiche dei facili volumi, su livelli dei grandi Franciacorta e dei grandi TrentoDoc”.
“A partire da ottobre inoltrato – dichiara Marco Stenico – saranno immesse sul mercato le prime 5-10 mila bottiglie selezionate in maniera tecnica e precisa, capaci di garantire senza ombra di dubbio quella qualità che avremo sicuramente fra tre anni. Il resto dello stock sarà venduto come prodotto di semi lavorazione ad altri produttori. Per noi questo milione di bottiglie ha un valore enorme e vogliamo portarlo a casa tutto. Devono essere il biglietto da visita di La Versa, ma soprattutto dell’intero Oltrepò, per il quale ci candidiamo a un ruolo di vero e proprio traino”.
LE ETICHETTE Le etichette, specie quelle destinate alla Gdo, sono ancora in fase di elaborazione. Sarà un lavoro di mediazione che interesserà le stesse insegne, avvezze a richiedere ai clienti layout ben precisi, secondo le moderne frontiere del neuromarketing.
Le prime bottiglie oggetto di restyling dovrebbero spuntare sugli scaffali di una nota catena italiana a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre (manca solo la firma sul contratto). Saranno invece tutelate da qualsiasi ingerenza le etichette storiche di La Versa, cui sarà garantita “un’identità vecchio stile, o comunque della vecchia bottiglia”.
“Faremo dei piccoli cambiamenti – annuncia Marco Stenico – ma senza togliere riconoscibilità al marchio”. Grande attenzione al mercato italiano. Ma nel mirino, per l’estero, oltre agli Stati Uniti, si affiancheranno missioni su piazze importanti, come Germania e Inghilterra.
L’aspettativa? “Innanzitutto – risponde Stenico – portare a casa la pagnotta. Ma i nostri piani industriali prevedono una crescita di 6 milioni nel primo anno e di 10 nei prossimi 3-4 anni, con redditività”. Una parola magica, “redditività”, che riguarderà soprattutto un’oculata gestione dei costi e delle risorse.
Di fatto erano trentacinque i dipendenti de La Versa colata a picco. Sette i milioni di fatturato nel 2015, scesi poi a poco più di 4 milioni nel 2016, per pagare stipendi e mantenere gli standard infrastrutturali. Di fatto, oggi sono 6 i dipendenti effettivi di La Versa (un enologo e 5 cantinieri). E se di numeri si parla, basti pensare che Terre d’Oltrepò, con un fatturato di 40 milioni, ha oggi in carico 48 dipendenti.
“Una gestione scellerata quella del passato – evidenzia il presidente Andrea Giorgi – che ha portato alla distruzione del fatturato di La Versa. Scelte imprenditoriali e commerciali errate hanno condotto la società a un’esposizione esagerata. Ma tra le cause del fallimento bisogna citare anche una componente politica, perché è impossibile immaginare 35 dipendenti in una realtà da 4,5 milioni euro annui”.
IL CONSORZIO “La ripartenza di La Versa – dichiara Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – è un nuovo inizio per un Oltrepò spesso percepito come schiavo di mille padroni e incapace di governare il proprio mercato. All’Oltrepò Pavese serve un marchio collettivo leader, La Versa può esserlo. In Oltrepò ci sono il Pinot nero, la storia spumantistica dal 1865, i terreni collinari tra i più vocati d’Italia, i borghi del vino più caratteristici e l’anima vera di ‘contadini diventati imprenditori’, come ricordava Carlo Boatti”.
“Tutti – prosegue Bottiroli – ripetono come dischi rotti che manca una strategia d’insieme. Per me, ferme restando le identità di tanti singoli produttori di filiera e le loro maestose composizioni, manca un direttore d’orchestra. Manca un leader che sposi un progetto di marketing e posizionamento a valore, forte dei numeri per competere in Italia e nel mondo”.
“In altre parole possiamo trascorrere i prossimi 10 anni a cercare di mettere insieme 1700 aziende vitivinicole, 300 delle quali vanno sul mercato con le loro etichette e un imbottigliamento significativo di una miriade di tipologie, oppure collaborare al rilancio di La Versa, perché torni a svolgere il ruolo di autorevole ambasciatore di un Oltrepò di alta gamma, come avveniva ai tempi del Duca Denari”.
La Versa, evidenzia Bottiroli, “ha testimoniato con il suo impegno e la sua storia l’eleganza e la longevità unica che può arrivare ad avere un grande ‘Testarossa, marchio La Versa per l’Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico, pura espressione del Pinot nero d’Oltrepò. Ne abbiamo 3.000 ettari”.
“La nuova proprietà – esorta il direttore del Consorzio – deve coinvolgere il territorio in un percorso in cui tutti devono credere con passione, perché ripartire richiede progetti, massa critica, continuità e tempo. La Versa deve tornare a raccontare ed affermare cosa sia un grande spumante Metodo Classico italiano e un superlativo vino dell’Oltrepò”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Non poteva che attrarre il nostro interesse il Rosso Conero Dop 2013 prodotto dall’Azienda Agricola Santa Casa Loreto (AN).
