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Champagne? No, English sparkling “alla cieca”. Il test di un ristorante stellato

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Immaginate di sedevi a pranzo in un ristorante stellato di cucina francese, che in carta ha solo vini francesi e italiani. Nel calice, spumeggiante, vi aspettate Bollinger o Taittinger. Oppure Moët & Chandon. Piatti e spumante, insieme, funzionano divinamente. L’abbinamento è da favola. Tutti i commensali concordano. Ma dopo il dolce, lo chef svela che non avete bevuto Champagne. Bensì English Sparkling. Ovvero il metodo classico inglese. La trovata è della cantina Chapel Down, che ha sede nel Kent. Una delle più importanti aziende produttrici di bollicine inglesi ha voluto così sfidare lo Champagne, per dimostrare la qualità dei suoi prodotti. Ben lieti di prestarsi al test Emily e Michel Roux, rinomati chef del ristorante di cucina francese Caractère, al 209 di Westbourne Park Road, nel noto quartiere Notting Hill di Londra. https://chapeldown.com/blogs/news/what-a-roux.

«Abbiamo invitato alcuni amanti della cucina francese a pranzo – spiegano padre e figlia – e abbiamo detto loro che si trattava del lancio di cuvée speciali di spumante. Da Caractère, la carta dei vini include solo etichette francesi ed italiane. La sfida era chiara: gli ospiti si renderanno conto che stanno bevendo spumante inglese? Abbiamo servito tre dei migliori metodo classico dell’Inghilterra, in gran segreto, “alla cieca”, ovvero coprendo le bottiglie. Dopo aver raccolto i pareri dei clienti, tutti entusiasti dei vini proposti, abbiamo chiesto di indovinare il brand. Qualcuno ha detto Bollinger. Altri Taittinger. Altri ancora Moët & Chandon. Immaginate la loro faccia quando abbiamo svelato che si trattava degli English Sparkling di Chapel Down!».

CHAPEL DOWN, GLI ENGLISH SPARKLING SFIDANO LO CHAMPAGNE

L’evento si è tenuto in occasione dello Champagne Day del 25 ottobre scorso. «Abbiamo collaborato con il rinomato duo di chef Michel ed Emily Roux – svela oggi la cantina inglese – per valorizzare la loro tradizione francese e sfidare in modo giocoso la percezione dello Champagne, rispetto al vino spumante inglese. Durante l’evento, i partecipanti hanno espresso il loro amore per la cucina francese e per lo Champagne. Senza rendersi conto che i vini spumanti serviti non erano francesi, bensì prodotti da Chapel Down! La selezione includeva Chapel Down Brut, Chapel Down Rosé e Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs 2019». Spumanti che, anche nel prezzo, in Inghilterra, sfidano lo Champagne. Assestandosi fra i 40 e i 70 pound.

«La reazione dei partecipanti al test – commenta ancora Chapel Down – è stata straordinariamente positiva. Il 100% degli ospiti ha elogiato la qualità dei vini. Un sondaggio post-evento ha evidenziato che il 58% degli intervistati preferisce Chapel Down rispetto allo Champagne, mentre il 42% lo ha valutato alla pari del proprio Champagne preferito. I vini sono stati descritti come “freschi” e “briosi”, ricevendo ampi consensi per la loro eccellente lavorazione». Ma c’è di più. Grazie al successo dell’evento, il Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs ha ottenuto un posto nella prestigiosa carta vini del Caractère. Il ristorante, fresco della prima stella Michelin, parla un po’ anche italiano, dal momento che il marito di Emily Roux è il milanese Diego Ferrari, allievo di Alain Ducasse a Parigi.

L’ASCESA DELL’ENGLISH SPARKLING SULLO CHAMPAGNE NEL REGNO UNITO

«Volevamo sfidare le percezioni – spiega Emily Roux – e mettere in evidenza la straordinaria qualità dei vini spumanti inglesi. La reazione dei nostri ospiti è stata semplicemente incredibile. Vedere la loro sorpresa e il loro entusiasmo per i vini di Chapel Down ha confermato la nostra fiducia nell’eccellenza del vino inglese. È stata un’esperienza davvero memorabile e siamo entusiasti di poter offrire il Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs nel nostro menù».

«Chi – si chiede Liam Newton, responsabile Marketing di Chapel Down – è meglio della rinomata famiglia Roux per celebrare la qualità degli English sparkling Chapel Down? Il fatto che tutti gli ospiti abbiano considerato i nostri vini alla pari o superiori rispetto allo Champagne ci riempie di orgoglio. E dimostra quanto il settore dei vini spumanti inglesi sia cresciuto, in un arco di tempo relativamente breve. Con una qualità destinata a migliorare ulteriormente, man mano che la nostra regione vinicola continua a svilupparsi, alziamo un calice per celebrare il futuro del vino spumante inglese!».

