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Il cavaliere e la dama: Stefano Mancinelli e la sua Lacrima di Morro d’Alba

lacrima di morro d'alba

Sembra uscita da un romanzo di Alexandre Dumas, la storia di Stefano Mancinelli. Una di quelle in cui cavalieri e dame si rincorrono per il reame. Cercandosi e trovandosi dopo mille duelli. La dama di Stefano Mancinelli è un’uva chiamata Lacrima di Morro d’Alba. Nome affascinante. Assieme croce e delizia di un vitigno-vino che deve molto – quasi tutto, direbbe qualcuno – a questo appassionato vignaiolo delle Marche.

Un amore scoppiato più di 30 anni fa, nel 1985: «Avevo appena finito gli studi in Agraria a Firenze quando, tornato a casa, riuscii a convincere mio padre a imbottigliare i primi vini e a iniziare a commercializzarli. Fu un grande passo, perché sino ad allora producevamo vino per autoconsumo e per vendere lo sfuso».

Come in tutte le storie a lieto fine, contano anche le coincidenze. Di rientro dalla Toscana, Stefano Mancinelli si ritrova infatti al posto giusto, al momento giusto. Il 1985 è l’anno in cui il Lacrima di Morro d’Alba diventa Doc e in cui l’azienda di famiglia inizia a crescere, dai 7 ettari originari (oggi sono 25). Ma non furono tutte rose e fiori.

In seguito al riconoscimento ministeriale ci fu un periodo di stasi. I produttori della zona non si innamorarono subito del vitigno, continuando pressoché per il successivo decennio a considerarlo un figlio minore di Verdicchio, Montepulciano e Sangiovese. Serviva una svolta, insomma».

LA SVOLTA
Fu così che Stefano Mancinelli si mise in testa di cambiare le sorti della Lacrima di Morro d’Alba, denominazione che nel 2020 ha visto una produzione di 1,7 milioni di bottiglie, su 207 ettari rivendicati. Come? Stravolgendone la tecnica di vinificazione tradizionalmente in uso in questo angolo delle Marche.

«Il vitigno – sottolinea Stefano Mancinelli – ha, tra virgolette, due ‘problemi’, in parte suggeriti dal suo stesso nome: si chiama così perché l’acino, una volta maturo, tende a spaccarsi e lacrimare, perdendo succo e quindi storicamente reddito, per i mezzadri; inoltre ha una buccia particolarmente ricca di antociani e tannini, che si trasferiscono nel vino, rendendolo “duro”, quasi “acetico” dopo il primo anno di vita».

Ecco perché se si chiede a un anziano di Morro d’Alba quando bisogna bere la Lacrima, la risposta è una sola: «Da giovane». In realtà, tutto è dovuto appunto alla vinificazione. «Quello che feci – rivela a WineMag.it il vignaiolo marchigiano – fu ridurre il tempo di macerazione sulle bucce, passando dai 20 giorni usuali a meno di 2».

Il risultato è chiaro in tutti i vini rivoluzionari di Mancinelli. Come il Lacrima di Morro d’Alba Doc Superiore 2018, in degustazione durante l’ultimo appuntamento organizzato dall’Istituto marchigiano vini (Imt) con la stampa di settore.

Della “tradizione” restano l’inconfondibile colore intenso, purpureo, dall’unghia più o meno violacea, nonché la carica aromatica esplosiva che fa di questo vino «l’alter ego, in rosso, del Sauvignon Blanc», come piace definirlo a un altro noto produttore della zona, Piervittorio Leopardi della cantina Conte Leopardi Dittajuti.

Al naso, il primo scatto in avanti: le percezioni fenoliche di altri vini della Doc lasciano spazio a ricordi di radici di liquirizia, rabarbaro e china, ad arricchire un pugno stretto di frutta a bacca rossa e nera, grondante di succo.

E al palato, la dolcezza del tannino trova nella spalla acida e nella sapidità un degno alleato nella costituzione di una spina dorsale ritta, verticale, attorno alla quale danza l’abbondanza dei frutti, già avvertiti al naso.

Una perfezione tecnica che si fa poesia nel vino di Stefano Mancinelli, a riprova che l’amore è assieme cura, ricerca, dettaglio, parole sussurrate all’orecchio e al cuore. Ma anche desiderio, brama, voglia di possessione ed esuberanza.

LA CERTIFICAZIONE GENETICA
Che Mancinelli sia nato per la Lacrima di Morro d’Alba (o la Lacrima di Morro d’Alba per Mancinelli?) è provato anche dal certificato richiesto nel 2004 al laboratorio di analisi Bioaesis di Jesi (AN), specializzato nella ricerca del Dna, «per analizzare e certificare, con esattezza tecnica, che il prodotto ottenuto dall’azienda sia realizzato esclusivamente con uva di Lacrima».

Qualcuno – commenta il vignaiolo marchigiano – mi ha accusato di voler dire, con questa Certificazione genetica, che la mia Lacrima è più buona di quella degli altri. In realtà abbiamo pensato a questo studio perché il Lacrima di Morro d’Alba è un vitigno talmente “prevaricante” da risultare preponderante anche in vini in cui è presente solo al 20%».

Un pregio, ma anche un «limite per la Doc». Secondo Stefano Mancinelli, infatti, «non è poi così certo che tutte le Lacrime in commercio siano prodotte con Lacrima in purezza, contrariamente a quanto dichiarato».

«Un aspetto – chiosa il vignaiolo marchigiano – che può essere confermato solo da un’analisi di laboratorio, sul vino già in commercio. Per questo, pensando al futuro della Denominazione, mi auguro vengano fatti più controlli da parte degli organismi competenti».

