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Coronavirus e rischio “no-deal Brexit”: le incognite del vino italiano in Gran Bretagna

Tre consumatori britannici su 10 hanno dichiarato di aver consumato meno vino italiano rispetto al periodo di pre-quarantena, contro un 53% che non ha modificato le proprie preferenze di acquisto. Tra i principali motivi di questa riduzione figura la chiusura dei ristoranti, in un paese dove il fuori-casa pesa per il 45% del valore totale dei consumi alimentari (in Italia l’incidenza è del 35%). In attesa della fine del lockdown, prevista solo per il 1 giugno a causa della continua crescita dei contagi, lo spettro del “no-deal” si aggira sempre più minaccioso sui negoziati della Brexit.

È quanto evidenzia lo studio compiuto da Nomisma Wine Monitor su un campione di mille consumatori di vino della Gran Bretagna. In particolare si tratta di persone residenti a Londra e nelle grandi città del Regno, con oltre 500 mila abitanti.

La posta in gioco è alta: con un valore superiore ai 3,4 miliardi di euro, il Regno Unito rappresenta il quarto mercato per export di prodotti agroalimentari, di cui 770 milioni di euro legati al vino.

Il prezzo è uno dei principali fattori di scelta nel consumo di vino – evidenzia Denis Pantini, responsabile Agroalimentare di Nomisma – e ha acquisito ancora più importanza per il consumatore britannico durante il lockdown, accanto alla reperibilità di informazioni sul web, così come emerso dalla nostra indagine. E in effetti, un consumatore inglese su due ha dichiarato di aver acquistato vino on-line durante il periodo di quarantena”.

Tutto il mondo è paese. Con la chiusura del canale Horeca, lo sviluppo dell’e-commerce di vino e prodotti alimentari ha conosciuto ritmi di crescita vertiginosi in tutti i mercati colpiti dall’epidemia da Covid-19. Resta da capire come questi trend di consolideranno. Per quanto riguarda invece l’ipotesi di un “revenge spending“, i britannici non sembrano propensi a festeggiare, quando ci sarà, la fine del lockdown.

Solamente – commenta Pantini – il 18% dei consumatori si dice pronto a spendere di più per il vino una volta che riapriranno pub e ristoranti contro un 17% che afferma il contrario e un altro 28% che addirittura berrà meno vino perché uscirà di casa con meno frequenza rispetto a quanto faceva prima dell’epidemia”.

La multicanalità diventerà quindi una strada obbligata nelle strategie commerciali dei produttori di made in Italy alimentare, vista l’eredità che sembra lasciarci il coronavirus in tema di comportamenti di acquisto di wine&food. E probabilmente, non sarà nemmeno l’unica sfida.

Non va infatti dimenticato come il Regno Unito, dal 1° febbraio scorso, sia diventato uno “Stato Terzo” rispetto all’Unione Europea con la previsione di un regime transitorio fino al 31 dicembre 2020 durante il quale vige ancora l’unione doganale.

Soprattutto si stanno trattando le condizioni per un futuro partenariato, a partire dal 2021. I primi segnali che arrivano dai tavoli di negoziazione non sembrano andare nella direzione di un raggiungimento dell’accordo.

“Quasi si percepisce la sensazione del governo britannico di voler ripartire da zero, sfruttando gli impatti derivanti dalla pandemia per riprogrammare l’intera politica economica e commerciale del paese, con tutti i rischi però connessi”, dichiara Paolo De Castro, Membro del Uk Monitoring group del Parlamento Europeo e componente del Comitato Scientifico di Nomisma.

Rischi che in primis riguardano lo stesso Regno Unito, dal momento che l’autosufficienza alimentare del Paese è appena pari al 50%. Ma che interessano anche le imprese alimentari italiane, alla luce della rilevanza che la Gran Bretagna detiene per l’export del Made in Italy.

Più in generale, nel panorama mondiale delle importazioni agroalimentari, il Regno Unito figura al sesto posto con oltre 58 miliardi di euro di prodotti importati nel 2019, nonché al secondo per quanto attiene agli acquisti di vino (poco meno di 4 miliardi di euro).

Rispetto a questi scambi, l’Italia rappresenta un importante partner. L’anno scorso, a fronte di 3,4 miliardi di prodotti agroalimentari esportati dall’Italia in Gran Bretagna, quasi un quarto ha riguardato vino, facendo dell’Italia il secondo fornitore dopo la Francia.

