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Chianti Gran Selezione e sottozona Terre di Vinci: via libera del Consorzio

FIRENZE – Una nuova tipologia, il Chianti Gran Selezione, al top della qualità dei vini Chianti, rivolta principalmente al mercato cinese e americano (vietato il fiasco). E una nuova sottozona: Chianti Terre di Vinci. Queste, assieme all’aumento della gradazione alcolica minima delle uve destinate a produrre vino Chianti docg, le modifiche al disciplinare a cui ha dato il via libera il Consorzio fiorentino.

“Qualità” e “semplificazione” le due parole d’ordine che hanno guidato gli amministratori, nella revisione delle regole alle quali devono attenersi i produttori e gli organismi di controllo. La revisione messa a punto dal Cda potrà iniziare l’iter di approvazione da parte di Regione Toscana, Ministero dell’Agricoltura e Commissione Europea.

Un percorso che richiederà circa due anni. Le proposta di modifica agli 8 articoli del disciplinare di produzione del vino Chianti è stata approvata con percentuali favorevoli tra l’89% e il 99%. Il totale dei voti espressi in assemblea rappresentava il 70% dell’intero corpo sociale.

Novità anche per il Chianti sfuso, che dovrà ottenere la certificazione di idoneità, prima di uscire dalle cantine: è un modo per alzare l’asticella della qualità, fare chiarezza sul mercato e  aggredire eventuali zone grigie”.

IL CHIANTI GRAN SELEZIONE
“Colore rosso rubino intenso, tendente al granata con l’invecchiamento, odore speziato e persistente”. Queste le caratteristiche che dovrà avere, “da manuale”, il Chianti Gran Selezione.

La nuova tipologia avrà una gradazione alcolica minima più elevata (13 gradi) e dovrà passare da un invecchiamento di almeno 30 mesi, prima di essere immessa sul mercato. Il vino Chianti Gran Selezione potrà essere prodotto in tutto il territorio di produzione della Denominazione vino Chianti Docg.

“L’iter di approvazione del nuovo disciplinare durerà circa due anni – spiega il direttore del Consorzio Marco Alessandro Bani – ma si chiederà che il provvedimento abbia efficacia retroattiva: per questo motivo, chi vorrà potrà iniziare già adesso a produrre Chianti con i criteri dettati per la Gran Selezione e immettere le prime bottiglie sul mercato nell’arco di tre anni. La Gran Selezione offrirà il massimo della qualità e sarà un prodotto di nicchia”.

Con il nuovo disciplinare nasce anche la menzione geografica aggiuntiva o più comunemente chiamata “sottozona” Chianti Terre di Vinci, relativa ai territori dove già si produce vino Chianti Docg, compresi nel Comune di Vinci e Capraia e Limite – al di fuori della sottozona già ricompresa nel Chianti Montalbano – e nei Comuni di Cerreto Guidi e Fucecchio.

“Inoltre – prosegue Bani – con le nuove regole, sale la gradazione alcolica minima delle uve destinate a produrre vino Chianti Docg, nonché del prodotto finito, destinato all’immissione al consumo, come vino Chianti Docg, innalzata a 12 gradi. Il Chianti sfuso dovrà ottenere la certificazione di idoneità, prima di uscire dalle cantine: è un modo per alzare l’asticella della qualità, fare chiarezza sul mercato e  aggredire eventuali zone grigie”.

“Il lavoro che il Consiglio ha fatto sul disciplinare è stato lungo e accurato, volto ad una revisione complessiva che ha avuto come obiettivi lo svecchiamento delle regole, la semplificazione a vantaggio di produttori e organismi di controllo, l’innalzamento della qualità”, commenta il presidente del Consorzio Vino Chianti, Giovanni Busi.

IL COMMENTO

“Abbiamo innalzato la gradazione e introdotto una grande novità come la Gran Selezione per aumentare la competitività dei nostri prodotti su mercati strategici come quello cinese e americano. Adesso attendiamo il prima possibile l’avvio l’iter delle autorizzazioni ministeriali e comunitarie. Siamo certi che questa revisione darà una ulteriore spinta al successo commerciale dei nostri vini, anche a livello internazionale”.

