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degustati da noi vini#02

Buttafuoco dell’Oltrepò pavese Doc Bio 2018 Vigna Pregana, Quaquarini

Buttafuoco dell'Oltrepò pavese Doc Bio 2018 Vigna Pregana, Quaquarini top 100 migliori vini italiani winemag
Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Buttafuoco dell’Oltrepò pavese Doc Bio 2018 Vigna Pregana, Quaquarini (14%).

Fiore: 8.5
Frutto: 8.5
Spezie, erbe: 9
Freschezza: 8.5
Tannino: 7.5
Sapidità: 7.5
Percezione alcolica: 7
Armonia complessiva: 9.5
Facilità di beva: 6.5
A tavola: 9.5
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni

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degustati da noi vini#02

Oltrepò pavese Doc Riesling 2017, Rebollini


Sarebbe bello trovarlo in qualche batteria di Timorasso, per confonderlo (ovviamente alla cieca) in particolar modo con quelli della sottozona della Val Borbera. Fatto sta che l’Oltrepò pavese Doc Riesling 2017 della cantina Rebollini Viticoltori dal 1968 è una vera sorpresa nel panorama oltrepadano dei vini di qualità.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, questo Riesling si presenta di un bellissimo giallo paglierino con riflessi dorati. Un naso immediato quello che lo contraddistingue, complesso e articolato. Si passa dai sentori di ginestra e fiori d’arancio alle note mentolate, quasi talcate. Il tutto su un sottofondo spiccatamente minerale, gessoso.

Non finisce qui. Con qualche giro di giostra nel calice, il nettare guadagna altri sentori. Si vira sulla frutta, tra l’esotico, la pesca e la mela selvatica, tendente al maturo. Ma anche su ben più preziosi e rari risvolti erbacei, di radice di liquirizia e fieno bagnato.

Al palato una perfetta corrispondenza. A convincere è lo straordinario equilibrio tra note fruttate, mineralità e freschezza, che chiude un sorso consistente, gustoso, goloso. Polposo e al contempo verticale. Una interpretazione davvero unica di quel grande vitigno che è il Riesling Renano, in un’areale come l’Oltrepò pavese dove non sempre viene così valorizzato.

Per l’abbinamento con la cucina, il Riesling 2017 di Rebollini offre un ampio parterre di occasioni. Si va dagli antipasti a base di salumi ai primi, come una vellutata di porri o asparagi, passando per piatti più raffinati e ricercati, a base di pesce. Un vino che non disdegna certo, proprio per le sue caratteristiche, anche la carne bianca.

LA VINIFICAZIONE
Il Riesling 2017 di Rebolini è ottenuto da vigneti di proprietà dell’azienda nel Comune di Borgoratto Mormorolo (PV), dove sorge la cantina, esattamente in località Sbercia. Terreni ricchi di calcare, ideali per il Renano. Dopo la raccolta, effettuata a mano in cassetta, il mosto sosta a contatto con le bucce per qualche ora.

Viene poi fatto fermentare a temperatura controllata, molto lentamente, per un periodo compreso tra i 15 e i 20 giorni. L’affinamento avviene in vasche di acciaio sulle fecce nobili. Successivamente viene effettuata una leggera filtrazione. Il nettare viene imbottigliato nel mese di marzo o aprile, in attesa della commercializzazione.

L’azienda Agricola Rebollini può contare su una superficie complessiva di circa 33 ettari, situati nella frazione Mairano del Comune di Casteggio, Calvignano, Borgo Priolo e Borgoratto. La cantina è oggi guidata da Gabriele Rebollini, che ha introdotto negli anni numerosi accorgimenti tecnologici per migliorare il livello qualitativo della produzione.

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Oltrepò Pavese: parola d’ordine “qualità” con la revisione dei disciplinari

BRONI – Abbassamento delle rese, restringimento della zona Igt, vinificazione e imbottigliamento in loco per Sangue di Giuda e Pinot Nero. E parola fine all’era del vino Doc in damigiana. L’Oltrepò pavese guarda così al futuro, riformando i disciplinari.