Gli inglesi adorano lo spumante tanto che, nel giro di appena cinque anni, hanno incrementato le importazioni di “bollicine” italiane (in primis Prosecco) da 59 a 96 milioni di litri: più o meno 128 milioni di bottiglie.

Ma il vino non è l’unico prodotto del Made in Italy a deliziare il palato degli inglesi. Il Regno Unito rappresenta infatti il secondo mercato di destinazione delle nostre conserve di pomodoro e il quarto per quanto concerne pasta e formaggi.

“Alla luce della rilevanza di tale mercato per il nostro food&beverage, tra epidemia di Coronavirus e rischio ‘no-deal’ in tema Brexit – concludono all’unisono i rappresentanti di Nomisma Wine Monitor – non possiamo certo dormire sonni tranquilli”.

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Wine Trade Monitor Sopexa 2019: le impressioni di 984 operatori sul vino mondiale

Sopexa, agenzia specializzata nel Food & Drink a livello internazionale, ha presentato i risultati del Wine Trade Monitor 2019. Lo studio, condotto a livello internazionale in collaborazione con Wine in Paris offre un’esclusiva panoramica sui trend globali e le prospettive commerciali dei vini per i prossimi anni, grazie alle percezioni e previsioni di 984 operatori del settore tra importatori, distributori, grossisti e retailers.

Quest’anno, l’indagine comprende anche il Regno Unito e la Germania, i principali mercati mondiali per le importazioni di vino in volume, portando il numero totale dei mercati esaminati a sette: Belgio, Cina, Hong Kong, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti.

“Siamo molto orgogliosi di presentare questi risultati – spiega Matteo Lefebvre, rirettore Sopexa Italia -. Oltre ad essere riconosciuto come uno dei paesi con maggiore prospettiva di crescita nei mercati intervistati, l’Italia vanta anche il riconoscimento di produttore di vini di grande interesse per le giovani generazioni”.

“Questo rafforza la percezione della qualità della produzione vinicola italiana che si accompagna alla volontà di evolvere e di rimanere in ascolto dei trend e delle esigenze di tutte tipologie di consumatori”, conclude Lefebvre.

Quali vini troviamo e in quali paesi? Francia, Italia e Spagna rimangono in testa. Per gli intervistati, questi 3 paesi sono i più importanti nelle gamme di vini in tutti i sette mercati presi in esame. La Francia perde 17 punti percentuali rispetto al 2018.

I professionisti del settore sono relativamente ottimisti. La maggior parte degli intervistati di Stati Uniti, Germania e Giappone prevede una crescita del mercato nei prossimi due anni mentre più pessimisti sono gli operatori UK intervistati, il cui 44% prevede un calo del mercato. Per i professionisti dei rimanenti paesi presi in esame, il mercato si stabilizzerà.

Sopexa ha analizzato anche l’evoluzione delle vendite per il 2021. Italia e Francia si contendono ancora il primo posto in termini di potenziale di crescita, con la Francia che perde posizioni per gli intervistati di Cina, Belgio Hong Kong e Stati Uniti.

Secondo i professionisti della Cina i vini australiani hanno delle ottime prospettive di crescita, seguiti dai vini cileni e dai vini italiani. In Giappone, per la prima volta, i vini locali sono destinati a vedere la maggiore crescita delle vendite. Collocati davanti ai vini francesi (36%) e ai vini italiani (24%).

Secondo i professionisti del commercio del vino del Regno Unito, la Brexit andrà a beneficio soprattutto dei paesi produttori di vino al di fuori dell’Europa: il 53% degli intervistati prevede una crescita per i vini cileni, il 45% per i vini australiani e il 40% per i vini argentini.

Negli Stati Uniti, i vini italiani stanno beneficiando dell’impatto psicologico dell’aumento dei dazi doganali sui vini francesi dello scorso ottobre. La situazione potrebbe tuttavia cambiare rapidamente.

Il focus di Sopexa si è poi concentrato sull’immagine e la reputazione dei vini in base alla loro origine. In generale, e per il 59% dei partecipanti all’indagine, è ancora l’origine Francia che riporta la migliore performance, distanziandosi nettamente dai suoi concorrenti.

Si rileva però una perdita di valore dell’immagine francese in Belgio e la sua totale assenza nel comparto dei vini considerati attraenti per i giovani. L’Italia arriva al secondo posto, citata dall’11% degli intervistati. Alla produzione vinicola del Belpaese, assieme a quella dei vini australiani, si associano le migliori performance per quanto riguarda i criteri di “innovazione” e “attraenti per i giovani”.