Risale a settembre l’annuncio di altre modifiche decisive al disciplinare di produzione del Chianti Docg. Il Consorzio, nei mesi scorsi, ha inviato una circolare a tutte le aziende con i dettagli delle modifiche e i riferimenti legislativi completi.

Da un punto di vista tecnico, l’allineamento del valore del residuo massimo zuccherino ai parametri comunitari previsti per i vini secchi consentirà di avere un parametro massimo pari a 4 g/l, oppure entro 9 g/l purché il tenore di acidità totale, espresso in grammi di acido tartarico per litro, non sia inferiore di oltre 2 grammi al tenore di zucchero residuo.

Al momento la modifica è introdotta solo a livello nazionale, a partire dalla campagna vendemmiale 2019/2020 e per i vini atti a diventare Dop “Chianti” provenienti dalle campagne 2018/2019 e precedenti, a patto che siano in possesso dei requisiti stabiliti nel disciplinare consolidato. Prima di essere applicabile nel territorio dell’Unione europea e nei Paesi terzi, la modifica al disciplinare dovrà essere pubblicata sulla Gazzetta dell’Unione Europea.

LE DIFFERENZE CON IL CHIANTI CLASSICO GRAN SELEZIONE

Un Chianti “Gran Selezione” esiste già in Toscana, ma è legato al Chianti Classico. Quando fu introdotto, nel 2014, la tipologia fu rivoluzionaria. Si trattò della prima volta di una nuova tipologia di vino posta al vertice della piramide qualitativa di una denominazione, nell’ambito della legislazione vitivinicola italiana.

Un altro record del Chianti Classico Gran Selezione fu l’ampiezza della rivoluzione normativa, che coinvolse i circa 600 soci del Consorzio. Una decisione in controtendenza con quanto avviene nel resto del mondo, con l’obiettivo di stratificare verso l’alto l’offerta enologica del territorio.

In base alle proiezioni, la produzione di Gran Selezione raggiungerà nei prossimi anni il 10% sul volume totale del Chianti Classico per un valore complessivo che si aggira tra i 70 e i 100 milioni di euro.

La Gran Selezione del Chianti Classico è un vino prodotto da uve di esclusiva pertinenza aziendale, coltivate nei vigneti più vocati e con regole severe che lo rendono un vino di grande pregio, un nuovo punto di riferimento nel panorama enologico internazionale.

Oltre a prevedere caratteristiche chimiche e organolettiche idonee a vini di elevata qualità, la Gran Selezione potrà essere commercializzata solo dopo un invecchiamento minimo di 30 mesi e un periodo obbligatorio di affinamento in bottiglia.

A differenza del Chianti Gran Selezione, la Gran Selezione del Chianti Classico esaltata i diversi caratteri di un territorio ampio e poliforme, diviso in nove comuni e in zone climaticamente e pedologicamente differenti, ma unite dall’inconfondibile firma del Sangiovese.

Dal punto di vista organolettico, il Chianti Classico Gran Selezione è un vino di struttura importante, che grazie alla selezione delle uve e al lungo affinamento consegue equilibrio ed armonia superiori, profondità gustativa e complessità aromatica. Al palato abbina immediatezza di frutto unitamente alle affascinanti nuance tipiche dei vini capaci di una lunga evoluzione.

Leggi la reazione del Consorzio Chianti Classico:

https://www.winemag.it/chianti-gran-selezione-il-gallo-nero-e-infuriato

 

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Gli Editoriali news news ed eventi

Valdobbiadene, rivoluzione del Prosecco con lo Chardonnay? Meglio Verdiso, Bianchetta e Perera


EDITORIALE –
Articolo 2, comma 1 e 2. Articolo 5, comma 3. Tocca scomodare il Decreto del 12 luglio 2019, inerente le “Modifiche al disciplinare di produzione della Denominazione di origine controllata dei vini ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” per capire quanto, realmente, i produttori di Valdobbiadene abbiano perso un’occasione d’oro per “distinguersi” – al di là dell’etichetta – dal Prosecco Doc prodotto in pianura (anche in Friuli Venezia Giulia) e non solo sulle colline patrimonio Unesco.

