Vermentino Primitivo Ribolla Gdo
I dati Circana svelano le tipologie in maggior crescita nel formato da 75 cl. Successo per i bianchi profumati e i rossi del Sud. Quali sono i vini che crescono di più nella GDO italiana nel 2024? La risposta arriva dal report Circana per Vinitaly 2025, che fotografa l’andamento delle tipologie nel formato più rappresentativo: la classica bottiglia da 75 centilitri. Ai vertici della classifica, Vermentino, Primitivo e Ribolla, seguiti dal Metodo Classico.
Vini al supermercato: Top 5 per crescita in litri nel 2024
Una classifica che evidenzia la voglia di freschezza e tipicità da parte dei consumatori. I bianchi aromatici e i rossi strutturati del Sud si impongono tra le preferenze d’acquisto.Vermentino Primitivo Ribolla Gdo.
Fattori vincenti: qualità, prezzo e identità
Il successo delle tipologie in crescita si spiega con un posizionamento accessibile (tra i 3,50 e i 5,50 euro per 75cl) e una forte riconoscibilità geografica. Il Vermentino, ad esempio, ha successo grazie alla sua associazione con Sardegna, Liguria e Toscana. L’impressione? Che Vermentino, Primitivo e Ribolla Gialla continueranno la loro scalata delle preferenze degli italiani tra i vini al supermercato, anche nel 2025.https://www.circana.com/news?type=press+releases
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
do classico. Capitanata brinda al futuro con un calice di spumante metodo classico. È nata l’Associazione Capitanata Spumante Metodo Classico, una nuova realtà che unisce sette cantine di San Severo, guidate da un nome notissimo della spumantistica della Puglia, d’Araprì. Presidente dell’associazione è proprio uno dei tre fondatori e titolari di D’Araprì, Girolamo D’Amico, che con Louis Rapini e Ulrico Priore produce metodo classico a San Severo da metà degli anni 80. Al centro di questo progetto dal nome ambizioso, che sembra guardare ben oltre la cittadina della provincia di Foggia in cui si trovano le sette cantine dell’associazione, c’è il vitigno Bombino Bianco.https://www.darapri.it/
CAPITANATA SPUMANTE METODO CLASSICO: BOMBINO BIANCO PROTAGONISTA
Una varietà che si presta alla spumantizzazione metodo classico, grazie alla sua acidità naturale e al suo buon potenziale nell’affinamento sui lieviti. Lo sanno bene non solo i consumatori italiani, ma anche i mercati internazionali, dalla California al Giappone, passando per Belgio e Germania. Mai prima d’ora, però, i produttori locali erano riusciti a fare squadra su un prodotto. La produzione annua delle cantine associate si attesta già intorno alle 300 mila bottiglie. Ma l’impegno dell’Associazione Capitanata Spumante Metodo Classico non si limita alla promozione delle “bollicine”. Grande attenzione sarà rivolta alla valorizzazione dei vini locali certificati con denominazioni San Severo Dop, Igp Daunia e Igp Puglia, oltre alla sempre più importante produzione biologica. La tradizione enologica locale, di fatto, è legata sì al Bombino bianco, ma anche a vitigni a bacca rossa come Montepulciano, Sangiovese e Nero di Troia.https://www.winemag.it/la-capitanata-dei-vini-della-daunia-e-pronta-per-il-vinitaly/
METODO CLASSICO NELLE CANTINE IPOGEE DI SAN SEVERO
Il metodo classico a San Severo ha radici che risalgono agli anni Settanta, grazie soprattutto alla visione pionieristica della cantina d’Araprì. La prima nella Capitanata a credere nel potenziale del Bombino Bianco per la produzione di spumanti di qualità superiore, con affinamento sui lieviti da 18 mesi fino anche oltre 60 mesi per alcune riserve speciali. Si ottengono così bollicine di Puglia molto eleganti, dal perlage al profilo organolettico, caratterizzate da note di fiori e frutta fresca e crosta di pane, con la tipica freschezza del Bombino Bianco. Ma il prodotto in sé non è tutto. Uno dei punti di forza dell’Associazione Capitanata Spumante Metodo Classico è costituito dalle cantine ipogee di San Severo.
Un vero e proprio tesoro nascosto, con oltre 540 grotte sotterranee che attraversano la cittadina alle porte di Foggia. In molti casi, ancora utilizzate per l’affinamento di vini e spumanti. Le condizioni naturali di temperatura costante e umidità elevata delle cantine sotterranee contribuiscono al lento e raffinato processo di affinamento. La ciliegina sulla torta, utile non solo per gli aspetti produttivi, ma anche per la promozione dell’enoturismo della zona. «Vogliamo essere ambasciatori della qualità della Capitanata nel mondo – commenta il presidente Girolamo D’Amico – creando esperienze indimenticabili per chi visita le nostre cantine. Crediamo che il nostro vino possa diventare un simbolo di eccellenza e una straordinaria opportunità, non solo economica ma anche culturale. Noi ci crediamo davvero».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
denny de vito classese. Mille dubbi e una certezza assoluta. Per l’Oltrepò pavese che, ieri pomeriggio, ha scelto il nome Classese per rilanciare il Metodo classico Docg da uve Pinot Nero, oggi è un risveglio “da vigilia di Natale”. Nel toto-nomi da affibbiare solo e solamente alle bollicine Docg, quello prescelto dall’assemblea del Consorzio ha già un ambasciatore d’eccezione. Sua maestà Denny De Vito. In una scena centrale di Ops! È già Natale – A Sudden Case of Christmas, remake di Improvvisamente Natale diretto da Peter Chelsom, l’attore e regista statunitense, di chiare origini italiani, imbraccia una magnum di Classese di Quaquarini. E la stappa, per celebrare la (presunta) notizia dell’arrivo di un altro bebè in famiglia. Non importa se la trama svelerà un’altra storia. La Magnum di Classese esplode. E la spuma schizza sul volto dei protagonisti, seduti a tavola. Una scena che, oggi, brilla negli occhi di Umberto Quaquarini, patron della cantina-gioiello di Canneto Pavese che ha deciso di cedere quel nome al Consorzio. «Per il bene del territorio».
UMBERTO QUAQUARINI: «HO DONATO IL CLASSESE, UN PEZZO DI FAMIGLIA, ALL’OLTREPÒ»
«Il nome Classese – spiega il vignaiolo a Winemag – è storico per lo spumante dell’Oltrepò pavese. Negli ultimi anni, tuttavia, siamo rimasti solo in due ad utilizzarlo: noi dell’Azienda agricola biologica Francesco Quaquarini e l’azienda Monterucco della famiglia Valenti. Un nome bellissimo, secondo me, che è sempre piaciuto anche a mio padre. Negli anni abbiamo proposto molte volte al Consorzio Oltrepò di utilizzarlo come nome collettivo degli spumanti Metodo classico Docg da uve Pinot Nero, come brand collettivo, ma ci hanno sempre detto di no. Le ultime ricerche affidate dal Consorzio ad enti esterni, per trovare un nuovo nome con cui chiamare la Docg, non hanno convinto. E così, prima con l’ex direttore Carlo Veronese e poi con il benestare dell’attuale direttore Riccardo Binda, abbiamo trovato la quadra».