Entrando nel dettaglio dell’ambita fetta di mercato che riguarda le giovani generazioni, gli intervistati collocano Italia e Australia in testa (16%), seguite da Spagna (13%), Cile e USA (entrambe 10%). Interessanti i risultati del Wine Trade Monitor 2019 di Sopexa in merito alla dinamica delle categorie di vini.

I vini biologici e biodinamici lasciano il segno. Per il 42% degli intervistati, i vini biologici e biodinamici sono la categoria di punta per i prossimi due anni, collocandosi anche davanti ai vini regionali (28%) in particolare per UK e Stati Uniti. Solo la Cina è contraria a questo trend.

I vini a basso tenore alcolico emergono nei due principali mercati europei. Il 35% degli intervistati in Germania e il 24% nel Regno Unito vedono un potenziale in questa categoria, che si prevede vedrà la seconda crescita più alta nei prossimi due anni.

Il fascino dei vini rosati, sempre secondo all’analisi, si affievolisce negli Usa. Dopo diversi anni di popolarità sostenuta, solo il 13% degli intervistati statunitensi si aspetta un’ulteriore crescita per la categoria. Regioni: la gamma delle performance future.

Quanto alle regioni vitivinicole, secondo il Wine Trade Monitor 2019 Sopexa sono quattro regioni francesi le leader per il vino rosso: Bordeaux, Linguadoca, Côtes du Rhône e Borgogna. Nel Regno Unito, invece, il Beaujolais è l’unica regione francese a far parte della Top 4, dove invece Mendoza in Argentina è considerata la regione da tenere d’occhio.

Sul fronte dei vini bianchi, negli ultimi due anni la top 4 è rimasta invariata e dominata dai vini di Marlborough (Nuova Zelanda) e dalla Loira. Queste due regioni sono seguite da vicino, se non eguagliate (secondo il 23% degli intervistati) dalla Linguadoca, che è destinata a registrare buone performance in Belgio e Giappone, e anche dai vini della Borgogna, che sono in testa in Asia.

Ottime prospettive per i vini rosé della Provenza, indicata tra le prime tre regioni produttrici di rosé dal 67% degli intervistati. A seguire i rosé della Linguadoca e i vini rosati italiani. Sotto la lente di ingrandimento del Wine Trade Monitor 2019 Sopexa anche gli spumanti.

Il Prosecco domina la Top 3 in tutti i mercati presi in esame, guadagna posizioni il Cava in Giappone e Stati uniti mentre per la maggior parte degli intervistati di Germania e Regno Unito la crescerà la categoria Cremant. Ultimo capitolo dell’analisi, la dinamica dei vitigni.

A livello globale, la classifica dei i 4 vitigni classici (Cabernet Sauvignon, Pinot Nero, chardonnay e Merlot) rimane stabile. Leader assoluto in tutti i mercati presi in esame, il Cabernet Sauvignon è destinato ad avere una performance particolarmente buona al di fuori dell’Europa, in particolare in Cina mentre le previsioni di crescita in Europa sono meno ambiziose.

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Analisi e Tendenze Vino

Wine Trade Monitor 2018: l’indagine Sopexa sul mercato vinicolo

Sopexa, agenzia specializzata nel Food & Drink a livello internazionale, ha presentato i risultati del Wine Trade Monitor 2018, lo studio internazionale dedicato ai vini fermi e frizzanti fino a 16° che delinea le prospettive future.

Il metodo Sopexa è esclusivo: interrogare gli operatori locali, veri intermediari tra i brand e i consumatori, per raccogliere le loro percezioni e così comprendere e anticipare i trend che si profilano per i prossimi due anni.

Nel 2018, il Wine Trade Monitor si concentra su 6 paesi chiave: Belgio, Stati Uniti, Canada, Cina, Hong Kong e Giappone.

Un totale di 781 professionisti (importatori, agenti, grossisti, distributori e pure player dell’E-commerce), di cui il 77% rappresentato da decisori chiave (AD, Sales Managers, Buyers), hanno risposto alla nostra indagine online.

LE PRINCIPALI CONCLUSIONI 

Referenziamento: quali vini troviamo in quali paesi?

  • I vini francesi restano imprescindibili per 9 professionisti interrogati su 10.
    Seguono i vini italiani (76%) e spagnoli (71%). Parallelamente, acquistano importanza alcuni competitor, indicati dal 45 al 56% degli operatori, guidati da Cile, Australia e Stati Uniti.