In etichetta la riproduzione del complesso della Basilica a ”dominare” lo scaffale così come l’imponente cupola rinascimentale del Santuario fa con il panorama circostante, da diverse angolazioni, lì a Loreto.
LA DEGUSTAZIONE
Di un bel rosso rubino vivace, il Rosso Conero Dop 2013 dell’Agricola Santa Casa Loreto ha un’espressione vinosa gradevole, tipica del vitigno nei ricordi di piccoli frutti rossi di sottobosco.
Al naso, tra il ribes rosso, il lampone e il mirtillo giungono anche accenni di pepe nero e lievi note balsamiche.
In bocca è piacevolmente morbido e fruttato, con tannini fini. Sul finale, discretamente persistente, ritorna anche la balsamicità che ricorda il mirto.
Un calice che nel suo “non dinamismo” trova il perfetto equilibrio sulla tavola di ogni giorno, il tutto accompagnato da un ottimo rapporto qualità prezzo. Il Rosso Conero si abbina in genere a piatti saporiti, salumi, formaggi stagionati.
LA VINIFICAZIONE
Il Rosso Conero Dop 2013 Agricola Santa Casa Loreto è prodotto con uve Montepulciano in purezza. I vigneti si trovano a un’altezza di 100-150 metri sul livello del mare, su terreni argillosi allevati in parte a guyot e in parte a cordone speronato. La vendemmia viene effettuata nella seconda settimana di ottobre.
La vinificazione, effettuata per conto della Santa Casa dalla Viti Vinicola Costadoro di Loreto, è tradizionale in rosso: temperatura controllata, con macerazione sulle bucce di 8/10 giorni e frequenti rimontaggi. Successivamente il vino affina per un anno in acciaio e cemento e quindi ancora per due mesi in bottiglia, prima della commercializzazione.
L’Azienda Agricola Santa Casa Loreto dispone di circa 1400 ettari di cui 50 dedicati alla viticultura. Una produzione vincola di fatto cominciata nel XIV secolo, quando il vino veniva prodotto principalmente per consumo interno e per i pellegrini. La distribuzione nei negozi è storia recentissima, dal 2014.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(4 / 5) Un vino fresco, “facile”, ma non banale. Sotto la nostra lente di ingrandimento il Kalterersee Auslese (Lago di Caldaro Scelto) Doc, linea 1840, di cantina H.Lun vendemmia 2016.
LA DEGUSTAZIONE Colore rosso rubino, luminoso e trasparente. Al naso è fine, delicato. Emergono da subito note fruttate, piccoli frutti rossi come ciliegia e fragola seguiti da un leggera nota di pesca.
In bocca, con tannini fini appena accennati ha una bella acidità che ben si integra nel corpo leggero donando freschezza e piacevolezza di beva.
Il finale, non molto lungo, ripercorre le sensazioni del sorso per chiudere con un tratto leggermente mandorlato. Un vino vellutato, completo nella sua semplicità.
Il Kalterersee Auslese 1840 di H.Lun viene vinificato in fusti di cemento dopo attenta selezione delle uve, 100% Schiava.
LA CANTINA Nata nel 1840, da cui il nome della linea, per volere di Alois H. Lun, la cantina fu una delle prime realtà imprenditoriali nella storia della vitivinicoltura Alto Atesina.
Volere del fondatore era quello di produrre vini di qualità dai terreni più vocati per ogni singolo vitigno. Anche dopo l’acquisizione da parte di Cantina Girlan, H.Lun continua a produrre e commercializzare con marchio proprio i propri vini, mantenendo immutata la propria filosofia.
Cantina e vigneti sono collocati a Cornaiano, un fazzoletto di terra, un terroir, ben noto agli amanti dei vini Alto Atesini. Quella striscia della Val d’Adige che parte da Termeno e sale verso nord attraverso Caldaro ed Appiano per arrivare a Terlano dove le forti escursioni termiche fra il giorno e la notte ed il clima mite garantiscono condizioni ideali per la viticultura.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(3 / 5) È spumantizzata nella patria del Prosecco (in provincia di Treviso) la Passerina Brut Spumante di Velenosi oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.
Un vitigno autoctono tipico di Marche, Abruzzo e Lazio riscoperto negli ultimi anni, che (fonte Coldiretti) nel 2016, con un incremento vendite del 24,4%, si è piazzato al secondo posto della classifica “Top 5 wines” venduti nella regione Marche. Primo incontrastato ancora il Verdicchio che resta il vino più consumato.
La Passerina resta seconda anche sul podio nazionale dei vini emergenti dopo la Ribolla Gialla e prima del Ripasso (fonte Vinitaly). Che il successo sia dovuto anche all’ambiguità del nome?
Insomma, ordinare una bottiglia di Passerina mette già allegria, anche se l’etimologia del nome (stessa del vitigno) ha ben altra origine e deriva dagli acini ad elevata concentrazione di zuccheri e di quercitina (flavonoide) di cui vanno ghiotti i passeri.