Mosse storiche, che forse ridaranno slancio a un territorio che merita molto più di quello che è riuscito a raccogliere. Le riforme dei disciplinari sono state presentate giovedì dal Consiglio di amministrazione del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, in occasione dell’assemblea dei soci all’Enoteca Regionale di Broni.

“Ringrazio chi ha lavorato con noi per arrivare a questi risultati – commenta il presidente Michele Rossetti – che sono solo il primo passo. Un passo che però è storico e lascerà il segno soprattutto perché sul territorio, davvero, qualcosa è successo”.

“Questo Consiglio, insieme ai nuovi disciplinari e a una tracciabilità vera per ridare smalto alla Doc – aggiunge Rossetti – lascerà in eredità un nuovo modo di fare Consorzio. E’ un messaggio anche a chi ha scelto di star fuori, di non partecipare e di lasciar fare agli altri”.

Parole scaturite dal confronto positivo tra grandi e piccoli produttori oltrepadani. “Ho visto una Terre d’Oltrepò profondamente cambiata – evidenzia Rossetti – che si è messa in gioco per gli altri. Una Torrevilla disposta a fare sacrifici. Tanti titolari d’imprese di qualità pronti a scommettere sul futuro. Si può ricominciare”.

LE NOVITA’
“Uno spirito collaborativo – precisa Emanele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – che ha portato a migliorare i vecchi disciplinari, abbassare le rese all’insegna della qualità, cancellare tipologie e versioni non identitarie da una Doc fino ad oggi barocca, restringere la zona di produzione Igt eliminando comuni di pianura, limitare in zona la vinificazione e l’imbottigliamento di Sangue di Giuda e Pinot nero”.

Ma non solo. “Le modifiche dicono addio all’era del vino Doc in damigiana – continua Bottiroli – contribuendo a ridare slancio al disciplinare del Casteggio e a ottimizzare tutti gli altri disciplinari di produzione, compreso quello del Bonarda, il vino territoriale più venduto e amato, che sarà solo il lato frizzante o ‘vivace’ dell’Oltrepò Pavese”.

“Ognuno ha fatto uno sforzo – chiosa Bottiroli – in particolare le cantine cooperative Terre d’Oltrepò, socio di maggioranza mai così vicino nella storia al comune sentire territoriale pur a costo di sacrifici, e Torrevilla. Non si sono tirati indietro nemmeno gli altri produttori presenti in assemblea, che hanno capito in che direzione andava una riforma che voleva dare segnali concreti di cambiamento”.

Ai vini Doc sarà inoltre apposto il contrassegno di Stato. La cosiddetta “fascetta”, “utile – sottolinea ancora Bottiroli – a garantirne autenticità e valore, facilitando gli organismi di controllo e dando ai consumatori consapevolezze nuove sul valore aggiunto che i grandi vini meritano”.

IL FUTURO
Il futuro dell’Oltrepò, come di altre Denominazioni, passa tuttavia anche dall’estero. Anche su questo fronte le premesse sembrano buone. “Il nostro Piano per l’internazionalizzazione 2018 – annuncia il direttore Bottiroli – è stato valutato al primo posto in graduatoria regionale davanti, per punteggio, a realtà importanti come Franciacorta e Ca’ del Bosco. Si tratta di un progetto di rete, di cui siamo capofila, mirato in particolare a Stati Uniti, Giappone, Cina e Svizzera”.

Sul fronte fieristico è già iniziato il conto alla rovescia anche in chiave europea: “Ci prepariamo – annuncia Bottiroli – al Prowein di Dusseldorf, la fiera del vino più importante in area Ue riservata agli operatori professionali”.

Occhi puntati anche su Verona: “Ci prepariamo a un Vinitaly 2018 all’insegna di molte novità e di una comunicazione nuova – preannuncia Bottiroli -. Saremo al salone del vino più importante d’Italia con il libro bianco sull’Oltrepò del vino, uno studio dettagliato e scientifico condotto dall’Osservatorio di Wine Marketing che un anno fa abbiamo costituito con l’Università di Pavia”.