Del resto, il successo della campagna “The Roux” di Chapel Down si inserisce in un contesto di forte crescita del mercato del vino spumante inglese. Secondo i più recenti dati di mercato in possesso della cantina del Kent, «il vino spumante inglese è il metodo classico più frequentemente consumato nel Regno Unito». Un report di IWSR ha inoltre identificato il vino spumante inglese come «una delle categorie a maggiore crescita e con maggiori opportunità future». Parlano chiaro i numeri, che vedono un incremento dell’English Sparkling del 12,2% in volume, tra il 2018 e il 2023, a fronte di un calo dell’1,4% dello Champagne nel mercato britannico.

English Sparkling, il viaggio: così gli spumanti inglesi sfidano lo Champagne

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Prosecco Doc Rosé, nuovo no dei vignaioli trevigiani: “Non fa parte della nostra storia”

“In amore e in guerra tutto è lecito, anche nel business evidentemente, ma la nostra è un’anima contadina forse eccessivamente conservatrice e poco avvezza ai cambiamenti repentini. Sta di fatto che pensare ad un Prosecco Rosè proprio non ce la facciamo”. I vignaioli indipendenti trevigiani ribadiscono così la propria contrarietà al matrimonio tra Glera e Pinot Nero, che darà presto vita ai primi 20 milioni di bottiglie di Prosecco Doc Rosé.

La nuova tipologia, dopo il via libera del Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali alla modifica del disciplinare della Doc Prosecco, andrà a rimpinguare i 460 milioni di bottiglie già raggiunti dalla Denominazione.

Noi vignaioli avevamo già preso le distanze da questa proposta – commentano i Fivi di Treviso – manifestando il nostro dissenso. La scelta, di natura strategica commerciale, si basa su leve comunicative come ‘Prosecco’ e ‘Rosé’, che unite rappresentano il nuovo prodotto pronto a colmare il vuoto commerciale soprattutto nei mercati internazionali, nel mercato delle richiestissime bollicine venete”.

“Il Prosecco – continuano i vignaioli trevigiani – ha una sua natura e una sua storia, è un vino ottenuto da un’uva che fino a qualche anno fa si chiamava uva Prosecco e che poi la normativa ha cambiato in Glera ma poco importa, quella è l’uva e gli aromi e la struttura che si genera e quella con l’unica variabile conferita dal suolo“.

Ai Fivi di Treviso “poco importa se esista in qualche impolverato librone il fatto che tra queste terre qualcuno avesse piantato qualche filare di Pinot Nero, non saranno certo quelle due righe a creare la storicità. C’è bisogno di un appiglio storico? Bene ma non è la nostra di storia. Rimaniamo nel nostro no”.

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Distillare il vino? È come bruciare la Dieta mediterranea, patrimonio dell’Umanità

No alla distillazione per ragioni culturali, finanziarie e di equità economica“. La Rete dei vignaioli italiani, che raggruppa ormai quasi 500 produttori artigianali attorno all’hashtag #ilvinononsiferma, indica le ragioni per cui la distillazione non risolleverebbe il mercato del vino italiano a fronte dell’emergenza Covid-19. Per la Rete sarebbe come bruciare parte della Dieta mediterranea, in cui rientra appunto il consumo moderato di vino, durante i pasti.

L’avallo alla distillazione d’emergenza, tuttora allo studio dell’Ue, è arrivato non a caso dal sistema cooperativistico, con la mano alzata verso Bruxelles di Italia, Francia e Spagna. Risale al 23 aprile scorso la lettera congiunta delle associazioni di rappresentanza delle coop dei tre Paesi, che indicano in 10 milioni di ettolitri complessivi la quantità da destinare alla distillazione. Con un budget europeo specifico di 350 milioni di euro.

Francia, Italia e Spagna: le cooperative del vino chiedono la distillazione di crisi

Un tema, quello della distillazione, che divide anche le stesse cooperative del vino italiano. Segno del mercato che cambia – spesso nella direzione della qualità – e di management in continuo aggiornamento, anche nelle cantine che sono in grado di produrre svariati milioni di bottiglie.

Emblematico il caso della Viticoltori associati Torrevilla, importante cooperativa dell’Oltrepò pavese che ha annunciato in settimana l’acquisizione della Cantina Storica Il Montù, ampliando il parco vigneti e dunque la capacità produttiva.