LA DEGUSTAZIONE Di colore giallo paglierino scarico, si presenta nel calice con un perlage mediamente fine e persistente, apprezzabile per un metodo charmat. Il profilo olfattivo è poco intenso, tra il vegetale e il minerale, con lievi note agrumate di pompelmo giallo.
Al palato l’ingresso è ruvido, per una carbonica non adeguatamente bilanciata da altre sensazioni. Un effetto che sommato a una freschezza citrina rende il sorso un po’ sopra le righe della moderatezza e poco morbido.
Il finale, disimpegnato e con rimandi agrumati, si delinea sapido e pulito. Il che lo rende certamente perfetto in abbinamento ad un fritto di paranza.
LA VINIFICAZIONE Dieci anni dalla prima vendemmia per la Passerina Brut Spumante (2007). Prodotta con uve 100% Passerina allevate a guyot a circa 200-300 metri sul livello del mare, su terreni in parte sabbiosi, con densità di impianto di 5 mila ceppi, resa per ettaro 80 quintali (1,5 Kg per ceppo). La vendemmia è effettuata manualmente, in cassette da 20 kg.
Il vino base viene rifermentato in autoclave con sosta sulle fecce per oltre 90 giorni, secondo il metodo charmat. Velenosi vini nasce nel 1984 come idea imprenditoriale di Ercole e Angela Velenosi. La cantina si trova ad Ascoli Piceno e i vigneti nella circostante zona del Tronto.
Prezzo : 8,79 euro Acquistato presso: Sì con Te Supermercati
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Come dice Rocco Papaleo in un noto film “Si, la Basilicata esiste. Esiste! È un po’ come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi. Io credo nella Basilicata.” È vero. E non solo esiste ed è una terra affascinante, ma esiste anche una Basilicata brassicola.
Undici le realtà birraie presenti nella regione (dati Microbirrifici.org). Oggi vi raccontiamo il Birrificio Birfoot di Matera, nato ad ottobre 2016 per mano del giovane mastro birraio Giovanni “Uacezza” Pozzuoli (leva 1992).
IL BIRRIFICIO Giovanni, dopo lunga esperienza come home-brewer, stage in birrifici e il conseguimento di diverse qualifiche professionali, ha preso coraggio e ha aperto il proprio micro birrificio. Con l’obbiettivo di esternare la propria passione per la buona birra.
Capacità produttiva di sette ettolitri, cura manicale per i dettagli, attenta selezione delle materie prime: questi gli elementi fondanti, i “core assets”, di Birfoot. Infatti, chiacchierando con Giovanni, emerge quanto lui sia consapevolmente convinto che “solo curando in modo rigoroso ogni singola fase del processo produttivo si possa ottenere e replicare un prodotto di qualità”.
Badare alla freschezza di tutte le materie prime selezionandole con attenzione diviene così un must irrinunciabile. Tre al momento le birre prodotte e commercializzate da Birfoot: una Blanche, una Apa ed una Strong Ale. Le abbiamo degustate tutte e tre.
LA DEGUSTAZIONE Albus. Blanche da 4,8%. Nella ricetta anche scorze d’arancia, coriandolo e pepe rosa. Colore giallo paglierino scarico, leggermente velata. Schiuma bianca fine e persistente.
Al naso è fresca ed agrumata, semplice quel tanto da invitare subito alla beva e complessa quel poco da creare un bella aspettativa. In bocca è scorrevole, la spiccata carbonazione non è fastidiosa e la rende setosa al tatto. Emergono le note dolci dei cereali, la leggera speziatura ed ancora un sentore di agrumi.
Finale mediamente persistente, fresco. Unico difetto, ma davvero piccolo piccolo, l’acidità non è molto sostenuta visto la tipologia di birra. Un poco in più avrebbe contribuito positivamente alla sensazione di freschezza. Nel complesso un buon prodotto.
Hop Jungle. American Pale Ale da 5,4%. Giallo dorato carico con riflessi che tendono all’aranciato. Schiuma abbondante, bianca e molto persistente.
Al naso è intensa. La luppolatura (ci dice Giovanni che sono stati utilizzati luppoli tedeschi ed americani) dona piacevoli profumi floreali ed una leggera nota agrumata cui si affiancano piacevoli sentori di frutta esotica matura. In bocca l’effervescenza è moderata e lega bene col gusto secco e pulito della birra. Sul finale, di media persistenza, emergono le gradevoli note amare tipiche dello stile.
Aztec. Strong Ale da 7.4%. Di ispirazione inglese si presenta con un bel colore ambrato, carico e luminoso, ed una schiuma fine e compatta. Complessa al naso con note di caramello e di frutta matura che lasciano presagire morbidezza al palato.
L’assaggio conferma l’intuizione del naso; è corposa e morbida con delicate note maltate e fruttate che portano il sorso verso una dolcezza non eccessiva, tipica per lo stile così come la lieve carbonazione. Buona persistenza.
