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degustati da noi vini#02

Vino rosso 2016 “Il Barocco”, Perego & Perego


Solo 1.330 bottiglie, zero solfiti aggiunti e un livello di anidride solforosa “ridicolo”, pari a 0,002 grammi litro. Eppure, descrivere il Vino rosso 2016 “Il Barocco” di Perego & Perego come un vino semplicemente “sano”, è ampiamente riduttivo.

Siamo in Oltrepò pavese, per l’esattezza a Rovescala (PV), per un blend che ha nella Croatina il suo forte (50%), completato da un 40% tra Moradella e Vespolina e da un 10% di Barbera. Si tratta del fiore all’occhiello della gamma del vulcanico vignaiolo Giorgio Perego: “Mr Croatina”, per l’abilità di dare del tu al vitigno.

LA DEGUSTAZIONE
Alla vista si presenta di un viola impenetrabile, che rimanda in maniera coerente alla carica di antociani – ovvero le componenti che determinano il colore del vino – della varietà. Al naso è l’alcol (15,2% vol.) a spingere verso l’esterno del calice il ricco bouquet di “Barocco”.

Un naso coi fronzoli della viola mammola e il frutto che richiama la mora, ma anche gli agrumi come il bergamotto, dalla buccia al succo. I terziari sono disegnati da una trama di spezia nera (pepe), calda (cannella) e per certi versi orientale (the verde) oltre che dal cuoio e dal fumo di pipa.

L’ossigenazione aiuta questo vino rosso oltrepadano nell’espressione delle sue sfumature più nude e crude, commoventemente tipiche dei vitigni che compongono il blend e, in particolare, della Croatina: quel richiamo selvatico che impreziosisce l’olfatto, senza far arricciare il naso.

E poi la liquirizia, il suo cuore, nelle migliori espressioni pure, calabresi. In bocca, l’ingresso è fruttato e piuttosto agile, su una nota diretta sulla mora e sulla prugna disidratata. Ma dura un attimo. Il corredo si amplia ai terziari.

È il centro bocca il momento esatto in cui “Barocco”di Perego & Perego diventa “barocco”. Guadagnando in larghezza e lunghezza, con le sue tinte di liquirizia, spezia, macchia mediterranea e leggero sale.

Il tannino gioca un ruolo fondamentale, nel suo essere ancora giovane e in fase di integrazione, ma non disturbante. Lascia una traccia in chiusura, dove il marcatore della regolizia scura si fa radice. Lungo il retro olfattivo, dove la novità sono le sensazioni fumè, tra la brace e l’incenso.

Perfetto l’abbinamento con le carni, in particolare con la selvaggina (delizioso immaginarlo col cinghiale, d’inverno, davanti a un caminetto). Una piccola versione di Brunello – concedete il paragone – prodotta in Oltrepò pavese.

LA VINIFICAZIONE
Dieci giorni di appassimento in pianta per tutte le uve che compongono il blend di “Barocco”. Un’operazione delicatissima, che evidenzia la maestria – oltre alla pazienza – di Giorgio Perego.

Quando Croatina, Moradella, Vespolina e Barbera sono mature, il vignaiolo schiaccia con un’apposita pinza dal lungo becco l’apice superiore di ogni singolo grappolo, in modo da inibire parzialmente il passaggio linfatico.

Un intervento chirurgico, dall’effetto assimilabile a quello di un laccio emostatico. Serve a ottenere la corretta concentrazione degli aromi di ogni acino, senza ricorrere all’appassimento sui graticci, che risulterebbe molto più invasivo in termini organolettici. Una volta in cantina, la massa macera un mese sulle bucce.

Seguono due settimane in acciaio. La fermentazione alcolica si conclude in tonneau, dove si svolge anche la malolattica. Il vino riposa sempre in tonneau, per circa un anno. Dopo un mese in acciaio, utile all’illimpidimento naturale, “Barocco” viene travasato e imbottigliato, senza filtrazione.

***DISCLAIMER: La recensione di questa etichetta non è stata richiesta a WineMag,it dall’inserzionista. È stata redatta in totale autonomia dalla nostra testata giornalistica, nel rispetto dei lettori e a garanzia dell’imparzialità che caratterizza i nostri giudizi, anche quando la recensione viene richiesta da una cantina***

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Gli Editoriali

Cotarella nella culla del Pinot Nero italiano: solo buoni auspici per l’Oltrepò pavese


EDITORIALE –
Ci ha girato attorno per anni, come un’ape che si fa distrarre da tante suggestioni, prima di posarsi sul fiore più bello del reame. Riccardo Cotarella, grazie al “Progetto qualità” di Terre d’Oltrepò, potrà finalmente misurarsi con lo Spumante Metodo classico Docg base Pinot Nero.

Un’uva che il noto enologo umbro conosce molto bene, per via delle sue esperienze in Piemonte (Colombo Cascina Pastori) ma soprattutto in Campania (sarà strepitoso l’Igt Paestum Rosso 2015 “Pino di Stio” di San Salvatore 1988, ancora in affinamento in cantina), oltre che “in casa”, a Falesco: il vigneto per la produzione del Brut Rosé di famiglia è situato a 450 metri sul livello del mare, nella Tenuta di Montecchio (Terni).

Il Metodo classico da Pinot Nero è il “vino simbolo” dell’Oltrepò pavese. Quello che mette d’accordo tutti, dentro e fuori da un Consorzio che, negli anni, ha perso pezzi da novanta e oggi cerca di ricomporre il puzzle. A gocce di Super Attak.

Già, perché il Pinot Noir spumantizzato “alla francese”, come lo Champagne, è l’emblema della massima qualità esprimibile dalle colline oltrepadane. Terre del vino italiano tanto straordinarie quanto sottovalutate, che hanno contribuito a far grande la Franciacorta e le zone spumantistiche del Piemonte (per informazioni citofonare ad occhi chiusi “Berlucchi”, “Martini” o “Gancia”).

Ancora oggi, dall’Oltrepò pavese partono cisterne di Pinot Nero che diventano “Veneto”, “Trentino”, “Alto Adige” e così via. Come per magia. E sarà forse proprio questo il limite eterno dei pavesi, troppo poco innamorati della propria terra e schiavi del portafoglio per dire, fermamente e in massa: “No, grazie. Questo lo vinifico io e non sarà un Vsq“.

Ancora una volta, però, il re degli enologi italiani ha scelto la strada più lunga, in un gioco all’attesa che pare compiacere il drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing, quello de “L’attesa del piacere è essa stessa il piacere” (Minna von Barnhelm, atto IV, scena VI).

LA SVOLTA

Il primo vino di Cotarella in Oltrepò pavese, come anticipato ieri da WineMag.it, sarà un Pinot Nero fermo e non la versione spumante Metodo classico. Un’etichetta, quella firmata dal noto enologo per Terre d’Oltrepò, che si andrà ad affiancare a quella di un bianco, sempre fermo. Base Riesling renano.

Ma c’è già chi storce il naso, perché non è stata scelta – per esempio – la Croatina, neppure citata da Cotarella tra le varietà sulle quali ha intenzioni di lavorare, dalle parti di Pavia. Altri affidano lo scetticismo alla figura stessa di Cotarella, senza pensare a quanto il numero uno di Assoenologi possa – con una “semplice” consulenza – portare attenzione positiva su tutto l’Oltrepò.

Roba che uno come Gerry Scotti, assoldato da una singola cantina e per quella all’opera (promozionale) addirittura durante le trasmissioni Mediaset, può scordarsi. Eh, già. L’Oltrepò ha bisogno di dieci, cento, mille Cotarella e di meno showman dalla lacrima facile, per rilanciarsi (che dico “Ri”? Per “lanciarsi” e basta, che una reale affermazione mai c’è stata) in Italia in primis e nel mondo poi, come territorio italiano del vino di qualità.

L’Oltrepò, come sostiene da anni quell’eremita e visionaria (ma sempre meno sola) di Ottavia Vistarino, ha bisogno di tecnici di cantina che abbiano visto oltre al proprio naso. Di consulenti esterni. Di gente con le palle, insomma. Che sappia trasformare in oro il grande patrimonio ampelografico che l’Oltrepò pavese è in grado di offrire.

Altrimenti la zona resterà in eterno un vigneto vocatissimo, vasto 13.500 ettari, fino alla prova contraria dell’ingresso delle uve in cantina. Avete mai provato a mettere in fila i Pinot nero vinificati in rosso dell’Oltrepò? Quanti difetti? Quante “puzzette”? Quanti sbagli evitabili, senza stravolgere con la chimica il vino?

L’auspicio, allora, è che Cotarella porti il vento della professionalità in Oltrepò pavese, intesa come desiderio di apertura mentale e confronto, oltre i confini provinciali. Solo così si conquista Milano. L’Italia. L’Europa. Il mondo.

Ed è bello che, al fianco del famoso enologo, ci sia oggi un’altra figura nuova, che arriva in Oltrepò da una zona di successo come il Lago di Garda del fenomeno Lugana: parlo del (futuro) neo direttore del Consorzio di Tutela Vini, Carlo Veronese. Destini che si incrociano al momento giusto. Speriamo anche nel posto giusto. Auguri a entrambi. Cin, cin.

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Pinot Nero e Riesling Renano: i primi vini di Cotarella in Oltrepò pavese


BRONI –
Saranno un Pinot nero e un Riesling renano i primi vini di Riccardo Cotarella in Oltrepò pavese. Il “Progetto qualità” della cantina Terre d’Oltrepò di Broni, che vede il noto enologo nel ruolo di consulente, prende il via dai due vitigni che, in quest’angolo di Lombardia, hanno trovato un habitat ideale.

In totale, al “Progetto Qualità” sono dedicati ad oggi circa 100 ettari di superficie, gestiti da 50 soci della Cooperativa oltrepadana. Sulle viti, in vista della vendemmia 2019, è stato eseguito un importante lavoro di diradamento. Un’operazione propedeutica alla valorizzazione degli aspetti varietali delle uve.

Ieri il sopralluogo di Riccardo Cotarella in alcune vigne di Montalto Pavese e Corvino San Quirico. “I viticoltori che hanno aderito al ‘Progetto qualità’ – sottolinea il consulente di Terre d’Oltrepò – stanno dimostrando particolare dedizione, perché comprendono benissimo la finalità, consapevoli che gli apparenti sacrifici porteranno soltanto dei vantaggi”.

“L’operazione è impegnativa – aggiunge Cotarella – ma di certo ricca di soddisfazioni. Naturalmente per i produttori, più che per noi. Noi siamo uno dei mezzi per far sì che queste soddisfazioni arrivino, sul piano morale come su quello economico”.

Il “Progetto qualità” sarà poi esteso ad altre aree e ad altre varietà di uva. “Non verranno tralasciati il Pinot Nero per le basi spumante – annuncia Riccardo Cotarella – il Riesling Italico e ovviamente la Barbera, oltre a tutte le altre varietà che possono contribuire alla produzione di grandi vini. L’intenzione è quella di muoversi a 360 gradi”.

Non mancano gli elogi a un territorio che fatica a imporsi sul mercato. “L’Oltrepò Pavese – evidenzia Cotarella – è un territorio bellissimo, ricco di potenzialità, ma ancora non al massimo della sua espressione. Speriamo di vedere presto fiorire i risultati di questo nostro lavoro e di questo nostro entusiasmo”.

LA VENDEMMIA 2019

Soddisfatto il presidente di Terre d’Oltrepò, Andrea Giorgi (a destra, nella foto): “Posso dire che per la nostra azienda è in atto un vero e proprio cambio di passo. Terre d’Oltrepò è realtà simbolo del territorio e lo sta dimostrando, in modo tangibile, attraverso un percorso con cui confidiamo di dare ai nostri soci buoni frutti e una giusta remunerazione“.

Confermate anche le stime Coldiretti riguardanti un calo delle quantità per la vendemmia 2019, tra i vigneti della Lombardia. “Stimiamo un calo di circa il 30% a confronto con il 2018 – precisa Giorgi – ma la qualità delle uve, in compenso, è decisamente buona. A brevissimo inizieremo con la raccolta per le basi spumante, partendo domani dalle zone di Santa Maria della Versa e Broni, mentre lunedì sarà avviata la vendemmia a Casteggio“.

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Analisi e Tendenze Vino

Vendemmia 2019 in Lombardia, Rolfi in Oltrepò: “Rilancio in vista, ma serve unità”


MAZZOLINO (PV) –
Taglio del nastro della vendemmia 2019 in Oltrepò pavese per l’assessore regionale Fabio Rolfi. Una scelta non casuale, che dimostra la voglia di rilanciare la maggiore area vinicola della Lombardia (13.500 ettari complessivi) alle prese con atavici problemi di divisione interna.

In particolare, Rolfi ha indetto la conferenza stampa a Tenuta Mazzolino, una delle cantine più virtuose e di qualità del territorio oltrepadano e lombardo. Al suo fianco, alle 11 di questa mattina, Carlo Veronese (ex Consorzio Tutela Lugana Doc), ormai prossimo all’investitura di direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese.

A fare gli onori di casa, il managing director di Mazzolino, Stefano Malchiodi. “Siamo qui non solo per dare avvio alla vendemmia 2019 in Lombardia, ma per esprimere forte ottimismo per il futuro dell’Oltrepò”, ha esordito Rolfi.

Questa zona – ha proseguito il titolare dell’assessorato all’Agricoltura regionale – costituisce una grande ricchezza per la Lombardia, non solo per i suoi vini, ma anche per il suo paesaggio straordinario. Nell’epoca dell’enoturismo l’Oltrepò, con quello che può offrire, può tranquillamente vincere questa battaglia, se compatto e unito. Bisogna organizzarsi”.

Come? “Prima di tutto – ha precisato Rolfi – serve un Consorzio riconosciuto e compatto. Inoltre sono contento che c’è una riduzione della quantità prevista per la vendemmia 2019, in Oltrepò e in altre zone.L’obiettivo non è vincere la classifica della quantità, ma far percepire meglio e valorizzare il vino e posizionare meglio la bottiglia in termini di prezzo”.

In quest’ottica – dopo la legge regionale che stabilisce l’obbligo per gli agriturismi della Lombardia di servire esclusivamente vino lombardo – sono due le strategie che Rolfi ha intenzione di mettere in atto.

In primis l’Osservatorio regionale sulle carte dei vini. “La mia intenzione – ha spiegato l’assessore – è cercare di indirizzare le carte dei vini dei ristoranti lombardi, a partire da quelli della ‘capitale’ Milano, nella direzione del territorio”.

“È quello che il turista chiede – ha sottolineato Rolfi – e, per di più, la Lombardia è in grado da sola di produrre tutte le tipologie possibili di vino, dagli spumanti ai vini dolci, passando per i rossi, i bianchi e i frizzanti”.

L’altra operazione riguarda la promozione all’estero. Per la prima volta, Regione Lombardia sarà presente in maniera compatta con uno stand alla Prowein Trade Fair, in programma a Düsseldorf, in Germania, dal 15 al 17 marzo 2020. Si tratta della maggiore “Fiera del vino” internazionale, dedicata a buyer e professionisti del settore.

“Finalmente uno spazio in cui cercheremo di riunire cantine e Consorzi lombardi, per aiutare le aziende a presentarsi in una grande realtà internazionale e valorizzare la Lombardia vitivinicola“, ha commentato Fabio Rolfi.

Ci sarà certamente, tra questi, anche l’Oltrepò pavese del nuovo direttore Carlo Veronese. L’ex manager della Lugana, la cui investitura ufficiale nel pavese è prevista per l’1 settembre – ricoprirà il posto lasciato vacante da uno dei direttori più controversi della storia del Consorzio oltrepadano, il silurato Emanuele Bottiroli – sta prendendo le misure in Oltrepò.

Arrivando da una zona di pianura come quella del Lago del Garda – ha ammesso Veronese – per me queste sono colline, anzi quasi montagne! Mi sto ancora ambientando qui. Abbiamo un inizio di vendemmia che parte con un dato interessante: sarà più scarsa, in termini quantitativi”.

“Il fatto che in Oltrepò non ci sia un prodotto identificativo – ha aggiunto – non è necessariamente un male, se si riesce a vendere tutto. In questo momento c’è un po’ di difficoltà, anche perché c’è tanto prodotto. In questo senso, un’annata più scarsa può aiutare”.

“Il vino più importante, non tanto dal punto di vista della qualità ma da quello dell’immagine, ovvero lo spumante Metodo classico da uve Pinot Nero scelto dal territorio – ha assicurato Veronese – servirà a trainare tutti gli altri vini dell’Oltrepò”.

“Il lavoro sulla qualità è fondamentale – ha concluso il futuro direttore – e il gioco del Consorzio è quello di aumentare la promozione e tornare a fare gruppo, mettersi assieme. Condividere idee e attività. Se ci riusciamo, sono sicuro che in poco tempo arriveranno i risultati, anche grazie a una Regione molto vicina”.

I dati su una vendemmia 2019 in calo quantitativo vengono confermati da Stefano Malchiodi. “Abbiamo iniziato a raccogliere la base spumante la scorsa settimana – ha evidenziato il managing director di Tenuta Mazzolino – sia Chardonnay che Pinot Nero. Ottime le analisi sulle prime vasche”.

“L’escursione termica verificatasi nei primi giorni di agosto, dopo un fine luglio rovente – ha precisato Malchiodi – ha permesso di mandare avanti la maturazione fenologica senza troppo accumulo zuccherino, né calo dell’acidità. Il 20% in meno rispetto allo scorso anno non è un male: sarebbe peggio avere problemi sulla qualità, che è invece è entusiasmante”.

La vendemmia di Tenuta Mazzolino, del resto, è solo all’inizio. Si concluderà con le uve destinate ai vini rossi da affinare in legno, base Pinot Nero. Per di più, l’azienda di 20 ettari è suddivisa in 39 particelle, ognuna delle quali vendemmiata in diversi momenti.

Una “zonazione” alla altoatesina, insomma. O, ancora meglio, una visione “francese” dei vigneti, suddivisi in cru e micro vinificati. Una bella ricetta contro l’Oltrepò delle quantità, che spesso si traducono nei prezzi stracciati “massacra denominazioni”, riscontrabili al supermercato.

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Vendemmia 2019, parola ai produttori: focus in 6 regioni, da Nord a Sud


Come stanno affrontando la vendemmia 2019 i produttori italiani? La risposta in un viaggio ideale, da Nord a Sud della Penisola: un focus dall’Etna alla Sardegna, passando per Trentino Alto Adige, Piemonte, Franciacorta, Oltrepò pavese, chiudendo in Toscana.

DALLE ISOLE
Iniziamo dalle isole. Sull’Etna in Sicilia, Vincenzo Lo Mauro, Manager di Passopisciaro, racconta di un clima estremamente rigido con molte gelate in inverno e fino a primavera inoltrata.

“Da giugno in poi – continua – si sono avute temperature costanti attorno ai 30°C con buone escursioni termiche la notte. Il freddo ha agito anche come antiparassitario naturale, mentre l’importante riserva idrica data dalle piogge primaverili è ottima per affrontare un’estate piuttosto calda”.

Dalle terre del Vermentino di Gallura in Sardegna, Luca Vitaletti, agronomo di Siddùra rileva che l’autunno e l’inverno hanno registrato temperature abbastanza miti, mentre la primavera è stata caratterizzata da temperature al di sotto della norma che hanno rallentato lo sviluppo della vite.

“Tuttavia – evidenzia Vitaletti – le discrete riserve idriche accumulate durante questa stagione hanno permesso di recuperare il rallentamento in termini di stagione e di limitare l’utilizzo dell’innovativo sistema di irrigazione di cui dispongono le nostre vigne”.

“Grazie ad appositi sensori e a una stazione meteo che trasmette continuamente dati ai nostri computer, riusciamo a identificare in maniera puntuale gli stati di bisogno e a intervenire solo dove e quando necessario, risparmiando acqua e trattamenti”, conclude l’agronomo della cantina sarda.

NEL NORD ITALIA
Un’altalena di temperature durante la primavera è quanto si è verificato anche in Alto Adige, dove Andrea Moser, enologo di Cantina Kaltern, evidenzia che “l’importante ritardo nello sviluppo vegetativo è stato recuperato con l’inizio dell’estate e ora a luglio è presente una vegetazione regolare e carico di uve buono”.

“È anche possibile che la vendemmia slitti a settembre, mese dalle belle escursioni termiche, fondamentali per conservare l’acidità dei vitigni a bacca bianca”, sostiene Andrea Moser.

In Trentino Anselmo Guerrieri Gonzaga di San Leonardo si sofferma sul mese di maggio che “ha registrato temperature ben sotto la media, poi finalmente il sole di giugno ha fatto riprendere le vigne, che oggi appaiono molto rigogliose e con uva sana. Come sempre è davvero troppo presto per cantar vittoria. Lo faremo solo quando l’uva sarà al sicuro nelle nostre vasche di cemento!”.