L’8 agosto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il provvedimento con cui il Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo ratifica le richieste presentate il 29 marzo dal Consorzio di Tutela della Docg veneta.

Positiva la valorizzare della tipologia “Rive”, per la “qualità superiore delle uve provenienti da vigneti in forte pendenza, che richiedono un lavoro manuale più lungo e faticoso da parte dei viticoltori” e utile a “distinguere i diversi territori all’interno della Denominazione”. Una sorta di zonazione.

Commovente la “salvaguardia del legame con la tradizione, rendendo ufficiale la tipologia spumante ‘Sui Lieviti’ di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, che sta a cuore da generazioni ai produttori del territorio”.

Costruttivo “rispondere, con l’introduzione della tipologia ‘Extra Brut’, al gusto contemporaneo dei consumatori che hanno dimostrato un apprezzamento speciale per il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg”.

Manca solo un dettaglio. Quello definito, appunto, dagli articoli 2 e 5, e relativi commi. La base ampelografica dei vini “Conegliano Valdobbiadene Prosecco” è sì costituita dalle uve provenienti dai vigneti del vitigno Glera.

Possono concorrere, in ambito aziendale, fino ad un massimo del 15%, le uve Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera e Glera lunga. Ma anche quelle dei vitigni Pinot bianco, Pinot nero, Pinot grigio e Chardonnay, “usate da sole o congiuntamente”.

Una “tradizionale pratica correttiva di aggiunta di vini” ottenuti da varietà internazionali, il cui utilizzo è consentito anche nel disciplinare del Prosecco Doc. Ma non ci si poteva (doveva) distinguere?

Se da un lato è sacrosanto che i vini (specie quelli buoni) non si fanno coi disciplinari, dall’altro, da parte dei produttori e del Consorzio, poteva arrivare un segnale importante, sul fronte della base ampelografica.

Gli esempi di Denominazioni che stanno puntando tutto sull’autoctono, in Italia si sprecano. Basti pensare alla Franciacorta, con il Consorzio concentrato nella valorizzazione e diffusione dell’autoctono bresciano Erbamat.

La necessaria corsa ai ripari dei produttori franciacortini, alle prese con il surriscaldamento globale e i conseguenti cali di freschezza delle basi di Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco, si è trasformata in un motivo di promozione del territorio, che porterà presto alla nascita della tipologia Franciacorta “Mordace” e al conseguente aumento delle percentuali di Erbamat ammesse nella cuvée del Metodo classico (ora ferme al 10%).

Hanno storia e storicità anche gli autoctoni divenuti ormai una rarità sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene. Le prime testimonianze sul Verdiso risalgono al 1788 e sono legate ai coloni dell’Abbazia di Follina (TV). Il vitigno ha una buona vigoria e si adatta a molti tipi di terreno.

Anche le prime notizie della Bianchetta trevigiana risalgono al Settecento. Si suggeriva l’appassimento, per produrre vini dolci. In epoca più recente ha dimostrato il perfetto carattere alla spumantizzazione, tanto da risultare per decenni il vitigno più coltivato in una quarantina di comuni della Provincia di Treviso.

Varietà storica della zona di Conegliano e Valdobbiadene anche la Perera, nota anche come “Pevarise”. Santo Stefano e San Pietro di Barbozza (TV) le due zone in cui era più presente e riconoscibile, per la sua forma a “pera rovesciata”.

Apprezzata per le sue caratteristiche fruttate, fu decimata dalla fillossera ed ora è rara da reperire. Tre vitigni, insomma, non uno. Già in disciplinare. Chi ci crede, in Consorzio e tra i produttori, alzi la mano. Cin, cin.

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