Tre prodotti ben riusciti, in grado di coprire una buona gamma di gusti. E un produttore giovane, che non ha puntato sull’effetto moda delle “Ipa”, sviluppando invece birre con una propria identità e in grado di legarsi anche alla cucina del territorio. Albus, Hop Jungle e Aztec possono infatti accompagnare trasversalmente la tavola, dalle crudità di mare ai piatti di carne insaporiti alle erbe, dalle verdure fritte ai salumi più saporiti.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(3 / 5) Rosato un po’ (troppo) salato. Una sintesi che racchiude bene l’assaggio del Bardolino Classico Chiaretto Dop 2016 dell’Azienda Agricola Conti Guerrieri Rizzardi, in vendita nei supermercati Esselunga.
Un calice che non soddisfa appieno, proprio per la preponderanza, al palato, di una nota salina che disturba la beva. Rendendo peraltro difficile l’abbinamento di questo vino rosato veneto con la cucina. Eppure le premesse sono ottime.
Il Chiaretto Guerrieri Rizzardi si presenta di un apprezzabilissimo rosato brillante, tipico della denominazione. Gli fa eco un naso elegante, altrettanto caratteristico, tra il floreale di violetta e il fruttato di fragola, lampone e ribes. Prestando ancora più attenzione, ecco la nota di “soluzione salina” che ritroveremo di lì a poco al palato.
In bocca, le percezioni fruttate che contraddistinguono il vino in ingresso vengono poi sovrastate dal sale. Quello che è uno dei tratti distintivi del Bardolino – descritto sin dalle cronache del 1935 come vino “grazioso e lieve”, ma soprattutto “salatino” – risulta la nota stonata nel calice del Chiaretto Guerrieri Rizzardi. Per eccessiva amplificazione. Una durezza che neppure la buona acidità riesce a controbilanciare.
LA VINIFICAZIONE
Sono diversi i vigneti dai quali la cantina Guerrieri Rizzardi ottiene il Chiaretto in vendita nei supermercati Esselunga. Due sono situati a Bardolino (località Campagnole e vigneto Vegro). Altri due nel Comune di Cavaion Veronese (vigneto Vignai, vigneto Cà dell’Ara). Sono 75 mila, in totale, le bottiglie prodotte.
Le viti, allevate a pergola semplice e doppia e guyot con una densità d’impianto variabile tra i 1.720 e i 5 mila ceppi per ettaro, affondano le radici in terreni di tipo ciottoloso, argilloso e calcareo di origine morenico glaciale. Il blend del Bardolino Classico Chiaretto Guerrieri Rizzardi è ottenuto prevalentemente dai vitigni Corvina (65%) e Rondinella (20%), a cui viene aggiunto un 15% tra Molinara e Negrara. Piante di età variabile tra i 5 e i 30 anni, con una produzione media per ettaro di 130 quintali (12.100 bottiglie).
La vinificazione prevede l’iniziale diraspataura e pigiatura delle uve. Segue il riempimento delle vasche di fermentazione e la svinatura, dopo circa 12 ore. La vinificazione in bianco avviene in ambiente ridotto, per preservare le caratteristiche delle uve ed evitare ossidazioni.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Bio e Vegan il Prosecco Millesimato Doc annata 2016 di 47 Anno Domini, oggi sotto la nostra lente di ingrandimento. Accoppiata, quella bio e vegan, che in qualche contesto scatenerebbe una disputa tra intransigenti integralisti enoappassionati o vignaioli.
Scelta etica o commerciale oppure combinazione delle due? Poco importa, fatto sta che negli ultimi anni è cresciuto in Italia il numero di consumatori di prodotti biologici ed il numero di persone che scelgono l’alimentazione vegana. L’ offerta del vino si è adeguata.
La menzione vegan, certificata da Vegan Society in questo caso, garantisce il non utilizzo, lungo tutta la filiera produttiva, di materiali o coadiuvanti di origine animali (come le colle utilizzate per la filtrazione).
LA DEGUSTAZIONE
Il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan 2016 di 47Annodomini si presenta nel calice color giallo paglierino. Una spuma vaporosa e compatta si sviluppa nel calice con bollicine di media finezza discretamente persistenti.
Dal punto di vista olfattivo è un vino semplice con il frutto a far da padrone. Un naso intenso con i sentori tipici di mela e pera Williams corredati da ricordi floreali. Di alcolicità moderata il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan di 47 Anno Domini ha una buona freschezza che si bilancia al residuo zuccherino regalando un aperitivo gradevole, equilibrato coerente per la tipologia di prodotto.
Se siete vegani il suo posizionamento nella Gdo tradizionale è assolutamente vantaggioso (circa tre euro in meno) rispetto a quello praticato da note catene specializzate, piattaforme online o siti affini a prodotti biologici e vegani.
LA VINIFICAZIONE Il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan di 47 Anno Domini è imbottigliato dall’azienda Vinicola Tombacco di Trebaseleghe in Provincia di Padova, di cui fa parte anche la Tenuta 47 Anno Domini, nata nel 1919 con all’attivo già tre generazioni.
E’ prodotto con uve 100% Glera bio da vigneti della provincia di Treviso. Le uve, accuratamente selezionate, vengono sottoposte a spremitura soffice e quindi a fermentazione in vasche di acciaio per dieci giorni.