Uva, amore, passione, gelosia: c’è tutto. Avesse avuto l’opportunità di incontrarlo, Alexandre Dumas avrebbe lasciato in eredità alla storia cinque moschettieri. Non quattro. Athos, Porthos, Aramis, D’Artagnan. E Stefano. Mancinelli, s’intende. Prosit.

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Lacrima di Morro d’Alba by Lucchetti: tre interpretazioni del rosso del futuro


MORRO D’ALBA –
In una terra senza vie di mezzo, dove il caldo è caldo e basta e il freddo porta spesso la neve, Mario e Paolo Lucchetti hanno trovato l’equilibrio. In una cantina, la loro. Tra il mare e la collina. E con un vitigno, strepitoso: la Lacrima di Morro d’Alba.

Un autoctono dai mille volti, capace come pochi in Italia di mostrare la mano del vignaiolo. Il suo tocco, in base alle scelte compiute durante la vinificazione. Per questo il Lacrima di Morro d’Alba è il vino rosso del futuro.

Versatile e mutevole, come le scelte dei consumatori moderni, pronti a balzare da un fiore all’altro, come api. Un caleidoscopio evidente nell’assaggio di tre vini dell’Azienda agricola dell’entroterra della provincia di Ancona.

Fiore” (etichetta nera), “Guardengo” (etichetta azzurra) e “Mariasole” (etichetta arancione). Tutti vini prodotti in purezza con quell’uva dal nome romantico, dovuto alle gocce di succo che l’acino “piange”, quando è maturo. Tre espressioni diverse di un vitigno che sembra giocare col gusto, assecondando i palati più disparati.

Con il plus del tappo: Paolo Lucchetti, infatti, ha scelto lo screw cap, il tappo a vite, per due delle tre etichette oggi sotto la nostra lente di ingrandimento. Una scelta coraggiosa, nel segno del futuro. La prova che si può cambiare, rimanendo sempre se stessi. Un po’ come il Lacrima di Morro d’Alba.

LA DEGUSTAZIONE

Lacrima di Morro d’Alba Doc 2017 “Fiore”: 87/100
Rubino poco trasparente. Naso piuttosto ruffiano, ma non per questo sgarbato o scomposto. A dominare la scena è il frutto, maturo.

Una nota d’amarena netta, ma anche di albicocca sotto sciroppo. Bel fiore, assimilabile alla rosa.

La speziatura è delicata, così come la venatura di liquirizia che fa capolino con l’ossigenazione. Ingresso di bocca austero, teso, verticale.

Una percezione “tannica” che, pur non disturbando il sorso, lo condiziona in termini di lunghezza e complessità, con il retro olfattivo giocato sulla liquirizia.

Un tannino evidente, appunto, anche al naso, nella sua fase vegetale. Un bell’inizio per comprendere le potenzialità del vitigno.

Vigne di 20 anni, con raccolta manuale a fine settembre. Diraspatura e pigiatura soffice. Vinificazione in acciaio e affinamento in vetro per 3 mesi, prima della commercializzazione.


Lacrima di Morro d’Alba Doc Superiore 2017 “Guardengo”: 90/100
Il vino più dirompente, per certi versi, della batteria. Il frutto (mora e ciliegia su tutti) è maturo e intenso. E’ intensa anche la nota “verde”, assimilabile al tannino.

Così come è netta la componente salina. Di accennata c’è solo la spezia. La fotografia di una Lacrima di Morro d’Alba giovane e di gran prospettiva.

Ingresso di bocca dirompente, scapigliato. Dritto, sulla freschezza. Duro, sul tannino e sul sale. Testardo, sull’accenno di spezia verde e nera.

Un nettare pronto ad ammansirsi in centro bocca, dove finalmente trova l’atteso equilibrio.

Lunghissimo il finale, freschissimo, tra acidità e venatura speziata, che lo rende addirittura balsamico. Una bella Lacrima d’allungo, da aspettare negli anni e da aspettare – anche oggi – nel calice, per valutarla nel gioco positivo e divertente, con l’ossigeno.

“Guardengo” è il vigneto più vecchio dell’Azienda agricola Lucchetti (40 anni), con impianto a sylvoz e guyot. I grappoli vengono raccolti a mano, a metà ottobre. Diraspatura e pigiatura soffice. Fermentazione in acciaio e successiva permanenza in cemento vetrificato per 6 mesi. Stesso periodo in bottiglia, prima della commercializzazione.


Lacrima di Morro d’Alba Doc 2016 “Mariasole”: 89/100
Rubino poco trasparente. Naso molto intenso, che vira da un principio di frutta matura (mora, lampone, ciliegia) a percezioni floreali nette, di rosa e di viola. Non manca una punta di spezia, unita a un bell’accento marino, salino.

Ingresso di bocca piuttosto verticale, fresco, per certi versi inatteso data la componente di frutta matura avvertita al naso.

In centro bocca il nettare trova la sua corrispondenza, anche grazie a un alcol che si fa sentire, ma senza disturbare.

Il tutto prima di una virata su un tannino dosato, dolce ma di prospettiva, e su una leggera vena salina che chiama il sorso successivo, in un pregevole e complesso allungo. Alla cieca, un “Amarone” del centro italia: per la compresenza tra polpa e freschezza, ma anche per la scelta di cogliere gli acini surmaturi e appassirli naturalmente in fruttaio.

Prodotta a partire dal 2007 solo nelle migliori annate, la Lacrima di Morro d’Alba “Mariasole” dell’Azienda agricola Lucchetti viene raccolta all’inizio di ottobre e macerata per 30 giorni. Il mosto resta in cemento vetrificato per 6 mesi e affina in bottiglia per 2 anni, prima della commercializzazione.

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