Sempre in Trentino ma più a nord, Matteo Moser, enologo di Moser Trento ha registrato temperature fino a -10°C nei mesi di gennaio-febbraio, successivamente “dopo un marzo-aprile temperato, è giunta un’ondata di freddo siberiano che ha rallentato lo sviluppo delle viti. Il prosieguo dell’annata è stato piuttosto caldo e asciutto e questo ha garantito la sanità delle viti e un impiego molto limitato di trattamenti”.

Dal Piemonte del Barolo, anche Alessandro Bonelli, enologo di Damilano, parla di “germogliamento precoce, seguito da un generale abbassamento delle temperature nella primavera inoltrata, che ha rallentato la produzione vegetativa della pianta. Maggio e giugno invece sono stati molto caldi, con temperature anche di 27-28°C mai viste negli ultimi 60 anni”, che hanno riequilibrato il ritardo accumulato in precedenza aprendo ad ottime prospettive di raccolta.

Sul fronte bolle della Lombardia, arrivano dalla Franciacorta le parole del Responsabile Tecnico di Mosnel, Flavio Polenghi: “Stiamo per arrivare alla vendemmia di un’annata sicuramente impegnativa e double-face. Le piogge cadute ad inizio invaiatura, come meglio non poteva essere, hanno dato frescura e carica ai grappoli, per affrontare il rush finale”.

“Prevediamo una vendemmia ‘posticipata’ – continua Polenghi – che permetterà alla pianta di beneficiare di una maturazione in condizioni più favorevoli e con prospettive qualitative di alto livello”.

Per Ottavia Giorgi di Vistarino di Conte Vistarino in Oltrepò Pavese invece, le temperature record “con punte di 37°-40°C a fine giugno e pochissime precipitazioni (4-10 mm) fanno presagire che l’inizio della vendemmia sarà in agosto come negli ultimi 15 anni. Al momento si prospetta una grande annata per le basi spumante, grazie alla sanità delle uve e alla qualità dovuta anche al leggero calo produttivo rispetto al 2018”.

IN TOSCANA
Ginevra Venerosi Pesciolini di Tenuta di Ghizzano (Terre di Pisa) racconta: “Dopo un inverno relativamente siccitoso, le piogge di maggio e giugno hanno riequilibrato il terreno che, avendo una buona percentuale di argilla, ha trattenuto bene l’umidità. Le alte temperature che sono seguite non sono state perciò un problema. I due temporali di luglio poi hanno davvero creato le condizioni ideali per un’ottima annata, sia in quantità che in qualità”.

In Chianti Classico, Alessandro François di Castello di Querceto parla di situazione ottimale: “Le abbondanti piogge primaverili sono state un toccasana per le riserve idriche e l’annata ad oggi è positiva sia per qualità sia per quantità”.

Giulio Carmassi, enologo di Gagliole, invece, rileva che questo “è l’anno in cui si stanno vedendo maggiormente gli effetti del cambiamento climatico perché ogni mese sembra avere una storia a sé. Le piante per fortuna stanno dimostrando grandi capacità di resilienza”.

Il racconto di Alessandro Campatelli, di Riecine a Gaiole in Chianti è linea: “L’annata 2019 conferma che le piogge autunnali si sono spostate in primavera. Come sempre incrociamo le dita per un agosto ideale, ma le premesse per un’ottima vendemmia ci sono tutte!”.

Montalcino, Carlo Ferrini di Giodo osserva che “non ci sono state assolutamente malattie in vigna, condizione rara. Fioritura e allegagione hanno coinciso con il cessare delle piogge, l’allegagione è stata molto bella e si sta assistendo alla produzione di grappoli di aspetto magnifico”.

Anche Fabrizio Lazzeri, agronomo di Tenute Silvio Nardi conferma che “i presupposti per una buona annata ci sono tutti. Al momento i grappoli appaiono di medie-piccole dimensioni e non estremamente compatti. Questo favorirà la maturazione delle uve e potrà aumentarne l’aspetto qualitativo”.

Concludiamo con la voce di Donata Vieri, enologa di Fattoria le Pupille che racconta di un ottimo equilibrio vegeto-produttivo in Maremma. “Qui in inverno le temperature hanno alternato giornate fredde e secche – evidenzia – con vento di tramontana, a giornate fresche e umide ma poco piovose. Le vere piogge ristoratrici sono arrivate in tarda primavera. Poi il caldo e il bel tempo una volta arrivati non hanno più lasciato la nostra terra”.

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Oltrepò: torna alla carica “La Mossa Perfetta”, La Bonarda dei Produttori

TORRAZZA COSTE – Due giorni di tour – il 19 e 20 luglio prossimi – per scoprire “La Mossa Perfetta“. Non è il ballo dell’estate 2019 ma “La Bonarda dei Produttori“. Ad organizzare l’evento riservato alla stampa è il Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò pavese, che continua dunque a muoversi come organismo indipendente rispetto al Consorzio Tutela Vini, nella promozione del territorio.

Il direttore Fabiano Giorgi difende l’iniziativa e l’indipendenza del progetto: “Riteniamo la ‘Bonarda dei Produttori’ fondamentale per le piccole aziende di qualità dell’Oltrepò, nell’ottica di una rivalutazione dei prezzi e della qualità di questo vino. I numeri in crescita ci danno ragione: parliamo oggi di 200 mila bottiglie“. Impossibile coinvolgere il Consorzio?

“Si tratta di un’iniziativa del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò pavese – risponde Giorgi – che vede coinvolte piccole cantine, unite per rendere onore a un prodotto che ha grossissimi problemi. La colpa non è solo degli imbottigliatori o del vino sfuso: le colpe sono di tutti gli attori del territorio”.

LE CANTINE ADERENTI

Diciannove le cantine aderenti nel 2015, all’inizio del progetto, ridotte oggi a 16, secondo quanto dichiarato dal presidente del Distretto. “Il numero delle aziende – spiega a WineMag.it un portavoce de ‘La Mossa Perfetta’ – è purtroppo diminuito rispetto all’inizio di qualche unità”.

“Le cause sono molteplici – spiega ancora – per qualcuno era scomodo avere una referenza in più a catalogo. Inoltre la clientela gradisce dei prodotti con una morbidezza maggiore rispetto al regolamento. Per altri era troppo l’impegno di partecipazione agli eventi e agli incontri del gruppo”.

Ad aderire al prossimo incontro con la stampa saranno l’Azienda Agricola Bagnasco Paolo, l’Azienda Agricola Bisi, l’Azienda Agricola Calatroni, l’Azienda Vitivinicola Calvi, l’Azienda Agricola Fiamberti Giulio, Tenuta Gazzotti, Giorgi di F.lli Giorgi Antonio, Fabiano ed Eleonora, l’Azienda Agricola Gravanago di Paolo Goggi.

E ancora: la Società Agricola La Travaglina, l’Azienda Agricola Manuelina, l’Azienda Agricola Maggi Francesco, l’Azienda Agricola Quaquarini Francesco, l’Azienda Agricola Valdamonte di Fiori Alberto e Tenuta Montelio di Caterina e Giovanna Brazzola.

Mancano all’appello, rispetto al nucleo promotore iniziale, la Cantina di Canneto Pavese, l’Azienda Agricola Eredi Cerutti-Stocco, l’Azienda Agricola Miotti Marco, la Pastori Silvano, Tenuta Fornace e Ca’ di Frara di Bellani Luca.

IL FUTURO DELLA BONARDA
Non a caso si parla di “rilancio della Bonarda” anche nel documento stilato da Regione Lombardia ed Ersaf, nel quadro delle iniziative utili alla riconsacrazione dell’Oltrepò pavese vitivinicolo.

Una “nuova Bonarda, di alta qualità”, che vedrebbe potenzialmente coinvolte 1.409 cantine, per un volume complessivo di 140.902 ettolitri e quasi 19 milioni di bottiglie da 0,75 cl (18.911.536 per l’esattezza).

Un prodotto che godrebbe di un nuovo posizionamento nei vari settori commerciali (Gdo, Discount, Horeca). Per la cui promozione potrebbe essere individuato “un testimonial famoso che faccia da richiamo”.

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Esclusivo: i piani di Regione Lombardia per l’Oltrepò pavese. Dall’aumento del valore delle uve ai tre vini (+1) su cui puntare


MILANO –
Un codice etico per tutte le aziende del territorio. Più valore alle uve. E tre “vini bandiera” (più uno), attorno ai quali costruire il nuovo Oltrepò pavese: il Metodo classico Docg, il Pinot Nero in rosso, la “nicchia” Buttafuoco e il “vino pop” Bonarda. Trapelano da Palazzo Lombardia le prime indiscrezioni sui piani utili al rilancio dell’area vinicola più vasta della regione.

Poco meno di 13 mila ettari vitati – più dell’intero Trentino Alto Adige e della Svizzera, per intenderci – situati a soli 57 chilometri da Piazza Duomo, che non possono restare ancora a lungo alla mercé dei commercianti d’uva e degli imbottigliatori.

Regione ed Ersaf intendono puntare sulla valorizzazione del territorio e del terroir, sfruttando gli studi sulla zonazione che, tra la fine degli anni Settanta e il 2010, hanno confermato la “plurale vocazionalità alla produzione di vini di alta qualità”.

“Probabilmente – si legge sul documento su cui stanno lavorando le istituzioni locali – l’importanza sempre più rilevante degli stakeholder commerciali (gli imbottigliatori) sui restanti, senza un adeguato patto territoriale, ha finito per orientare alla riduzione dei valori delle uve e dei vini”.

Circa il 60% delle uve prodotte sono vinificate da 4 cantine sociali (Terre d’Oltrepò, Torrevilla, Canneto e La Versa), mentre sono 150 le aziende private “ben strutturate”, nelle quali è tangibile “il savoir faire locale”, anche grazie a uno “svecchiamento delle imprese avvenuto negli ultimi 15 anni”.

Realtà tra le quali è però evidente uno scollamento totale, che genera – come si legge ancora sul documento – la mancanza di “un quadro unitario”, di “una governance di sistema” e di “standard di eccellenza condivisa“.

UN TERRITORIO IN PERDITA
Risultato? I dati sconcertanti che riguardano i guadagni per i produttori oltrepadani di uve, che “si sono ridotti drasticamente negli anni: “Molti, oggi, già producono in perdita“, ammette il Palazzo.

Secondo i dati in possesso dei tecnici di Regione Lombardia e di Ersaf, “i costi ad ettaro comprensivi degli ammortamenti sono prossimi a 7 mila euro”. A fronte di ricavi stimabili in circa 6 mila euro all’ettaro.

“Anche ammettendo alcune possibili riduzioni dei costi, ad esempio con la vendemmia meccanica, appare evidente il problema di un prezzo delle uve troppo basso“, si può leggere ancora. In Oltrepò la media produttiva è infatti di 120 quintali all’ettaro, pagati mediamente 50 euro al quintale.

Prezzi che assomigliano molto – e in alcuni casi sono addirittura inferiori – a quelli della contrattazione tra privati in territori come la Puglia o la Sicilia. Un aspetto che evidenzia l’assoluta mancanza di responsabilità sociale da parte dei maggiori stakeholder locali, disinteressati al bene delle Denominazioni oltrepadane.

“La mancanza di un accordo per il territorio fra commercianti, vinificatori e viticoltori che favorisce l’instaurarsi di prezzi troppo bassi, non solo per le uve, ma anche per i vini, i quali escono dal territorio perlopiù sfusi. Prezzi molto diversi da quelli cui potrebbe ambire il territorio”, ammettono candidamente Regione Lombardia ed Ersaf.

D’altro canto, sempre secondo l’analisi dei tecnici, “non è percorribile in Oltrepò pavese un modello produttivo aziendale basato su una elevata produttività di uve per ettaro, anche se poco pagate”. “In altre zone ove detto modello ha avuto successo si riescono facilmente a produrre 300 quintali all’ettaro”, contro i 110-160 oltrepadani.

Colpa (o merito, a seconda dei punti di vista) delle caratteristiche morfologiche di un territorio in cui, la quasi totalità della viticoltura, è in pendenza talvolta anche forte. Con la meccanizzazione resa così inapplicabile.

Tra i macro obiettivi delle istituzioni regionali, dunque, “l’individuazione di un percorso di medio/lungo periodo (da 5 a 15 anni) che nel breve non porti ad abbassare ulteriormente i prezzi delle uve/vini; coinvolga tutte le tipologie di aziende e sia inclusivo; sia basato su obiettivi parziali misurati da indicatori specifici”. E tra le azioni possibili ecco che spunta la “creazione e promozione di un marchio territoriale“.

I VINI DA CUI RIPARTIRE. TRA TESTIMONIAL E FICTION

Spazio alle eccellenze, dunque, come quelle rappresentate dal Pinot Nero (Metodo classico o vinificato in rosso) e del Buttafuoco. Ma tra i vini sui cui puntare nell’immediato non può mancare il Bonarda.

O, meglio, una “nuova Bonarda, di alta qualità“, che vedrebbe potenzialmente coinvolti 1.409 cantine, per un volume complessivo di 140.902 ettolitri e quasi 19 milioni di bottiglie da 0,75 cl (18.911.536 per l’esattezza).

Un prodotto che subirebbe, come gli altri, un nuovo posizionamento nei vari settori commerciali (Gdo, Discount, Horeca). Per la cui promozione, capace di coinvolgere tutto il territorio, potrebbe essere individuato “un testimonial famoso che faccia da richiamo”.

Qualcuno come Eugenio Ghiozzi, in arte Gene Gnocchi, osiamo anticipare noi di WineMag.it, senza contare l’ormai scontato (e scontabile) Gerry Scotti, ormai vicino all’auto inflazione per i continui spot tv (non dichiarati) alle proprie etichette di vino oltrepadano in vendita in alcuni supermercati.

Vicino al Club del Buttafuoco Storico e caro a diversi produttori locali, Gnocchi – comico e personaggio tv di orgini parmigiane – ha già condotto il 23° compleanno del “Veliero” a Milano.

La “nuova Bonarda” potrebbe essere poi “vestita con un luogo/marchio unico e riconoscibile”, identificata con “una bottiglia specifica del vino brand unica per tutti i produttori” e promossa anche “in eventi di particolare rilievo e seguito, come eventi sportivi e fiction tv“.

Al vertice assoluto, invece, l’Oltrepò pavese Metodo classico Docg (1.239 produttori che hanno utilizzato la Denominazione, 8.102 ettolitri e 453.131 bottiglie da 0,75), il Pinot Nero dell’Oltrepò (218 cantine, 7.773 ettolitri e 282.625 bottiglie da 0,75 cl) e il Buttafuoco “come prodotto di nicchia e unico”: 150 produttori, 3.751 ettolitri e 375.991 bottiglie da 0,75 cl.

LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO
Spazio, nelle mire di Regione ed Ersaf, anche all’elemento territoriale Oltrepò, “che può contare su tanti elementi positivi quali il paesaggio, gli elementi storici e culturali, la posizione non lontana dalle vie di comunicazione” e “l’essere attraversato dal 45° parallelo“.

“Per le azioni sulle singole filiere – riporta il documento ufficiale – occorre attivare servizi di integrazione soprattutto per la valorizzazione dei prodotti enogastronomici, ma anche per le caratteristiche ambientali e storico socio-culturali che sarebbe in grado di generare marcati tratti distintivi dell’Oltrepò”.

Tra le azioni possibili, Regione ed Ersaf citano “fare rete tra aziende, Bed & Breakfast, itinerari turistici”, ma anche la “promozione nei locali di prodotti di territorio” e la “formazione degli operatori con corsi di inglese e accoglienza del cliente, fornendo servizi idonei per la scoperta del territorio come guide per tour”.

Si pensa inoltre alla realizzazione “di un portale di informazioni del territorio altamente innovativo sia come performance tecnologica sia come completezza delle informazioni che traduce in servizi”.

Inoltre alla “valorizzazione del territorio rendendolo attrattivo in base alle peculiarità intrinseche di tranquillità dei luoghi, percorsi trekking, bici e cavallo, terme, parapendio, arrampicata, tour in aziende vitivinicole, cammini religiosi e Via del sale percorribile fino alla Liguria”.

IL NODO DEL CONSORZIO

Il tutto, come previsto dal “codice etico” che dovranno sottoscrivere tutti i produttori, nel “riconoscimento della funzione pubblica e super partes” del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò pavese. Un organismo rigenerato dal ricomponimento della frattura con il Distretto di Qualità, ma che ancora non gode della fiducia totale dei produttori.

È il caso del gruppo, sempre più nutrito, guidato da Ottavia Vistarino (Conte Vistarino), col quale è ampiamente avviata la “trattativa” da parte di Regione Lombardia ed Ersaf. La posizione dei “dissidenti” è ferma e chiara.

Dopo tanti anni in cui le cose non hanno funzionato – dichiarava Vistarino in un’intervista esclusiva rilasciata a WineMag.it lo scorso 29 aprile – abbiamo perso la fiducia.

Quindi, prima tutte le parti condividono un progetto da mettere in mano ad un amministratore delegato, che accetti questo ruolo solo dopo aver condiviso con noi i punti focali per la rinascita dell’Oltrepò. E poi rientriamo nel Consorzio, con una nuova governance”.

“Una figura, quella dell’Amministratore delegato – continuava Vistarino – da individuare attraverso una specifica ricerca da parte di qualche cacciatore di teste, da incaricare appositamente. Siamo tutti consapevoli che l’organismo deputato a considerare le sorti del territorio debba rimanere il Consorzio e per questo assicuro che da parte mia non c’è alcuna voglia di creare nuove associazioni o distretti“.

“Piuttosto – concludeva la numero uno di Conte Vistarino – proporremo brand alternativi in cui si riconoscano le aziende di qualità dell’Oltrepò pavese, sul modello di quanto accaduto in Spagna col Cava“. Posizioni ancora attuali a distanza di oltre due mesi. Mentre tutto attorno, l’Oltrepò che crolla, tenta di riaprire le ali in vista della vendemmia 2019.

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#oggirosa: un brindisi con il Chiaretto di Bardolino

Venerdì 21 giugno, primo giorno d’estate, si terrà #oggirosa, manifestazione promossa dal Consorzio di Tutela del Chiaretto e del Bardolino per celebrare l’arrivo della bella stagione con il Chiaretto di Bardolino, il “vino rosa” della sponda veronese del lago di Garda.

L’iniziativa prevede una serie di aperitivi, cene e degustazioni e coinvolgerà cantine, enoteche, wine bar e ristoranti del territorio gardesano e della Valpolicella. A Torri del Benaco, sul Molo De Paoli, ci sarà l’aperitivo in rosa con AIDO, accompagnato dalla musica della Old Pepper Jess Band. Per l’occasione, grazie al Comune di Torri, all’imbrunire il Castello Scaligero verrà illuminato di rosa.

A Bardolino l’Hollywood Dance Club, tra i più celebri locali del lago di Garda, aprirà sulle note dei Friday Sinatra. A bordo piscina, durante l’happy hour, si festeggerà con il Bardolino Chiaretto Heaven Scent di Vigneti Villabella. L’azienda agricola Bigagnoli, invece, brinderà a #oggirosa sia a Calmasino di Bardolino, con un aperitivo in cantina, che a Garda, all’OsteriaA22.

Al ristorante Oseleta di Cavaion Veronese, una stella Michelin, lo chef Giuseppe D’Aquino abbinerà le sue creazioni al Chiaretto di Bardolino di Villa Cordevigo e Vigneti Villabella in una cena esclusiva, realizzata per l’occasione, a partire dalle ore 20.

Tenuta La Presa, invece, offrirà un aperitivo di Bardolino Chiaretto nei ristoranti El Brol a Costermano sul Garda, Bonaparte a Rivoli Veronese e Miralago a Pastrengo. In Valpolicella, a Pedemonte, al Wine Shop di Tommasi Family Estates, verrà offerto un calice di Bardolino Chiaretto Granara e sarà possibile acquistare i tre “vini rosa” prodotti sul lago di Garda, in Oltrepò Pavese e in Puglia ad un prezzo scontato. Sempre a Pedemonte, anche l’azienda Santa Sofia applicherà degli sconti sull’acquisto di Chiaretto di Bardolino.

Giunta alla sua seconda edizione, la campagna #oggirosa è nata per volontà dei sei Consorzi (Chiaretto di Bardolino, Chiaretto Valtènesi, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte, Salice Salentino, Cirò e Melissa) che hanno aderito a RosAutoctono, l’Istituto del “Vino Rosa” Autoctono Italiano. La manifestazione infatti è la risposta nazionale all’International Rosè Day, in programma il 28 giugno in Provenza e dedicato esclusivamente ai rosé provenzali.

Non solo a Bardolino e in Valpolicella dunque, ma anche negli altri territori della penisola si festeggerà l’estate con una serie di eventi e iniziative dedicate ai “vini rosa”.

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Analisi e Tendenze Vino

Rilancio del vino dell’Oltrepò pavese: dalla Regione i primi 200 mila euro

MILANO – “Il progetto di rilancio dei vini dell’Oltrepò pavese si sta concretizzando. Con queste prime risorse la Regione Lombardia dimostra di esserci, in maniera pragmatica, e di voler investire sul futuro di questo territorio”.