Evoluzione delle vendite

I vini italiani guadagnano terreno e l’Italia viene indicata dal 41% degli operatori tra i Paesi d’origine le cui vendite progrediranno maggiormente da oggi al 2020.

Ciononostante, per un operatore su due, nel 2017 e per i prossimi due anni, la Francia mantiene ancora il suo vantaggio in particolare negli Stati Uniti, Hong-Kong e Belgio. L’indagine mostra però anche una relativa fragilità dei vini francesi sui mercati cinesi e canadesi dove saranno sempre più messi in difficoltà dai vini italiani.

È in Canada che questi ultimi ottengono infatti il miglior risultato: il 56% degli operatori gli attribuisce un posto nella top 3 delle origini che incrementeranno maggiormente. I vini italiani, secondo quanto indicato dal 42% degli intervistati,guadagnano in termini di visibilità anche in Cina dove fanno la loro entrata tra i tre migliori aumenti di vendite previste da oggi al 2020.

“I principali vantaggi commerciali dei vini italiani in Cina e in Canada sono riconducibili a diversi aspetti: innanzitutto alla straordinaria varietà, noi adesso la chiamiamo “biodiversità”, dei vitigni italiani. Abbiamo un patrimonio importante di vitigni autoctoni, questo contribuisce sicuramente ad elevare ancora di più l’interesse dei mercati terzi nei confronti dei vini italiani. Poi abbiamo anche un rapporto qualità/prezzo eccezionale. Possiamo trovare sul mercato denominazioni importantissime, qualità eccezionale, super controllata, secondo me a un prezzo, rispetto ad altre tipologie estere”
(Andrea Ferrero, presidente del Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani – nella foto sopra)

Immagine & reputazione dei vini in base alla loro origine

  • In generale, e per il 64% dei partecipanti all’indagine, è ancora l’origine Francia che riporta la migliore performance,distanziandosi nettamente dai suoi concorrenti.

Si rileva però una perdita di valore dell’immagine francese in Cina e in Canada.

·         La Spagna e il Cile si distinguono per quanto riguarda i parametri de «l’attrattività dei prezzi» e de «i vini per tutti i giorni», davanti all’Italia che, invece, sembra riportare buoni risultati nell’ambito «innovazione».

Evoluzione dei formati & packagings

  • I paesi asiatici restano particolarmente legati al vino in bottiglia e il 66% degli operatori asiatici prevede la più alta crescita per i formati mezza bottiglia e altri piccoli formati.
  • Formati alternativi aumenteranno in Nord America: più del 40% punta sul Bag in Box e sulle lattine.
  • Ben accolte nei Paesi asiatici, i packaging e le etichette smart non convincono l’America del Nord

Il 75 % dei professionisti giapponesi intervistati e il 54% dei cinesi indicano che sono una risorsa per rassicurare il consumatore iperconnesso sull’autenticità e la tracciabilità del prodotto.

Le categorie vincitrici

  • I vini bio per la prima volta sono nella top 3 delle categorie più promettenti per oltre il 35% degli operatori (escluse Cina e Hong Kong)!
  • «La denominazione regionale» fa vendere e resta globalmente il criterio di valorizzazione maggiore  previsto da oggi al 2020.
  • La categoria Rosé continua a crescere in Nord America per più di un professionista americano su 4 e più di un canadese su 2. 

Regioni: la gamma delle performance future

  • 4 regioni francesi leader per il vino rosso: Bordeaux, Languedoc, Côtes du Rhône e Borgogna
  • I vini bianchi di Marlborough (Nuova Zelanda) si impongono ovunque, eccetto in Belgio, nella top 2 dei più promettenti, ma la Loira ha conquistato gli americani
  • Ottimi risultati per i vini rosé della Provenza e della Corsica che il 63% degli operatori indica nella top 3 delle vendite future dei rosé!
  • Prosecco e Cava sono i vini frizzanti più attesi su tutti i mercati

Dinamica dei vitigni

Se la classifica dei 4 vitigni classici rimane stabile (Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot Nero, Merlot), il successo dello Chenin Blanc negli Stati Uniti potrebbe essere l’elemento di punta di una nuova tendenza da monitorare.