Seguono travasi per rendere limpido il vino che diverrà spumante con rifermentazione secondo il metodo Charmat, in autoclave. Valoritalia, società specializzata nella certificazione della qualità delle produzioni aziende vitivinicole si occupa di verificare il rispetto dei protocolli biologici.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Il “Giro d’Italia in 80 vini” sbarca a Savignano sul Rubicone. L’appuntamento “vacanziero” con i vini della linea “Grandi Vigne” è per venerdì 11 e sabato 12 agosto nel punto vendita Iper della provincia di Forlì, all’interno del centro commerciale Romagna Shopping Valley.
Si tratta della seconda tappa del tour, iniziato il 13 e 14 maggio al centro commerciale Fiordaliso di Rozzano, nell’hinterland milanese. Poi toccherà all’Iper Seriate (BG) il 9-10 settembre, all’Iper Portello di Milano il 6-7-8 ottobre e all’Iper di Arese (MI), il 21-22 ottobre.
DEGUSTAZIONE E SCONTI
Superato il giro di boa dei 10 anni, l’evento di degustazione è diventa un tour che nell’arco di 6 mesi invita clienti e appassionati del vino alla scoperta della private label Grandi Vigne. Non solo informazioni e consigli di enologi e produttori aderenti al progetto, ma anche un kit di degustazione e sconti per i possessori di Carta Vantaggi.
Grandi Vigne, marchio creato da Iper La grande i, riunisce “i vini d’eccellenza di piccoli produttori italiani”. Il “Giro d’Italia in 80 vini” è una vera e propria immersione nell’affascinante mondo del vino, in un’ambientazione accurata e con postazioni accoglienti, prevalentemente all’aperto.
Un tour enologico durante il quale il pubblico potrà incontrare i produttori aderenti al marchio Grandi Vigne e farsi consigliare dai sommelier presenti ai banchi di degustazione.
Si potrà assaggiare tutti i vini acquistando un kit di degustazione (3 euro) che comprende, oltre alle consumazioni, un bicchiere di vetro, una sacca porta-bicchiere da collo, materiale informativo e un taccuino di degustazione con matita. I titolari di Carta Vantaggi potranno inoltre usufruire di uno sconto del 20 o 30% su tutti i vini Grandi Vigne.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Da “carrozzone” in perdita a macchina da soldi. La cantina di Al Bano Carrisi si è trasformata in 6 anni da brutto anatroccolo a cigno. Un milione e mezzo di bottiglie nel 2016, per 4,5 milioni di fatturato. Un successo che consentirà al cantante di investire ancora nel vino.
Il progetto della nuova cantina sarà ultimato entro fine agosto. Lo stabile sorgerà a pochi passi dall’attuale Tenuta, a Cellino San Marco, nel Brindisino. Un edificio in perfetto “Al Bano style”. Tremila metri quadrati su tre livelli. Quattro torri perimetrali, che si ergeranno su mura in tufo, integrate con il panorama agricolo. Tra le vigne e gli ulivi.
Un passo necessario per l’Al Bano contadino. La cantina attuale, 400 metri quadrati, è di fatto quasi al collasso. Merito del successo della linea di vini destinati ai supermercati. Il magazzino coordinato dall’enologo Michele Renna ha ritmi d’inferno. “Movimentiamo una media giornaliera di 27-32 bancali”, assicura. Ogni pallet è formato da 125 cartoni, per un totale di 750 bottiglie. Circa 20 mila i “pezzi di cuore” di Al Bano che ogni giorno partono per raggiungere i supermercati di mezza Italia.
“Sin da piccolino – dichiara il cantante vignaiolo – ho vissuto in mezzo alle vigne e al mosto. Cose che, ormai, fanno parte del mio Dna. Da bambino odiavo tutto ciò che era campagna perché significava duro lavoro. Quando me ne andai da Cellino per avviare la carriera da cantante promisi a mio padre di tornare per costruire una cantina. Ci sono riuscito, nel 1973. Lui non ci credeva, io sì. Oggi le cose vanno molto bene e stiamo attendendo che si espletino tutte le questioni burocratiche per la nuova struttura”.
DALLE ORIGINI AL FUTURO “Quando comprai questi campi per trasformarli nella mia Tenuta – ricorda Al Bano – qui non c’era acqua, non c’era luce, non c’era linea telefonica. Ho cercato di creare un piccolo borgo autosufficiente, dove la gente arriva e non vede soltanto la fotografia di Al Bano o spera di incontrarlo. Questa vuole essere l’immagine di tutto ciò che si può fare quando si ha voglia di fare. Qui di voglia ce n’è stata tanta e ce ne sarà sempre tantissima: fare per creare lavoro, movimento, opinione. Per dire che questa terra è viva”.
Una questione di cuore, che interessa anche i figli del cantante pugliese. Mentre il padre si concede ai microfoni, l’ultimogenito, Al Bano Jr detto “Bido”, aiuta gli operai della cantina lungo la linea di imbottigliamento. Il viso non è quello del 15enne alle prese con la PlayStation. E il padre gliele canta.