“Ad oggi – spiega il presidente di Torrevilla, Massimo Barbieri – non abbiamo quantitativi di giacenza preoccupanti, anche a fronte dell’acquisto del ramo d’azienda del Montù. Credo che vendemmia verde e distillazione conducano a una remunerazione talmente bassa da non risultare conveniente per le aziende che producono uva. Bisogna infatti ricordare che i costi di produzione rimangono gli stessi”.

L’argomento distillazione avvicina così le grandi cantine ai vignaioli. “Il vino – sottolinea la Rete dei vignaioli – è parte della cultura italiana e punta di diamante del Made in Italy, rappresenta l’Italian Lifestyle ed è componente fondamentale della Dieta Mediterranea, tutelata come patrimonio mondiale dell’umanità. Il vino è un valore che va preservato e promosso, non distrutto”.

Lo Stato non può orientarsi all’adozione di provvedimenti in cui consegua la mortificazione di un settore produttivo di eccellenza, punto di riferimento per valore e qualità. La distillazione riduce il valore percepito del vino italiano e danneggia la sua reputazione nel mondo”.

I problemi sarebbero anche di natura finanziaria: “Il prezzo di compensazione, che si aggira intorno ai 30 centesimi al litro, non copre i costi di produzione del vino di qualità – attacca la Rete dei vignaioli – e impoverisce la struttura finanziaria delle aziende che fanno qualità. Accettare un prezzo così basso creerebbe enormi shock finanziari per le aziende che si ritroveranno a dover distruggere, in perdita, il valore da esse prodotto”.

La terza ragione per non accettare la distillazione è riferita a quella che la Rete definisce “equità economica“: “La scarsità degli aiuti finanziari destinati al comparto vitivinicolo impone che venga fatta una equa valutazione delle misure disponibili ed una leale suddivisione delle risorse finanziarie fra tutte le misure autorizzate dall’Unione Europea, senza discriminare in maniera pregiudizievole i produttori di vino di qualità”.

LO STOCCAGGIO AL POSTO DELLA DISTILLAZIONE

La proposta dei vignaioli è dunque quella di “affiancare alle risorse destinate alla distillazione un’analoga dotazione finanziaria per la misura dello stoccaggio“. “Tale possibilità – ricordano – è prevista nel Regolamento 2020/592 della Commissione Europea, pubblicato il 4/5/2020”.

“Lo stoccaggio, nel quadro del citato Regolamento, costituisce misura alternativa alla distillazione per le aziende che non intendessero ricorrere alla distillazione stessa – spiegano i vignaioli – e permetterebbe di destinare all’affinamento il vino al momento detenuto nelle cantine, anziché distruggerlo”.

In questo modo, il valore della produzione verrebbe preservato, anzi incrementato con l’affinamento, in attesa che si concretizzi una situazione economica generale che possa garantire la vendita degli stock a prezzi più prossimi ai valori di mercato”.

La Rete dei vignaioli chiede infine “che vengano immediatamente e senza indugi emanati i provvedimenti attuativi del citato Regolamento 2020/592 per quanto concerne sia lo stoccaggio, sia le altre misure in discussione, ed in particolare la ristrutturazione e la riconversione dei vigneti, le assicurazione del raccolto e gli Ocm investimenti”.

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Puglia, no a Vinitaly 2020 da cinque Consorzi del vino

Cinque consorzi del vino della Puglia dicono no a Vinitaly 2020. Dopo i rumors dal Consorzio Vini Alto Adige, arriva dal Sud della penisola la proposta di rimandare al 2021 la più importante fiera del vino italiano, in programma a Verona dal 14 al 17 giugno. Una richiesta dettata dall’emergenza Coronavirus (Covid-19). In particolare, il no a Vinitaly 2020 arriva dal Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria Doc e Docg, dal Consorzio di Tutela Vini Dop Salice Salentino, dal Consorzio dei Vini Doc Gioia del Colle, dal Consorzio per la Tutela dei vini Doc Brindisi e Squinzano e dal Consorzio di Tutela Vini Castel del Monte Doc e Docg.

“Abbiamo consultato in via informale i principali buyer internazionali – scrivono i cinque enti, in una nota congiunta – che ci hanno espresso disinteresse per un’edizione estiva di Vinitaly. D’altronde, l’anno commerciale è già in corso, le nuove annate vengono presentate in questi giorni, con invio di campioni e listini”.

Non appena l’emergenza sarà finita, sarà molto difficile pensare che gli operatori del settore ho.re.ca. italiano possano, dopo mesi di difficoltà legate alla presente emergenza, abbandonare il proprio esercizio ai propri dipendenti per presenziare alla fiera”.