Lo ha detto Fabio Rolfi (nella foto, sotto), assessore regionale lombardo all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi al termine della giunta regionale che si è svolta questo pomeriggio a Palazzo Lombardia.

Nell’ambito dell’accordo per lo sviluppo economico e la competitività stipulato tra Regione Lombardia e il sistema camerale lombardo, la Regione ha infatti deliberato uno stanziamento per il progetto di filiera volto a rilanciare e promuovere le produzioni vitivinicole dell’Oltrepo’ pavese.

La spesa totale prevista è di 200 mila euro, suddivisi equamente tra Regione Lombardia e Camera di commercio di Pavia. Serviranno a perseguire l’obiettivo di riqualificare la produzione dei vini dell’Oltrepò Pavese, “al fine di rilanciare l’intero territorio in una ottica di marketing territoriale”.

Si tratta solo di una prima trance, dal momento che la Regione, sempre atraverso l’assessore Rolfi, ha annunciato investimenti in Oltrepò pavese per 600 mila euro. Prima, però, il palazzo vuole certezze dal territorio.

Si partirà dalle produzioni agro-alimentari in collaborazione con il Consorzio di tutela e promozione dell’Oltrepò Pavese. Il piano prevede di “pianificare le attività di promozione e marketing insieme al territorio prevedendo uno studio del posizionamento iniziale, un piano di azioni sul territorio nazionale, attività di incoming e la valutazione degli esiti”.

“Ogni tassello sta andando al proprio posto. Ora tocca ai produttori e al territorio. È fondamentale per noi avere un unico consorzio con cui rapportarci, una voce unica della produzione vitivinicola oltrepadana. Ora l’obiettivo è posizionare il vino dell’Oltrepo’ dove merita” conclude Rolfi.

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Analisi e Tendenze Vino

Caos Oltrepò, Rossetti replica al Consorzio: “Sono estraneo alle accuse”


Riceviamo e pubblichiamo integralmente il comunicato di Michele Rossetti, ex presidente del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò pavese, che replica alle accuse mosse dall’attuale dirigenza.

Non sono al corrente degli atti e dunque non so di cosa si stia parlando. Sono comunque estraneo a ogni accusa e lo dimostrerò in ogni sede. Farò inoltre valere in ogni sede la tutela della mia onorabilità con ogni mezzo legale. Nel frattempo ciò che ho dato, detto e fatto nel corso del mandato parlano per me. È singolare che a parlare di questa vicenda sia il presidente di Terre d’Oltrepò, dimostrando chi comanda davvero in Consorzio.

È altrettanto singolare che su tutti gli amministratori vecchi e nuovi l’unico responsabile di un eventuale danno possa essere io. In Oltrepò chi non si allinea ai poteri forti va incontro al peggio. Il nuovo consiglio di amministrazione è per buona metà il vecchio consiglio di amministrazione, ma molti hanno perso la memoria.

So da tempo di essere scomodo perché vedo, penso e valuto con la mia testa. Qui valgono invece altre regole. I quasi tre anni di lavoro sui nuovi disciplinari sono stati annacquati, perché il nuovo che avanza avesse le mani libere.

Visto che sono di moda le azioni di responsabilità, mi aspetto anche un’azione nei confronti di chi ha prodotto il più grande scandalo del vino con conseguente danno reputazionale a tutti i produttori.

Per ora si scagliano contro di me che per un intero mandato, non retribuito, ho lottato per il bene comune senza prendere ordini da nessuno. Ora non mi perdonano di essere tra le anime critiche che non accettano il Consorzio dei muscoli, preferendo star fuori con l’Oltrepò della qualità.

Sorprende che un Consorzio che ogni settimana perde aziende di prestigio, per coprire i fallimenti della propria politica, sollevi polveroni a mezzo stampa che certo non fanno bene a nessuno. Il futuro che si profila non è fatto di dialogo e collaborazione ma di vendette”.

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Oltrepò modello Cava: 4 fuori dal Consorzio. Ottavia Vistarino: “Serve un progetto”

ROCCA DE’ GIORGI – Un Oltrepò pavese modello Cava o meglio “Corpinnat“, il brand alternativo attorno al quale si riconoscono i produttori di qualità usciti dal Consejo Regulador della Denominazione spagnola. C’è aria di vera rivoluzione dalle parti di Pavia.

Dopo lo strappo di maggio 2018 e i tentativi di ricucitura dell’assessore regionale Fabio Rolfi e del ministro all’Agricoltura Gian Marco Centinaio, altre 4 cantine – Conte Vistarino, Perego & Perego, Prime Alture e Tenuta Travaglino – hanno abbandonato il Consorzio.

L’ente è sempre più esposto al rischio di perdere l’Erga Omnes sulle varie Denominazioni. Altri produttori avrebbero infatti “le carte pronte” per abbandonare l’organismo presieduto da Luigi Gatti.

E si parla di nomi importanti per la buona reputazione dell’Oltrepò pavese, che potranno contare anche sull’appoggio di una cooperativa come Torrevilla, già fuori dal Consorzio.

Il colosso guidato da Massimo Barbieri ha da tempo avviato un percorso virtuoso che porterà alla realizzazione di una nuova cantina, con la nascita di un brand esclusivo, “La Genisia”, per il Metodo classico da uve Pinot Nero.

“USCIAMO PER RICOSTRUIRE”
A guidare il nuovo tsunami del cambiamento è Ottavia Giorgi di Vistarino (nella foto), tenace produttrice che dopo aver rigirato come un calzino l’azienda di famiglia – trasformandola da volume oriented a value oriented – è pronta a prendere per mano tutto l’Oltrepò.

“Cosa mi ha spinto a uscire dal Consorzio? La voglia di lavorare prima di tutto su un progetto di territorio condiviso e promosso dalle aziende di qualità, che a cascata interessi tutti i livelli della piramide produttiva”, risponde Ottavia Giorgi di Vistarino.

Abbiamo perso la fiducia dopo tanti anni in cui le cose non hanno funzionato. Quindi, prima tutte le parti condividono un progetto da mettere in mano ad un amministratore delegato, che accetti questo ruolo solo dopo aver condiviso con noi i punti focali per la rinascita dell’Oltrepò. E poi rientriamo nel Consorzio, con una nuova governance”.

“Una figura, quella dell’Amministratore delegato – continua Vistarino – da individuare attraverso una specifica ricerca da parte di qualche cacciatore di teste, da incaricare appositamente”.

“Siamo tutti consapevoli che l’organismo deputato a considerare le sorti del territorio debba rimanere il Consorzio – commenta ancora la produttrice – e per questo assicuro che da parte mia non c’è alcuna voglia di creare nuove associazioni o distretti”.

“Piuttosto, se non saremo ascoltati, procederemo col nostro progetto, condividendo dei brand alternativi in cui si riconoscano le aziende di qualità dell’Oltrepò pavese, sul modello di quanto sta accadendo in Spagna col Cava“.

NO ALLE POLTRONE

“A me non interessa sentir parlare di cariche elettive – conclude Ottavia Giorgi di Vistarino – ma di contenuti. I veri produttori di filiera, hanno bisogno di progetti concreti su cui lavorare e di colleghi con cui condividerli”. Come quelli di Tenuta Travaglino, realtà da 400 ettari a corpo unico che ha abbandonato Distretto e Consorzio di Tutela.

“E’ un po’ come rimanere iscritti al tennis club di Casteggio pur sapendo che dalla doccia esce l’acqua fredda e che il campo è pieno d’erba. Ovvio che uno pensi di iscriversi al tennis club di Voghera…”, commenta con una metafora Achille Bergami, per conto dei giovani proprietari Alessandro e Cristina Cerri, fratello e sorella.

Giri di parole a parte – continua l’enologo della cantina di Calvignano – lasciare il Consorzio è stata una scelta ponderata ma molto, molto spiacevole. Purtroppo non è un organismo in grado di fornire un servizio utile a Travaglino, ma siamo pronti a ricrederci di fronte a un progetto di territorio, che includa le aziende di qualità”.

Dello stesso avviso Roberto Lechiancole (nella foto) patron di una delle cantine bandiera dell’enoturismo in Oltrepò: Prime Alture di Casteggio: “E’ ridicolo – commenta – che nel 2019 un Consorzio del vino si concentri solo sulla revisione dei disciplinari, al posto di parlare di vino di qualità che non dipende solo da un pezzo di carta, ma dalla voglia di promuovere un brand di territorio”.

All’Oltrepò – continua Lechiancole – serve un progetto promosso dalle aziende simbolo, che a cascata interessi tutti gli altri, facendo in modo che il valore dell’uva e del vino cresca a scaffale. Un progetto dal quale trarrebbero tutti benefici, nessuno escluso”.

L’ultimo in ordine cronologico ad abbandonare il Consorzio è stato Giorgio Perego: “Il Consorzio non sta assolutamente tutelando i produttori e i consumatori di vino dell’Oltrepò pavese – evidenzia il titolare della cantina Perego & Perego di Rovescala – né tanto meno le Doc. Sono pronto a rientrare domani, ma solo di fronte a un progetto serio, che guardi all’interesse di tutti e che abbia come parola d’ordine la qualità”.

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Gli Editoriali news

“Other area” a chi? Falstaff “declassa” l’Oltrepò pavese allo Sparkling Trophy 2018

EDITORIALE – D’accordo, diciamocelo. Ci sarà pure un po’ di paraculismo da parte dei tedeschi di Falstaff, per allargare la platea degli incoronabili. Ma la medaglia d’argento conferita alla Conte Vistarino allo Sparkling Wine Trophy 2018 ideato dalla rivista tedesca, a dire il vero, è un mezzo scandalo. E non perché non si tratta di un oro.

Il risultato è stato annunciato ieri, nella giornata di chiusura della Prowein Trade Fair 2019  di Düsseldorf.

Il premio ritirato dalla contessa Ottavia Giorgi di Vistarino per il Metodo Classico Oltrepò Pavese Docg Millesimato 2008 Pas Dosé “Cepage” rientra nella categoria “Other Areas Italy“. Ovvero: “Altre aree d’Italia“.

E’ un po’ come se una rivista di settore italiana creasse una categoria ad hoc per uno Champagne della Montagne de Reims, per premiare nella categoria “Francia” solo quelli della Cote Des Blancs o della Cote des Bar.

Per favore adesso qualcuno, dalle parti di Pavia, alzi la mano dal fondo della sala per ricordare ai tedeschi di Falstaff che l’Oltrepò pavese è una delle aree più vocate in Italia per la produzione di Metodo Classico.

Qualcuno alzi la mano, dalle parti di Pavia, per dire ai tedeschi che la famiglia Vistarino ha a disposizione 200 ettari di Pinot Nero e una modernissima cantina, inaugurata da pochi mesi.

Qualcuno alzi la mano, va bene anche da Garlasco (ex targa “PV”, per l’appunto) per dire ai tedeschi che è un insulto all’Italia inserire uno spumante dell’Oltrepò pavese nella categoria “Other Areas Italy”.

Qualcuno, da Torrazza Coste o giù di lì, inviti i tedeschi a farsi un giro in Oltrepò. Per scoprire, se non altro, quanto ben di vino c’è da quelle parti, non solo con le bollicine. A meno che l’eterno ruolo di “serbatoio” non faccia stare un po’ zitti tutti. Allora sarebbe il caso di berci su, anche in questa “Other Area of Italy”. Cin, cin.

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Cantine news

Torrevilla: nuova cantina per il Pinot Nero Metodo classico. Si chiamerà La Genisia

CODEVILLA – Una nuova cantina per puntare tutto sul Metodo classico da uve Pinot Nero, vera eccellenza dell’Oltrepò pavese. E’ il progetto della cooperativa Torrevilla di Torrazza Coste (PV). La cantina si chiamerà La Genisia, nome che oggi indica la linea top di gamma della cantina oltrepadana.

Un investimento da oltre un milione di euro, in parte finanziato dal Programma di Sviluppo Rurale (Psr), il circuito di sostegno all’agricoltura dell’Unione europea, attraverso Regione Lombardia.

La cantina non sarà realizzata ex novo. Per volere del presidente della cooperativa, Massimo Barbieri, sarà infatti ristrutturata l’imponente struttura in cemento della cantina di Codevilla, già di proprietà di Torrevilla.

L’adiacente Torre Vinaria potrà così diventare un importante polo di attrazione enoturistica, assieme alla nuova sala di degustazione pensata per winelovers e professionisti del settore. La spettacolare volta in mattoncini della cantina Codevilla sarà recuperata. E valorizzata, nella parte sottostante, da 500 metri quadrati dedicati esclusivamente al Metodo classico dell’Oltrepò pavese.

“Sino ad ora – spiega Massimo Barbieri (nella foto sotto, a sinistra) – la produzione di spumanti Metodo classico di Torrevilla è rimasta relegata alla linea top di gamma La Genisia. Con questo progetto vogliamo scommettere sull’eccellenza dell’Oltrepò pavese, puntando sul Pinot Nero che in questa zona si esprime in maniera unica”.

“L’idea di Torrevilla – aggiunge il direttore Gabriele Picchi – è quello di alzare il livello attraverso una linea di etichette che rappresenti il territorio e il terroir, sullo stile delle cooperative dell’Alto Adige. Senza però dimenticare il resto della produzione, su cui continueremo a credere e a garantire elevati standard qualitativi”.

IL PROGETTO DI ZONAZIONE

La nuova cantina La Genisia sarà il fiore all’occhiello del progetto di zonazione dei vigneti di Torrevilla. Uno studio che ha visto coinvolto il prof. Leonardo Valenti (nella foto, a destra), agronomo, enologo e docente dell’Università degli Studi di Milano.

“Siamo partiti dal Pinot Nero – spiega Valenti – per poi allargare la ricerca a tutte le altre varietà presenti nei 600 ettari di vigneto della cooperativa. L’obiettivo era quello di capire le caratteristiche dei singoli appezzamenti a disposizione dei 200 soci di Torrevilla, per individuare quelli più adatti al produrre vini di eccellenza”.

Il risultato è una vera e propria mappa, in cui sono riuniti sotto lo stesso colore i vigneti con le medesime caratteristiche microclimatiche e pedologiche. Il “Programma qualità” affidato da Torrevilla al prof. Valenti sarà anche la base di partenza di un nuovo sistema di remunerazione delle uve conferite alla cooperativa.

“Entro il prossimo mese – annuncia il presidente Barbieri – porteremo in assemblea una revisione dell’attuale sistema di pagamento dei nostri soci, che saranno retribuiti per superficie e non più per quantità di uva conferita”.

“In questo modo – precisa il presidente di Torrevilla – contiamo di poter intervenire in maniera più specifica sulla qualità della produzione, favorendo per esempio i diradamenti, che col sistema attuale risultano piuttosto invisi dai soci”. Tanta carne al fuoco, insomma, al 112° anno dalla fondazione della cooperativa di Torrazza Coste.

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Gerry Scotti e Cantine Giorgi: altra beffa all’Antritrust a Chi Vuol Essere Milionario


Gerry Scotti
 ci ricasca. E questa volta calca la mano, come non mai. Nuova sfacciata pubblicità ai vini di Cantine Giorgi a Chi Vuol Essere Milionario. Il conduttore fa chiaro riferimento ai vini dell’Oltrepò pavese di cui è testimonial. Nel mirino la puntata di venerdì 1 febbraio.

Grande sfacciataggine anche da parte di Cantine Giorgi, che pubblica sul profilo Facebook il video della trasmissione. Con un commento che non lascia spazio a interpretazioni: “A Chi Vuol Essere Milionario si parla del nostro Oltrepò Pavese e del mitico Pinot Nero! Grazie Gerry, sei un vero grande testimonial!”.

Eppure, in Oltrepò, c’è chi continua a pensare che il conduttore possa portare visibilità all’intero territorio. Non a caso, Scotti è stato di recente nominato cittadino onorario di Canneto Pavese (PV), Comune dove ha sede proprio Cantine Giorgi.

Nel dettaglio, è proprio Gerry (come dimostra il video della puntata, che pubblichiamo sotto) a spostare l’attenzione degli spettatori di Chi Vuol Essere Milionario dall’Oltrepò (inteso come “territorio”) ai vini di Cantine Giorgi che in etichetta riportano il suo viso.

“Allora hai assaggiato i miei vini? Avete capito perché lo ho invitato? solo per parlare bene dei miei vini”. Una beffa bella e buona all’Antitrust, che tra i suoi compiti ha il “contrasto alle pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori e delle microimprese”, oltre alla “tutela delle imprese dalla pubblicità ingannevole e comparativa“.

 

Come recita il vademecum dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, “sono incluse nella nozione di pubblicità quelle forme di comunicazione che, anche se non tendono immediatamente a spingere all’acquisto di beni o servizi, promuovono comunque l’immagine dell’impresa presso il pubblico dei consumatori. La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale”.

La pubblicità – continua l’Agcm – può trarre un indebito vantaggio se si ‘traveste’ da qualcos’altro. Infatti, se pensiamo che quella che stiamo osservando sia informazione o spettacolo, quindi una comunicazione neutrale o comunque non finalizzata a stimolare l’acquisto di prodotti, saremo molto più portati a credere che ciò che ci viene detto sia vero o che almeno sia detto in modo disinteressato”.

“La stessa considerazione vale anche per il comunicatore del messaggio. Il giornalista che fornisce informazione, o il protagonista di uno spettacolo, non deve, o non dovrebbe, perseguire gli interessi economici di alcuna impresa, mentre svolge il suo specifico lavoro. Il comunicatore pubblicitario è invece, in qualche modo, il portavoce dell’impresa che lo retribuisce”.

Ma il passaggio più interessante è quello che segue: “Questi ruoli devono restare ben distinti, ma non sempre ciò accade. Può darsi che quello che si presenta come un imparziale professionista stia in realtà facendo pubblicità senza dichiararlo esplicitamente“.

LE REGOLE SONO CHIARE, EPPURE…
Sempre dal vademecum Agcm: “Come si è visto, non vi è nulla da obiettare, almeno dal punto di vista dell’ingannevolezza, se un personaggio famoso fa da testimonial per una impresa: la pubblicità è ormai entrata nel costume. È grave però se il consumatore non viene avvertito, da elementi che lo segnalano con evidenza, che quello che gli giunge è un messaggio pubblicitario”.

Per questo motivo gli stacchi pubblicitari al cinema, alla radio o in televisione sono introdotti da un’apposita sigletta musicale, oppure riportano l’indicazione ‘pubblicità’, ‘messaggio promozionale’. Ciò risponde a un generale obbligo di evidenziare in maniera trasparente quando lo scopo della comunicazione è pubblicitario e non informativo”.

Proprio sul rispetto di quest’obbligo verte il controllo sulla trasparenza della pubblicità esercitato dall’Autorità garante. “Un’altra forma insidiosa di pubblicità non trasparente – conclude l’Agcm – è quella che, in termini tecnici, viene chiamata product placement. Consiste nello sfruttare l’immagine insistita o la ripetuta citazione di un prodotto o di un marchio, senza un particolare motivo, durante una trasmissione o un film che non ha scopi pubblicitari”. Chi ha ancora dubbi sul caso Gerry Scotti – Cantine Giorgi alzi la mano.

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Altro che Gerry Scotti e l’assessore Rolfi. All’Oltrepò servono “fame” e Dalai Lama


EDITORIALE –
C’è una metafora che funziona bene per l’Oltrepò pavese del vino che si appresta a ricevere 600 mila euro in tre anni di fondi pubblici dalla Regione Lombardia, nei giorni in cui Canneto Pavese conferisce la cittadinanza onoraria al faccione di Gerry Scotti, presente sulle etichette del produttore più influ(encer) della zona: Fabiano Giorgi. La metafora, senza sforare troppo dalla viticoltura, è quella “competizione radicale“.

Si tratta di un aspetto connesso alla densità d’impianto del vigneto. In sintesi, più le viti vengono piantate vicine, più le radici delle singole piante entreranno in “competizione” tra loro, pescando in profondità le sostanze nutritive migliori per sopravvivere.

All’Oltrepò servirebbe questo: competizione radicale tra una cantina e l’altra, al posto delle continue secchiate d’acqua scintillante (tradotto: cash, liquidità, dinero, 钱) dal Pirellone. Se non fosse ancora chiaro: l’Oltrepò ha bisogno di essere messo alla fame, al posto di essere continuamente “alimentato” dalla politica.

La cosa che mi lascia letteralmente sconvolto, in merito alla questione dei “Tavoli di Denominazione” avallati dalla Regione e descritti da alcuni produttori come la “panacea” di tutti i mali dell’Oltrepò pavese, è la presenza di piccoli e validissimi produttori, accanto a noti big e imbottigliatori.

Gente, quest’ultima, che parla di “qualità” e di “rilancio del territorio” mentre firma la bolla di consegna di 10 bancali di Bonarda “primo prezzo” ai supermercati Gulliver, che finiranno a scaffale per pochi miseri euro di “rilancio” e di “qualità” per il proprio portafogli.