“In questo paese in costante trasformazione, la vita quotidiano è completamente digitalizzata e il consumatore connesso 24 ore su 24. Il canale numerico oggi è un passaggio obbligato nella relazione cliente! Conosciamo il O2O (online to offline), è arrivata l’ora del O+O! Le etichette smart ormai consentono ai consumatori di ottenere informazioni sull’origine del prodotto, consigli sul modo di degustarlo ma anche informazioni su dove comprarlo o addirittura farlo online. Vi piace il vino che state bevendo al ristorante? Che piacere poter ordinarlo dal cellulare per casa vostra mentre lo state bevendo a tavola al ristorante! Da un punto di vista logistico, permette anche una tracciabilità dal vignaiolo fino al consumatore finale. Pernod Ricard è stato uno dei precursori nel settore con le etichette smart, che il consumatore può scannerizzare con il suo telefono per informarsi e comprarlo. È tutto a portata di mano, o piuttosto di mobile!”
(Augustin Missoffe, Direttore di Sopexa Cina)

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Export agroalimentare a 40 miliardi: i dati, regione per regione

Secondo stime Nomisma Agrifood Monitor, quest’anno l’export agroalimentare italiano oltrepasserà i 40 miliardi di euro, grazie ad una crescita superiore al 6% rispetto all’anno precedente.

A spingere il settore verso un nuovo record nelle vendite oltre frontiera sono soprattutto le esportazioni dei prodotti simbolo del “Made in Italy” alimentare, vale a dire vino, salumi e formaggi che dovrebbero chiudere l’anno con un aumento nell’export
compreso tra il 7 e il 9%.

Guardando invece ai mercati di destinazione sono soprattutto i paesi extra-Ue (seppure rappresentino ancora meno del 35% dell’export totale) ad evidenziare i tassi di crescita più elevati. Tra questi Russia e Cina, con variazioni negli acquisti di prodotti agroalimentari italiani a doppia cifra (oltre il 20%), benché il loro “peso” continui ad essere marginale sul totale dell’export (meno del 2%). In linea invece con la media di settore le esportazioni verso Nord America e paesi Ue (dati gennaio-luglio 2017).

“L’aumento dell’export unito ad un consolidamento della ripresa dei consumi alimentari sul mercato nazionale (+1,1% le vendite alimentari nei primi 9 mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2016) prefigurano un 2017 all’insegna della crescita economica per le imprese della filiera agroalimentare” dichiara Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma.

Una filiera che dalla produzione agricola alla distribuzione al dettaglio e ristorazione vale oltre 130 miliardi di euro di valore aggiunto (pari al 9% del Pil italiano), genera lavoro per oltre 3,2 milioni di occupati (il 13% del totale) e coinvolge 1,3 milioni di imprese (il 25% delle aziende attive iscritte nel Registro Imprese delle Camere di Commercio).

Ma la rilevanza strategica della filiera agroalimentare va oltre i valori assoluti e si esprime nella sua capacità di tenuta e salvaguardia socioeconomica anche in tempo di crisi.

“Dallo scoppio della recessione globale (2008) ad oggi” continua Pantini “il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana è cresciuto del 16%, contro un calo di oltre l’1% registrato dal settore manifatturiero e un recupero del 2% del totale economia, avvenuto in maniera significativa solamente a partire dal 2015″.

Non male per un settore fortemente frammentato dove le imprese alimentari con più di 50 addetti (quelle medio-grandi) rappresentano appena il 2% del totale, quando in altri paesi competitor – come la Germania – questa incidenza arriva al 10%. E questo spiega anche perché la propensione all’export della nostra industria alimentare sia pari al 23% contro il 33% della Germania, o visto da un’altra angolatura, perché le nostre esportazioni per quanto in crescita siano ancora molto inferiori a quelle francesi (59 miliardi di euro) o tedesche (73 miliardi).

La presenza di imprese più dimensionate unita a reti infrastrutturali più sviluppate nonché a produzioni alimentari maggiormente “market oriented” spiegano anche perché oltre il 60% dell’export italiano faccia riferimento ad appena 4 regioni: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte, mentre al contrario tutto il Sud del Paese incida per meno del 20%.

Un differenziale che rischia di allargarsi ulteriormente anche in quest’anno di trend favorevole ai nostri prodotti, dato che nel primo semestre 2017 mentre le regioni del Nord Italia hanno messo a segno una crescita di oltre il 7% nelle vendite oltre frontiera, quelle del Mezzogiorno non sono riuscite a raggiungere il +2%.