Quaquarini e Monterucco hanno così ceduto al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese il “marchio”. Il gruppo di aziende oltrepadane guidato dal presidente Fabiano Giorgi ha poi ceduto, a sua volta gratuitamente, il nome al Consorzio. Classese è diventato così il nome assunto ieri pomeriggio dall’assemblea dei soci del Consorzio per lo spumante Metodo classico base Pinot Nero dell’Oltrepò pavese. «Non volevo diventasse una transizione economica a nessun livello – garantisce Umberto Quaquarini a Winemag – bensì una cosa per tutti. Classese è un nome nato liberamente e tale deve rimanere. L’unica cosa che ho chiesto è fosse strettamente legato alle sole bollicine metodo classico da Pinot Nero, ovvero alla gemma del nostro territorio. E così è stato. Qualcuno, invece, proponeva di poterlo usare anche per il Vsq o per gli spumanti con lo Chardonnay». denny de vito classese.
DUBBI (FUGATI) SULL’APPROVAZIONE DEL NOME CLASSESE DA PARTE DEL MINISTERO
«Oggi mi sento un po’ strano – ammette Quaquarini, evidentemente commosso – perché è come se avessi “ceduto” qualcosa di famigliare, a cui ero molto legato, insieme a mio padre. In realtà, se ci penso bene, ho donato a tutti i produttori un nome che diventerà ancora più importante e conosciuto. Simbolo degli spumanti metodo classico di qualità dell’Oltrepò pavese, solo da uve Pinot Nero. I produttori pavesi hanno così un nome unitario, così come altri grandi territori dediti alla produzione di spumanti come Franciacorta, Alta Langa e Trento Doc». Del resto, il Classese di Quaquarini resta una chicca. Prodotto al massimo in 15 mila bottiglie annue, è ottenuto da solo due vigneti selezionatissimi. In commercio c’è l’annata 2016, che lascerà spazio al millesimo 2017 a Vinitaly 2025.
«Il nome Classese – assicura il produttore – rimane in testa facilmente. È facile da ricordare e da pronunciare, anche se non abbiamo particolare evidenze all’estero, vendendolo poco fuori dai confini italiani».y de vito classese. Quanto alla possibile censura del nome da parte del Ministero, che potrebbe bloccare l’iter di approvazione del provvedimento, il Consorzio guidato da Francesca Seralvo si è già mosso per trovare garanzie legali. «Anni fa – rivela Umberto Quaquarini – il Ministero dell’Agricoltura aveva bocciato il nome Classese perché era troppo uguale a “metodo classico” e creava confusione. Il Consorzio fece ricorso e lo perse, ma nessuno portò avanti la discussione. Già con Carlo Veronese, negli anni scorsi, l’argomento fu ripreso in mano. Il nuovo direttore Riccardo Binda assicura di aver già effettuato i controlli legali necessari, per assicurarsi che nessuno possa bloccare più questo nome».
IL CONSORZIO: LA FAMIGLIA QUAQUARINI HA GARANTITO LA CONTINUITÀ DEL CLASSESE
«La continuità commerciale del Classese – conferma Riccardo Binda – è stata garantita dalla caparbietà della famiglia Quaquarini nel tenerlo vivo negli anni. Sul nome non ci sono dubbi. Il Ministero aveva dato un parere contrario, nel 1991, perché ammiccava a “metodo classico”, ma il Classese è ora esclusivamente Metodo classico! La certezza, quando si fanno modifiche di nomi di denominazione, non c’è mai. Ma niente, in questo momento, può dare più garanzie di Classese. Ed era l’unica scelta praticabile – conclude il direttore del Consorzio -. Tutte le altre sono boutade lanciate da chi non ha ben chiari tutti i meccanismi del sistema delle Doc». Mal che vada, uno squillo a Denny De Vito. E via.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Oltrepò pavese Docg Metodo classico Pinot Nero Brut 2013, Oltrenero (12%, 96 mesi sui lieviti).
Perlage: 10 Fiore: 9 Frutto: 9 Freschezza: 9 Sapidità: 6 Percezione alcolica: 5 Armonia complessiva: 9.5 Facilità di beva: 9.5 A tavola: 9.5 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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EDITORIALE – Bonarda o Metodo classico? Sangue di Giuda o Pinot Nero? La scelta dei vini da promuovere è al centro del dibattito del Consorzio Oltrepò Pavese, che si ritrova a dover affrontare nel 2025 l’ennesimo ribaltone. Nove cantine, tra cui diversi imbottigliatori e aziende con ingenti interessi nel mondo del Bonarda e di altre tipologie di vini locali – quasi tutte caratterizzate da grandi volumi e prezzi aggressivi sugli scaffali dei supermercati – hanno deciso di uscire dal Consorzio a fine 2024. Non a caso, tra le recriminazioni (ufficiali) fornite dalle nove aziende dimissionarie, l’enfasi maggiore viene data alla presunta mancanza di «proporzionalità tra contributi versati e promozione delle singole denominazioni». «Ormai da mesi – denunciano le 9 cantine uscite dal Consorzio – è stata azzerata quella su prodotti ritenuti “minori”, ma che in realtà sono quelli su cui oggi vive l’intero territorio».
Per accorgersi che al centro del dibattito ci sia soprattutto la Bonarda, apparentemente “accantonata”, di recente, da un Consorzio che – sotto la guida della presidente Francesca Seralvo e del direttore Riccardo Binda – sembra invece voler puntare più sul Pinot Nero (in primis Metodo classico, ma anche rosso fermo), basta analizzare le ultime mosse della precedente gestione dell’ente. Il duo Gilda Fugazza – Carlo Veronese, espressione vicina al mondo degli imbottigliatori oltrepadani (ovvero alla gran parte delle aziende oggi dimissionarie) aveva dato il via a una massiccia operazione di marketing sulla Bonarda, con numerosi post social e affissione di manifesti pubblicitari in città come Milano.
BONARDA, ALIAS “RED BOLLA”: UNA CAMPAGNA… DIMENTICABILE
Toni piuttosto discutibili quelli scelti, a suo tempo, per promuovere la Bonarda. Sul profilo Instagram del Consorzio Oltrepò, accompagnate da immagini e grafiche finanziate da un contributo Masaf, appaiono frasi come:«Equilibrismo enologico: quando l’amore per la Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc raggiunge nuovi livelli!»; «Chi ha detto che il multitasking è difficile? Ecco a voi l’arte della ‘Bonarda balancing‘!»; «Dalle campagne pavesi con furore, la Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc merita un selfie anche quando scollina su Milano»; o ancora: «Ogni volta che entro in un locale, incrocio le dita… nella speranza di trovare la mia adorata Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc», che sembrano non aver fatto molta presa, se si considerano le recenti recriminazioni dei dimissionari, già preoccupati dalla “distrazione” di fondi su altre denominazioni.