Il Consorzio di Tutela presenterà così “uno strumento, frutto di analisi dati, uscite sul campo e interviste, che ci consentirà di progettare con metodo, avendo una rappresentazione plastica del complesso universo della vite e del vino in Oltrepò”. Dalla diagnosi nascerà “una terapia, ovvero una strategia a breve, medio e lungo termine”.

Per Bottiroli, il limite da superare resta sempre lo stesso: quello delle divisioni. “Il Consorzio è la casa di tutti. Solo con l’unione e il superamento delle barricate i risultati saranno tangibili. Auspico che il 2018 sia l’anno della svolta, anche sul tema dell’enoturismo e del marchio Oltrepò Pavese che puntiamo a creare con la Strada del Vino”.

“Voler bene al territorio – conclude Bottiroli – significa remare, insieme, nella stessa direzione, considerare i successi di uno un vantaggio per tutti. Bisogna dare numeri al top di gamma per poterlo promuovere facendolo reperire più facilmente sul mercato ai consumatori in Italia e nel mondo. Sei quel che si trova e quel che si vede di tuo, non quel che dici di te”.

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L’Oltrepò di Quaquarini: Bonarda e Buttafuoco super con l’autoctono dimenticato

Ughetta di Canneto. O “Uvetta di Canneto”. Fondare un’intera produzione vinicola su un un uvaggio autoctono semisconosciuto potrebbe sembrare da folli, al giorno d’oggi. Ma se quel vitigno ha un nome “così”: beh, forse rischia d’esserlo ancor di più. Ciò che è veramente curioso è che succede – e per davvero – in Oltrepò Pavese. Terra di vino che sforna decine di “Bonarde” tutte uguali. Specie se ci si ritrova a pescare sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Tra i primi e i secondi prezzi. Ma all’azienda agricola Quaquarini Francesco, il sillogismo non quaglia. Un utilizzo particolare e attento dell’Ughetta di Canneto costituisce il vero segreto della produzione. Il suo incantevole fil rouge. Già. Ad un’attenta analisi, il blend su cui si fonda il più “banale” dei vini rossi oltrepadani conduce dritto alle punte di qualità espresse dal Buttafuoco. Quello Storico. Un filo spesso, solido. Palpabile. Tanto all’olfatto quanto al palato.

Capace di rendere speciale il vino di tutti i giorni, il Bonarda. E superlativo ciò che, per antonomasia in Oltrepò, deve risultare di per sé eccellente: il Buttafuoco Storico, per l’appunto. Una qualità così – trasversale, netta, oggettiva, lineare – che comincia dal vino “base” per raggiungere il top di gamma, passando peraltro dalle “bollicine”, in Lombardia come in altre regioni d’Italia è difficile da riscontrare in una singola realtà produttiva. Mettici pure che la Quaquarini produce in regime biologico – praticamente da sempre, ma con certificazione ufficiale per la campagna arrivata nel 2003 e per la vinificazione nel 2010 –  e ti sembrerà d’esserti addormentato, sognante, con un calice di vino in mano, lontano da Pavia. Nel bel mezzo di un raro, inatteso trionfo della Coerenza.

Dell’Ughetta di Canneto ha fatto un vanto Lino Maga, il “Signor Barbacarlo”. Ma anche Francesco Quaquarini, oggi giovanotto di 83 anni, ha giocato un ruolo fondamentale nella sua valorizzazione. “Uno dei primi libri che raccontava l’ampelografia del nostro territorio, la ‘Pomona italiana’ del botanico Giorgio Gallesio – spiega Umberto Quaquarini, timoniere e tuttofare dell’azienda giunta con lui alla terza generazione – all’inizio del 700 classificava in Oltrepò Pavese un’uva dalla quale si ricavava un vino, secondo l’autore, ‘tra i più buoni d’Italia’. Quell’uva era l’Uvetta, o Ughetta, o Vespolina. L’Uvetta era coltivata soprattutto a Canneto Pavese, nome preso nel 1886 dal nostro Comune, mutando dall’originario Montù de’ Gabbi. Dopo la fillossera, l’Uvetta è stata sostituita in quasi tutto l’Oltrepò da Croatina e Barbera, più resistenti, più facili da coltivare e più produttive”. Ma non dappertutto.

