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Dazi Usa sul vino, parla importatore italiano: “Catastrofe in vista, Trump si ricreda”

Nicola Biscardo è uno degli importatori di vino italiano a rischio chiusura negli Usa. La scure dei dazi prospettati da Trump si abbatterebbe senza via di scampo su Conexport e sulla “sorella” americana Nicola Biscardo Selections. “Una catastrofe da evitare”, dice. In queste ore, Biscardo si trova negli Stati Uniti.

Un viaggio – il primo dell’anno – programmato “per tastare il terreno”, dal momento che oggi scade la possibilità di presentare osservazioni al Dipartimento del Commercio americano (Ustr), prima che venga presa una decisione definitiva sull’applicazione di dazi fino al 100% su tutti i vini europei, per effetto della sentenza AirBus.

Operativa dal 1987, la Nicola Biscardo Selection è cresciuta in fretta, in un mercato che vale per l’Italia 1,7 miliardi di euro. Dalle 6 aziende iniziali, messe insieme dal padre in altrettante regioni (Trentino Alto Adige, Piemonte, Toscana, Marche e Friuli Venezia Giulia, dal quartier generale del Veneto) il portafogli si è allargato a 33 cantine.

Nicola Biscardo, qual è il giro d’affari delle sue aziende?
Conexport, l’azienda esportatrice, e Nicola Biscardo Selection, l’azienda che importa dagli Usa, raggiungono i 3 milioni di euro di fatturato annuo. Abbiamo anche aperto una terza azienda di distribuzione nell’Illinois, la Simple Farmer Wines, che ha chiuso il 2019 sfiorando i 5 milioni.

In quanti Stati siete operativi?
Siamo operativi in 22 Stati, con altrettanti distributori locali. Siamo invece distributori ufficiali nell’Illinois.

Quanto è preoccupato dai dazi prospettati da Trump?
L’argomento è molto scottante e non dormiamo con tutti e due gli occhi chiusi, ormai da un paio di mesi. Siamo in grande agitazione e fermento: di fatto, il governo americano deve prendere una decisione sulla nostra vita. Se si deciderà per i dazi al 100%, il gioco, per noi, sarà finito.

La mia azienda americana andrà in fallimento, la manderemo in liquidazione. Probabilmente vedremo di far sopravvivere la sola azienda nell’Illinois, che distribuisce anche vini di altri Paesi, non solo quelli italiani. Anzi, la maggior parte del fatturato deriva dalla vendita di vini provenienti dalla California.

Crede davvero che si concretizzi la minaccia del 100% di dazi?
Non credo assolutamente che Trump imporrà il 100% a valore sui prodotti europei, perché l’impatto negativo di questo provvedimento investirebbe l’economia degli Stati Uniti, ancor prima di quella europea. Ritengo che il governo Usa decida di applicare il 25% anche sui prodotti italiani, limitando i danni.

In questo caso, quale sarebbe lo scenario?
Se questo dovesse accadere non sarebbe la fine catastrofica annunciata con i dazi al 100%, ma un danno economico per noi forte: il mercato americano con un tariffa così, si aspetta che venga assorbita alla fonte, dunque che se ne facciano carico i produttori italiani che devono far pagare meno il loro prodotto, gli importatori americani, ma che non venga tradotto in un aumento del 25% del costo del prodotto sullo scaffale americano.

La filiera del vino riuscirebbe ad “assorbire” dazi al 25%?
Ci sarà un danno economico serio per gli importatori come me. Ma saremo in grado di sopravvivere, chi più, chi meno (bene). Col 100% sarebbe la fine: una vera e propria catastrofe, da scongiurare a tutti i costi.

Eppure Trump sembra avere il vento in poppa, negli States
L’economia vola negli Stati Uniti. Trump gode di un vasto consenso, anche perché la performance dell’economia americana traina l’occupazione. Gli Usa sono prossimi allo zero nei livelli di disoccupazione (3,6% per l’esattezza, con l’Italia al 9,7% a ottobre 2019, ndr) e questo non può che essere un altro elemento in favore di Trump.

Trump, anche in ottica impeachment, potrebbe dunque essere clemente?
Certamente guarda con grande attenzione al mantenimento del gradimento elettorale. I dazi al 100% sul valore dei prodotti europei darebbe un duro colpo all’economia americana. Bisogna infatti ragionare in ottica di filiera.

I piccoli e medi importatori, ma anche colossi come Southern Wine & Spirits, Premier Wine & Spirits, Republic National Distributing Company, Michael Skurnik Wines o Winebow si ritroverebbero senza prodotti da vendere, per via dei costi all’origine.

L’americano medio ha capito cosa potrebbe accadere?
Direi di no! Sostengono che berranno più vini californiani, dell’Oregon, del Cile dell’Argentina, del nuovo mondo. Ma non è così semplice. Perché non è solo il vino e il food ad essere interessato da un simile provvedimento. Pensiamo solo agli spedizionieri, alle compagnie navali in partenza dall’Europa, ai camion, ai porti americani vuoti.

Ma anche ai facchini, gli autotrasportatori, i padroncini. Per non parlare dei magazzini: tutti gli importatori europei hanno magazzini o in New Jersey o in Calinfornia, che sono gli hub di arrivo della merce europea.

Sono magazzini di proprietà americana. Migliaia di metri quadrati che rischiano di rimanere vuoti, con conseguenze che potrebbero interessare anche il mercato immobiliare. Per non parlare del mercato dell’automobile, interessata con furgoni e mezzi di trasporto. Il prodotto “vino”, in sé, è solo la punta dell’iceberg.

Eppure, secondo dati Nomisma Wine Monitor, gran parte degli americani beve americano
Vero, ma quanto sarà veloce lo switch dei consumatori dal vino dell’estero non più disponibile all’aumento dei consumi di vino nazionale? Quanti ristoranti, italiani e non, saranno in grado di cambiare le carte dei vini, in poco tempo, di punto in bianco? D’altro canto, sul fronte prezzi, i vini locali andrebbero alle stelle.

Gli importatori locali si sono mossi con decisione contro il provvedimento?
Per evitare dazi al 100%, i professionisti locali stanno inviando al Congresso i loro report. La tesi principale è che il provvedimento rischia di mettere in ginocchio gli americani, prima ancora degli europei. La scorsa settimana, non a caso, sono andati in audizione diversi manager delle grandi aziende locali.

Personalmente, già un mese fa ho ricevuto il link per poter inviare al Governo le mie considerazioni, come tutti i distributori locali con cui collaboro nei vari stati. Dal punto di vista Usa ho assistito a una grande mobilitazione del settore, che si è dato molto da fare, in massa, per far comprendere la pericolosità del provvedimento.

E le autorità italiane? Ha percepito vicinanza?
Delle iniziative italiane, in America, non è giunta notizia: non ho sentito nessuno dei miei distributori lodare le azioni del nostro Paese contro i dazi, siano esse delle istituzioni o degli organismi della filiera. Sarò negli States per le prossime tre settimane proprio per testare il mercato, a fronte dell’imminente decisione.

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