I (TANTI) VOLTI (ED INTERESSI) DELLA BONARDA
Da notare che all’epoca (era il 2023) nessuna piccola azienda del Consorzio si era opposta (almeno ufficialmente) a una così massiccia promozione di una denominazione sulla quale si concentrano principalmente interessi di imbottigliatori e grandi cantine. Vero, poi, che il territorio è ormai storicamente diviso anche sulla Bonarda: da un lato quella “di massa”, di aziende come Losito e Guarini (tra le dimissionarie, che più volte l’ha proposta in Gdo a prezzi promozionali davvero stracciati). E dall’altra la “Bonarda dei produttori”, nota anche come “Bonarda perfetta” realizzata per “statuto” – dell’ormai silente “Distretto dei vini di qualità” dell’Oltrepò pavese – da aziende di filiera, con uve Croatina in purezza e rese contenute rispetto ai limiti stabiliti dal disciplinare. Qualcosa, insomma, che non può essere sintetizzato, anzi – diciamola tutta – “sbeffeggiato” dall’assurdo claim “Red Bolla”, affibbiato dalla precedente gestione del Consorzio Oltrepò alla Bonarda, in stile “Milanese imbruttito”.
LO SCONTRO POLITICO: A CHI GIOVA?
Ma ci sono anche altri aspetti da sottolineare e analizzare, rispetto al tempismo dell’uscita di nove aziende dall’ente oltrepadano. La recente elezione di Michele Zanardo a presidente del Comitato nazionale vini Dop e Igp è una di queste. Si tratta infatti di una figura molto vicina all’Oltrepò pavese. Zanardo è enologo di Bosco del Sasso, la cantina dell’Oltrepò fondata e guidata da Manuela Elsa Centinaio, sorella del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. L’esponente della Lega, pavese di nascita, è da mesi protagonista di uno scontro diretto sui social con il Ceo e figlio del presidente di Terre d’Oltrepò, Umberto Callegari – membro del Cda del Consorzio – che non risparmia critiche feroci al gruppo guidato da Matteo Salvini, definendolo pubblicamente un «troglodita».
Con gli imbottigliatori fuori dai giochi del Consorzio, la centralità della cooperativa di Santa Maria della Versa negli equilibri dell’ente è ancora più evidente. E così lo sono le responsabilità della famiglia Callegari nei confronti di tutti i soci della cooperativa (che di recente si è dotata di una Spa, non senza polemiche). Lo scontro con il senatore Centinaio, che dal fronte politico si sposta su quello dirigenziale, toccando uno dei “nervi scoperti” oltrepadani, è una delle chiavi di lettura del futuro del territorio. Da considerare che, nel suo nuovo ruolo, Michele Zanardo sarà chiamato a “vidimare” – tra gli altri – le modifiche al disciplinare del Metodo classico base Pinot Nero dell’Oltrepò pavese: un altro motivo del contendere tra dimissionari e attuale Cda dell’ente di Torrazza Coste. Ammesso (e concesso) il ruolo super partes del numero uno del Comitato Vini, a chi giova uno scontro politico così acceso?
RIVOLUZIONE O AUTOGOL: L’OLTREPÒ DEI “PICCOLI” PUÒ FUNZIONARE?
Neppure troppo sullo sfondo c’è però una gigantesca opportunità per il Consorzio. Francesca Seralvo e l’ex Bolgheri Riccardo Binda, decisi a tirare dritto e a «governare l’ente anche senza erga omnes» sulla maggior parte delle denominazioni (i conti esatti si faranno a giugno 2025), potrebbero ritrovarsi a capo di uno dei pochi Consorzi del vino italiano realmente guidati da aziende di filiera. Un organismo “modello Fivi”, che da anni tenta di promuovere una modifica dei meccanismi di rappresentatività dei Consorzi del vino italiano.
In altre parole, quello che si sta profilando nel pavese è un Consorzio (per lo più) a “conduzione famigliare”, in cui le piccole e medie aziende hanno la meglio sugli imbottigliatori nelle logiche di promozione, come quelle che vedono appunto “contrapposto” Bonarda e Metodo classico. Ma anche, e soprattutto, nella stesura dei disciplinari di produzione, nella programmazione. E nella necessaria identificazione di una piramide della qualità ben definita, che oggi manca ai vini dell’Oltrepò. Alla finestra, tra l’altro, gli ultimi arrivati: i siciliani di Ermes, che hanno acquistato Cantina di Canneto e che hanno già dato parecchio filo da torcere al tessuto cooperativo locale, in occasione della vendemmia 2024 (la prima nel pavese).
IL PESO DELLA STORIA: BERLUCCHI TRA GLI “AGHI DELLA BILANCIA” IN OLTREPÒ
«Non ci sentiamo più rappresentati da un Consorzio che sta inoltre cercando in tutti i modi di modificare lo Statuto con lo scopo di accentrare i poteri decisionali al Cda», denunciano non a caso le cantine dimissionarie. Nel silenzio, più di nove aziende sono pronte a rimpiazzare – non quantitativamente, ma più che mai qualitativamente – quelle fuoriuscite. E si tratta proprio di piccole medie aziende di filiera, tra cui spicca il nome – pesantissimo – di Vigne Olcru: la cantina oltrepadana fortemente voluta dalla famiglia Ziliani (Berlucchi), profonda conoscitrice delle dinamiche pavesi e nuovo, prestigioso protagonista di un territorio che, sino ad oggi, con le “scelte a metà” – quelle alla Tancredi nel Gattopardo – ha raccolto poco, anzi nulla rispetto al proprio potenziale. Perché non è detto che “piccolo è bello”. Ma che fascino provarci, se non hai (quasi) nulla da perdere.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si chiama Lunaria il primo Pinot Nero Metodo classico di Bosco del Sasso, la cantina dell’Oltrepò pavese guidata da Manuela Elsa Centinaio, sorella del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. Uno spumante di qualità (Vsq) – non un Docg Oltrepò – dosaggio Brut, 30 mesi sui lieviti, che mostra la struttura corpulenta del Pinot Nero dei vigneti situati tra la Valle Versa e la Valle Scuropasso. Senza tuttavia perdere di vista l’obiettivo primario: la beva. Quattro gli ettari a disposizione di Bosco del Sasso in frazione Roncole 8, a Canneto Pavese. La cantina, tuttora in allestimento sul fronte dell’accoglienza del pubblico, ha aperto i battenti nel 2022, con Manuela Elsa Centinaio nel ruolo di amministratore unico della società. Un ritorno alle origini pavesi nelle vesti di imprenditrice vinicola, dopo i trascorsi nel settore Food & Beverage come responsabile della qualità.
ECCO LUNARIA, IL METODO CLASSICO DI BOSCO DEL SASSO
«Con Lunaria – ha spiegato Centinaio lunedì 2 dicembre, in occasione del lancio ufficiale del nuovo spumante, all’Enoteca Regionale della Lombardia di Broni – completiamo la nostra gamma di vini che raccontano l’Oltrepò pavese, nostra casa e territorio che abbiamo scelto e in cui crediamo molto. Dopo Buttafuoco Doc, Buttafuoco Storico Doc e uno spumante Extra Dry Metodo Martinotti “19.09“, chiudiamo il cerchio con un Metodo classico ottenuto da sole uve Pinot Nero». Lunaria richiama il nome di una pianta, conosciuta in Italia anche come “Moneta del Papa” – in Olanda come “Judaspenning”, ovvero “Monete di Giuda”, allusione ai trenta denari d’argento, paga di Giuda Iscariota – ma soprattutto il colore e la luminosità della Luna.