Altra perplessità espressa dai cinque consorzi del vino della Puglia è che si possa verificare “una partecipazione irrilevante da parte degli eno-appassionati in generale”. “Sarebbe utile seguire l’esempio di Düsseldorf Messe con Prowein e riportare l’evento direttamente all’edizione 2021”, sostiene il fronte del no a Vinitaly 2020.

Proprio per questi motivi auspichiamo che le Istituzioni preposte alla promozione del vino italiano e l’organizzazione di Veronafiere decidano di rilanciare con una strategia chiara l’immagine del nostro amato prodotto, senza disperdere risorse essenziali in iniziative che presentano i suddetti limiti”.

Considerazioni che arrivano a fronte dell’analisi della situazione del settore, in Italia. “In questo periodo di evoluzione dello stato di emergenza – sottolineano i Consorzi pugliesi – ci rendiamo conto di quanto sia necessario presentare un settore unito con degli obiettivi condivisi”.

“Tra di essi la tutela e il rilancio del Made in Italy in generale, e dell’agroalimentare italiano in particolare, rivestono una posizione di primaria importanza. Questi obiettivi vanno perseguiti con azioni ed eventi che abbiano una precisa strategia“, aggiungono i cinque Consorzi.

“La manifestazione fieristica di Vinitaly è sicuramente un evento identitario per il vino italiano e ci pare purtroppo che non ci siano le condizioni necessarie per garantire un evento di livello e qualità e risonanza internazionali, come gli standard di Vinitaly stesso ci hanno abituati. La partecipazione all’evento veronese da parte dei nostri produttori rappresenta una decisione d’investimento impegnativa per il budget annuale e non catalizza la necessaria attenzione”.

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“No a Vinitaly 2020” anche dal Consorzio Tutela Vini Alto Adige

Il Consorzio Vini Alto Adige ha chiesto il rinvio di Vinitaly 2020 al 2021. Lo rende noto la produttrice altoatesina Ines Giovanett, in mancanza di una nota ufficiale dell’ente che sarà presumibilmente diffusa domani.

“Siamo tutti d’accordo che la fiera non avrebbe senso da un punto di vista santirio – commenta – per non parlare dei visitatori mancanti. Mi dispiace per le perdite che avrà la città di Verona e Veronafiere ma bisogna prendere come esempio il ProWein e spostare la fiera al 2021″.

Con i collegamenti internazionali inibiti, anche per Piero Mastroberardino, presidente del gruppo Vini di Federvini e dell’Istituto del Vino Italiano di Qualità, “non ci sono le condizioni per assicurare agli espositori e ai partecipanti un evento di livello internazionale nel solco della storia di Vinitaly”.

“La professionalità e l’autorevolezza di Veronafiere – aggiunge l’esponente Federvini al termine di un’ampia consultazione – vanno convogliate verso iniziative di rilancio del settore”. Superato l’isolamento legato al contagio, sarà necessario ripartire con eventi di tipo istituzionale con gli attori del comparto uniti per essere pronti a ripartire”.

“Potremo raccogliere, con Veronafiere, gli sforzi che il Governo e il Parlamento stanno compiendo per il sostegno alle filiere del Made in Italy”. Una strategia che coinvolga le istituzioni e poi le imprese, una volta ristabilite condizioni commerciali sostenibili”, conclude l’imprenditore campano.

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Vinitaly 2020, il fronte del no è vasto (e agguerrito): “Pronto un gruppo Facebook”

“Uno schiaffo morale a tutto il comparto vinicolo italiano”. Il fronte del no a Vinitaly 2020 commenta così la lettera inviata l’11 marzo dal direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, nella quale si fissa ai primi giorni di aprile la deadline utile all’effettiva conferma delle nuove date (14-17 giugno 2020).

Tra i promotori del fronte del no a Vinitaly 2020 c’è il produttore piemontese Luca Ferraris, che annuncia la creazione di un gruppo Facebook ad hoc, utile a far pressione sugli organizzatori. “Penso obiettivamente che questo sia anche il pensiero di molti colleghi”, si legge ancora nella mail di risposta alla missiva di Mantovani.

La mia figura di imprenditore, in questo periodo, mi porta a valutare tutte le misure di risparmio per poter mantenere in piedi la struttura, ed insieme ad essa, tutte le famiglie che ne dipendono”.