All’inizio degli anni 90, la svolta. “L’Università di Piacenza ha condotto uno studio sull’Uvetta – continua Quaquarini – ritrovando i primi cloni, quelli originali, nei vigneti di mio padre Francesco e in quelli di Lino Maga. Noi ne abbiamo tuttora diversi ettari. E la usiamo in tutti i nostri vini rossi, per un minimo dell’8%, sino a un massimo del 15”. Forse per quella scarsa vena imprenditoriale che caratterizza il 90 (+5) % dei vignaioli oltrepadani, la cosa non fu mai fatta ‘pesare’ sul piatto della bilancia vitivinicola italiana. Tant’è vero che lo stesso Quaquarini, oggi, vinifica in purezza la preziosissima Ughetta. Ma ne realizza solo poche centinaia di bottiglie, circa 300, che sostanzialmente hanno un ruolo marginale nel ventaglio della proposta commerciale dell’azienda. Un vero peccato. Perché quando assaggi l’Uvetta, o Ughetta, di Quaquarini, ti si apre un mondo.

Capisci davvero perché è speciale la sua Bonarda (sbalorditiva “La Riva di Sas” 2015, new entry “senza solfiti”), scoprendone il segreto intrinseco, nascosto sotto quella spuma corposa che si dissolve nell’aria, liberando profumi intensi di frutti rossi. E sorseggi un vino complesso come il suo Buttafuoco Storico Vigna Pregana (la 2003 è un trionfo tutto giocato sull’equilibrio tra il balsamico e il minerale, sullo sfondo di una frutta rossa ancora succosa e un tannino avvolgente, mentre la 2010 è da bronzo per Decanter 2016) andandone veramente a cogliere l’essenza. Con la semplicità con cui un bambino scarta una caramella. Ecco da dove ‘arrivano’ quei terziari che terziari, almeno per la Bonarda, non possono essere: pepe, cannella, paprika, liquirizia. Magica e tipicizzante Ughetta, insomma. Ma non solo.

Basti pensare che il vino che ha reso grande Quaquarini è il Sangue di Giuda Vigna Acqua calda (i vigneti sono situati sopra l’antico sito delle terme di Recoaro), risultato il vino più bevuto all’Expo 2015 di Milano. Ma c’è un altro prodotto che vale la pena di conoscere. E’ il Metodo Classico Brut Docg Classese, attualmente in commercio con la vendemmia 2009. La bollicina top di casa Quaquarini. Settanta mesi sui lieviti, sboccatura tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Ottenuto al 100% da uve Pinot nero. I sentori di lievito non sono invasivi, anzi. Una vena floreale domina naso e palato, assieme al miele d’acacia. Il sorso invoglia il successivo, non tanto per la freschezza conferita dall’acidità, quando per un’inattesa sapidità che ben si bilancia, specie in chiusura, con le note fruttate giovani. Il perlage è delicato, avvolgente, non aggressivo.

QUAQUARINI, LA GDO E LA BONARDA
Alti standard, dunque, che si ritrovano anche nei prodotti destinati alla grande distribuzione organizzata. Carrefour, Coop, Bennet, Pam, Alfi Gulliver e Basko le catene in cui sono presenti le etichette Quaquarini, ormai da 25 anni. Sono 250 mila le bottiglie che finiscono sugli scaffali dei supermercati, su un totale complessivo di 700 mila. “Fu una scelta rischiosa e allo stesso tempo coraggiosa – spiega Umberto Quaquarini – in quanto all’epoca il supermercato era vissuto come il nemico dei vignaioli. Iniziammo quest’avventura con il terrore addosso, dal punto di vista commerciale. Ma oggi non possiamo che essere fieri dei risultati conseguiti. E devo ammettere che l’azienda è cresciuta anche grazie alla Gdo”.