“I miei figli – ammonisce Al Bano – devono imparare a capire sin da subito quanto è importante e indispensabile il lavoro e come affrontarlo. E’ comodo fare il figlio dell’artista e alzarsi sempre a mezzogiorno, ma così si rischia di creare i presupposti per i peccati del futuro. Bisogna estirpare subito questo tipo di cancro mentale”.
Sarà “Bido” l’erede delle vigne? “Intanto i figli devono imparano a lavorare – chiosa Al Bano – poi si vedrà. Anche a me non piaceva fare ciò che mi diceva mio padre e per questo mi sono creato l’alternativa. Come me, quindi, anche loro devono imparare a lavorare. Poi vedremo il da farsi”.
LA SVOLTA Quello che Al Bano non sapeva fare, di fatto, l’ha affidato a Sergio Angioi. Il general manager delle Tenute Al Bano Carrisi è l’uomo della svolta per la cantina brindisina. Un curriculum di tutto rispetto nel mondo della grande distribuzione organizzata (Auchan, Despar), dove cresce da scaffalista a buyer, prima di approdare alla corte di Al Bano, nel 2011.
“Al mio arrivo – spiega Angioi – abbiamo dovuto sistemare i conti. Al Bano, molto pratico delle questioni di vigna e di cantina ma meno delle questioni commerciali, si era affidato a persone che non avevano capito quanto fosse importante, per lui, la cantina. Una vera e propria questione di cuore, perché Al Bano non è lo Sting o il Trulli di turno: è un contadino che ha zappato fino a 16 anni compiuti. Posso dire che se avesse iniziato sin da subito a improntare commercialmente l’azienda agricola come questa avrebbe meritato, oggi Tenute Al Bano Carrisi sarebbe la cantina più grande d’Italia”.
La crescita, con Angioi general manager, è stata esponenziale. Trenta gli ettari iniziali, passati oggi a 88. “La vera svolta – commenta Angioi – è stata la linea di vini per la Gdo, che oggi viene distribuita in numerose insegne: Il Gigante, nel nord Italia, ha creduto subito nel nostro progetto ed è una catena alla quale siamo molto affezionati. Siamo presenti anche in un’altra grande insegna come Coop, ma la logica è quella di approcciare più la distribuzione organizzata che la grande distribuzione. In questo modo riusciamo a risultare molto capillari, in tutto il Paese”.
Un marketing improntato sul “vino quotidiano” e sul buon rapporto qualità prezzo. “Al Bano è un cantane popolare – sottolinea Angioi – e, come tale, propone vini per tutte le tasche, perché la gente non si giudica dal 730”. Accanto alla linea Do-Gdo, pari al 70% del fatturato complessivo delle Tenute, Al Bano promuove una gamma “premium”, destinata esclusivamente a ristoranti ed enoteche (horeca).
Da assaggiare “Felicità”, il Sauvignon blanc di Carrisi. Mentre in botte riposerà ancora per qualche mese il nuovo prodotto di punta di Al Bano. Un Salice Salentino Rosso Riserva Doc 2013 che si preannuncia ottimo. Si chiamerà “Aurito”, dal nome del cru. Ne saranno prodotte solo 3 mila bottiglie, “a riprova del progetto che mira all’altissima qualità”. Oggi l’etichetta di punta delle Tenute Carrisi è “Platone”: 20 mila bottiglie complessive. Il Salice Riserva sarà piazzato sul mercato italiano a non meno di 45 euro.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Attenzione a non confondere questo bel prodotto di J.P. Chenet con lo Champagne. Prima avvisaglia il prezzo, nettamente inferiore a quello della gamma di “bollicine francesi” presenti nei supermercati italiani. Uno sparkling wine che dà comunque soddisfazioni. Soprattutto nel rapporto qualità prezzo. Gran bell’affare se in promozione.
Giallo paglierino con riflessi oro, il Blanc de Blancs Brut della cantina J.P. Chenet evidenzia nel calice un perlage fine e persistente. Naso profondo di lieviti, crosta di pane e mandorla, sfodera una leggera nota ossidativa che, solo in una fase iniziale, tende a smorzare la piacevolezza delle note fruttate mature di pesca e albicocca. Fanno capolino anche note floreali fresche, sempre meglio definite.
In bocca, lo spumante Blanc de Blancs Brut Chenet riconferma la leggera ossidazione. Trattasi, di fatto, di una bollicina da bere presto, a un anno circa dall’immissione in commercio. Al palato risulta comunque morbido, rotondo.
Una piacevolezza rinvigorita da una spuma avvolgente, per nulla appuntita, che solletica la lingua e chiama il sorso successivo. La nota zuccherina finale conferisce ulteriore gradevolezza alla beva. Peccato duri poco: la pecca di questo Blanc de Blancs (quella che gli costa mezzo punto nella nostra valutazione in “cestelli” della spesa) sta proprio nella semplicità monocorde del finale e nella scarsa persistenza.
Quanto agli abbinamenti, il Brut J.P. Chenet è un vero e proprio “animale” da aperitivo. Uno sparkling che, se servito alla corretta temperatura (6-8 gradi), finirà in un baleno, senza dare alla testa. Per tecnica di vinificazione e uvaggio (100% Chardonnay) si presta anche ad accompagnare pesce grigliato e carni bianche.