Cosa ci fanno a quei “Tavoli” dei vignaioli come Matteo Maggi, Alessio Brandolini o Fabio Marazzi di Cantina Scuropasso, per citarne solo alcuni? “Tavolo” per “tavolo”, sedia per sedia, non era meglio discutere all’interno del Consorzio?

Fa sorridere l’Oltrepò che parla di “rivoluzione” e “qualità” per bocca di imbottigliatori e prestanome. Basta spulciare i tavoli per vedere nel ruolo di coordinatori i rappresentanti di cantine come Losito & Guarini, che conta più vigneti in Puglia che nel pavese.

Fa davvero incazzare, invece, che dei produttori di straordinari Metodo classico base Pinot Nero come Fabio Marazzi accettino di essere rappresentati, al tavolo degli “spumanti”, dal direttore della Tenuta oltrepadana di Zonin.

Sì, Zonin, il banchiere sotto processo a Vicenza che ha ceduto ai figli i possedimenti vitivinicoli, per salvare il salvabile in caso di mayday. Lo stesso che ha appena stretto una succosa partnership con Benetton, chiamato a rilanciare il brand veneto nel mondo.

L’assessore Rolfi, bresciano e franciacortino dalla nascita, queste cose le sa. E sa bene, in cuor suo, che saranno gettati nel water anche questi 600 mila euro in tre anni, nonostante la promessa di elagirne degli altri “ma solo se fanno i bravi”.

Quel che è certo è che a qualcuno, ormai da generazioni e generazioni di Pirelloniani governi, basta dire: “Ci ho provato anch’io a salvare l’Oltrepò”. E allora “Cin, cin“, anche stavolta. Aspettando il Dalai Lama.

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“Tavoli di Denominazione”, “Codice etico” e tanti soldi: l’Oltrepò pavese riparte. Forse

TORRAZZA COSTE – Sei gruppi di lavoro riuniti in altrettanti “Tavoli di Denominazione”. Un vero e proprio “Codice Etico” da rispettare. E tanti soldi. Riparte da qui (forse) l’Oltrepò pavese. Si tratta della prima pietra del progetto “Un Tavolo Oltrepò per il Vino” voluto da Regione Lombardia per iniziativa dell’Assessorato all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi Verdi con il coordinamento tecnico di Ersaf.

Proprio dal “Pirellone” arriveranno in Oltrepò 600 mila euro in tre anni, per “progetti di comunicazione ancora da definire”. Con la promessa dell’assessore Fabio Rolfi di “investire ulteriori risorse in futuro se vedremo che il territorio risponderà in maniera positiva”.

Motivo in più per non perdersi il meeting di questa mattina, al centro Riccagioia di Torrazza Coste (PV). Quaranta, di fatto, le cantine presenti per formare i 6 gruppi di lavoro che corrispondono ai “Tavoli di Denominazione”: Metodo Classico DOCG, Pinot Nero e Oltrepò Pavese Rosso riserva, Riesling, Bonarda, Sangue di Giuda e Buttafuoco.

“Ho voluto incontrare anche i sindaci della zona – ha spiegato l’assessore regionale Fabio Rolfi – per fare squadra e per condividere un percorso istituzionale di ampio respiro. Il vino deve essere strumento di promozione di tutto il territorio, di turismo, di valorizzazione ambientale”.

“Una svolta storica per questo territorio – ha evidenziato l’assessore Rolfi -. Regione Lombardia vuole aiutare l’Oltrepó Pavese a sprigionare le sue straordinarie potenzialità attraverso un nuovo importante capitolo tecnico, politico e operativo”.

Non a caso è stato sottoscritto un vero e proprio “Codice Etico”. “Una sottoscrizione di impegno personale di tutti noi – ha sottolineato il direttore di Ersaf, Massimo Ornaghi – consapevoli del rispetto di regole condivise secondo comuni valori, a tutela del Territorio e dei suoi prodotti”.

“Sono particolarmente soddisfatto per questa giornata di lavoro – ha commentato Luigi Gatti, presidente del Consorzio Oltrepò – che avvia un processo di rinnovamento lungo e importante per il nostro Oltrepò, passando dalle parole ai fatti”.

“Oggi – ha aggiunto Gatti – abbiamo dato il segnale che ci stiamo identificando in un territorio, anche al di là delle previsioni, e c’è gente seria che vuole lavorare bene per costruire un futuro che ci coinvolge tutti, a diverso titolo. Un territorio che aveva la necessità di voltare pagina, dotandosi anche di strumenti di lavoro precisi e puntuali”.

Per il presidente del Consorzio di Tutela Vini, “il valore aggiunto è il team ‘istituzionale’ ben attrezzato, che in questi mesi ha lavorato in grande accordo iniziando una strada che deve andare avanti con convinzione e porterà risultati significativi”.

“I tavoli di denominazione che puntano alla qualità e alla valorizzazione del mondo del vino in Oltrepò non sono altro che il primo passo per promuovere il territorio attraverso prodotti più nobili (qualità) anche dal punto di vista commerciale e di comunicazione, secondo strategie ben ragionate”, ha concluso Luigi Gatti.

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degustati da noi vini#02

Provincia di Pavia Igt 2015 Pinot Nero “Al Negrès”, Alessio Brandolini

(4 / 5) Tra le realtà emergenti dell’Oltrepò pavese c’è l’Azienda Agricola Alessio Brandolini di San Damiano al Colle (PV). Un giovane che ha preso in mano l’azienda di famiglia, sollevandone le sorti soprattutto dal punto di vista qualitativo.

Sotto la lente di ingrandimento di WineMag, il suo Provincia di Pavia Igt 2015 Pinot Nero “Al Negrès”. Un bel calice elegante, segno che la strada intrapresa è quella corretta, in attesa di un Metodo Classico base Noir che faccia davvero sognare. E’ senza subbio questo il grande obiettivo di Alessio Brandolini. Ed è solo questione di tempo: siamo pronti a scommetterci.

LA DEGUSTAZIONE
Etichetta firmata dall’artista Pasciutti per il Pinot Nero “Al Negrès”. Alla vista un bel rosso tendente al granato, mediamente carico. Naso profondo e allo stesso tempo etereo: frutti di bosco, more, bei richiami d’incenso e di viola secca. Vino da aspettare nel calice, per goderne l’evoluzione.

In bocca ingresso su frutti di bosco e mora, con nota terrosa, gessosa e minerale che sottolinea bene l’appartenenza al terroir oltrepadano. La frutta, precisa e decisa in centro bocca, lascia spazio a una chiusura salina, corroborata da un accenno di tannino che conferisce al sorso una certa austerità, dopo la giocosità fruttata iniziale.

Un rosso nel complesso equilibrato, giunto a un buono stato di maturazione, ma con ampi margini di ulteriore affinamento. Perfetto per accompagnare primi con ragù e secondi a base di carne, anche di buona complessità.

LA VINIFICAZIONE
Il Pinot Nero “Al Negrès” viene prodotto sono nella annate favorevoli. Una volta pigiate, le uve vengono fatte fermentare a contatto con le bucce per circa quindici giorni. La maturazione avviene in tonneaux di rovere francese.

Dodici mesi in legno, anche per stabilizzare in maniera naturale il vino, senza l’utilizzo di chiarificanti. Prima della commercializzazione, il nettare riposa in bottiglia per un minimo di 10 mesi.

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Analisi e Tendenze Vino

Pinot Nero dell’Oltrepò pavese: quattro incontri a Milano

MILANO – Quattro incontri per scoprire la terra d’elezione del Pinot nero italiano, l’Oltrepò pavese. La Porta del Vino, il luogo voluto dal Movimento Turismo del Vino nel capoluogo lombardo, inaugura le attività del nuovo anno con una settimana dedicata ad una gamma di vini di assoluto prestigio.

Dal 28 gennaio al 2 febbraio, in Piazza Cinque Giornate 16, si potranno infatti apprezzare tutte le sfumature del Pinot Nero, nell’interpretazione che ne danno alcuni tra i vignaioli più attenti dell’Oltrepò Pavese (per il programma e le date: info@laportadelvino.com)

“Dopo le settimane dedicate a zone più piccole e poco note – afferma Carlo Pietrasanta, vicepresidente del Movimento Turismo del Vino Lombardo – è doveroso guardare anche ai territori che hanno certamente fatto grande e importante la produzione vitivinicola della nostra Regione”.

“Non possiamo ignorare che l’Oltrepò Pavese è una delle zone di produzione più importanti d’Italia per numero di aziende e per volumi di produzione. Aggiungo: possiamo dire anche, in molti casi, per la qualità assoluta della produzione”, conclude Pietrasanta.

Ne è convinto anche Claudio Maspes, responsabile delle degustazioni de La Porta del Vino, formatore e Direttore dei Corsi Aspi per Milano e Provincia: “Oltre ad essere stati per decenni i più consumati nelle famiglie milanesi, quelli dell’Oltrepò sono anche vini che hanno conosciuto una crescita qualitativa impressionante, grazie ad alcuni produttori illuminati che non si sono accontentati di facili ma temporanei successi”.

Tra le aziende portabandiera del pavese c’è Frecciarossa, storicamente legata a questo vitigno. “Affascinante, difficile, faticoso, raffinato: il Pinot Nero è una delle scommesse più impegnative per qualsiasi vignaiolo e qualsiasi enologo – sostiene Valeria Radici Odero – che però in Oltrepò Pavese ha trovato una delle sue case d’elezione”.

Un vitigno versatile, tanto che può dare risultati di valore in forme diverse. Dai bianchi ai grandi Metodo Classico fino alle vinificazioni in rosso, anche Riserva. “L’importante – conclude la produttrice – è lavorare in modo serio e preciso, per ottenere dei vini che possono reggere il confronto con le produzioni più blasonate al mondo”.

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degustati da noi news vini#02

Bolé Novebolle, Metodo classico da Viognier e Piwi: a CerviaINbolla frizzano le novità

CERVIA – Dal Romagna Doc Spumante Bolé Novebolle, allo spumante Metodo Classico base Viognier, passando per i vitigni resistenti (Piwi). Un mare di novità e conferme a CerviaINbolla 2018. Tutti attorno a calici ribollenti, per un evento che si è rivelato più mondano che tecnico, legato dunque al piacere di condividere il nettare di Bacco senza troppe formalità.

Ben organizzato nella suggestiva location degli storici Magazzini del sale di Cervia, l’appuntamento ha visto una buona affluenza di persone che hanno potuto assaggiare eccellenze spumantistiche da 10 denominazioni diverse. Oltre alle specialità gastronomiche custodite nei vari food corner.

Piccoli produttori ed etichette meno note ad affiancare nomi rinomati delle bollicine italiane. Presenti in degustazione a CerviaINbolla 2018 non solo spumanti, ma anche alcuni vini fermi.

I MIGLIORI ASSAGGI
Conferme – e non poteva essere altrimenti – per gli spumanti di montagna. Ferrari (presente con la linea Maximum), Letrari (Brut e Brut Rosè) e Arunda (Pralien e Brut Rosè) non deludono le aspettative confermandosi produttori d’eccellenza, a partire dalle linee base.

Anche la Franciacorta si dimostra in linea con le aspettative. Antica Fratta, Villa Franciacorta, Quadra presentano prodotti senza sbavature.

Stesso discorso per l’Oltrepò pavese – ben rappresentato da Monsupello e Calatroni – e per il Veneto, dove Ruggeri sbanca la concorrenza del Prosecco col suo Valdobbiadene Superiore Docg Giustino B., vecchia conoscenza per i lettori di vinialsuper.

Interessante l’assaggio di Bolé Novebolle Romagna Doc Spumante, prodotto dalla joint venture Caviro-Cevico. Un metodo Martinotti (30 giorni) composto da un 95% di Trebbiano e un 5% di Famoso, 9 g/l di dosaggio.

Floreale e fruttato, con un tocco di frutta esotica, in bocca risulta facile e morbido pur conservando una certa vena di acidità. Un sorso piacevole e poco impegnativo, quasi sbarazzino.

Dicevamo, piacevoli scoperte. Prima fra tutte è Solatio di Tenuta la Pennita. Metodo Classico millesimo 2013, 38 mesi sui lieviti. Solo 2 mila bottiglie: 100% Viognier da meno di 2,5 ettari di vigna.

Un produzione tanto piccola da non essere neppure a catalogo aziendale. Giunto ormai alla quarta vendemmia, questo brut seduce con gentilezza. Naso intenso ma non invadente. La crosta di pane è presente, ma non sovrasta le piacevoli note fruttate.

Albicocca, pesca gialla e prugna bianca mature che si sposano a note fresche di scorze d’agrumi ed una leggera nota speziata. In bocca entra morbido per poi crescere in acidità e sapidità.

Restano impressi nella mente i due prodotti presentati da LieseleHof, cantina altoatesina già incontrata da vinialsuper durante il Merano Wine Festival 2017 e segnalata tra i migliori assaggi. Vino del passo è un bianco fermo da vitigno Piwi Solaris.

Molto complesso, avvolge il naso con note floreali, note di frutta esotica come ananas e litchi ma anche frutti bianchi come pesca, note morbide di miele ed una leggera spezia (pepe bianco). Strutturato, minerale, persistente e con una chiusura leggermente amaricante.

LieseleHof Brut è invece uno spumante metodo ancestrale con sboccatura (“metodo LieseleHof” come ci tiene a specificare la cantina, visto il lavoro di perfezionamento della tecnica). Vitigno Piwi Souvignier gris, 30 mesi sui lieviti. Fresco la naso. Lime, mela renetta, pesca gialla, lievito. In bocca è morbido e setoso con finale elegante.

Interessante la proposta di Azienda Agricola Randi. Quattro vini, due bianchi da uve Famoso (Rambela Bianca e Ramba) e due rosati da uve Longanesi (Bruson Rosè Brut e Rosa per Fred).

Rambela Bianca è un vino fresco ed immediato, frutti a polpa bianca ed agrumi al naso, secco e morbido, con chiusura amarognola del sorso. Ramba è un metodo ancestrale, velato e con buon perlage che accoglie con profumi di mela verde e macchia mediterranea. Piacevolmente fresco al sorso ha nella buona persistenza la stessa vena amaricante di Rambela Bianca.

Bruson Rosè Brut avvolge in naso con piccoli frutti rossi ed accarezza il palato con un bolla non invasiva, ma è Rosa per Fred a sorprendere. Metodo ancestrale senza sboccatura si presenta di colore carico, quasi rubino, e velato.

Naso pulito ed inteso, quasi balsamico, ricco di frutti rossi maturi ed erbe aromatiche. Sorso pieno, secco, fresco e leggermente tannico. piacevolissima persistenza. Elegante e fine l’ormai noto Pertinello Brut Blanc de Noir 2014 da uve Sangiovese.

Vincente anche il trittico presentato da Azienda agricola Nevio Scala, noto per il suo trascorso di successo nel mondo del calcio italiano. Tre vini da Garganega in purezza con raccolta e lavorazione differente ed utilizzo di lieviti indigeni.

Gargante, rifermentato in bottiglia, è fresco e bevernio con bella nota fruttata. Diletto (fermentazione in acciaio) è altrettanto fruttato con una evidente spalla agrumata. Contame è invece un macerato dai profumi più vicini alla frutta surmatura che coinvolge in bocca per la sua grande sapidità.

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Vini al supermercato

Il vino di Aldi: doppietta Italian Wine Brands – Luca Maroni. La degustazione

Un grande imbottigliatore di vino, Provinco. E un analista sensoriale, Luca Maroni. Questo il binomio con cui Aldi mira a sfondare sul mercato italiano del vino al supermercato.

La multinazionale tedesca ALbrecht DIscount (abbreviato Aldi) ha costruito la propria “cantina” attorno al catalogo di quello che è uno dei maggiori player della Gdo internazionale.

Provinco Italia Spa, ex agglomerato di Cooperative sociali, oggi azienda privata con sede a Rovereto (TN). Un colosso in grado di mettere in bottiglia tutto il Made in Italy vinicolo italiano. Dal Trento Doc al Grillo di Sicilia.

Dal 2015 parte della prima società del Bel Paese quotata in borsa: Iwb (Italian Wine Brands), nata dalla business combination tra Provinco Italia Spa e Giordano Vini, mediante la Spac (Special Purpose Acquisition Company) Ipo Challenger.

“Si tratta di una selezione accurata di prodotti – assicura Aldi – e, proprio per dimostrare la particolare attenzione che riserviamo al vino, collaboriamo con l’analista sensoriale Luca Maroni per la degustazione dei nostri vini, l’assegnazione di un punteggio e la realizzazione della nostra brochure”.

Italian Wine Brands, da sola, vende oltre 48 milioni di bottiglie l’anno, con una quota di export che si assesta sul 75%. Numeri che ne fanno la terza pedina in Italia, escludendo le Cooperative (settimo con le coop).

Impianti di vinificazione, affinamento e imbottigliamento di Iwb si trovano nelle Langhe, in Piemonte. Una seconda cantina è “strategicamente localizzata in Puglia”, a Torricella, in provincia di Taranto.

Ulteriore particolarità: Iwb non possiede vigneti, ma solo le strutture e i macchinari utili per la vinificazione (nella vicina isola di Malta opera così Delicata Winery).

Un “pacchetto” pressoché completo quello che Iwb ha offerto ad Aldi per lo sbarco in Italia, che suona piuttosto rétro in un periodo in cui la Grande distribuzione sta investendo in private label, valorizzando piccoli e medi produttori e cantine sociali, al posto degli imbottigliatori (vedi Iper, la Grande i con “Grandi Vigne” o Coop con “Fior Fiore”).

Va tuttavia considerato che Aldi è un Discount. E quel che emerge dalla nostra degustazione di 20 vini prelevati dal nuovissimo punto vendita di Castellanza, in provincia di Varese, è la sostanziale ricerca di un “every day low price” ulteriormente stressato dal cluster di riferimento.

Curiosa anche la posizione di Luca Maroni nello sbarco di Aldi in Italia. Provinco Italia Spa, di fatto, risulta “secondo miglior produttore italiano” nella Guida 2013 dell’analista sensoriale. Quasi scontato il suggerimento ai tedeschi, forti anche della fama di Provinco sul suo primo mercato di riferimento: la Germania.

LA DEGUSTAZIONE
Tutta un’altra storia quella scritta dalla nostra degustazione. La media dei punteggi da noi assegnati ai vini di Aldi si aggira attorno ai 3/5. Tradotto: sufficienza risicatissima.

Solo tre i vini a cui assegniamo 4 “cestelli” su 5. Si tratta di due etichette della linea “Casteltorre” (proprietà di Schenk Italian Wineries, altra vecchia conoscenza di Maroni che la recensisce a pieni voti nell’assortimento Md Discount): il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico 2017 (in etichetta Schenk appare come “Cantina del Bacco”) e il Chianti Classico Docg 2016.

Convince anche il Maremma Rosso Toscana Doc “Poggio al Sale”, imbottigliato a Castellina in Chianti da Tenute Piccini Spa: altri 4 “cestelli” della spesa su 5, nella nostra speciale scala di valutazione.

Per il resto è un valzer di 3 e 3,5: vini che, da Nord a Sud Italia, raggiungono una sufficienza supportata soprattutto da un prezzo pieno all’osso, alla portata di tutti i portafogli.

Tra i peggiori assaggi il Metodo Classico Trento Doc (1/5) e il Bonarda dell’Oltrepò pavese (1,5/5).

Deludenti – soprattutto in termini di tipicità – due dei vini più costosi dell’assortimento Aldi Italia: il Barolo Docg 2013 “Giacondi” e, ancor più, l’Amarone della Valpolicella Docg 2015 “San Zenone” (voto 3/5).