Un canale nel quale la realtà di via Casa Zambianchi 26 opera con coscienza e cognizione di causa. “La nostra Bonarda – sottolinea Quaquarini – è in vendita a un prezzo che supera abbondantemente i 5 euro, a dispetto di un prezzo medio di 2,60 euro. Purtroppo le prime dieci realtà della Bonarda in Oltrepò, dal punto di vista numerico, sono imbottigliatori e non produttori che possono permettersi prezzi del genere, o anche inferiori. Basti pensare che il 75% del Bonarda viene imbottigliato fuori dall’Oltrepò Pavese. Una follia pura, che costringe i produttori a guardarsi dall’estinzione. Il resto lo hanno fatto gli scandali, che hanno fatto diventare la nostra area vitivinicola la più controllata d’Italia”.

QUEI CONTROLLI IN VENDEMMIA
Umberto Quaquarini si riferisce ai “controlli a tappeto” effettuati dalle forze dell’ordine a carico della sua azienda, in occasione dell’ultima vendemmia. “Siamo stati ‘visitati’ due volte nel giro di 10 giorni, nel mese di settembre. Le verifiche hanno interessato l’attività di campagna, con i militari impegnati per ore a verificare la regolarità dei contratti di lavoro del personale assunto ad hoc. Controlli durante i quali le operazioni di vendemmia sono state ovviamente interrotte, con conseguenti costi ricaduti sui sottoscritti. Per sentirci dire, alla fine, che era tutto a posto”. Che sia arrivata qualche “falsa soffiata” da qualche concorrente? “Non lo so – replica il produttore – quel che è certo è che la cosa ci è suonata alquanto strana. E se la sommiamo a tutta la burocrazia legata alla certificazione biologica, rischiamo di finire per sentirci sempre più schiacciati dalla carta, in questo Paese”.

Un problema che, in estate, Umberto Ququarini ha affrontato direttamente con l’ormai ex ministro Maurizio Martina, che ha visitato l’azienda non in veste istituzionale, bensì da privato cittadino (ovviamente con Digos and company al seguito). “E’ stata una piacevole sorpresa – ammette il viticoltore pavese – perché da pochi mesi avevamo ricevuto un certificato di qualità da parte dello stesso Ministero per la nostra attenzione all’ambiente, tanto in campagna quanto in cantina. Ci fu pure modo di sorridere, con mio padre che tentava di offrire delle fette del nostro salame al ministro. Fino a scoprire, grazie all’intervento del suo portavoce, che è vegano!”.

QUAQUARINI E IL CONSORZIO
Eppure, come peraltro molte realtà di lustro dell’Oltrepò, la Quaquarini non aderisce al Consorzio di Tutela Vini locale. “Mio padre fu tra i soci fondatori – evidenzia Umberto – ma abbiamo preferito uscirne, per una visione completamente distante dalle posizioni dell’ente”. Oggi, l’azienda aderisce al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese. “Spiace combattere da fuori il Consorzio una battaglia che dovrebbe essere comune a tutti i produttori della zona – chiosa Quaquarini – ovvero quella per la qualità. Al di là degli annunci sulla stampa, ritengo che dovremmo parlarci davvero, tra di noi. Sederci allo stesso tavolo e prendere delle decisioni comuni, per l’interesse di tutti”.

“La mia ricetta? All’Oltrepò del vino – risponde Umberto Quaquarini – servirebbe un manager vero, credibile. Una figura di reale spessore, che col suo carisma sia in grado di mettere d’accordo tutti, promuovendo il territorio come merita. Il Distretto del Vino fa benissimo il suo lavoro, ma sarebbe ora che non esistesse più: perché il Consorzio di Tutela è anche il mio. O almeno vorrei che così fosse”. La sintesi perfetta di un territorio che, invece, pare sempre più diviso. E in bilico. Tra gli interessi dei grandi gruppi. E l’amore di chi vive da generazioni del frutto di questo territorio.