L’etichetta nera esalta la scritta dorata del logo di Bosco del Sasso, il cui simbolo è un cipresso. «Un filare di cipressi conduce all’ingresso della nostra cantina – ha sottolineato la titolare – aprendo la porta al nostro mondo. Lo stesso fa il packaging studiato da Alberto Cei, design director della branding agency Robilant, offrendo un’esperienza tattile, oltre che visiva, grazie ai rami del Pinot Nero stilizzati sullo sfondo, in rilievo. Un modo per comunicare che si può iniziare a degustare Lunaria sin dall’etichetta, a bottiglia chiusa».
L’OLTREPÒ PAVESE DI BOSCO DEL SASSO
L’enologo di Bosco del Sasso è Michele Zanardo. «Avevamo già tre vini – ha commentato – ma uno sgabello sta in piedi con quattro gambe. Dopo i primi due vini rossi è arrivato un Martinotti. Ma l’Oltrepò pavese è terra di Metodo classico e di Pinot Nero. Così è nato Lunaria, uno spumante che vuole essere fine, elegante e di gran bevibilità, in assoluta coerenza con il percorso dei vini di Bosco del Sasso, tutti orientati sul piacere della beva e sul desiderio che un sorso chiami l’altro, senza appesantire. Del resto sono convinto che il lavoro dell’enologo può dirsi compiuto solo quando la bottiglia finisce facilmente sul tavolo».
«Con Lunaria – ha aggiunto il sommelier della cantina, Roberto Galli – abbracciamo finalmente tutte le sfumature dello spumante da uve Pinot Nero dell’Oltrepò. Un vino perfetto come aperitivo con salumi, formaggi freschi o di media stagionatura, o in abbinamento con antipasti di pesce, crostacei o cucina di mare gourmet». Soddisfazione anche per il presidente dell’Enoteca regionale della Lombardia. «Eventi come questo – ha evidenziato Roberto Allegrini, sempre in occasione del lancio del primo metodo classico di Bosco del Sasso – consentono all’Enoteca regionale della Lombardia di raggiungere uno dei suoi obiettivi. Questo spazio non è di Regione Lombardia, ma è dell’Oltrepò pavese e dei produttori. Mi auguro che in molti prendano esempio, rendendo l’Enoteca regionale un riferimento per questo territorio e non solo».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
A S’Abba ‘e S’Alinu, il mare sembra destinato a rovesciarsi sulle montagne, da un momento all’altro. Quella linea blu sottile all’orizzonte sovrasta le cime e toglie il fiato, dall’omonimo vigneto di Antichi Poderi di Jerzu. Muovendosi verso gli 800 metri d’altitudine, pare d’essere immersi in una Jacuzzi. Con l’acqua salata pronta a riempirla in un baleno, scivolando dentro dai bordi. Giochi di prospettiva che abbracciano una terra dove tutto ha un nome. E dove ogni nome ha un perché. Come S’Abba ‘e S’Alinu: “S’Abba” è l’acqua di sorgente; “S’Alinu” è l’ontano, una pianta che cresce lungo i torrenti di cui ha sempre più sete questa terra.
Il sole di mezzogiorno – caldo, anche ad ottobre – accende le schegge di scisto ai piedi delle piante di Cannonau, tanto da farle somigliare a una distesa di cocci di vetro. Luccichii a intermittenza capaci di mescolare luoghi e memorie. Quello che potrebbe sembrare un angolo d’Alta Rioja, è invece il teatro dei più ambiziosi progetti della cooperativa di 408 soci distribuiti in una decina di comuni dell’Ogliastra, la costa e l’entroterra più selvaggio della Sardegna. Sette milioni di euro di fatturato e una ridistribuzione degli utili che, anche in tempi difficili per il mercato del vino, garantisce la sopravvivenza della viticoltura in aree a serio rischio di abbandono.
BACCU IS BAUS, BACCU S’ALINU E CINQUESSE: I CANNONAU DI PUNTA
«Grazie alla zonazione dei vigneti dei nostri soci – spiega con gli occhi persi all’orizzonte Franco Usai, direttore commerciale della 74enne cantina di via Umberto I – sono nati in passato vini come Marghia, Chuerra e Josto Miglior, dedicato al nostro fondatore. Da oltre cinque anni, il concetto delle macrozone si è evoluto. Siamo andati ancora più a fondo nell’analisi delle parcelle dei nostri Sardegna Doc Cannonau, individuando ulteriori eccellenze all’interno di ogni singola zona, come qui a S’Abba ‘e S’Alinu». Ecco dunque gli ultimi vini da “macro cru”. Ovvero Baccu Is Baus, Baccu S’Alinu e Cinquesse, la cui etichetta omaggia la nota artista sarda Maria Lai. «Il concetto di terroir – continua Usai – non è solo legato al suolo, ma anche alle competenze e all’interazione dell’uomo con la natura».
«Provo ogni volta delle emozioni nell’osservare colori e luci che si susseguono a perdita d’occhio, dal mare fino alla montagna, racchiudendo il senso del nostro territorio. In 15 minuti si può partire dalla spiaggia e arrivare alle sommità di un monte, incontrando sul tragitto i piccoli appezzamenti dei nostri soci». Un percorso che si traduce in una solida gamma di vini, territoriali e autentici. E in crescita qualitativa, di annata in annata, anche grazie alla consulenza dell’enologo Franco Bernabei. L’uso sempre più frequente del cemento e del legno grande, insieme al progressivo abbandono della barrique o a un suo utilizzo meno marcante, sta rendendo i vini di punta Baccu Is Baus, Baccu S’Alinu e Cinquesse vere e proprie gemme della Sardegna enoica.
ANTICHI PODERI DI JERZU: CANNONAU CERTEZZA, VERMENTINO FRONTIERA
Quello di Antichi Poderi di Jerzu è un puzzle bucolico che ha superato scossoni e burrasche tipiche di una terra da sempre sulla difensiva; mai abbastanza unita nel presentare all’Italia (figurarsi all’estero) le proprie eccellenze assolute. La cooperativa nuorese si è messa alle spalle il drastico calo delle superfici vitate della Sardegna degli anni Ottanta. Oggi è un autentico baluardo della grande tradizione vinicola sarda e del Cannonau, che guarda al Vermentino come nuova frontiera.
«I nuovi trend di consumo e la crisi generalizzata dei vini rossi – sottolinea il presidente Marcello Usala – non ci hanno toccato più di tanto. Il nostro Cannonau tiene, ma è importante pensare al Vermentino come a un’opportunità, in un’epoca in cui i vini bianchi vengono sempre più prediletti dai consumatori». Difficile, però, convincere i soci, in questa fetta di Sardegna legata a doppio filo al Cannonau. Le resistenze, certo, non mancano. Ma le azioni del management di Antichi Poderi di Jerzu sta dando i suoi frutti, coinvolgendo i viticoltori con ottime remunerazioni delle migliori uve a bacca bianca. Al punto che, al Vermentino, la cooperativa dedica ben tre etichette riservate all’Horeca.