LA STORIA
Il vero tratto distintivo della J.P. Chenet è certamente la caratteristica bottiglia dalle curve originali e dal corpo generoso. Una forma nata nel 1984, per mano dell’artista e imprenditore Joseph Helfrich. La chiamò “Joséphine”.
L’originale prevedeva un collo leggermente inclinato. Una forma che conserva tuttora una linea di vini della J.P. Chenet. Forse questo il segreto del successo di un’azienda capace di guadagnarsi il podio delle vendite fra le cantine d’Oltralpe, distribuendo prodotti in oltre 160 Paesi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4,5 / 5) Continuate pure a chiamare “enologia di serie B” quella dei supermercati. Fatto sta che l’ignoranza in materia vinicola della maggior parte degli addetti delle catene della grande distribuzione organizzata è capace di regalare vere e proprie emozioni.
Una prova? La presenza di bottiglie di Chateauneuf du Pape di annate differenti sullo scaffale dei punti vendita Auchan. Avete capito bene: proprio Auchan offre l’inconsapevole ebrezza di una “verticale” del rosso Aoc tra i più rappresentativi della Francia, ottenuto nella zona meridionale della Valle del Rodano da uve Grenache, Syrah, Mourvèdre e Cinsault.
La catena francese, che in Italia tratta col giusto riguardo la viticoltura transalpina, con un’accurata “Selezione” di vini d’Oltralpe dallo sgargiante rapporto qualità prezzo, si perde in un bicchier d’acqua: quello della corretta rotazione delle vendemmie sullo scaffale. Regalando a vinialsuper la possibilità di raccontare un’emozionante “mini verticale”.
Prima un paio di precisazioni, per i meno esperti. Vi è mai capitato di “scavare” sul fondo degli scaffali dei supermercati alla ricerca di scadenze meno ravvicinate alla data nella quale avverrebbe l’acquisto? Certamente sì.
Lo fate con lo yogurt, con l’insalata. Ma anche con le brioche. Ecco il punto: i vini sullo scaffale dei supermercati andrebbero trattati dagli addetti alla stregua dei cornetti della Mulino Bianco.
La regola è semplice: first in, first out. Il pacco di crostatine all’albicocca con scadenza più ravvicinata alla data di potenziale acquisto deve essere esposto davanti a quelle con scadenza meno prossima. Così dovrebbe accadere al vino: la vendemmia 2015 davanti alla 2016, in modo da terminare le scorte di bottiglie più “vecchie” prima di iniziare a vendere quelle “nuove”. Ahinoi, così non accade.
Le “rotazioni” della merce, ovvero la velocità con quale si svuota lo scaffale, sono (o dovrebbero essere) tali da non rendere sempre necessario il “giro delle scadenze”: i banchi si svuotano indipendentemente dalla scadenza della merce esposta, se gli ordini sono tarati in base alle rotazioni. Esattamente quello che non è successo nel caso dello Chateauneuf du Pape della Selezione Auchan.
IL CASO
Due le vendemmie presenti a banco: la 2009, esposta sul fondo dello scaffale, tra la polvere; e la 2014, facilmente reperibile sopra all’etichetta prezzo e acquistabile senza alcuno sforzo. Un errore madornale che, ripetuto in larga scala, costringe le catene a ridurre i margini di guadagno sulle singole referenze.
Considerando che la maggior parte dei vini presenti sullo scaffale dei supermercati sono di pronta beva, ovvero consumabili al top della forma nel giro di un uno o due anni dalla data di vendemmia indicata in etichetta, immaginate a che prezzo (scontato) dovrebbero essere venduti i vini di annate vicine all’aceto.
Col rischio, peraltro, di far percepire male al consumatore non solo il brand posto in sottocosto, ma l’intera Denominazione di appartenenza. Fortunatamente non è il caso dello Chateauneuf du Pape della Selezione Auchan, che si conferma vino dal grande potenziale evolutivo in bottiglia. Anche al supermercato.
LA DEGUSTAZIONE La vendemmia 2014 (13,5%) si presenta nel calice di colore rosso rubino. Lascia perplesso, di primo acchito, la percezione olfattiva di un potenziale spunto acetico.
Un’acescenza in fase primordiale che, con l’ossigenazione, si dilegua in maniera definitiva. Il vino si apre su note di confettura di frutti rossi, su sottofondo terziario.
Non mancano una mineralità salina e una componente vegetale di macchia mediterranea, definibile nel sentore di rosmarino. L’affinamento in legno regala invece sentori altalenanti tra il cuoio e la balsamicità dolce del miele d’acacia.
L’ingresso in bocca del Chateauneuf du Pape 2014 della Selezione Auchan è caldo, sempre giocato sui frutti rossi, in un crescendo di struttura e mineralità. Il tannino è vivo ma equilibrato, soffice: ricorda il cacao bagnato. Anche l’alcolicità è equilibrata e non infastidisce la beva. Bel vino, che lascia tuttavia qualche dubbio sul potenziale evolutivo.