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Lino Maga, alias Barbacarlo: dal vino al mito, in 79 vendemmie

Sul tavolo della sala di degustazione ci sono due piccoli calici. Mezzo dito di vino sul fondo, colora tutto il vetro d’un rosso acceso. La luce soffusa punta dritta negli occhi. Un omino piccolo si avvicina alla porta. Due giri di serratura. Mano tesa. “Buonasera, si accomodi pure. Arrivo”. Nello stanzino attiguo, qualcuno prova a far cambiare idea a Lino Maga. “Lino, no, non la voglio, ti ringrazio. Lino, davvero. Vado. Ciao Lino, ci vediamo”. “Aspetta”, risponde lui con dolcezza perentoria. Quella bottiglia di Barbacarlo, già incartata, rimarrà nella sala di degustazione. “La regalerò a qualcun altro”. Il sorriso di Lino Maga è quello di un condottiero stanco, ma ancora determinato a combattere. Stretto in una sciarpa blu, si siede al tavolo offrendo un tarallo dolce. Si abbina bene con le note fruttate, genuine, del Barbacarlo 2015. “La 2016 promette ancora meglio”, commenta subito, fiero. Incontriamo Lino Maga nella sua Broni, nella sala-bottega di via Mazzini 50.

Il conto alla rovescia per il Mercato dei Vini Fivi di sabato 26 e domenica 27 novembre è già iniziato. Nonostante qualche acciacco, il vignaiolo che ha contribuito a far conoscere al mondo intero l’Oltrepò pavese, presenterà in prima persona una verticale del vino-mito Barbacarlo. Cinque annate (2010, 2009, 2007, 2004, 2000), che saranno commentate da Walter Massa (altro vignaiolo simbolo di un territorio intero, col suo Timorasso che ha conquistato il pianeta) e il collega oltrepadano di Maga, Andrea Picchioni, che il “signor Barbacarlo” identifica come erede in Oltrepò, “dopo mio figlio”.

Ma non si aspettino scintille. Lino Maga, 80 anni suonati, è un personaggio schivo, riservato. Uno che non fa certo il paio con Massa, al contrario della sua “badante” Picci. Un agricoltore che ama la sua terra come si ama una sposa. Oggi, come quando aveva 6 anni. “A quell’età – ricorda Maga fissando il vuoto – aiutavo per la prima volta mio padre in vigna. Tiravo via le foglie dalle ceste di uva. Non mi ha insegnato niente nessuno. Semplicemente, se non facevo quello che diceva mio padre, erano legnate. E quando invece le prendevo da mia madre, sapevo che poi papà mi avrebbe dato il resto. Ho avuto una vita difficile, eppure riuscivamo sempre a sbarcare il lunario. I tempi difficili della guerra. Avevamo tutti i rifugi in vigna, per ripararci dalle mitragliate. La mamma faceva il pane in casa, il pollaio c’era, il maiale si ammazzava… Era dura, ma bella. Mi abbronzavo, in vendemmia”. Quest’anno, il figlio Giuseppe, ha provato a dare un freno all’intraprendenza del padre. “Mi ha tolto le chiavi del trattore. E allora io sono salito fin sulle vigne più alte a piedi”. Già, le vigne alte. Quelle più amate da Lino Maga. “Le più difficili da lavorare – ammette – ma allo stesso tempo le migliori. Quelle che regalano l’uva più bella. Quelle dove non arrivi con le macchine. L’agricoltore è un uomo libero che fa piccoli numeri. E nei piccoli numeri sta la qualità”.

Un dogma che, da oltre mezzo secolo, si traduce in una produzione che non supera le 10 mila bottiglie. “Eppure – evidenzia Lino Maga – c’è chi, ancora oggi, mi chiede di fare squadra con chi ne produce 200 milla, a dire poco. Ma come potrei? Il vino è una cosa seria. Il vino è un credo”. “Il problema – continua il viticoltore, tra un tiro stanco e l’altro alla sigaretta – è che l’industria ha superato l’agricoltura, anche nei termini. Si parla di vino biologico, ma mai di vino genuino. Non basterebbe dire che un vino è genuino per essere automaticamente biologico? E i sommelier? Sentiamo mai dire a un sommelier che quel vino sa…di uva? No, mai. Eppure questa sarebbe la cosa più naturale del mondo, per il vino”.

