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Terregiunte: marcia indietro di Masi e Vespa dopo l’attacco dei Consorzi


Terregiunte
, finalmente, è quello che è: un vino da tavola, come il Tavernello. Il ravvedimento (tardivo, in verità) è degli stessi Bruno Vespa e Sandro Boscaini (Masi Agricola), che hanno eliminato dal sito web ufficiale tutti i riferimenti all’Amarone e al Primitivo di Manduria. Una Docg e una Doc che non potevano essere nominati per fini commerciali.

Ora, sul portale del”Vino d’Italia” Terregiunte, la descrizione parla chiaro: “Blend Costasera Masi 2016 e Raccontami Vespa 2016 dal color rosso rubino profondo. Al naso balsamico con sentori di tabacco, amarena, mirto, prugna con un pizzico di cacao. Al palato la struttura è compatta, progressiva, densa e golosa. Sapido e potente, è caratterizzato da tannini eleganti e setosi. Piacevolissimo il finale con note di ciliegia e marasca”.

Tutto bellissimo, se non fosse che nel can can mediatico generato dopo la presentazione di Terregiunte a Cortina, l’etichetta abbia potuto beneficiare (anche sui media) della notorietà dell’Amarone Docg e del Primitivo di Manduria Doc.

Proprio a causa di questo uso improprio delle due Denominazioni, il Consorzio di Tutela Vini Valpolicella (il territorio dove viene prodotto l’Amarone) e il Consorzio per la Tutela del Primitivo di Manduria si sono schierati duramente contro le scelte di marketing e comunicazione del duo Masi-Vespa.

Resta il fatto che, nel nome di un “Vino d’Italia” nato per essere venduto principalmente in Cina, le due aziende abbiano deciso di declassare un Amarone e un Primitivo di Manduria.

A premiare il “vinaggio” firmato dagli enologi Riccardo Cotarella (per Futura 14 di Bruno Vespa) e Andrea Dal Cin (per Masi Agricola) sarà il mercato, non abbiamo dubbi. L’opinione pubblica, un po’ meno.

E all’appello, ora, mancano solo i commenti ufficiali dei diretti interessati, tra cui il governatore del Veneto, Luca Zaia, e il suo omologo pugliese, Michele Emiliano. Zaia, infatti, ha presenziato personalmente all’evento “Terregiunte” a Cortina. Emiliano si è invece collegato via Skype dal suo ufficio.

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“Terregiunte” by Vespa e Masi: un modo “figo” per chiamare un Tavernello


EDITORIALE –
Nasce “Terregiunte“, il “vino d’Italia” che sancisce il matrimonio tra Bruno Vespa e il patron di Masi Agricola, Sandro Boscaini. Un modo “figo” per chiamare una tipologia di vino che già esiste, in Italia: il “vino d’Italia”, la cui immagine più fulgida è costituita dal Tavernello.

“Terregiunte” è infatti il blend tra le uve Primitivo (di Manduria) e quelle tipiche del re dei vini rossi del Veneto, per lo più Corvina e Corvinone. Vendemmia 2016. Tredicimila bottiglie, sul mercato a partire da novembre. “Era una mia vecchia idea” spiega Vespa, che ieri ha riunito stampa e politici all’Hotel Cristallo di Cortina d’Ampezzo.

Tra gli altri, è intervenuto il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Collegato via Skype il suo omologo pugliese, Michele Emiliano. Non poteva mancare l’enologo Riccardo Cotarella, firma e “prevosto” di questo “matrimonio enologico tra Nord e Sud Italia”.

“Terregiunte – precisa Bruno Vespa – è un ‘nuovo Vino’, un blend, miscela di due o più uve per ottenere un taglio unico: di Primitivo, vino dallo spiccato carattere mediterraneo, e Amarone”.

Quella di Vespa e Masi Agricola è tutto tranne che una novità. Il riferimento non è a quella clamorosa gaffe di Contri Spumanti, colosso veneto che fino al 2016 presentava sul proprio sito web un’etichetta – il Primitivo di Manduria Doc “Contessa Carola” – dichiarando sulla scheda tecnica di aver utilizzato la Corvina.

Bensì al più noto, quanto bistrattato, “vino d’Italia”: il Tavernello. Caviro, l’azienda che lo produce nel famigerato Tetra Pak, ma anche in bottiglia, lo ottiene “blendando” di anno in anno le uve prodotte dai soci di tutto il paese, dalle regioni del nord a quelle del sud. Ottenendo, grazie anche all’abilità degli enologi, un prodotto uguale di anno in anno. Di vendemmia, in vendemmia.

IL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI
Potrà non piacere il paragone tra “Terregiunte” e il Tavernello, ma tant’è. E fa specie che politica e istituzioni del vino non intervengano, anzi avallino questo progetto di marketing di due privati, che si fregiano dell’utilizzo della parola “Amarone” per promuovere un prodotto che non è Doc, non è Docg e non è un Igt. È un Tavernello. Solo più figo.

Infine, diciamocelo. Questo vino, nato dall’improvviso (ma mica tanto, cisternamente parlando) amore tra il Veneto e la Puglia, è anche colpa vostra. Di voi critici enogastronomici, che bandite il Sagrantino di Montefalco come “imbevibile” e “troppo tannico”, gioendo alle versioni detanninizzate, morbide come la gommapiuma a 6 mesi dall’imbottigliamento.

E’ colpa di chi chiede “l’Amarone pronto subito“, perché così “fresco e beverino”. Un po’ come è colpa di chi si è “stancato di aspettare 10 anni un Barolo”. Bevete questo, allora. Bevete il “blend d’Italia”. O le etichette di Caviro, enologicamente perfette e senza gli inutili, poetici fronzoli di “Terregiunte”. Cin, cin.

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