Per i più curiosi, ecco l’elenco completo e le valutazioni dei vini di Aldi

1) Prosecco Doc Extra Dry Millesimato 2017, Villa degli Olmi spa: 3,99 euro (2 / 5)

2) Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Giotti”, Casa Vinicola Bosco Malera srl (C.V.B.M. Salgareda): 4,49 euro (3 / 5)

3) Franciacorta Brut Docg “Duca Diseo”, Cantina Chiara Ziliani: 7,99 euro (3 / 5)

4) Metodo Classico Trento Doc Brut “Pentagono”, Provinco Italia: 6,99 euro (1 / 5)

5) Grillo Doc Sicilia 2017 “Terre di Lava”, Provinco: 1,89 euro (3,5 / 5)

6) Soave Doc Classico 2017 “Villa Alberti”, Cantina Sociale Cooperativa di Soave (Ci.Esse): 1,89 euro (3,5 / 5)

7) Lugana Doc 2017, Cantina Delibori Walter (CDW Bardolino): 5,99 euro (3,5 / 5)

8) Gavi Docg 2017 “Franco Serra”, Tenute Neirano Spa (Te.Ne Cusano Milanino – Giacomo Sperone): 4,49 euro (3,5 / 5)

9) Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico 2017, Cantina del Bacco (Schenk): 1,99 euro (4 / 5)

10) Trevenezie Igt Traminer Aromatico 2017, Provinco: 4,99 euro (3 / 5)

11) Cerasuolo d’Abruzzo Dop 2017, Cantina di Ortona (Ci.Vi.): 1,99 euro (3 / 5)

12) Lambrusco di Modena Doc Secco “Terra Grande”, Provinco: 1,69 euro (2,5 / 5)

13) Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc 2017, Provinco: 2,19 euro (1,5 / 5)

14) Nero d’Avola Doc Sicilia 2017 “Terre di Lava”, Provinco: 1,89 euro (3 / 5)

15) Primitivo di Manduria Doc 2016 “Sasso al Vento”, Provinco: 3,99 euro (2,5 / 5)

16) Puglia Igt Aglianico  2016, “Sasso al Vento”, Provinco: 3,49 euro (3 / 5)

17) Maremma Toscana Doc Rosso 2014 “Poggio al Sale”, Tenute Piccini: 4,99 euro (4 / 5)

18) Chianti Classico Docg “Il Castellare”, Schenk Italian Wineries: 3,99 euro (4 / 5)

19) Barolo Docg 2013 “Giacondi Autentico Italiano”, Mgm Mondo del Vino Forlì (MCQ Srl): 9,99 euro (3 / 5)

20) Amarone della Valpolicella Docg 2015 “San Zenone”, Provinco: 13,99 euro (3 / 5)

degustazione effettuata da Davide Bortone, Viviana Borriello, Giacomo Merlotti

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Villa Favorita 2018: i migliori assaggi VinNatur(isti)

Qualche conferma e tante etichette nuove da segnalare tra i migliori assaggi dell’edizione numero 15 di Villa Favorita. L’evento organizzato dall’Associazione VinNatur si conferma un must per gli amanti dei “vini naturali”.

Quattromila ingressi totali nella storica dimora del XVIII Secolo, a Sarego. Cifra che eguaglia quella dello scorso anno, con il pubblico concentrato soprattutto nella giornata di sabato 14 aprile. Segno “più”, invece, sul numero di operatori del settore, italiani ed esteri.

Tra i fenomeni dell’edizione 2018 di Villa Favorita – VinNatur si evidenzia il crescente numero di “rifermentati” ai banchi d’assaggio, ottenuti da uve a bacca bianca e rossa. Pochi, tuttavia, quelli che riescono a lasciare davvero il segno.

Un trend che sembra la risposta più immediata dei vignaioli naturali al “Fenomeno Prosecco”. Un po’ come la produzione di Charmat tra i produttori convenzionali, in tutta Italia.

Curioso anche il “comportamento” di certi rossi tipicamente da lungo affinamento (vedi Barolo, Brunello e Aglianico) presentati in vesti fresche, quasi giovanili, capaci comunque di non snaturare la tipicità: che sia un sintomo della crescente proiezione sui mercati esteri (più maturi di quello italiano) dei vignaioli naturali del Belpaese?

Mode a parte, l’edizione 2018 di Villa Favorita conferma il successo tra i Millennials, le nuove generazioni. Un trend dovuto alla crescente qualità riscontrabile di anno in anno tra le etichette in degustazione.

I MIGLIORI ASSAGGI
Metodo Classico Brut Nature Vsq Durello “Corte Roncolato”, Cristiana Meggiolaro. Vendemmia 2014 per questo Mc da uve Durella che segna uno stacco assoluto nei confronti degli altri sparkling veneti in degustazione a Villa la Favorita.

Riuscire a unire lame di lime a una grande ampiezza al palato è un connubio che riesce a pochi. Il sottofondo minerale, salino, fa il resto. Davvero un ottimo spumante quello della piccola cantina di Roncà (Verona).

Metodo Classico Vsq Dosaggio Zero “Esperidi”, Mario Gatta. Ci spostiamo poco più a ovest, in Franciacorta. Qui, più esattamente a Gussago (BS), Mario Gatta produce “Esperidi”.

Un Mc da uve Chardonnay e Pinot Nero, con due terzi dell’uvaggio principe della Franciacorta e un terzo di “Noir”: entrambi provenienti dei vigneti di proprietà della famiglia Gatta, situati a 400 metri d’altezza.

Siamo sul versante orientale franciacortino, su terreni di calcare e argilla. La vendemmia è la 2009, in bottiglia dal 2010 (sboccatura 09/2016).

Uno spumante vibrante, capace di unire in un sorso eleganza e potenza. Naso accattivante, arrotondato da frutta e fiori, e bocca tagliente, su note d’agrumi. Ottima la persistenza.

Oltrepò pavese Docg Metodo Classico Brut Rosè, Pietro Torti. Un Pinot Nero in purezza, versione rosè: in una parola, “Cruasé”. Bel frutto pulito al naso, che evidenzia il gran lavoro sulla selezione dei grappoli da parte del produttore di Montecalvo Versiggia (PV).

I profumi spaziano dal floreale alla liquirizia dolce, con predominanza tipica delle note di piccoli frutti di bosco. In bocca, il Cruasé di Pietro Torti evidenzia una bella beva verticale.

L’ossatura minerale accompagna note fruttate mai stucchevoli. Uno spumante che, entro la fine dell’anno, giungerà all’apice della sua curva di maturazione positiva.

Vino bianco frizzante “Shan Pan”, Cascina Zerbetta. Nome di fantasia pretenzioso, certo. Ma chi lo ha voluto – per questo rifermentato da uve Sauvignon blanc allevate nella zona di Quargnento, Alessandria – sapeva di non farsi prendere a canzonate.

Un bianco frizzante che si eleva dalla media (piatta) dei tanti rifermentati-fungo spuntati sul prato di VinNatur. Ha un senso d’esistere non solo nella facilità di beva, ma anche nell’intensità seria con cui si propone al naso (vegetale, piccante) e al palato (frutto succoso).

Roba da farti immaginare freschi sorsi su una playa qualsiasi, sotto il sole cocente, d’estate. Senza spostarti – in realtà – di un metro da Sarego. Bravi!

VINI BIANCHI
Vigneti delle Dolomiti Igt Nosiola 2016, Azienda Agricola Salvetta. Questo non è un vino, ma un concentrato di Nosiola. Discostante rispetto ad altre decine d’assaggi.

Pochi riescono a ottenere vini con queste caratteristiche dal grande vitigno autoctono trentino, troppo spesso presentato in versioni eccessivamente fruttate, utili a controbilanciarne la spalla acida.

La Nosiola Salvetta, invece, è da ricordare. Diretta, vera, potente, con un filo di tannino che si allunga nel retro olfattivo. Palato corrispondente al naso.

Dunque frutta esotica, agrumi ed erbe di montagna che conferiscono una freschezza balsamica, unite a una certa mineralità. Tutto bellissimo.

Salento Igp Verdeca 2017, Tenuta Macchiarola. Altro territorio, altro vitigno fortemente screditato dalle produzioni massive e dalla moda dei bianchi leggeri, fruttati, beverini. Questa volta atterriamo in Puglia, più esattamente a Lizzano, in provincia di Taranto.

Non che manchino queste caratteristiche alla splendida Verdeca di Domenico Mangione, in bottiglia da pochissimo. Un macerato fresco e speziato al naso, che riesce a coniugare con elegante potenza note vegetali e note fruttate esotiche tendenti al maturo.

In bocca il vino sfodera un sentore netto di radice di liquirizia, apprezzabilissimo. Uno di quei vini da portarsi in casa adesso, per valutarne l’evoluzione di mese in mese.

Veneto Igt Bianco “Rugoli” 2016, Davide Spillare. Il discepolo di Angiolino Maule, come abbiamo già scritto, si avvicina sempre più al maestro.

E quest’anno si riconferma tra i nostri migliori assaggi con “Rugoli”, bianco ottenuto dalla fermentazione spontanea di Garganega (30% in macerazione sulle bucce e successivo affinamento in legno).

Rugoli, a questo punto da annoverare tra i tre migliori bianchi “non convenzionali” del Veneto, assieme alla Garganega 2016 “Bianco Pri” di Sauro Maule, altro vino eccezionale pienezza gusto olfattiva, ottenuto da vecchie vigne.

VINI ROSSI
Provincia di Pavia Igt 2010 “Ghiro d’Inverno”, Azienda Agricola Martilde. Fa sorridere pensare che questo “Ghiro”, potenzialmente, potrebbe essere un Bonarda. Un 100% Croatina che sottolinea forse l’unico errore compiuto nella recente revisione dei disciplinari in Oltrepò Pavese (si potrà chiamare “Bonarda” solo il vino “mosso”, stralciata la versione “ferma”).

Ma chi vive di titoli e di nomi, spesso, è privo di contenuti. E la questione, a casa di Antonella Tacci, a Rovescala (PV), può contare, sì. Ma solo fino a un certo punto. Perché questa Croatina, diciamola tutta, è un vero spasso.

Una 2010 che fa sognare di prospettive lontane, col suo tannino ancora vivo e il suo frutto intenso, tipico, tutto pavese. Una Croatina che parla ad alta voce. Di concentrazione, di succo, di vita. Di vigne vecchie. Di identità. E di attaccamento alla tradizione. “Fanculo” alle denominazioni, con un etichetta così nel portafoglio.

Toscana Igt 2015 “La Ghiandaia”, Podere Erica. Sangiovese (70%) e Canaiolo (30%) per un rosso di Toscana a cui non manca proprio nulla. Un vino in perfetto equilibrio oggi, ma che domani (con quel tannino e con quella fresca acidità) può solo migliorare.

Un rosso da primi succulenti e secondi a base di carne che sembrano materializzarsi in degustazione. Impegnativo al punto giusto, con i suoi sentori puliti di frutti e spezie.

Rosso Emilia Igt 2015 “Rio Rocca Berzemèin”, Il Farneto. Siamo nella Piana di Farneto, in provincia di Reggio Emilia, ai piedi dell’Appennino Tosco-Emiliano. Rio Rocca Marzemino croccante, vivo, in evoluzione.

Una bellissima espressione del vitigno, che in questa versione (macerazione di 8 giorni sulle bucce) si presenta profumato e corposo, virile in bocca, su note caratteristiche di frutta di bosco e spezie.

Lungo, molto persistente il finale, piacevolmente equilibrato. Tratti di concentrazione e gran pulizia che lo elevano ai migliori Marzemino prodotti fuori dall’Emilia.

Barolo Docg 2014 “Castellaro”, Barale Fratelli. Ecco quello che pare un Barolo “new style“. Tradotto: pronto subito, o quasi.

Le potenzialità di ulteriore positivo invecchiamento sono evidenti, ma questo Nebbiolo è più che mai pronto e già armonico.

ll sorso è carico, pieno: ricorda il frutto di sottobosco maturo, senza sforare nella confettura. Note minerali e un tannino perfettamente integrato completano il quadro del Barolo perfetto, per chi non sa aspettare.

Brunello di Montalcino Docg 2012, Casa Raia. Un altro vino che sorprende, per la sua prontezza. Un Brunello che sembra il risultato perfetto del compromesso fra terra e cielo.

Se è evidente, da un lato, la componente terrosa, dall’altro il Sangiovese sfodera un frutto succoso, tutto giocato su sentori di mirtilli e more di rovo.

Dal calice, con un po’ di ossigenazione, si esalano note eteree, di fumo e caffè tostato che rendono il nettare ancora più affascinante. Pronto oggi, ma con ampi margini di miglioramento nell’arco dei prossimi 5-8 anni.

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Vini al supermercato

La Versa, tre Charmat per il rilancio in Gdo: Riesling in promo all’Esselunga

E’ un ritorno in pompa magna quello di La Versa nella Grande distribuzione. La cantina pavese, fallita e poi risorta grazie alla cordata lombardo-trentina guidata da Terre d’Oltrepò e Cavit, è a volantino questa settimana in Esselunga, con lo spumante base Riesling Doc Oltrepò Pavese.

La nuova etichetta sarà in promozione fino al 18 aprile a 2,94 euro. Un ribasso del 40% rispetto al “prezzo pieno”, che si assesta su 4,90 euro.

Lo spumante di Riesling è uno dei tre Charmat (Metodo Martinotti) pensati dalla nuova La Versa per i clienti dei supermercati, assieme a un Pinot Nero vinificato in bianco e a un Moscato.

I tre spumanti sono già disponibili negli store Esselunga e Bennet. “Ma entro fine anno – anticipa in esclusiva a vinialsuper Marco Stenico, direttore commerciale di La Versa – andremo a completare l’inserimento in tutti i principali player della Gdo”.

Tre Charmat lunghi, con un periodo di autoclave che varia dagli 8 ai 9 mesi. Per quanto riguarda i volumi, si tratterà a pieno regime (ovvero nell’arco dei prossimi due, tre anni) di un milione e mezzo di bottiglie di Charmat a marchio La Versa immesse nel canale moderno. L’obiettivo per il Metodo Classico è invece quello di raggiungere quota 750 mila bottiglie.

Di fatto, la nuova dirigenza lavora anche al riposizionamento del prestigioso marchio nel canale tradizionale. All’Horeca saranno riservate le etichette di Metodo Classico Docg base Pinot Nero, vero simbolo dell’Oltrepò pavese di qualità.

“Inizieremo con l’etichetta ‘Collezione‘ 2007 – spiega Stenico – una cuvée delle basi spumante selezionate tra le migliori reperite a La Versa al nostro ingresso in azienda. Il prezzo sarà attorno ai 16 euro più Iva, all’ingrosso. Toccherà poi a ‘Testarossa‘, il vero portabandiera di La Versa, con le basi spumante tirate da noi. In questo caso, il prezzo supererà i 20 euro più Iva”.

Per degustare il “nuovo” Testarossa si dovrà tuttavia attendere la metà del 2019. “Un prodotto – commenta Stenico – che intende rappresentare l’intero Oltrepò d’eccellenza, con il suo vitigno più rappresentativo, il Pinot Nero”.

LA DEGUSTAZIONE
(4 / 5) Una tipicità salvaguardata anche attraverso i tre Charmat. Il Riesling da oggi in promo in Esselunga è il vero “anti Prosecco”. Giallo paglierino nel calice, naso intenso, fruttato, aromatico. Bollicina mediamente fine e persistente.

In bocca entra pulito, grazie a un “dosaggio” (Brut) capace di valorizzare al contempo aromaticità e corpo del vino. Uno spumante che riempie bene il palato anche una volta deglutito, con ritorni di frutta e richiami vagamente salini piacevoli, che invitano il sorso successivo.

Uno sparkling dall’ottimo rapporto qualità prezzo, capace di accompagnare alla perfezione un aperitivo, gli antipasti, ma anche l’intero pranzo o una cena non impegnativa.

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Slow Wine spara sull’Oltrepò. Produttori, boicottate la Guida 2019!

Nessuno tocchi Slow Wine. Neppure se infanga, con un titolo vergognoso, un territorio meritevole d’attenzione enologica come l’Oltrepò Pavese.

Già. Quando c’è sparare sui supermercati e sulla Grande distribuzione organizzata, i soloni di Slow Wine sono in prima fila. Con il solito stuolo di enofighetti al seguito.

Quando è Slow Wine a combinarla grossa, tutto tace. Tutti tacciono. Noi no. Ecco i fatti.

LA CRONISTORIA
La notizia è di settimana scorsa. Il 23 marzo, “La Redazione” di Slow Wine affronta in un articolo lo scandalo che ha investito, in Francia, lo storico gruppo vitivinicolo Raphaël Michel.

Una frode di ingenti dimensioni, che interessa un potenziale di 66 milioni di bottiglie di vino sfuso. Si parla anche di una seconda indagine delle autorità francesi, che avrebbero scoperto un altro milione di bottiglie contraffatte da Grands Vins de Gironde (GVG), azienda di proprietà della famiglia Castéja.

Rodano e Bordeaux nell’occhio del ciclone, insomma. Nel giro di pochi giorni. Giusto che Slow Wine ne parli. Peccato che il titolo (poi modificato) reciti, testualmente, così: “Scandalo in Francia: 66 milioni di bottiglie false in Rodano e un milione a Bordeaux! Peggio del nostro Oltrepò…”.

Avete riso? Noi no. Immediata, da parte nostra, la segnalazione dell’articolo al direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò pavese, tirato in ballo in maniera subdola dagli enofighetti di Slow Wine, pronti a sparare a zero su un territorio che – evidentemente – non conoscono a fondo.

Pronta la risposta di Emanuele Bottiroli, in un messaggio audio che riportiamo integralmente di seguito.

Sono rimasto esterrefatto di fronte alla lettura di un articolo in cui la redazione di Slow Food, e non un giornalista ben preciso, affianca il nome dell’Oltrepò pavese a fatti avvenuti in Francia, che nulla hanno a che vedere con l’Oltrepò.

In questo articolo – e nel post Facebook che lo ha accompagnato e presentato – nonché nel titolo sparato sull’Oltrepò, vedo vilipesi gli sforzi di tanti produttori che nulla hanno a che vedere con un’inchiesta giudiziaria che ancora deve vedere esprimersi i giudici in primo grado.

Vedere associato chi proprio non ha nessuna attinenza né con i fatti dell’Oltrepò né con i fatti avvenuti in Francia, vuol dire dare in pasto un Oltrepò pavese in cui operano 1700 aziende vitivinicole, per di più medio piccole. Gente che si sacrifica, produttori che sono recensiti nella guida Slow Wine e premiati ai massimi livelli.

Buttare tutto assieme perché bisogna suscitare sensazione parlando anche di Italia, quando questa volta l’Italia non c’entra, beh dispiace. Dispiace molto perché in questi 3 anni da direttore del Consorzio ho visto un Cda puntare forte sulle regole. Dal primo aprile comincerà un nuovo corso per la nostra Doc, con il contrassegno di Stato.

Una scelta che per la Docg è obbligatoria, ma sulla Doc è facoltativa: ciò si traduce in massima tracciabilità, massima prevenzione, massima garanzia a tutela dei consumatori e dei buyer. E poi ci sono tante aziende  che stanno lavorando per fare qualità e portare in alto il nome del territorio.

Ecco, questo articolo è proprio pesante, perché nega degli sforzi che si sono dimostrati in concreto quando diversi modelli aziendali e diversi titolari di impresa hanno votato per regole più restrittive, per la qualità, per un abbassamento delle rese persino delle Igt, nell’ambito delle ultime riunioni utili alle modifiche dei disciplinari.

Questo articolo è veramente un’onta, è un modo sbagliato di dare delle notizie e un modo che ravvisa un preconcetto nei confronti di un territorio che è da conoscere e da scoprire.

E mi sorprende che sia proprio Slow Food a rendersi protagonista di questo articolo: l’associazione che più di tutte dovrebbe avere a cuore i modelli aziendali famigliari e qualitativi, che in Oltrepò pavese rappresentano circa l’85 per cento del totale! Non ce l’aspettavamo: è stata una grande delusione e spero che Slow Wine vorrà porvi rimedio.

LA NOSTRA PROPOSTA
Parole da condividere alla virgola, altro che alla lettera. Ma si potrebbe fare di più:

boicottare la prossima guida Slow Wine (2019)

E’ quello che la nostra redazione invita a fare a tutti i produttori dell’Oltrepò offesi in maniera così vigliacca da Slow Wine. Un modo, peraltro, per risparmiarsi delle spese. Da reinvestire sulla promozione della propria azienda e del proprio territorio.

Magari proprio affiancando un Consorzio che sembra aver imboccato – specie negli ultimi round della tornata condotta da Michele Rossetti – il giusto cammino verso l’affermazione nazionale (e internazionale) della più sottovalutata (e stuprata) tra le aree vitivinicole d’Italia: l’Oltrepò pavese, per l’appunto.

Chiudiamo con del simpatico amarcord. In un articolo del 19 luglio 2017, Giancarlo Gariglio della Redazione di Slow Wine elencava (ovviamente ironicamente) i “5 motivi per non dare il vino alle guide. L’ultimo è davvero surreale. Scoprite qual è!”.

Articolo che oggi andrebbe aggiornato – almeno quanto il titolo sparato sull’Oltrepò, oggi scomparso dalla rete – col motivo numero 6: il più grave e il più credibile. Offerto direttamente, ai produttori, dalla stessa redazione di Slow Wine. Nonché da Slow Food Editore.

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Oltrepò pavese, beffa friulana a ProWein 2018. Bottiroli show: “Basta lamentarsi”

Vorrei ma non posso, fidarmi di te. L’Oltrepò pavese sembra da anni incastrato in un brutto sogno, dal quale stenta a risvegliarsi. Un incubo fatto di scandali finanziari e di sofisticazioni che, oggi, una nuova generazione di produttori sta cercando di mettersi alle spalle. Per conto di tutti. Anche di chi continua ad alimentare, appena possibile, la macchina del fango.

Certo è che di occasioni di rilancio, l’Oltrepò, ne ha perse a bizzeffe nella sua storia fatta non solo di Bonarda massacrato dalla Grande distribuzione, ma sopratutto di Pinot Nero, di cui è patria con 3 mila ettari di grandissima qualità.