“Hanno complicato tutto – continua Lino Maga -. Mi hanno fatto la guerra sin dal 1979, quando ho fondato l’Associazione dei vignaioli dell’Oltrepò. Non ci riconoscevano, dicendo che avevamo un regolamento troppo rigido. Ci fecero decadere. Eppure è a noi che si deve la nascita dell’Oltrepò pavese come denominazione di origine controllata. Ho dato la vita per l’Oltrepò e ai contadini la possibilità di usare il nome della loro terra sulle etichette dei loro vini. Allora aveva un significato. Ma oggi? Lascio un punto interrogativo. Ultimamente vengo trattato con riconoscenza, ma non è stato sempre così. Anzi”.

Al figlio Giuseppe, l’eredità pesante di Lino Maga. “Mio figlio ha questo peso sulle spalle e lo stanno bombardando. Ma davanti a lui ci sono io. Come esempio. Faccio coraggio a lui e a tutti i giovani, di crederci. Perché la terra ti toglie, ma poi ti dà. La burocrazia ha tolto il sorriso agli agricoltori. Ma sono sicuro che se l’agricoltura saprà riprendersi i suoi valori, sarà anche in grado di dominare l’industria”. Agli oltrepò-steri l’ardua sentenza.

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Vini al supermercato

Pinot Nero Oltrepò Pavese Doc, Tenute Achilli

(3 / 5) Perché i vini dell’Oltrepò Pavese non compaiono mai sulle carte dei vini dei ristoranti stellati? Pagano forse lo scotto di una brutta nomea? Cerchiamo di capirci di più. Ci riproviamo con l’ennesima recensione di un vino proveniente dalla Doc in questione. In particolare con il Pinot Nero Doc frizzante vinificato in bianco dalle Tenute Achilli Società Agricola di Santa Maria della Versa, in provincia di Pavia. Acquistato, per la verità, a un prezzo “stracciato”. Diciamocelo tra i denti: quando si apre una bottiglia il cui prezzo è al di sotto dei tre euro non si possono avere grandi aspettative. Ma siamo qui anche per sfatare ogni tabù, nella speranza di scovare prodotti interessanti a buon prezzo. E il Pinot Nero Doc frizzante vinificato in bianco delle Tenute Achilli ci è riuscito. Vediamo perché. Lo versiamo nel calice e il colore scatena discussioni. Il Pinot nero vinificato in bianco generalmente ha un colore giallo paglierino scarico con riflessi verdolini. Quello delle Tenute Achilli ha una vena tendente al rosa tenue. Forse un prolungato contatto del mosto con le bucce? L’azienda, peraltro, produce anche un Pinot Nero Doc vinificato in rosa. Il perlage però ci convince: mediamente fine e molto persistente. All’olfatto si presenta con note fruttate di mela e pera, ma anche delicatamente floreale. Vino secco, sapido e fresco, assolutamente equilibrato. Il finale è lungo e invitante. Insomma, colore a parte (elemento che molti consumatori ordinari non avrebbero considerato) questo Pinot nero vinificato in bianco si dimostra vino abbinabile a tutto pasto, ma in particolare consigliato con risotti, carni bianche e pesce. Le Tenute Achilli di Santa Maria della Versa nascono addirittura prima dell’unità d’Italia, nel lontano 1847. Producono una vasta gamma di vini e distillati da vigneti che, in questa fetta di provincia di Pavia, godono di un’ottima esposizione solare, atta alle produzioni del vasto disciplinare dell’Oltrepò. Onestamente, chiarirsi le idee sui vini dell’Oltrepò è operazione complessa. Resta aperta, in questo caso, la domanda sul colore. Ed è difficile constatare l’effettivo valore di un prodotto come il Pinot Nero pavese in vendita al supermercato, dal momento che bottiglie più costose e già recensite non offrono poi così tante emozioni in più rispetto a questa, che rasenta il primo prezzo. Per il Pinot Nero vinificato in bianco delle Tenute Achilli, basta pensare al prezzo risicato – 2,79 euro – per buttarne giù un altro sorso senza pretendere orgasmi enologici. La stessa “modalità”, insomma, con la quale abbiamo degustato (e giudicato) altri vini in vendita al supermercato. Del resto, non serve molto più di un semplice “pinottino” per brindare al bar con gli amici. Cin cin.

Prezzo pieno: 2,79 euro
Acquistato presso: Supermercati SuperDì

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