La vendemmia 2009 (14%) tinge il calice, come atteso, di un rosso granato impenetrabile. Il naso è appannaggio della balsamicità: terziari conferiti dall’affinamento in legno, vegetale spinto tra la macchia mediterranea (di nuovo rosmarino) e la resina di pino. Mirtilli sotto spirito, pepe nero a zaffate.
Al palato stupisce per l’acidità ancora viva. Lo Chateauneuf du Pape 2009 della Selezione Auchan mantiene un gran corpo e un piacevole calore. Lungo nel retro olfattivo, su note di frutti rossi. All’apice della curva evolutiva, regala belle emozioni a tavola, soprattutto per chi ha la pazienza di attendere le sfumature del calice. Da consumare entro la fine dell’anno, per non perdere il bel ricordo di un grande vino francese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4,5 / 5) Una linea di vini che spazia dai bianchi ai rossi, passando per le bollicine, contraddistinta da un ottimo rapporto qualità prezzo, senza perdere di vista la territorialità del prodotto.
Feudi di San Gregorio, ormai storica cantina di Avellino, propone ai supermercati un assortimento completo, capace di tratteggiare l’Irpinia del vino adatto a tutte le tasche.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi il Fiano di Avellino Docg di Feudi di San Gregorio, vendemmia 2015. In commercio è presente anche la vendemmia 2016: interessante valutare l’evoluzione in bottiglia dell’annata precedente.
Nel calice, il Fiano Docg di Feudi si presenta di un giallo paglierino acceso, leggermente velato per la presenza di fini particelle in sospensione (nulla che ne comprometta la qualità). Al naso l’intensità è decisa: le note floreali e fruttate fresche, assieme a una spiccata mineralità, evidenziano la tipicità del vitigno Fiano.
Fiori di camomilla, pesca gialla e note agrumate invitano a un sorso che parla di campi sterminati e sterminate pianure di mare. L’alcolicità sostenuta (13,5%), tutt’altro che “ubriacante”, fa da cuscino a una spalla acida e a una mineralità che donano freschezza alla beva. Un sorso che non stanca mai. Completa il quadro il tipico finale di nocciola mista a pepe bianco.
Perfetto l’abbinamento del Fiano di Feudi di San Gregorio con crostacei, primi e secondi a base di pesce, anche grigliato. Per gli amanti della cucina giapponese, un vino perfetto per accompagnare sushi e sashimi.
LA VINIFICAZIONE Semplicissima la tecnica di vinificazione di questo Fiano che punta a valorizzare, assieme, la prontezza della beva della vendemmia in commercio e le buone doti di ulteriore affinamento in bottiglia. Le uve vengono raccolte, diraspate e poste a fermentare in serbatoi di acciaio, a una temperatura controllata di 16-18 gradi. Anche la maturazione – della durata di quattro mesi – è affidata a serbatoi in acciaio, capaci di garantire la conservazione dei profumi e degli aromi tipici del vitigno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Tappa in Puglia, più esattamente in provincia di Foggia, per il racconto del Cabernet Sauvignon di Cantine Losito, azienda all’avanguardia nel panorama dauno, produttori bio certificati dal 1997.
All’esame visivo, il vino si presenta di un rosso rubino impenetrabile, con leggeri riflessi violacei. La rotazione del nettare nel calice evidenzia archi molto ampi e lacrime che lente scivolano sulle pareti del bicchiere.
Al naso predominanza netta delle note dovute all’affinamento in legno: terziari, dunque, di cacao e caffè. Un olfatto intrigante, completato da sentori speziati di pepe e da un leggero spunto vanigliato.
La beva del Cabernet Sauvignon di Cantine Losito è quella dei rossi dal sorso facile, ma tutt’altro che banale. Un vino vigoroso e fresco, con note vegetali di peperone (tipiche del vitigno) e un bouquet di salvia e menta. Il tutto accompagnato da una sapidità sostenuta.
Un rosso molto ben equilibrato, con ricordi di sottobosco (more e ribes maturi) che lasciano spazio a un finale di polvere di caffè Arabica. Gli abbinamenti consigliati sono con le carni grasse, anche nella variante con riduzioni alla frutta, e piatti a base di tartufo.
LA VINIFICAZIONE La vinificazione di questo Cabernet parte da una raccolta meccanica di ultima generazione, molto selettiva, che riesce a valorizzare solo acini sani e maturi. Segue poi un’ulteriore selezione e pulizia dell’acino sulla macchina.
Il periodo di raccolta è fine settembre, da impianti con un sistema di allevamento a cordone speronato. La macerazione avviene in acciaio a temperatura controllata, con rimontaggi frequenti per quindici giorni. Il vino viene poi affinato per sei mesi mesi in botti di rovere francese, prima di essere imbottigliato.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
We use cookies on our website to give you the most relevant experience by remembering your preferences and repeat visits. By clicking “Accept”, you consent to the use of ALL the cookies.
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
ACQUISTA LA GUIDA e/o SOSTIENI il nostro progetto editoriale
La redazione provvederà a inviarti il Pdf all’indirizzo email indicato entro 48 ore dalla ricezione del pagamento