Non a caso, molti territori affermatissimi per la spumantizzazione devono tutto (o quasi) all’Oltrepò. Zone che per decenni hanno attinto da quel grande magazzino di terra e di uva preziosa. E lo fanno tuttora.

Per capirlo basta spulciare i libri di storia. Oppure fare due chiacchiere con produttori illuminati come Fabio Marazzi di Cantina Scuropasso, l’uomo che sembra aver preso sottobraccio il nuovo Oltrepò pavese, fungendo da “guru” per giovani (di per sé in gambissima) come Alessio Brandolini, Matteo Bertè, Matteo Maggi e Luca Padroggi.

E mentre il tram chiamato La Versa inizia a muovere i primi passi fuori dalla stazione, a ProWein 2018 la scena del Pinot nero se la prendono i friulani. Mica un Consorzio strutturato come quello pavese. A Dusseldorf, alle 12.15 di martedì 21 marzo, la Rete D’Impresa Pinot Nero Fvg si è resa protagonista di “Italian Pinot Noir: the new key players“.

Sugli scudi cinque aziende delle province di Udine, Gorizia e Pordenone (Castello di Spessa, Conte d’Attimis Maniago, Masut da Rive, Russolo e Zorzettig) che “credono nel Pinot Nero come simbolo di una produzione d’eccellenza”.

Un’associazione “nata per promuovere questo vitigno che nel Friuli Venezia Giulia trova un’interpretazione nuova ed affascinante”. Anche dell’italiano, come dimostra l’immagine sopra, tratta dal sito web ufficiale della Rete d’Impresa Pinot Nero Fvg (si scrive “qual è”, senza apostrofo – ma questa è tutta un’altra storia).

E l’Oltrepò, allora? Per quanto tempo, ancora, dovrà assistere al match dalla panchina? Mentre il Consorzio di Tutela si appresta a cambiare allenatore (Michele Rossetti non si ricandiderà) abbiamo chiesto al direttore Emanuele Bottiroli un’intervista lontana dalla più sbiadita vena democristiana. In pieno stile vinialsuper, insomma.

Oggi pomeriggio, invece, il banco di degustazione “Oltrepò Pavese. Le colline del pinot nero“, organizzato dall’Associazione italiana sommelier (Ais) al Westin Palace di Milano. Per prenotare: eventi@aismilano.it o https://www.aismilano.wine/.


Direttore, quali sono le sue proposte per l’Oltrepò, primo terroir vitivinicolo di Lombardia, con 13.500 ettari di vigneti?
L’Oltrepò Pavese deve prendere in mano il proprio destino e optare per una specializzazione dei marchi aziendali. Il tesoretto rappresentato da 3 mila ettari di Pinot nero fanno di questa terra contadina, amata da Gianni Brera e Luigi Veronelli, la capitale italiana della più internazionale delle varietà: un po’ Borgogna e un po’ Champagne.

Dobbiamo concentrarci su ciò che ci rende unici. Siamo la culla del Metodo Classico italiano dal 1865 e abbiamo un vitigno internazionale che esprime sulle nostre terre al 45° Parallelo, nel mondo sinonimo di grandi vini, caratteristiche qualitative precise. Il problema è che tutti ne parlano ma pochissimi si concentrano su leve strategiche nuove.

In che senso?
Nell’ultimo decennio l’Oltrepò ha fatto passi da gigante in termini di qualità assoluta. Non lo dico io, lo dicono degustatori nazionali ed internazionali che hanno sancito come i nostri vitivinicoltori abbiano storia, qualità e assi nella manica.

Il problema, però, è che a differenza di quanto accaduto in molte altre zone italiane le imprese locali non trasformano le rispettive identità in una scelta d’impresa. Non parlo solo di Pinot nero, perché il territorio è vasto e ci sono più frecce diverse che ognuno può avere al proprio arco per caratterizzarsi, in base alla zona.

Al momento ci sono aziende piccole che producono un numero troppo vasto di referenze e tipologie, mandando in tilt la percezione di sé. Siamo partiti dai disciplinari, che abbiamo emendato e sfoltito, da una nuova tracciabilità dei vini DOC con il contrassegno di Stato, per lanciare un messaggio forte e chiaro a buyer e mondo consumatore. C’è però un passato che si deve superare anche nelle scelte aziendali, una mentalità di rinnovare.

Cosa occorrerebbe fare?
Se il tuo catalogo è una carta dei vini sterminata significa che nel percepito produci valore medio e non valore aggiunto. Evidentemente se fai troppo non emergi e comunichi una forbice di prezzi troppo ampia, nemica di un posizionamento forte del tuo marchio.

Nel marketing insegnano che l’immagine di ogni azienda viene associata all’etichetta che posiziona a scaffale al prezzo più basso. Ebbene la nostra qualità è venduta a prezzi che sono mediamente dal 20 al 30 percento al di sotto di quelli che sarebbero adeguati a parità di qualità.

Senza generalizzare, perché sarebbe sbagliatissimo, osservando varie indagini di mercato l’impressione è che si voglia vendere “tutto” e “tanto” anziché vendere “bene”, come il consumo medio pro capite di vino in Italia suggerirebbe a una zona che esporta direttamente ancora una percentuale minima della propria produzione.

Qualcuno però dirà che i conti devono pur tornare
Bisogna fare i calcoli in modo scientifico in azienda, ricordando che il fatturato non è mai la misura dello stato di salute di un’impresa, ma che al contrario risulta spesso solo un miraggio.

A volumi sanno lavorare bene le industrie, gli imbottigliatori o le cooperative, mentre invece i piccoli produttori dovrebbero usare metodi diversi per monitorare la loro performance, scegliendo i canali di vendita con cura e diversificandoli.

Bisogna puntare sulla distintività e sull’esclusività, facendo percepire le caratteristiche uniche dei nostri prodotti di punta. I “vini da cassetto” sono come i “menù di lavoro” dei ristoranti che, alla fine, si scelgono perché costano poco, non per il valore che hanno.

Nel mondo questo genere di vini saranno prodotti via via sempre più da molti paesi emergenti in ambito enologico. Per me l’Italia e l’Oltrepò devono prendere un’altra strada. Bisogna avere più bottiglie nel segmento “premium”, per poi agire con il marketing e la pubblicità per far vendere vini a valore aggiunto. Viceversa, “Oltrepò” vorrà sempre dire “terra che fa vino”. Un messaggio che dice tutto e dice niente.

Ma tra il “dire” e il “fare” c’è di mezzo il rischio d’impresa: chi se la dovrebbe sentire?
Delle due l’una: smettere di lamentarsi perché non ci si vede riconosciuto il giusto valore e andare avanti come prima, oppure cambiare essendo capaci di affermare un’identità che ciascuno può saper trovare perché qui le imprese il loro karma ce l’hanno tutte.

Spesso si pensa erroneamente all’Oltrepò come a una terra dal bel potenziale inespresso. E’ sbagliato, odioso e avvilente. Questo il mercato e i giornalisti di settore lo dicono perché le aziende non si concentrano abbastanza sul dare numeri al loro top di gamma, comunicandolo e posizionandolo in modo capillare come merita.

Un po’ di tutto andava forse bene quando il vino si vendeva da solo, negli anni ’70. Oggi le dinamiche sono molto diverse e di certo più complesse.

Che peso hanno, dunque, le “svendite” della Gdo e l’azione degli imbottigliatori?
Secondo me un produttore e un imbottigliatore hanno profili e target differenti. Per me le svendite di taluni prodotti e tipologie sono solo una conseguenza. Il problema a monte è che il territorio deve riuscire a imporsi e fare valore aggiunto con i prodotti che ai grandi poli al momento quasi non interessano.

Il Pinot nero dell’Oltrepò Pavese Doc e l’Oltrepò Pavese Metodo Classico Docg, il Cruasé o i grandi Riesling sono vini che al top di gamma richiedono scelte in vigneto, in cantina e nell’affinamento a misura di piccola impresa che voglia distinguersi.

Chi deve fare maxi volumi certi investimenti non li fa, almeno fino a quando ha la miglior materia prima a prezzi stracciati. Occorre staccare la punta della piramide qualitativa territoriale e lavorarci insieme, unendo tutti i produttori capaci e stringendo un patto per un prezzo minimo sotto il quale non scendere.

Si parte valorizzando il vino per poi pagare di più le uve, partendo da quelle selezionate e vendemmiate a regola d’arte. Non servono altre associazioni, sigle o loghi. Serve un piano sorretto dalla volontà di non cambiare idea a ogni vendemmia, condannandosi a essere serbatoio o discount del vino al litro.

Le cantine cooperative sono una virtù o un limite in questo percorso?
La cooperazione può essere una straordinaria opportunità per arrivare a produrre qualità in quantità. Il riavvio di La Versa, ad esempio, vuol dire tanto per la spumantistica Docg del territorio. Torrevilla, che guarda al Pinot nero e al Metodo Classico con crescente tensione qualitativa e apre a strategie di zonazione, è un altro fatto enormemente positivo.

Terre d’Oltrepò, che a Broni e Casteggio ridisegna il packaging e punta sul vino in bottiglia e sul creare una rete commerciale, rappresenta un passo avanti notevole. La Cantina di Canneto che scommette su progetti di rete nazionali può dare un importante contributo.

Credo che demonizzare modelli aziendali diversi dal proprio sia un errore e un darsi martellate da soli. Il futuro si progetta solo con tutti seduti a un tavolo.

E’ il Consorzio di Tutela quel tavolo?
Sarebbe troppo facile dire di sì, specie a me. Mi limito solo a osservare che bisogna superare la logica di contrapposizione e, ancora di più, le larghe intese a parole. Ci sono idee diverse, non bisogna fingere di andare d’accordo come fosse una recita.

Occorre trovare punti di sintesi, far volare gli stracci, consumare le dialettiche del caso e poi uscire forti e determinati ad andare avanti insieme. Qualcuno pensa che costruendo fortini ognuno ottenga il suo regno.

In verità la storia recente insegna che non va così, perché il profilo di un territorio è responsabilità e dovere di tutti. Divisi e in ordine sparso si coltiva solo fragilità, quella fragilità che rende schiavi. Io in Oltrepò credo servano leader di mercato, non di vallata.

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Dieci domande sul (vero) vino biologico italiano

“Lavoriamo in biologico, sia in cantina sia in vigna. Non siamo certificati ‘bio’, ma è come se lo fossimo”. Chi gira per cantine avrà sentito decine di volte questo ritornello. Ma cosa significa, allora, essere “certificati bio”?

Il “biologico” è solo una questione burocratica? Vale la pena certificarsi? Ma soprattutto: che differenza c’è tra un vino “convenzionale” e uno “biologico”?

Lo abbiamo chiesto a due belle realtà tutte italiane: l’Azienda agricola Quaquarini Francesco, che opera in Oltrepò Pavese ed è stata selezionata da vinialsuper come “Miglior Cantina Gdo 2016“, e Cantine Losito – Terre del Gargano, in Puglia. Le dividono 742 chilometri. Ma le due aziende sono vicinissime nel modo di condurre vigna e cantina. Rispondono alle domande Francesco Quaquarini e Giovanni Losito.

1) Da quanto l’azienda è certificata biologica?
Quaquarini: Dal 2002.
Losito: Dal 1997 al 2000 mio padre ha testato le pratiche bio, per verificarne l’efficacia e l’applicabilità nelle nostre vigne. Ottenendo buoni risultati, dal 2000 è cominciata la conversione a livello burocratico e, dopo i 5 anni previsti dal regolamento, le vigne hanno ottenuto la certificazione bio.

Dal 2012, con l’introduzione della menzione “vino biologico” a livello europeo,  è stato necessario anche certificare la cantina ed il processo, ottenendo immediatamente la certificazione.

2) Perché questa scelta? Conviene?
Quaquarini: E’ una scelta personale, non legata alla commercializzazione. Noi viviamo in mezzo alle nostre vigne, lavoriamo in campagna e non vogliamo utilizzare prodotti chimici per la nostra salute e quella dei nostri collaboratori.

Pensiamo che una corretta gestione del terreno possa essere positivo per un giusto equilibrio e rispetto dell’ecosistema, per salvaguardare la naturale fertilità e biodiversità del terreno.

Dai controlli sulla vegetazione si rilevano analiticamente l’assenza totale di residui di fitofarmaci che, altrimenti, se ci fossero, andrebbero sicuramente a finire in parte nel vino. E’ provato che l’impatto ambientale su equivalenti di area non è enormemente distante tra l’agricoltura convenzionale e quella biologica, ma sul prodotto finale i risultati sono scientificamente provati.

La lotta contro i parassiti nell’agricoltura biologica si basa soprattutto sull’utilizzo di antagonisti naturali (animali-antagonisti), repellenti naturali, barriere naturali etc. L’inerbimento controllato inoltre protegge il suolo dall’erosione, mantenendo una naturale ricchezza e fertilità , anche dal punto di vista idrico gli effetti sono assolutamente positivi.

Penso convenga qualitativamente, anzi ne sono convinto. Da un punto di vista strettamente economico sicuramente no, per il mercato italiano. I costi di produzione sono più alti del 30% circa, inoltre il rischio di perdere la produzione è molto più elevato.

Losito: La risposta sembrerà una frase fatta, ma è stata prima di tutto una scelta di sensibilità. Siamo viticoltori a livello professionale da tre generazioni, pertanto abbiamo visto persino la viticoltura intensiva da tavola delle nostre zone degli anni 70-90, con l’uso smodato di antiparassitari e fitofarmaci residuali, prima che gli studi dimostrassero gli effetti negativi su salute e natura.

Siamo le persone più presenti nei nostri stessi terreni ed i primi consumatori dei nostri prodotti, quindi abbiamo voluto tutelare la nostra salute e quella dei nostri clienti. Inoltre, volendo proseguire in questo lavoro ed in queste zone anche nelle generazioni a venire, è logico pensare ad una gestione più sostenibile e rispettosa della vitalità della natura stessa.

L’uso prolungato e smodato di fitofarmaci residuali o sistemici ed una agricoltura volta alla “rapina” alla lunga porta all’infertilità ed al disequilibrio dell’ambiente dove si coltiva…e lì, di che terroir si vuole più parlare. Conviene? Dal punto di vista economico le valutazioni da fare sono troppe e la risposta è diversa per ogni produttore.

Per fare una regola generale mi sento di dire che, in ambito vitivinicolo, conviene solo quando la gestione è affidata a persone tecnicamente e scientificamente molto competenti, nel territorio con condizioni pedoclimatiche favorevoli, ed avendo il mercato giusto a cui vendere e/o facendo accordi di filiera con chi vende professionalmente nel biologico.

3) Quali sono stati i passi necessari per ottenere la certificazione?
Quaquarini: A parte la burocrazia , da un punto di vista tecnico abbiamo solo dovuto formalizzare su carta quello che già facevamo, implementando la ricerca scientifica per migliorare il risultato (es: capannina meteo con programma anticrittogamico in collaborazione con l’Università Agraria di Piacenza).

Losito: È stata fatta richiesta ad agronomi professionisti, i quali hanno curato burocraticamente la richiesta all’Organismo di Controllo (OdC) da noi scelto (nel nostro caso, quello con l’ufficio più vicino alla nostra azienda, a 20 km di distanza).

L’OdC a sua volta ha verificato l’ammissibilità della nostra richiesta a livello agronomico e si è interfacciato con l’Unione Europea per l’autorizzazione. Abbiamo poi aspettato cinque anni come da regolamento, per far sì che diminuisse la concentrazione degli eventuali residuali in precedenza usati.

Nel nostro caso, si poteva aspettare anche molto meno dato che già la nostra gestione era molto più “pulita” ed eravamo reduci da tre anni di prove in bio, ma la legge è legge.

4) A quale costo (economico, burocratico, di personale necessario a gestire le pratiche)?
Quaquarini: La burocrazia è il primo vero ostacolo alla scelta del biologico. L’impegno gravoso in ufficio è equivalente al maggior impegno che dobbiamo sostenere in campagna.

La certificazione giustamente ci obbliga ad una serie interminabile di trascrizioni, registrazioni, dove gli attori sono diversi: noi, l’ente certificatore, l’ente provinciale e i rivenditori di prodotti agricoli (dalle vitine fino alla vendemmia). C’è anche un impegno non irrilevante in termini di studio, sperimentazione e aggiornamento tecnico  sull’intera filiera produttiva.

Losito: Il costo dipende da azienda ad azienda, ma diciamo che tra i nostri costi vivi e nascosti in media siamo sulle 500 euro a ettaro. L’Europa però dà contributi per la gestione bio, pertanto i costi potrebbero diminuire anche di molto, dipende dalla professionalità dell’azienda.

5) Cosa distingue un’azienda certificata bio da una non certificata bio, ma che segue comunque i dettami dell’agricoltura biologica?
Quaquarini: Molti dicono “Non siamo certificati ma è come se lo fossimo”. E’ un modo di operare non molto chiaro. O lo sei, o non lo sei. L’autocertificazione non è ancora ammessa, i controlli devono essere garantiti da un ente terzo (sicuramente per me non è giusto che a certificare sia una struttura privata pagata dall’azienda).

Certo dipende fondamentalmente dalla serietà delle persone. Basta guardare il telegiornale per sentire parlare di truffe sul biologico di aziende perfettamente certificate e questo è un grandissimo problema per chi cerca di lavorare bene.

Losito: Prima di tutto la certezza di controlli e l’affidabilità dell’operato (salvo frodi, comunque punibili per legge). Nel primo caso l’azienda, essendo controllata da enti esterni (i dettagli nelle risposte successive), riesce a garantire prima di tutto una tracciabilità di prodotto, ma anche che il prodotto sia effettivamente assente da residuali non ammessi.

Nel secondo caso, in genere, il solo applicare le tecniche bio non garantisce che siano stati fatti controlli analitici e che non ci siano problemi di deriva da contadini vicini. Considerando che l’Europa aiuta economicamente coloro che decidono di passare al bio, sarebbe economicamente svantaggioso non aderire ai sistemi di controllo nonostante l’applicazione delle tecniche.

Chi decide di non aderire, in genere, è più un millantatore che altro, perseguibile anche per legge. È come dire “il mio vino è docg, fidati solo della mia parola”.

6) Quali sostanze sono ammesse nella pratica bio in vigna e in cantina? Quali sono escluse rispetto al vino ottenuto da agricoltura “tradizionale”?
Quaquarini: Per la campagna tutti i concimi organici certificati bio (dal letame ai pellettati), per la difesa contro gli insetti dannosi si possono usare antagonisti naturali (imenotteri, thuringiensis, ferormoni per la confusione sessuale), piretroidi.

Contro la peronospora si usa rame con il limite di utilizzo di 6 Kg/ha per annata agraria. Per l’oidio si usa zolfo e il fungo ampelomyces quisqualis. No OGM. A queste si aggiungono adeguate pratiche agronomiche atte a minimizzare gli attacchi dannosi e aumentare l’efficienza degli interventi (inerbimento, potatura secca e verde, siepi, arieggiamento del grappolo, scelta delle varietà di uva più idonee alla zona, forme di allevamento, sesti d’impianto).

Per la cantina, l’utilizzo della solforosa è tollerato e regolamentato con un dosaggio più basso rispetto al vino convenzionale. La chiarificazione e stabilizzazione dei vini può essere può essere ottenuto con mezzi fisici (freddo, centrifugazione, filtrazione) con o senza l’impiego di prodotti enologici (lieviti, caseina, albumina, bentonite, sol di silice, tannini).

Non si possono usare un’infinità di prodotti, per esempio: carbone, lisozima, polivinil pirrolidone, ferrocianuro di potassio, trattamenti termici…

Losito: In vigna le principali ammesse sono diverse. Sostanze di origine vegetale o animale come c’era d’api, gelatina; olii vegetali e minerali; batteri, virus e funghi o loro estratti che attaccano i parassiti della vite; feromoni; rame e zolfo (a concentrazioni controllate dall’OdC).

Per quelle non ammesse ti allego una nostra analisi multiresiduale, in cui si attesta l’assenza di oltre 500 fitofarmaci non ammessi (previsti invece nell’agricoltura convenzionale), nome per nome.

In cantina i principali coadiuvanti ammessi sono bentonite, chiarificanti di origine vegetale e animale, anidride solforosa (in concentrazioni massime minori rispetto al convenzionale, fino quasi al dimezzamento per alcune tipologie).

Non ammessi sono acido sorbico e sorbati, lisozima, Chitosano, acido malico, ammonio bisolfito, solfato di ammonio, pvpp, Carbossimetilcellulosa, Mannoproteine di lieviti, enzimi beta-glucanasi, Ferrocianuro di potassio, Caramello.

Non sono neanche ammessi alcuni procedimenti fisici quali concentrazione parziale attraverso il raffreddamento, eliminazione dell’anidride solforosa, trattamento per elettrodialisi, dealcolizzazione parziale, trattamento con scambiatori di cationi, filtrazioni inferiori a 0,2 micrometri.