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Wine Monitor, import di vino in calo: “Brexit e Trump pesano sulla fiducia”

Dopo un 2015 in cui l’import mondiale di vino è cresciuto a valore di oltre il 10% (grazie anche al rafforzamento del dollaro che ha permesso ai produttori europei di essere più competitivi e di godere di plusvalenze nei cambi), le stime Wine Monitor sugli acquisti di vino dei primi 8 mercati – che fanno quasi i 2/3 dell’import mondiale – non sembrano restituire valori altrettanto positivi. Guardando ai principali mercati di sbocco dell’Italia, gli Stati Uniti dovrebbero chiudere l’anno con un incremento inferiore al 2% rispetto al 2015. Il Regno Unito al contrario importerà meno vino (-9%) così come la Germania (-4%), mentre il Giappone chiuderà con una crescita vicina al 3% e solamente la Cina continuerà a correre a ritmi sostenuti (quasi +20%).

“In uno scenario di mercato contraddistinto da più ombre che luci, anche i vini italiani risentono di queste incertezze e battute d’arresto dove i cali sono in larga parte generalizzati e risparmiano pochi grandi esportatori”, dichiara Denis Pantini, responsabile Wine Monitor di Nomisma. Queste valutazioni partono necessariamente dagli ultimi dati disponibili in tema di commercio internazionale (settembre), dai quali si evince una preoccupante diminuzione delle importazioni di vini fermi imbottigliati – che rappresentano oltre il 70% degli scambi mondiali della categoria – in quasi tutti i principali mercati considerati, con cali superiori al 10% nel caso del Regno Unito.

VOLA IL PROSECCO
Continuano invece a crescere le importazioni di sparkling, con i nostri vini (Prosecco in primis) che la fanno da padrone, mettendo a segno aumenti del 30% sia negli USA che in UK, a fronte di medie di mercato nettamente inferiori (nel Regno Unito, mentre l’import di spumanti dall’Italia cresce del 31%, quello totale non arriva al +1% anche a causa di un arretramento dei francesi dell’11% che però pesano ancora per il 53% sull’import della categoria). “Guardando ai singoli competitor – continua Pantini – gli spumanti italiani crescono più dei concorrenti in tutti i principali mercati di consumo tranne in Giappone dove Francia e Spagna ci surclassano e la nostra presenza è ancora marginale, mentre nei vini fermi andiamo peggio di Nuova Zelanda e Spagna negli Stati Uniti, 2 del Cile in UK, gli unici vini a crescere in un mercato in calo, e nuovamente dei neo zelandesi in Canada”.

LA POLITICA
In buona sostanza, la gran parte dei mercati sta tirando il fiato con molti operatori che sembrano stare alla finestra anche alla luce delle diverse incognite che si stanno prefigurando per il 2017.

Tra queste una Brexit che non si capisce ancora quando si farà e con una sterlina che da prima del referendum ad oggi ha perso il 13% del suo valore nei confronti dell’euro (ma ben il 19% nei confronti del dollaro australiano e neo zelandese) e, contro tutti i pronostici, l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti le cui dichiarazioni in campagna elettorale, se dovessero trovare conferma in provvedimenti di politica economica, potrebbero deprimere ulteriormente il commercio internazionale.

E non solo per il “congelamento” del TTIP (dato per scontato ormai da tempo), quanto per quegli interventi di tagli fiscali, investimenti pubblici e ulteriore sviluppo della produzione nazionale di petrolio che, conducendo necessariamente ad una crescita dei tassi di interesse e ad una rivalutazione del dollaro potrebbero certamente favorire le importazioni di vino italiano negli Stati Uniti, ma contestualmente finirebbero per deprimere ulteriormente le economie di quei paesi basate sull’export di commodity come la Russia, da tempo in crisi e con importazioni di vino in continuo calo.

CANADA E VIETNAM
Ed è anche per questi motivi che assumono maggiore centralità gli accordi di libero scambio che l’Unione Europea sta negoziando con i paesi terzi e che dovrebbero trovare, per alcuni di questi, l’entrata in vigore nel 2017, con benefici per l’export dei nostri vini.

Vale la pena, in questa sede, ricordarne due: il CETA e l’EVFTA, rispettivamente gli accordi con il Canada e il Vietnam, per i quali si attende la ratifica del Parlamento Europeo e l’entrata in vigore (per il Ceta in via provvisoria) entro aprile del prossimo anno.

Si tratta di accordi che prevedono l’abolizione dei dazi a carico dei nostri vini (per il Vietnam la riduzione è pari al 50% nel primo anno fino ad arrivare all’eliminazione totale entro il settimo anno), il rafforzamento della tutela delle indicazioni geografiche e la rimozione delle barriere tecniche, tra cui si segnala la diversa modalità di calcolo delle imposte ad opera dei Liquor Board delle province canadesi che dai valori passerà ai volumi di vino importato, favorendo quindi i prodotti con prezzo medio più elevato.

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