La punta di diamante è Filare, ottenuto da una sapiente vinificazione in tonneau di rovere francese: un “SuperVermentino” che si regge sulla spina dorsale acido-sapida, lasciando al legno il ruolo di stratificare il sorso, ancora più gastronomico (tutt’altro che sbagliato osare nell’abbinamento con le carni bianche o la cucina orientale, speziata) e mostrando a tutti quanto Jerzu possa essere (anche) terra di ottimi vini bianchi. Alle sue spalle nella gamma Lucean le Stelle, volto agrumato, teso e sapido del Vermentino della Linea Il Fondatore. Un vino che chiama l’estate e, in cucina, i frutti di mare e i piatti di pesce. C’è poi Telavè (linea Selezione), che cattura l’attenzione col suo naso aromatico e convince con la freschezza di un sorso che invoglia la beva.
PODERI DI JEZU: PRIME PROVE SU UN (SORPRENDENTE) METODO CLASSICO
Se il terzetto del Vermentino è destinato a crescere in volume, un altro progetto potrebbe vedere la luce nei prossimi anni. Antichi Poderi di Jerzu sta infatti sperimentando, ormai da un quinquennio, sul Metodo classico. L’idea di inserire uno spumante nella gamma di vini della cooperativa stuzzica la presidenza e la direzione commerciale. Ma l’ipotesi di riversare sul mercato l’ennesimo spumante charmat generico, da un territorio che non vanta grandi tradizioni spumantistiche, non convince. Da qui la ferma decisione di virare su uno Champenoise, con affinamento sui lieviti medio-lungo. Guardando al Trento Doc denominazione italiana modello.
Il team enologico guidato da Franco Bernabei è andato tuttavia ben oltre, proponendo ad Antichi Poderi di Jerzu – al posto dello scontato Vermentino – due varietà di uva non certo avvezze alla Sardegna: Riesling italico e Petit Manseng. Il primo è diffusissimo in Oltrepò pavese, dove è vinificato con il Metodo classico dalla cantina Calatroni – l’etichetta è “Inganno 572”, Vsq Brut – con ottimi risultati. «Qui da noi matura benissimo», assicura il duo Usai-Usala.
Il secondo, più aromatico, è stato da poco ammesso alla coltivazione sull’isola e trova in Toscana un antesignano, ne “L’Eccezione” Brut Nature di Podere La Regola (ottenuto in realtà da una cuvée del “parente” del Petit Manseng, il Gros Manseng, con lo Chardonnay). Un’opportunità in più, il futuro Metodo classico di Antichi Poderi di Jerzu, per crescere all’estero rispetto all’attuale quota del 17%. Rafforzando un marchio che ha tutte le carte in regola per essere già considerato simbolo dell’isola, grazie a Cannonau e Vermentino.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
E se la prossima frontiera dello spumante Metodo classico in Italia fosse l’Umbria? Ci crede Marco Caprai, patron della storica cantina Arnaldo Caprai di Montefalco che ha dato vita, con Cantina Semonte, a una rete d’impresa dalla grande aspirazione: realizzare un distretto della spumantistica d’alta montagna, in Umbria. Il progetto Spum.E, acronimo di Spumantistica Eugubina, sarò presentato domani, per l’appunto a Gubbio. Ed è proprio alzando gli occhi dalla vie della bella cittadina medioevale della provincia di Perugia che si materializza il piano di Marco Caprai e della famiglia Colaiacovo, titolare dell’Azienda agraria Semonte e a capo del Gruppo Financo, holding da 600 milioni di euro di fatturato che detiene Colacem Spa, terzo produttore e distributore di cemento in Italia.
Fondamenta solide, insomma, per questo disegno visionario. L’Umbria ha il 30% del territorio in montagna e il restante 70% in aree fondamentalmente collinari. I primi due spumanti Metodo classico del progetto Spum.E – presentazione in programma a Vinitaly 2025 (6-9 aprile) – nascono da un vigneto di 6 ettari complessivi. Le radici delle piante di Chardonnay e Pinot Nero – cloni selezionati in collaborazione con il consulente agronomo ed enologo Leonardo Valenti – affondano su un altopiano posto tra i 750 e i 900 metri di altitudine. Proprio sulla cava di cemento della famiglia Colaiacovo. Una proprietà, dunque, di Cantina Semonte, che ha recuperato alcuni terreni abbandonati e impiantato le prime viti già a cavallo tra il 2009 e il 2010. Un progetto nel quale la Arnaldo Caprai di Marco Caprai si è inserita, forte del proprio elevatissimo know-how in campo enologico e commerciale.
SPUM.E, LA RETE D’IMPRESA PER IL METODO CLASSICO DI MONTAGNA DELL’UMBRIA
«Come ben sa chi mi conosce – spiega a winemag.it Marco Caprai – sono stato presidente della prima Associazione italiana sulle reti d’impresa, Made in Rete. Le reti d’impresa sono un mio pallino ed è questa la formula adottata con Cantina Semonte della famiglia Colaiacovo. L’idea iniziale era quella di fare dei vini fermi di montagna, sulla scorta del “Nebbiolo di Gubbio” di cui scriveva Veronelli, negli anni Sessanta. Grazie ad alcuni studi, abbiamo scoperto che la produzione a cui faceva riferimento era di Dolcetto, non Nebbiolo. Nel 2012 abbiamo fatto i primi impianti ad una quota di 600 metri. L’appetito è venuto mangiando. Così, tra il 2016 e il 2017, abbiamo trovato un terreno in montagna, completamente abbandonato, nell’area della cava di cemento della famiglia Colaiacovo. Gli splendidi suoli, ricchi di marna calcarea, ci hanno spinto a pensare che l’ideale produzione sarebbe stata quella di spumante Metodo classico. Le due vigne attuali, di Pinot Nero e Chardonnay, lambiscono i 900 metri di altitudine».
MARCO CAPRAI: «MEZZO MILIONE DI BOTTIGLIE PER IL METODO CLASSICO UMBRO»
«La rete d’impresa alla base del progetto Spum.E può ora crescere e allargarsi – sottolinea Marco Caprai – a chiunque voglia credere nel recupero e nella valorizzazione di territori di montagna abbandonati. Nel futuro, così, potremmo addirittura creare un vero e proprio “Consorzio di spumantizzazione“, con i soci che potranno contribuire ad allagare gli ettari vitati. Dove possiamo arrivare? Ragionevolmente, credo che la Spumantistica Eugubina possa raggiungere il mezzo milione di bottiglie (quelle attuali sono circa 15 mila, già pronte a salire a 40 mila, ndr). E iniziare così a fare sentire la propria voce sui mercati».