7) Il vino bio è diverso da quello “tradizionale”? La differenza si può riscontrare nel calice, all’assaggio?
Quaquarini: Alla degustazione non è paragonabile, nasce da principi diversi. Sicuramente analiticamente è diverso, i residui di trattamenti, diserbanti,coadiuvanti enologici lasciano una traccia chimico/analitica ben evidente. La diversità sta nel lavoro.

Per valutare una diversità all’assaggio bisognerebbe fare una degustazione in parallelo di due vini identici ottenuti con metodi diversi. Penso che i vini bio e convenzionali possano essere buoni o cattivi entrambi: dipende dall’attenzione e dalla cura nella produzione.

Losito: Oggettivamente, dal solo punto di vista dei fitofarmaci residui, è sicuramente diverso, è più salubre. Per chi consuma vino quotidianamente, sicuramente questo fattore è importante per evitare accumuli. Sul fronte delle differenze nella degustazione si apre un mondo di valutazioni, tutte opinabili, senza una regola oggettiva.

Mettiamola così: premettendo che per fare un vino biologico si debbano prendere precauzioni e provvedimenti atti ad ottenere per forza un prodotto di alta qualità (in maniera da evitare problemi risolvibili solo con metodi non ammessi in bio), sicuramente la media dei vini biologici ha una qualità organolettica migliore della media dei vini convenzionali.

Se un vino biologico non è buono, non deve essere giustificato, come invece accade per i cosiddetti “vini naturali”, ai quali erroneamente spesso sono associati.

9) Come avvengono i controlli e con che periodicità?
Quaquarini: L’ente certificatore effettua 2-3 controlli all’anno. Non c’è un calendario e sono casuali e imprevisti.I controlli avvengono in ufficio, in campagna e in cantina, per valutare tutte le fasi della produzione e della vendita del prodotto.

In campagna oltre al controllo visivo, si prelevano campioni di foglie e di uva per le analisi.In cantina si prelevano campioni di vino, mentre in ufficio (con tempi lunghissimi) si controllano tutte le carte, si contano bottiglie ed etichette bio e tutti i documenti della vendita.

Purtroppo il peso dei controlli è sempre più spostato verso una burocrazia mastodontica e inutile.Gli addetti ai controlli sono tecnici esterni agli enti certificatori che cambiano ogni tre anni al massimo. Poi ci sono i controlli degli organi pubblici, come Ufficio Repressione Frodi (ICQ), Nas, Provincia, Finanza etc.

Losito: L’OdC assegna un profilo di rischio per ogni azienda (dimensioni, vicinanza con altri, tipo di colture e prodotti) ed in base a questo aumenta la frequenza di visita. Noi abbiamo in media una visita ogni due mesi, ed in media durano 5 ore, in funzione della regolarità riscontrata e della complessità aziendale (conosco colleghi che hanno subìto controlli anche per 16 ore).

Come avviene: per ogni ispezione viene assegnato all’azienda un agronomo (non può ispezionare la stessa azienda più di tre volte consecutive) il quale fa un’indagine documentale riepilogativa, prelevando documenti in possesso delle autorità (fascicolo aziendale, pap, piano colturale, registri e verbali di precedenti ispezioni).

Viene poi in azienda a verificare che i documenti rispondano alla realtà ed analizza i nostri registri, nel quale sono indicati acquisti e vendite dei prodotti, dei fitofarmaci, delle materie prime, le operazioni colturali, la quantità di fitofarmaci utilizzata per ogni trattamento, le lavorazioni sui prodotti (uve, mosti, vini), il rispetto delle rese per ettaro (molto minori rispetto ai disciplinari igp o doc), riscontra la giacenza dei prodotti in base alle entrate ed uscite e la loro regolare etichettatura secondo le norme bio.

Infine, l’ispettore potrebbe prelevare campioni di terreno, pianta, uve, foglie o vini e sottoporli ad analisi multiresiduale per verificare l’effettiva assenza di fitofarmaci e coadiuvanti non ammessi.

Nel caso di irregolarità (che può anche essere un numero sbagliato sulla fattura), l’ispettore fa diffidare l’azienda e la certificazione bio è sospesa, così come la commercializzazione, il prodotto declassato a convenzionale ecc. L’azienda, in funzione della gravità del problema, si dovrà difendere e dimostrare l’innocenza, anche per vie legali.

10) Ha ragione chi dice che il biologico è ormai diventato una moda?
Quaquarini: Magari lo fosse!
Losito: La domanda porta con sé che la concezione che il settore del bio sia tutto uguale. Questo potrebbe valere per gli alimenti più comuni, ma il vino, rientrando anche nella categoria degli alcolici, segue dinamiche diverse, quasi opposte, specialmente in Italia.

Nel nord Europa, Nord America e Giappone, sicuramente il bio in alimentazione è anche una moda, una moda ragionata. Il vino bio, in questi posti, sicuramente è più apprezzato che qui da noi, seguendo le dinamiche del settore alimentare perché considerato comunque più salubre.

Nel nord Italia penso che il vino bio certificato sia visto più come una “alternativa interessante”, non una moda. Questo perché, mentre i produttori si impegnavano a far conoscere il vero bio, sono arrivate anche orde di “naturalisti” a confondere le idee, nel bene e nel male.

Oggi un operatore Ho.Re.Ca. del nord Italia, quando deve rifornirsi, in genere ragiona per estremi e semplificazioni: o grandi aziende famose e blasonate/di tendenza del momento, o l’estremista naturale (vedi il successo dei Triple A). In entrambi casi, mode. Il vino bio, che in genere prende il buono dei due estremi, si trova invece penalizzato in quanto tra i due estremi.

Ed al sud? Al sud, solo che ci penso, mi vengono amare risate. La maggior parte degli operatori classici (il 90% del mercato) pensa bio = puzza. Quando lo andiamo a vendere spesso non specifichiamo che è bio, altre volte ci sentiamo dire “ah, peccato che è bio”, oppure “bio? Non si direbbe” o ancora “bio? Allora siete truffatori, il bio non esiste”.

Quelli che comprano invece credono che il vino bio certificato sia fatto da santoni che fanno miracoli. Quindi no, altro che moda. Sicuramente ci ha aiutato ad emergere nel mercato soddisfacendo una nicchia, ma ora capisco la scelta di Gaja nel fare bio ma non dirlo.

I più esperti, soprattutto i sommelier italiani, sono tra i maggiori oppositori del biologico (basta guardare i commenti nei gruppi facebook sul vino, quando vengono aperte discussioni in merito). Se quindi i primi a doverli consigliare sono i primi a denigrarli, sicuramente è più difficile venderli.

11) Spazio per ulteriori considerazioni
Losito: Credo nel vino biologico certificato, se di qualità. Esso prende la professionalità del convenzionale e la sensibilità del naturale. È il giusto che sta nel mezzo. Tutela il produttore, il consumatore e gli operatori del settore. Ha bisogno di essere comunicato, ha bisogno di scrollarsi di dosso i pregiudizi positivi e negativi dovuti dall’ignoranza (giustificata) derivata dalla sua complessità.

Ha bisogno di essere conosciuto per quello che è: un prodotto derivato da una gestione scientifica e meticolosa della pianta e del vino, volta ad una maggiore salubrità dell’ambiente e del prodotto, nella maniera più trasparente possibile.

Mi faccio una domanda, e la girerei anche ad Umberto: cosa cambiereste del biologico? Personalmente, farei qualche passo indietro nella legislazione, quando il vino era “da agricoltura biologica” o “da uve biologiche”.

Prima di tutto, con quelle menzioni era più chiara l’impronta ambientale di questa certificazione. Secondo, e parlo da enologo, molti coadiuvanti e processi fisici non ammessi in bio in realtà non costituiscono né un pericolo per l’ambiente, né per l’uomo.

Il loro uso potrebbe sprigionare il potenziale di molti vini bio, mantenendone intatta la salubrità. La paura della “chimica” in cantina ha generato ciò, ma deriva dalla scarsa conoscenza del comune consumatore. Non si può pretendere che tutti siano laureati in enologia, ma ci vorrebbe più fiducia negli enologi. Il consumatore teme ciò che non capisce e disprezza ciò che teme, divenendo prone alla manipolazione.

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Cantine news vini#1

Professione Eno Artigiano: Stefano Milanesi e il suo Oltrepò pavese

SANTA GIULETTA – Eno Artigiano. Stefano Milanesi ama definirsi proprio così. E lo mette anche sull’etichetta dei suoi vini. Di un Oltrepò pavese “alternativo”.

Te ne accorgi da come t’accoglie per la visita programmata per un sabato mattina uggioso di fine febbraio: affettando salame e coppa. Siamo a Santa Giuletta, in provincia di Pavia. Sui primi dislivelli che si incontrano venendo dalla piatta metropoli Milanese.

Una passione, quella per il vino, che Stefano Milanesi ha ereditato dalla sua famiglia di viticoltori da molte generazioni. Certificato Bioagricert già da 10 anni, quando ancora del tanto modaiolo termine “Vini Naturali” e “Biologici” non si sentiva quasi parlare.

Qui la filosofia è chiara: niente diserbo chimico, solo rame e zolfo contro Oidio e Peronospora. Poi, tanta cura sulla pianta. “Perché non è vero che l’intervento dell’uomo deve essere il minor possibile”. Ci sediamo al tavolo per iniziare la degustazione.

Partiamo con il Pinot Nero Metodo classico. Non c’è un limite di permanenza sulle proprie fecce di fermentazione. E’ l’annata che decide. E poi è Stefano a spingersi oltre. La sboccatura non avviene mai prima dei 36 mesi.

In degustazione le vendemmie 2013 e 2010 ma in cantina c’è anche la 2007, sboccata a novembre 2017. I colori ovviamente solo diversi. Si va dal giallo paglierino intenso al dorato. Tutti vini che non subiscono chiarifiche, filtrazioni e acidificazioni.

LA DEGUSTAZIONE
I sentori al naso sono comuni e incredibili. Si va dal biancospino (aroma per Stefano che meglio rappresenta il Vesna Nature) ai sentori di fiori di campo e di frutta a polpa bianca. E poi uva spina, mela. Ma anche agrumi e pasticceria.

A un certo punto, dopo più di 2 ore, a bicchiere ormai vuoto, il naso rimanda note da Sauvignon Blanc, nello stupore generale del tavolo. Perlage di buona persistenza e finezza, complesso e fresco, sapido e minerale . Nel complesso una gran bella bollicina.

Si prosegue con Poltre bianco da uvaggio misto locale: Cortese, Riesling italico, Pinot nero, Trebbiano e Sauvignon. Un bianco da pasto, caratterizzato da una macerazione di 5 giorni che lo rende di un giallo dorato.

Il corredo olfattivo, tutto tranne che banale. Frutta matura a polpa gialla, frutta secca, qualche richiamo al miele millefiori. Freschezza da vendere. Sorso piacevole.

Poltre rosso è invece ottenuto da uve Croatina, Barbera e Uva Rara in percentuali maggiori. Macerazione un po’ più spinta del bianco e vino da complessità aromatica anche qui interessante. Forse qualche nota surmatura ad inizio bicchiere. Ma poi il vino si distende e il corredo aromatico si ingentilisce.

Si passa poi a quella che rimane la miglior espressione di casa Milanesi: il Neroir, Pinot nero in purezza di eleganza e finezza poco comuni. E’ un vino timido, si scopre piano. Pressatura soffice, macerazione di qualche ora, poi il cemento.

Il colore è scarico, da Pinot nero d’Oltralpe. E l’aroma spazia dalla piccola frutta rossa, come la visciola, ai fiori, come la violetta. Sul lungo dà il meglio di sé. Un vino fatto per stupire.

I CRU
Si assaggia anche la Croatina OPpure e la Barbera Elisa. Annata 2009. Monovitigni per questi due cru, che dopo una macerazione di qualche giorno vanno in affinamento in legno, barrique e tonneaux di rovere francese e bulgaro.

L’acidità della Barbera e il tannino della Croatina rappresentano la base di questi due ottimi cru aziendali.

Ma il corredo aromatico e gustativo è complesso, armonico, forse più bilanciato sulla Croatina dove il frutto maturo, le note boisé e la spezia si fondono meravigliosamente.

Qui siamo sui 2 grappoli per pianta: rese bassissime, spinte alla maturazione perfetta. Vini da invecchiamento , con tanto corpo e tanta materia, da permetterne splendide evoluzioni.

La prova la abbiamo quando Stefano mette a tavola una bottiglia nuda , senza etichetta. Una bordolese, quindi capiamo che siamo andati indietro negli anni. E’ un blind taste questo. E Stefano ci invita a provare a scoprire cosa degustiamo.

Il naso non tradisce. E’ lo stesso di qualche bicchiere fa: è Barbera. Acidità e tanto corpo, ma ancora note calde in bocca, a prevalere sul terziario. Azzardiamo un’annata calda: la 2003. Bingo!

Ci alziamo soddisfatti dal tavolo: Stefano Milanesi vuole mostrarci la cantina, dove sono custodite le bottiglie e le barrique. Quello che colpisce di più, però, solo le pupitres in cui il giorno prima Stefano ha posizionato il suo Pinot nero atto a divenire Vesna. Il colpo d’occhio è ipnotizzante. Non ci si staccherebbe mai.

L’Eno Artigiano Stefano Milanesi è un vignaiolo a 360 gradi. La conduzione “familiare” della cantina è l’impronta tangibile del suo Dna. Il rispetto per la pianta e per il suo frutto, la sua impronta personale. Il resto, lo fa il suo istinto. Il suo azzardo. Il suo naso. E il suo palato.

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Oltrepò Pavese: parola d’ordine “qualità” con la revisione dei disciplinari

BRONI – Abbassamento delle rese, restringimento della zona Igt, vinificazione e imbottigliamento in loco per Sangue di Giuda e Pinot Nero. E parola fine all’era del vino Doc in damigiana. L’Oltrepò pavese guarda così al futuro, riformando i disciplinari.

Mosse storiche, che forse ridaranno slancio a un territorio che merita molto più di quello che è riuscito a raccogliere. Le riforme dei disciplinari sono state presentate giovedì dal Consiglio di amministrazione del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, in occasione dell’assemblea dei soci all’Enoteca Regionale di Broni.

“Ringrazio chi ha lavorato con noi per arrivare a questi risultati – commenta il presidente Michele Rossetti – che sono solo il primo passo. Un passo che però è storico e lascerà il segno soprattutto perché sul territorio, davvero, qualcosa è successo”.

“Questo Consiglio, insieme ai nuovi disciplinari e a una tracciabilità vera per ridare smalto alla Doc – aggiunge Rossetti – lascerà in eredità un nuovo modo di fare Consorzio. E’ un messaggio anche a chi ha scelto di star fuori, di non partecipare e di lasciar fare agli altri”.

Parole scaturite dal confronto positivo tra grandi e piccoli produttori oltrepadani. “Ho visto una Terre d’Oltrepò profondamente cambiata – evidenzia Rossetti – che si è messa in gioco per gli altri. Una Torrevilla disposta a fare sacrifici. Tanti titolari d’imprese di qualità pronti a scommettere sul futuro. Si può ricominciare”.

LE NOVITA’
“Uno spirito collaborativo – precisa Emanele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – che ha portato a migliorare i vecchi disciplinari, abbassare le rese all’insegna della qualità, cancellare tipologie e versioni non identitarie da una Doc fino ad oggi barocca, restringere la zona di produzione Igt eliminando comuni di pianura, limitare in zona la vinificazione e l’imbottigliamento di Sangue di Giuda e Pinot nero”.

Ma non solo. “Le modifiche dicono addio all’era del vino Doc in damigiana – continua Bottiroli – contribuendo a ridare slancio al disciplinare del Casteggio e a ottimizzare tutti gli altri disciplinari di produzione, compreso quello del Bonarda, il vino territoriale più venduto e amato, che sarà solo il lato frizzante o ‘vivace’ dell’Oltrepò Pavese”.

“Ognuno ha fatto uno sforzo – chiosa Bottiroli – in particolare le cantine cooperative Terre d’Oltrepò, socio di maggioranza mai così vicino nella storia al comune sentire territoriale pur a costo di sacrifici, e Torrevilla. Non si sono tirati indietro nemmeno gli altri produttori presenti in assemblea, che hanno capito in che direzione andava una riforma che voleva dare segnali concreti di cambiamento”.

Ai vini Doc sarà inoltre apposto il contrassegno di Stato. La cosiddetta “fascetta”, “utile – sottolinea ancora Bottiroli – a garantirne autenticità e valore, facilitando gli organismi di controllo e dando ai consumatori consapevolezze nuove sul valore aggiunto che i grandi vini meritano”.

IL FUTURO
Il futuro dell’Oltrepò, come di altre Denominazioni, passa tuttavia anche dall’estero. Anche su questo fronte le premesse sembrano buone. “Il nostro Piano per l’internazionalizzazione 2018 – annuncia il direttore Bottiroli – è stato valutato al primo posto in graduatoria regionale davanti, per punteggio, a realtà importanti come Franciacorta e Ca’ del Bosco. Si tratta di un progetto di rete, di cui siamo capofila, mirato in particolare a Stati Uniti, Giappone, Cina e Svizzera”.

Sul fronte fieristico è già iniziato il conto alla rovescia anche in chiave europea: “Ci prepariamo – annuncia Bottiroli – al Prowein di Dusseldorf, la fiera del vino più importante in area Ue riservata agli operatori professionali”.

Occhi puntati anche su Verona: “Ci prepariamo a un Vinitaly 2018 all’insegna di molte novità e di una comunicazione nuova – preannuncia Bottiroli -. Saremo al salone del vino più importante d’Italia con il libro bianco sull’Oltrepò del vino, uno studio dettagliato e scientifico condotto dall’Osservatorio di Wine Marketing che un anno fa abbiamo costituito con l’Università di Pavia”.

Il Consorzio di Tutela presenterà così “uno strumento, frutto di analisi dati, uscite sul campo e interviste, che ci consentirà di progettare con metodo, avendo una rappresentazione plastica del complesso universo della vite e del vino in Oltrepò”. Dalla diagnosi nascerà “una terapia, ovvero una strategia a breve, medio e lungo termine”.

Per Bottiroli, il limite da superare resta sempre lo stesso: quello delle divisioni. “Il Consorzio è la casa di tutti. Solo con l’unione e il superamento delle barricate i risultati saranno tangibili. Auspico che il 2018 sia l’anno della svolta, anche sul tema dell’enoturismo e del marchio Oltrepò Pavese che puntiamo a creare con la Strada del Vino”.

“Voler bene al territorio – conclude Bottiroli – significa remare, insieme, nella stessa direzione, considerare i successi di uno un vantaggio per tutti. Bisogna dare numeri al top di gamma per poterlo promuovere facendolo reperire più facilmente sul mercato ai consumatori in Italia e nel mondo. Sei quel che si trova e quel che si vede di tuo, non quel che dici di te”.

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Sorgentedelvino Live 2018: i migliori assaggi

PIACENZA – Che non si tratti di una degustazione di Château d’Yquem al Marina Bay Sands di Singapore, lo si intuisce dal colpo d’occhio iniziale.

E’ un pannello di plexiglass marrone, con la scritta a pennarello “Ingresso Sorgentedelvino Live”, ad accogliere una cinquantina di persone. Un freddo lunedì 12 febbraio segna le ultime 6 ore di fiera, a Piacenza Expo.

Il pannello, poggiato a terra, davanti alla cancellata che si spalanca a mezzogiorno in punto, la dice tutta sulla tre giorni che ha visto protagonisti 150 vignaioli (circa 800 vini) provenienti da ogni angolo d’Italia, oltre che da Austria, Croazia e Francia. Conta più la sostanza della forma.

E di “sostanza” ne troviamo tanta nei calici dei produttori, accomunati dal credo in un’agricoltura “biologica, biodinamica e sostenibile”. “Vino che si affida alla natura, per arrivare dall’uva alla bottiglia”, come piace definirlo agli organizzatori Paolo Rusconi, Barbara Pulliero e Francesco Amodeo, con l’astuzia linguistica di chi ha visto crescere Sorgentedelvino Live sin dalla prima edizione del 2008, 10 anni fa.

Quattromilacinquecento gli ingressi quest’anno, rende noto l’ufficio stampa. Cinquecento in più, nel 2018, rispetto all’edizione precedente. Una manifestazione che cresce. Come cresce l’interesse, in Italia, per i vini cosiddetti “non convenzionali”.

I MIGLIORI ASSAGGI
Ecco, dunque, i nostri migliori assaggi. Parte del leone la fa la Calabria, regione posta appositamente sugli scudi dagli organizzatori di Sorgentedelvino Live 2018. Buona rappresentanza anche per l’Oltrepò Pavese, che si conferma culla lombarda di una viticoltura alternativa, tra i colli del miglior Pinot Nero spumantizzato d’Italia.

Segnaliamo l’attento lavoro di recupero di due autoctoni in Toscana, da parte di una produttrice che, di “autoctono”, ha ben poco (ed è anche questo il bello). Poi qualche realtà emergente che saprà certamente imporsi dalle parte di Soave, in Veneto, ma non solo.