“In tutta onestà – aggiunge Luca Ferraris – mi auguro che valutiate al più presto lo spostamento di Vinitaly al 2021, anche e soprattutto in segno di rispetto a tutti quegli uomini che da 54 anni vi sostengono sempre. Certo di una sua riflessione in merito, le porgo i miei più distinti saluti”.

Dal Veneto la risposta a Veronafiere di un altro produttore, Umberto Cosmo Casagrande, espositore a Vinitaly dal 1988. “Gentilissimo Dott. Danese, gent.mo Dott. Mantovani, vi scriviamo per manifestarvi la nostra preoccupazione riguardo un possibile insuccesso di pubblico professionale per il prossimo Vinitaly, nel momento in cui la manifestazione si realizzasse davvero durante il prossimo mese di giugno”.

In questi ultimi due mesi abbiamo avuto molte e crescenti indicazioni da parte dei nostri maggiori distributori, abituali frequentatori di Vinitaly, riguardo alla loro intenzione di partecipare alla manifestazione: nessuno, a parte un piccolo importatore russo, ci ha manifestato intenzione di venire a Verona a giugno”.

“Oltretutto, vorremmo anche farvi presente che le decisioni in merito al mercato 2020 sono già state prese dai nostri importatori – continua l’imprenditore veneto – e la fiera in giugno sarebbe quindi inutile per molti di loro. Vogliamo forse una fiera frequentata da ‘appassionati’?”.

Per quanto ci faccia piacere dialogare con chiunque e avere feedback sui nostri prodotti anche da persone non direttamente coinvolte nel circuito commerciale o da semplici consumatori, vi facciamo notare che l’investimento importante che facciamo in quella che forse è la maggiore tra le fiere del vino al mondo non sarebbe assolutamente giustificabile”.

“Neppure, crediamo, lo sarebbe per Veronafiere – continua Casagranda – i cui sforzi per rendere Vinitaly una vera fiera professionale ci sono ben noti e abbiamo apprezzato sempre di più negli anni: si rischierebbe di tornare indietro, ai tempi in cui molti la consideravano una sorta di Festa del Vino, piena dei noti problemi che fortunatamente ci siamo lasciati alle spalle”.

“Siamo certi che vorrete invitarci a ‘scommettere’ su un risultato positivo, ma ci preme sottolineare che le ‘scommesse’ non sono parte del Dna di un imprenditore. Un’impresa investe, a volte rischia a ragion veduta, ma non scommette mai”, conclude Casagrande.

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Tutti i “no” di gusto all’etichetta a semaforo

L’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, CHIC, Euro-Toques Italia, la Federazione Italiana Cuochi (FIC), Jeunes Restaurateurs Italia (JRE) e Le Soste si schierano a favore e a supporto dell’azione del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina che ha espresso un “no” convinto al Commissario Europeo per la Salute e la sicurezza alimentare e al Commissario Europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale sullo schema di etichettatura nutrizionale basato sul “codice colore” già adottato nel Regno Unito. Una posizione già espressa nelle scorse settimane da Coldiretti.

Nel giugno 2013 il Regno Unito ha introdotto un sistema a bollini colorati in etichetta, la cosiddetta “etichettatura a semaforo”, bollini e colori che vengono assegnati in base alle calorie, ai grassi, agli zuccheri e al sale presenti in 100 grammi di prodotto. Quindi, quando in un alimento uno di tali aspetti è presente oltre determinante percentuali di concentrazioni, sulla confezione viene apposto un bollino rosso. Altrimenti il verde o il giallo.

“Riteniamo si tratti di un sistema intuitivo ma altrettanto semplicistico nella classificazione nutrizionale – evidenzia il ‘club’ degli Ambasciatori del gusto – che penalizza molte eccellenze italiane, nonostante non siano affatto pregiudizievoli per la salute dei consumatori”.

“Con questo meccanismo – continuano le sigle del gusto Made in Italy – c’è il serio pericolo di ritrovarsi davanti al paradosso di un bollino verde assegnato a una bibita gassata con dolcificante e di un bollino rosso per il nostro extra vergine di oliva. Sono i prodotti agroalimentari del nostro Paese più richiesti al mondo (formaggi, salumi, olio, vino etc.), che utilizziamo quotidianamente per le creazioni dei piatti, motivo di vanto e di successo dell’arte culinaria italiana”.

“Con questa azione sincronizzata e di sistema – conclude l’Ambasciata del Gusto – tutti noi vogliamo evidenziare la nostra indiscutibile posizione e il supporto a tutti gli organi governativi nel richiedere l’intervento della Comunità Europea e la cooperazione del Regno Unito per rimuovere questo elemento distorsivo e altamente dannoso del mercato”.

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