Sono già diverse, di fatto, le cantine nate nella zona di Gubbio dall’avvio del profetto Spum.E. E qualcuno, secondo indiscrezioni, avrebbe già iniziato a bussare alla porta del duo Caprai-Semonte. Si tratterebbe dell’Azienda vinicolaAndrea Formilli Fendi di Valfabbrica (PG). «La mia idea – continua Marco Caprai – è quella di creare un distretto, non di fare un semplice esperimento. Ognuno potrà imbottigliare col proprio brand, proprio come fa la Arnaldo Caprai e la Cantina Semonte con le bottiglie immesse sul mercato sin dal 2015». Rispetto delle particolarità aziendali, dunque. Ma pur sempre nell’ambito di una rete d’impresa.
METODO CLASSICO UMBRIA: IL PROGETTO SPUM.E – SPUMANTISTICA EUGUBINA
Ecco perché il prossimo step del progetto Spum.E potrebbe essere proprio quello della realizzazione di uno spazio comune per la produzione del Metodo classico d’alta montagna dell’Umbria. Un’area dedicata è già stata individuata all’interno della proprietà della famiglia Colaiacovo. Non lontano dagli attuali edifici della Cantina Semonte, a Gubbio, sorgerà un magazzino dedicato al confezionamento degli sparkling wine Made in Umbria. «Abbiamo in mano diversi elementi che dimostrano come la leva dell’altimetria può compensare la latitudine – sintetizza Marco Caprai – e l’Umbria ha tutte le carte in regola per dire la sua su questo fronte, grazie alla propria naturale conformazione». A dare ragione ai pionieri sono gli studi realizzati in collaborazione con l’Università di Milano, che ha messo a punto una mappa dei Comuni che ospitano le aree più adatte alla coltivazione della vite, integrata da un indicatore di fragilità socio-economica dei Comuni stessi.
LO SPUMANTE COME DRIVER PER VALORIZZARE LE AREE MONTANE DELL’UMBRIA
È stato così possibile mettere in evidenza quali aree sarebbero più interessanti per eventuali investimenti, in una zona in cui è possibile, al momento, acquistare un ettaro di terreno abbandonato per 2-3 mila euro. Cifre irrisorie che confermano la validità sociale ed economica del progetto Spum.E. Non senza ostacoli, anche su questo fronte. Come fanno notare i promotori, lo spopolamento dei territori e la polverizzazione fondiaria sono impedimenti indiretti, divenuti endemici dei territori montani e in quelli dove la viticoltura viene definita – non a caso – eroica (vedi la Liguria). La conseguente difficoltà per l’impresa è quella di reperire terreni vitati o “vitabili”, spesso posseduti da proprietari numerosi e disinteressati a qualsiasi recupero.
«In quest’ottica – evidenziano Marco Caprai e Giovanni Colaiacovo – è auspicabile un provvedimento per agevolare la ricomposizione fondiaria, necessario non solo per il sostegno alla viticoltura, ma in generale per l’intera agricoltura di montagna. Da tenere in considerazione sono anche le difficoltà legate all’abolizione della compravendita dei diritti di reimpianto e la necessità, anche in quest’ottica, di provvedimenti agevolativi per la vitivinicoltura montana». Il tutto, senza perdere di vista il focus principale, ovvero quell’«aspirazione all’eccellenza» che muove ogni passo di Marco Caprai. «Il mio modello sul fronte del Metodo classico? Un nome su tutti è quello di Maurizio Zanella, per quello che ha saputo fare in Franciacorta, con Ca’ del Bosco». L’Umbria in buone mani, insomma. Dalla premesse al futuro.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Derthona, Terre di Libarna eMonleale sono le tre sottozone della Doc Colli Tortonesi. Insieme raggruppano 46 comuni e 7 valli della provincia di Alessandria, vocate alla produzione di Timorasso e Barbera. Il tavolo vitivinicolo regionale di Regione Piemonte, in occasione dell’incontro di ieri mattina con il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto, ha dato il via libera alla modifica del disciplinare della Doc Colli Tortonesi che disegna un futuro ancora più chiaro per una zona che si sta facendo largo nel mondo, a suon di vini bianchi e rossi di estrema qualità. Su tutti, luce verde alla sottozona Derthona e a una migliore profilazione della sottozona Terre di Libarna, riservata ai soli spumanti. Tecnicamente si tratta di “UGA“, acronimo di “Unità geografiche aggiuntive” utilizzato per identificare le “sottozone”.
Provvedimenti per i quali è stata richiesta la retroattività volontaria alla vendemmia 2024, per chi già rispetterà i nuovi parametri. In caso contrario, le modifiche dovrebbero entrare in vigore a partire dalla vendemmia 2025, comunque non prima dell’avallo definitivo del Comitato nazionale Vini. Il provvedimento mescola le carte in tavola nei Colli Tortonesi, al solo fine di mettere ordine. Disegnando i contorni di un futuro ancora più chiaro per una zona che si sta facendo largo nel mondo, a suon di vini bianchi e rossi di estrema qualità.
DERTHONA, IL VINO DOC OTTENUTO DALLE UVE TIMORASSO
Addio, in primis, alla “Colli Tortonesi Doc Timorasso”, a compimento del progetto portato avanti sin dalla fine degli anni Ottanta da alcuni vignaioli alessandrini, su tutti Walter Massa. Un passo indietro, per farne cento avanti. Con “Timorasso” si andrà a identificare solo l’uva o, meglio, il vitigno. Con “Derthona” i vini Doc prodotti con uve Timorasso. Il nome è quello dato dai romani all’attuale città di Tortona, divenuta oggi un nevralgico centro agricolo, logistico e industriale della provincia di Alessandria. Proprio a Tortona ha sede il Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi. Il nome Derthona, ad oggi, è più che mai noto agli amanti del basket, grazie all’omonima squadra (di Tortona, per l’appunto) che milita in serie A.
La posizione centrale e strategica della città, negli ultimi anni, ha causato un accentramento di potere da parte di grandi gruppi dell’industria e della logistica, che ha finito per schiacciare la vocazionalità agricola della zona (nota, oltre che per il vino, anche per la Pesca di Volpedo). Il ricorso all’antico nome romano Derthona è un implicito richiamo alle radici rurali di Tortona, voluto da un Consorzio e da una base produttiva animata da vignaioli che mirano alla qualità assoluta del prodotto. Non sono un caso gli investimenti di grandi nomi del vino, soprattutto delle Langhe, avvenuti negli ultimi anni nel comprensorio della Doc. E c’è anche chi si “rifugia” qui dal vicinissimo (e tormentato) Oltrepò pavese.
SOLO VINI SPUMANTI NELLA SOTTOZONA / UGA TERRE DI LIBARNA (VAL BORBERA)
La seconda importante modifica riguarda la sottozona / UGA Terre di Libarna della Val Borbera, che si trasformerà ufficialmente nel cuore della spumantistica alessandrina. Una piccolissima “Alta Langa” del Timorasso, per usare un “eufemismo” senza uscire dai confini del Piemonte. Con una produzione annuale che si assesta attorno alle 12 mila bottiglie Doc, quasi esclusivamente prodotte da una cantina icona del territorio come Ezio Poggio.