E una conferma assoluta in Liguria, con uno dei produttori più interessanti dell’intero panorama nazionale dei vini naturali. Infine, uno straordinario assaggio in Sardegna. Quello dal quale vogliamo partire per raccontare i migliori calici di Sorgentedelvino Live 2018.

1) Barbagia Igt 2016 Perda Pintà, Cantina Giuseppe Sedilesu. Giallo luminoso come una spada laser il Perda Pintà di Giuseppe Sedilesu, ottenuto dal vitigno autoctono di Mamoiada, paesino 2.500 anime in provincia di Nuoro: la Granazza, allevata ad alberello.

Un vitigno che non risulta ancora classificato ufficialmente. I Sedilesu lo hanno riscoperto e valorizzato, unendo il frutto di alcune viti presenti tra i filari di Cannonau. Al naso un’esplosione di macchia mediterranea, unita a sentori aromatici e avvolgenti che, poi, caratterizzeranno il palato.

L’avvolgenza è quella dei 16 gradi di percentuale d’alcol in volume, che rendono Perda Pintà perfetto accompagnamento per formaggi stagionati e piatti (etnici) speziati, come per esempio un buon pollo al curry o i dei semplici granchietti al pepe.

2) Azienda Agricola I Nadre. Degustare i vini della vitivinicola I Nadre, significa compiere un tuffo nel calcare, sino a respirarlo. Siamo in provincia di Brescia, più esattamente in località Muline, a Cerveno, Val Camonica. Il terroir calcareo e sassoso dei 2 ettari vitati conferisce un fil rouge di grande salinità a tutti gli assaggi di questa cantina.

Ottimo il Riesling che degustiamo in apertura, seguito dall’ancora più sorprendente Metodo Classico Vsq millesimato 2012 “A Chiara”: Chardonnay in purezza, dosaggio zero (tiraggio giugno 2013, sboccatura 19 settembre 2016).

A giugno 2018 sarà messo in commercio il millesimato 2015 e conviene prenotarsene almeno un cartone. Interessante anche la Barbera Igt Vallecamonica Le Muline 2015 “Vigneti della Concarena”, anche se appena imbottigliata.

3) Igt Toscana spumante rosato 2016 “Follia a Deux”, Podere Anima mundi. Altro assaggio memorabile e forse irripetibile. Già, perché Marta Sierota – l’elegante padrona di casa franco polacca di Podere Anima mundi – lo commercializza solo in cantina, per pochi intimi.

Il resto finisce in alcuni wine bar ben attrezzati di Roma, Bologna e della stessa Casciana Terme Lari, paese che ospita la cantina, in frazione Usigliano (Pisa). Centocinquanta bottiglie in totale per questo sparkling, su un totale di 10-15 mila circa complessive per Podere Anima Mundi.

Si tratta di uno spumante metodo ancestrale (non filtrato e non sboccato) base Foglia Tonda, autoctono a bacca rossa che qualche lungimirante produttore sta tentando di valorizzare, nella Toscana dei tagli bordolesi alla vaniglia. Un vino da provare a tavola, per il bel gioco che sa creare al palato tra frutto e salinità.

Di Podere Anima Mundi, interessante anche il Foglia Tonda 2015 “Mor di Roccia”, lunghissimo in bocca. Non delude neppure l’altro autoctono, il Pugnitello: “Venti” 2015 è ancora giovane ma di ottime prospettive, mentre la vendemmia 2014 sfodera una freschezza e una mineralità da applausi, unite a un tannino presente, ma tendente al setoso.

4) Calabria Igt Magliocco 2013 Toccomagliocco, L’Acino. Tutto da segnalare dalle parti di Dino Briglio Nigro. Siamo sulla Piana di Sibari, tra lo Jonio e il Tirreno, tra il Pollino e la Sila. Meglio non perdersi neppure un’etichetta di questo fiero produttore calabrese.

Da Giramondo (Malvasia di Candia) ad Asor (“rosa”-to di Magliocco e Guarnaccia nera) passando per Cora Rosso e Toccomagliocco, il Magliocco in purezza che costituisce la punta di diamante di questa cantina.

Grande pienezza sia al naso sia al palato, per un vino che riesce a esprimere – oltre a classiche note di frutta rossa e rosa – anche curiosi sentori di arancia a polpa rossa matura. Non mancano richiami speziati e minerali e un tannino che lo rende perfetto accompagnamento per piatti a base di carne.

5) Cirò Riserva 2012 “Più vite”, Vini Cirò Sergio Arcuri. Altro giro, altra giostra. Sempre in Calabria. Salire su quella di Sergio Arcuri è come catapultarsi a Cirò. Tra le vigne ad alberello di quel grande vitigno del Meridione d’Italia che è il Gaglioppo, sino ad oggi fin troppo offuscato dalla lucentezza dell’Aglianico.

Se “Aris 2015” è il campione di domani, il Cirò Riserva 2012 “Più vite” è il fuoriclasse di oggi. Ottenuto dal cru Piciara, costituisce la materializzazione in forma liquida della terra argillosa, quasi appiccicosa, della vigna più vecchia di casa Arcuri.

Un vino che ha tutto e il contrario di tutto: frutto, sapidità, tannino (quest’ultimo quasi scontato, presente ma dosato). Un rosso pronto, eppure di grande prospettiva. In definitiva, uno di quei vini da avere sempre in cantina.

Un po’ come il rosato da Gaglioppo “Il Marinetto”: splendido, per la sua grande consistenza acido-tattile al palato. E, non ultimo, per il suo colore vero, carico del sole di Calabria più che della nebbia di Provenza ormai tanto in voga tra i rosè.

6) Bonarda Oltrepò pavese Doc 2012 Giâfèr, Barbara Avellino. Forse il vino dal miglior rapporto qualità prezzo degustato a Sorgentedelvino Live 2018 (8,50 euro in cantina). Ma non immaginatevi il classico “Bonardino” dal residuo zuccherino piacione.

Giâfèr sta tutto nel nome: giovane, fresco, vivace. Un Bonarda dell’Oltrepò pavese che sfodera un naso e un palato corrispondenti, sulla trama che accompagna i tipici frutti rossi e i fiori di viola: un’esplosione di erbe di campo e liquirizia dolce in cui si esalta il blend di Croatina (85%), Barbera e Uva Rara.

Ma brava e coraggiosa Barbara Avellino non si ferma qui. Ha ancora in cantina qualche bottiglia di Metodo Classico 2005 “I Lupi della Luna”, base Pinot Noir con un 10% di Chardonnay. Uno spumante non sboccato (tiraggio 2008) interessantissimo, la cui commercializzazione è stata avviata solo dal 2014. Più di 110 i mesi sui lieviti.

Naso di erbe (ebbene sì, ancora loro) e palato appagante per corpo e complessità, giocata su tinte balsamiche e elegantemente mielose. Buona anche la persistenza. Le uve utilizzate per questo sparkling provengono dai terreni di Roberto Alessi de “Il Poggio” di Volpara (PV).

7) Pinot Nero Provincia di Pavia Igt “Astropinot” 2013, Ca’ del Conte. Uno di quei Pinot d’Oltrepò che fanno rima con chapeau. Paolo Macconi, titolare con la moglie Martina dell’azienda a condizione famigliare Ca’ del Conte di Rivanazzano Terme (PV) è uno che i vini li sa fare e anche vendere.

Non a caso va forte in Giappone, dove si vanta di vendere “vini che arrivano in perfetto stato, nonostante l’assenza di solforosa aggiunta e 40 giorni di nave”. E “Astropinot” 2013 è tutto tranne che un autogol.

Bellissima l’espressione del frutto “Noir” che riempie di gusto il palato, mentre l’anima animale del Pinot si fa largo con le unghie, espresse (anche) dal tannino vivo ma ben amalgamato. Un cru ottenuto dal vigneto “Il Bosco”, capace di rende merito al meglio della produzione vitivinicola dell’Oltrepò pavese.

Di Ca’ del Conte (azienda che fa delle lunghe macerazioni un credo, con un media di 90 giorni per le annate precedenti alla 2016) ottimi anche i bianchi. Segnaliamo il Riesling renano con un riuscitissimo tocco di Incrocio Manzoni, ma sopratutto lo Chardonnay 2013 Fenice: strepitoso. E aspettiamo il prossimo anno, quando sarà messa in commercio la prima vendemmia (2017) di Timorasso.

8) Insolente Vini. Lo dicevamo all’inizio: “sostanza” più che “forma” a Sorgentedelvino Live. Ecco una giovane cantina che riesce a coniugare entrambi gli aspetti: la sostanza dei vini di Insolente è pari alla loro forma.

Ovvero all’estetica, accattivante e moderna, delle etichette elaborate da Luca Elettri, pubblicitario prestato all’azienda di cui sono titolari i tre figli Francesca, Andrea e Martina. Il risultato sono 6 vini (3 bianchi, due rossi e uno spumante) elaborati in uno dei Comuni roccaforte del Soave Classico, Monteforte d’Alpone (VR).

Per l’esattezza: Bianco PR1, bianco macerato LE1, frizzante RM1 2016, rosso FC1, rosso jat AE1 e spumante ME1 2016, tutti alla prima vendemmia assoluta (2016). Garganega per i bianchi. Tai Rosso, Cabernet e Merlot per i rossi. Ma tra tutti, oltre al Tai, risulta molto interessante la “bollicina” di Durella, da vigneti vocati a Brenton di Roncà (VR), situati a 400 metri sul livello del mare.

Seicento bottiglie in totale, per uno spumante fresco, croccante. Una di quelle bottiglie che non stancano mai. Una bella espressione di uno strepitoso terroir, che sta conquistando sempre maggiore credibilità. E che ora può contare su un altro interprete. Giovane. Ma soprattutto Insolente.

9) Gewurztraminer 2016, Weingut Lieselehof. Una vecchia conoscenza di vinialsuper, già segnalata tra i migliori assaggi del Merano Wine Festival 2017, per lo strepitoso Piwi Julian 2008 e per il passito Sweet Claire (100% Bronner).

A Sorgentedelvino Live 2018 le strade si incrociano per un altro cavallo di battaglia di Weingut Lieselehof: il Gewurztraminer. Uno di quelli da provare, perché si discostano dalla media. Tipico più in bocca che al naso, dove sembra assumere note che lo avvicinano di molto al Moscato Giallo. La spiccata acidità al palato rende questo vino davvero speciale

10) Tra i migliori vini passiti degustati, due calabresi dominano la scena: il Moscato di Saracena di Cantine Viola, vendemmia 2014, è uno di quei vini che riescono ad andare al di là di un calice assoluto valore. Attorno alla riscoperta del Moscato di Saracena, Luigi Viola e la sua famiglia sono riusciti a creare un mondo.

Una sorta di indotto, costituito dalla recente fondazione di una cinquantina di cantine nella provincia di Cosenza. A raccontarlo è lo stesso Alessandro Viola, col garbo dei grandi uomini di vino.

Ottimo anche il Greco di Bianco passito dell’Azienda agricola Santino Lucà di Bianco (Reggio Calabria). Un passito dalle caratteristiche più classiche rispetto al Mantonico passito proposto in degustazione dalla stessa cantina, a Sorgentedelvino Live 2018.

Chiudiamo con un classico per i lettori di vinialsuper: il vino cotto Stravecchio Marca Occhio di Gallo della Cantina Tiberi David. Un unicum nel suo genere, che ancora attende (a differenza del Moscato di Saracena di Cantine Viola) il riconoscimento di “presidio Slow Food” per la definitiva consacrazione. Un aspetto che vi racconteremo presto, in un servizio ad hoc. Straordinaria l’espressione della vendemmia 2003 in degustazione.

Letteralmente “fuori concorso” il Pigato 2003 in versione “Armagnac” di quel santuario ligure che è Rocche del Gatto. A presentarlo è il guru Fausto De Andreis, che nella sua Albenga (SV) è artefice di vini immortali, a base Pigato e Vermentino.

Fausto ha chiamato questa “bevanda spiritosa” da 33% “Oltre Spigau 03”. Un altro passo avanti verso la battaglia irriverente di un vignaiolo d’altri tempi e senza tempo. Come i suoi vini.

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Vini al supermercato

Provincia di Pavia Igt Croatina Myrtò, Perego & Perego

(4,5 / 5) “Qualità vegetariana”. Il “bollino” presente sulla retro etichetta della Croatina “Myrtò” di Perego & Perego attira l’attenzione di molti.

A noi che di slogan, certificazioni e medaglie interessa ben poco, sorge spontanea una domanda: cosa racconterà il calice di questo vino prodotto in provincia di Pavia?

LA DEGUSTAZIONE
Iniziamo col precisare che la Croatina Myrtò di Perego & Perego ha parecchio in comune col più noto “Bonarda” dell’Oltrepò Pavese, prodotto (appunto) per un minimo dell’85% con uve Croatina. Aspetto e profumi sono quelli attesi. Porpora impenetrabile. Naso di frutta rossa (amarena) e fiori di viola.

Una Croatina, Myrtò di Perego & Perego, che rivela all’olfatto una parte “verde”, vicina alle foglie del geranio. Al palato, un rosso che si scopre leggermente mosso. Un brio subito placato dal tipico tannino ruggente della Croatina. Per il resto, un concerto di frutta rossa abbastanza fine, nel quale si distinguono gli acuti dell’amarena e della mora. La chiusura di bocca tende invece a un piacevole amarognolo.

La Croatina Myrtò di Perego & Perego trova sulla tavola molti alleati. Perfetta a tutto pasto, accompagna bene salumi, affettati e preparazioni di carne non troppo elaborate. Nella speciale scala di valutazione di vinialsuper, sfiora la vetta con un punteggio di 4,5 su 5. Prezzo eccezionale per un vino così “pulito” e capace di non stancare mai.

LA VINIFICAZIONE
Vinificazione molto semplice per ottenere Myrtò. Le uve di Croatina vengono raccolte e pigiate. Il mosto viene quindi messo in botti d’acciaio a temperatura controllata, per un tempo che varia (a seconda dell’annata) dai 7 ai 10 giorni.

In questo periodo vengono eseguiti continui rimontaggi, in modo da tenere sempre bucce (cappello) bagnate e per “caricare” il vino di colore e profumi. Finita questa fase, il mosto viene svinato e le bucce pressate in maniera soffice.

La fermentazione alcolica e malolattica prosegue in botti di acciaio, a temperatura controllata. Una volta terminata si procede al travaso, per separare il vino dalla feccia (residuo di fermentazione). L’affinamento prosegue in acciaio per circa 6-8 mesi, prima di essere pronto per la bottiglia.

“Tengo a precisare che viene aggiunta solforosa durante la vinificazione – commenta Giorgio Perego – ma non lieviti selezionati, né altri tipi di sostanze chimiche. Le chiarifiche vengono fatte solo con bentonite”.

“Per quanto riguarda la dicitura ‘qualità vegetariana’ – aggiunge il titolare della cantina pavese – si tratta di un marchio che certifica il non utilizzo di generi derivati da animali (albumine, caseine o gelatine che generalmente vengono utilizzate per le chiarifiche)”.

“Oltre a questo – continua Giorgio Perego – vengono certificati anche gli imballaggi (colle delle etichette e colle dei tappi, qualora venissero utilizzati gli agglomerati). Siccome pensiamo che il vino nasca ‘vegano’, facciamo il possibile per mantenerlo tale e ci teniamo che il consumatore lo sappia”.

“Per questo motivo – aggiunge il titolare della cantina dell’Oltrepò pavese – abbiamo pensato di appendere al collo della bottiglia e di far stampare sulla retro etichetta un qr code, grazie al quale l’acquirente può trovare tutte le informazioni utili. Siamo arrivati al punto di pubblicare la tracciabilità del prodotto, partendo dalle vigne alla bottiglia finita, in modo che il consumatore abbia un’idea precisa di come venga prodotto il nostro vino.

LA CANTINA
“Tradizione” e “innovazione” sono le parole d’ordine della Perego & Perego. A dirigere la cantina sono i due fratelli Marco e Giorgio Perego, che hanno deciso di rifondare l’azienda agricola del bisnonno Ernesto. Siamo a Rovescala, sulle colline dell’Oltrepo Pavese.

Un territorio tutto da scoprire per gli enoappassionati lombardi e italiani. E anche per la Gdo, raramente impegnata a scovare “chicche” nella nuvola di fumo creata dai grandi gruppi e dagli imbottigliatori. Polvere nella quale si distingue, certamente, questa ottima Croatina.

Trentamila le bottiglie di Myrtò che finiscono sugli scaffali del colosso milanese della grande distribuzione, su una produzione complessiva di 70 mila bottiglie per la la cantina Perego & Perego. Un rapporto, quello con la Gdo, avviato nel 2004.

Prezzo: 3,99 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Terre D’Oltrepò: 12 milioni di euro sotto l’albero di Natale dei soci

BRONI – Dodici milioni di euro distribuiti ai soci negli ultimi due mesi. Quattro scadenze per i prossimi acconti, già fissate da dicembre 2017 all’estate 2018. Buone notizie sotto l’albero di Natale di Terre d’Oltrepò, il colosso che assieme a Cavit Trento sta tentando il rilancio della storica cantina pavese La Versa 1905.

“Pagamenti vitali per il sostentamento delle imprese vitivinicole dell’Oltrepò, specie in un’annata così difficile”, dicono dalle parti di Broni (PV). La prima “rata” alle oltre 700 famiglie di viticoltori è attesa per il 31 dicembre. La seconda il 31 marzo 2018. Per il 31 luglio 2018 la terza, mentre l’ultimo pagamento avverrà “entro 10 giorni dall’approvazione del prossimo Bilancio d’esercizio”.

Per sostenere queste uscite la Cantina ha utilizzato le proprie forze. “Siamo quasi tutti piccoli viticoltori – afferma Andrea Giorgi, presidente di Terre d’Oltrepò – gente che sa bene cosa significhi lavorare in vigneto portando avanti un’azienda. La nostra Cantina rappresenta viticoltori che non possono più sottostare al capriccio o all’interesse dei parassiti che fino ad oggi hanno vissuto sulle loro spalle”.

“Le problematiche di quest’anno – continua Giorgi – hanno messo a dura prova la viticoltura oltrepadana ed è nostro dovere fare tutto il possibile per stare vicino ai produttori, con ogni mezzo. Soprattutto non facendo mancare loro il sostentamento economico”.

Durante l’ultimo Consiglio sono state discusse anche le questioni sollevate in occasione dei quattro incontri del mese di dicembre con i soci delle diverse zone (Pietra de Giorgi, Montù Beccaria, Casteggio, Borgoratto Mormorolo).

“Abbiamo visto una grande partecipazione – sottolinea Marco Forlino, vicepresidente di Terre d’Oltrepò – in alcuni casi, come a Casteggio, addirittura sale gremite. Siamo molto soddisfatti degli esiti di queste prime riunioni. Cominciamo finalmente a vedere nella nostra base quel coinvolgimento che riteniamo assolutamente vitale per la condivisione e la legittimazione dell’intero processo decisionale della cantina”.

“Nei prossimi mesi fisseremo nuovi incontri zonali – continua Forlino – in Comuni diversi. Il nostro intento è sempre stato e rimane quello di creare dei momenti informativi e di confronto periodici con i nostri soci. Momenti fondamentali per dare vigore ad uno spirito di appartenenza che in passato è troppo spesso mancato, in Cantina come nel territorio”.

“Quest’anno abbiamo vissuto momenti difficili – conclude il presidente Giorgi – ma li abbiamo superati con l’appoggio dei soci. E con lo stesso appoggio andremo avanti su ogni nuovo iniziativa, collaborando con chi vorrà unirsi a noi, ignorando il resto”.

Se da un lato Giorgi scansa le polemiche e affonda la lama nelle critiche, dall’altro deve fare i conti con una nuova magagna burocratica.

Tra le cantine coinvolte nella maxi operazione dei Carabinieri dei Reparti Tutela Agroalimentare sul suolo nazionale c’è anche la Cantina sociale di Casteggio, una delle due unità produttive di Terre d’Oltrepò.

Tra i 41.048 ettolitri totali finiti sotto sequestro, oltre 3 mila sono stati “sigillati” dai militari nella cantina pavese, perché privi della regolare documentazione relativa alla provenienza delle uve.

Nessun problema di tipo sanitario per il vino posto sotto sequestro. Piuttosto l’ennesima batosta (questa volta amministrativa) per un Oltrepò pavese del vino che spera nella definitiva consacrazione sul panorama nazionale.

“In merito al sequestro amministrativo delle due cisterne presso la Cantina di Casteggio operato dai Reparti Tutela Agroalimentare – commenta Terre d’Oltrepò – ci preme segnalare che nei giorni successivi al controllo abbiamo fornito entro i termini richiesti tutta la documentazione richiesta. Siamo pertanto in attesa che il vino in questione venga dissequestrato, cosa che presumibilmente avverrà appena dopo le feste”.

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