Grazie a un’estensione della sottozona Derthona alle zone più vocate delle valli Borbera e Spinti, i vini fermi base Timorasso potranno rivendicare il nome Derthona. La menzione “Terre di Libarna” scompare, in sostanza, dai vini fermi. E sarà ascrivibile in etichetta solo sui vini spumanti. La scelta non è casuale, visto che la vallata in cui ricade la sottozona Terre di Libarna gode di altitudini e acidità delle uve che favoriscono la spumantistica. Per lo stesso motivo, in futuro, l’alta Val Curone potrebbe essere assoggettata all’UGA Terre di Libarna.
La mappa dei Colli Tortonesi (® Cantina Vite Colte)
PICCOLO DERTHONA, DERTHONA E DERTHONA RISERVA
Confermate dal Ministero anche le richieste del Consorzio relative all’esclusione dei fondovalle e delle altimetrie superiori ai mille metri, per una produzione e pianificazione “verticale” del Derthona che deve essere vino di qualità uniforme e riconoscibile. Tre le tipologie approvate: Piccolo Derthona, Derthona e Derthona Riserva. «Abbiamo ristretto il perimetro dei comuni – commenta a winemag il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto – portando la sottozona / UGA Derthona ad essere circa la metà della Doc Colli Tortonesi, grazie a 432 km quadrati di superficie rispetto ai 785 complessivi. Pochi sanno che la Colli Tortonesi è una Doc molto estesa in termini di territorio».
COLLI TORTONESI DOC: IN FUTURO NUOVE SOTTOZONE (UGA)
«Questa novità – continua Repetto, titolare dell’omonima cantina di Sarezzano – ci dà la grande possibilità di valorizzare le zone più vocate e di iniziare a lavorare al prossimo step, ovvero l’istituzione di altre sottozone (UGA), in areali a noi già ben chiari per la qualità costante delle uve e che fanno ben sperare per il futuro. La discussione sulle nuove “menzioni” si concentra piuttosto sul naming e su come renderle omogenee per tipologia e per uve. In definitiva, oggi abbiamo portato a casa il bersaglio grosso della modifica al disciplinare. Da domani lavoreremo un po’ più di fino».
NELLE ANNATE FAVOREVOLI SI ADOTTERÀ IL “SUPERO” PER IL PICCOLO DERTHONA
Dal punto di vista produttivo, le modifiche al disciplinare comportano un passaggio dagli 80 ai 75 quintali per ettaro, relativamente alla resa del Timorasso. La riduzione, un po’ a sorpresa, riguarda anche il Piccolo Derthona. Per la tipologia “di ingresso” della Doc, chiamata ad introdurre i consumatori a vini più stratificati e complessi (Derthona e Derthona Riserva, per l’appunto) l’ipotesi inziale era di 90 quintali per ettaro. Ma la proposta è tramontata dopo il primo confronto tra il Consorzio e i tecnici di Regione Piemonte. Al netto di un disciplinare restrittivo, che uniforma il “base” alla “Riserva”, l’asso nella manica sarà il ricorso al “supero di campagna”.
Un “escamotage”, normato dalle leggi vigenti, sino ad ora mai utilizzato dall’ente tortonese. «In annate favorevoli – annuncia ancora il presidente Gian Paolo Repetto – il Consorzio potrebbe deliberare il supero per il Piccolo Derthona. Questo ci permetterà una certa flessibilità a fronte di vendemmie positive sul fronte della quantità, ovvero in grado di garantire oltre alla qualità anche un certo volume di produzione. Il supero consentirà ancor più alla tipologia di “ingresso” della denominazione di avvalorare i propri risvolti, anche dal punto di vista strettamente “commerciale”».
LA VENDEMMIA 2024 DEI COLLI TORTONESI: BENE TIMORASSO E BARBERA
Non si parla neppure sottovoce di “supero” al cospetto della vendemmia 2024 dei Colli Tortonesi. Nel complesso, a conti fatti, il territorio registrerà una riduzione della produzione del 30% e una qualità da buona a ottima. Una novità interessante riguarda le gradazioni alcoliche dei vini atti a divenire Derthona e, ancor più, dei Barbera (Monleale incluso), altro vitigno principe della zona che tornerà su percentuali d’alcol in volume più moderate, dopo l’abbondanza delle annate precedenti.
Le maggiori difficoltà dell’annata 2024 riguardano i vigneti lavorati in regime biologico, con danni da peronospora che – in alcuni casi – vengono definiti «disastrosi» dai produttori alessandrini. La viticoltura biologica è molto diffusa all’interno della Doc Colli Tortonesi, al punto da assestarsi al 42% sul vitigno Timorasso (e dunque sui futuri vini Doc Derthona). La cifra del bio scende al 22-34% per il vitigno Barbera, la cui quota maggiore del vigneto è detenuta dalle cooperative.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Colomba Bianca punta sullo Spumante Metodo classico Sicilia Doc linea 595 100 mesi sui lieviti
Inizia una nuova sfida per la cantina Colomba Bianca in Sicilia: quella della «spumantizzazione con Metodo Classico Made in Sicily». Durante l’International Sales Meeting, in programma dal 28 al 30 giugno tra Marsala e le isole Egadi, la cantina di Mazara del Vallo (Trapani) animerà un dibattito sulla strategia di posizionamento dello “Spumante Sicilia Doc“. L’obiettivo è quello di rendere sempre più distintiva e riconoscibile la produzione spumantistica dell’isola sui mercati internazionali, anche attraverso un confronto con le etichette di altre affermate regioni italiane ed estere.
LE NUOVE FRONTIERE DELLO SPUMANTE IN SICILIA
Protagonisti del talk all’International Sales Meeting saranno il presidente di Colomba Bianca, Dino Taschetta, il direttore vendite e sviluppo commerciale Giuseppe Gambino e la marketing manager Cristina Genna. La tre giorni dedicata al racconto dell’innovazione contemporanea di Colomba Bianca – che presenterà i rivelerà le recenti scelte della cantina cooperativa, che conta 2.500 viticultori nell’area di Mazara del Vallo e 6.900 ettari di vigneto, con 6 impianti di vinificazione e affinamento.
IL NUOVO SPUMANTE 595 100 MESI DI COLOMBA BIANCA
La nuova frontiera produttiva è appunto quella del Metodo classico, rappresentato in casa Colomba Bianca dalla linea 595 di spumanti, che oggi conta un Blanc de Blanc, un rosè da Nero d’Avola e la limited edition “595” 100 mesi sui lieviti, ancora una volta base Chardonnay. «La nuova etichetta – anticipa il presidente Dino Taschetta – incarna il desiderio di valorizzare il percepito qualitativo dei vini di cooperazione. Innoviamo creando valore per il nostro territorio, andando oltre i preconcetti e le difficoltà». Secondo i dati dell’Osservatorio del Vino Uiv-Ismea, nel 2023 sono state vendute circa 936 milioni le bottiglie di spumante italiano, il 70% delle quali – 655 milioni – sono state posizionate nei mercati esteri.
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Tenuta Castelbuono Co. il Sagrantino di Montefalco cambia drasticamente volto migliori assaggi a montefalco 2024 winemag 1
Dal legno ai primari. Dalle (sovra) concentrazioni al frutto. Tenuta Castelbuono – Carapace è il volto più clamoroso del “nuovo corso” del Sagrantino di Montefalco e del Montefalco Rosso in Umbria. I vini umbri della famiglia Lunelli – ben più famosa per i Trento Doc Ferrari – sono cambiati in maniera drastica negli ultimi anni, spostando il paradigma enologico dai terziari alla freschezza: non più vini “pesanti”, “grassi” e molto tannici, a beneficio di eleganza e beva. Il tutto senza perdere di vista il varietale. Un segnale di attenzione ai mercati, che prediligono sempre più i rossi meno strutturati, al pari dei vini bianchi e degli spumanti. È quanto emerge in maniera netta dagli assaggi effettuati nei giorni scorsi “A Montefalco“, nuovo format studiato dal Consorzio Vini Montefalco e Spoleto e dall’agenzia di comunicazione Miriade & Partners, che prende il posto della storica “Anteprima Sagrantino“.
Un restyling dell’evento clou che richiama ogni anno, nella regione del centro Italia, un centinaio tra giornalisti e operatori del settore, per l’assaggio delle nuove annate dei vini locali. Il Sagrantino di Montefalco perde così la sua centralità – non in senso assoluto, ma relativo – per lasciare spazio soprattutto ai vini bianchi (in primis il Trebbiano Spoletino, ma anche il bistrattato Grechetto) e, in un certo senso, anche alle bollicine: dai pét-nat ai Metodo classico (chiedere per credere a Scacciadiavoli, passato in 20 anni da 2 a 80 mila bottiglie con ottimi risultati), che iniziano ad abbondare in zona. Del resto, nel 2023, i produttori di Sagrantino hanno dovuto fare i conti con pesanti cali delle vendite dei vini rossi di punta, in alcuni dei mercati principali.
È così che Tenuta Castelbuono – Carapace finisce per svettare tra i migliori assaggi dell’annata 2020 di Sagrantino di Montefalco, dentro e fuori dal calice. Il cambio di rotta stilistico della famiglia Lunelli in Umbria va infatti letto e interpretato come un segnale forte, da parte di una delle famiglie “forestiere” che ha deciso di investire in questo angolo di Umbria, sin dal 2001. Risale al 2012 l’apertura al pubblico dell’imponente cantina denominata “Carapace”, prima scultura al mondo «in cui si vive e si lavora», ad opera dell’artista Arnaldo Pomodoro.
Al netto della buona prova dei vini della famiglia Lunelli, il restyling di “Anteprima Sagrantino” porta con sé una diminuzione drastica dei campioni in degustazione – non solo per la mancanza delle “prove di botte” -. Solo 25 i Sagrantino di Montefalco Docg 2020 in degustazione, due i passiti. Diverso il discorso per il Montefalco Rosso Doc: solo 5 i 2022 (tra cui spicca ancora, appunto, Tenuta Castelbuono), 15 i 2021, 8 i 2020, 6 i 2019 e un 2018. I Montefalco Rosso Riserva Doc in degustazione in occasione de “A Montefalco” 2024 sono risultati solo 6, suddivisi in maniera equa tra 2021 e 2020.
I MIGLIORI SAGRANTINO 2020 E MONTEFALCO ROSSO 2022, 2021, 2020 E 2019
Nelle tre tipologie, oltre ai vini targati Lunelli, spicca l’ottima performance di Cantine Briziarelli, altra realtà che sembra aver deciso un alleggerimento del profilo dei propri rossi, senza dimenticare il varietale. Colpisce, in particolare, “Rosso Mattone” 2021 della casa vinicola fondata nel 2000 a Montefalco. Altra garanzia assoluta sono i vini di Arnaldo Caprai (“25 anni” e “Valdimaggio“, senza dimenticare il rapporto qualità prezzo dell’ottimo “Collepiano“) e Tabarrini (“Colle alle Macchie” e “Campo alla Cerqua” e il Rosso “Boccatone”).
L’ormai ex “presidente in ciabatte” lascia sbalorditi con “Il Bisbetico domato“, 100% Sagrantino di Montefalco che si conferma un faro per una denominazione che punta ad “alleggerire” il proprio profilo e a promuoversi sui mercati per la propria versatilità. superando l’ostacolo dei tannini. Molto bene anche i Sagrantino 2020 di Agricola Mevante, Antonelli, Goretti, Lungarotti, Romanelli, Scacciadiavoli e il “Vinum Dei” di Terre San Felice.
Tra i Montefalco Rosso 2021 spiccano, oltre ai già citati, il “Terrebianche” di Cesarini Sartori, Colpetrone, Tenuta Bellafonte con “Pomontino“, nonché – riecco – Terre di San Felice e Agricola Mevante (due aziende da tenere in ampia considerazione per il futuro). Tra i Montefalco Rosso 2020 ecco Fattoria Colsanto, ma è il solito Romanelli ad primeggiare con “Capo De Casa“. Tra i Montefalco Rosso 2019 la spunta “Giulio II” de Le Thadee, al pari di Perticaia.
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Resistente e popolare Oltrepo pavese scopre il Pinot Meunier
Non solo Pinot Nero per il Metodo classico dell’Oltrepò pavese. Negli ultimi anni, i produttori hanno scoperto il Pinot Meunier, terza varietà di uva della Champagne con 10.348 ettari. Conosciuto in Francia per la maggiore vigoria e resistenza al gelo rispetto a Pinot Noir e Chardonnay, il vitigno sta iniziando a prendere sempre più piede nei fondovalle oltrepadani. La strada per la sua definitiva consacrazione nella cuvée del Metodo classico Docg dell’Oltrepò è stata avviata dal Consorzio nei mesi scorsi. Dopo la modifica al disciplinare votata a maggioranza dai produttori nel dicembre 2022, il Meunier attende i necessari passaggi burocratici (Regione Lombardia, Roma, Bruxelles).
«Non va dimenticato – sottolinea il direttore del Consorzio di Tutela, Carlo Veronese – che ci sarà richiesto di dimostrare, a livello organolettico, le migliorie che il vitigno può apportare all’attuale cuvée della Docg». In prima fila tra i promotori c’è Oltrenero, la cantina oltrepadana della famiglia Zonin. «Al di là delle caratteristiche organolettiche – commenta il direttore Paolo Tealdi – nella discussione dell’inserimento del Pinot Meunier nella Docg fino a un massimo del 15%, c’è il fatto che è un vitigno che soffre meno le gelate. Fa molto comodo, ai nostri tempi, avere una varietà da poter impiantare nelle zone più basse, ossia nel fondovalle. Per lo stesso motivo è stato inserito il Pinot Bianco».
Grazie a “Cuvée Emme“, Oltrenero propone sul mercato un Meunier in purezza, sin dal millesimo 2017, ovviamente catalogato come Vsq – Vino Spumante di qualità. I due ettari della varietà francese sono stati impiantati nel 2012 su terreni profondi, argilloso-limoso-calcarei, con ricca presenza di marne. In commercio, al momento, c’è il millesimo 2018 (Brut Blanc de Noir, minimo 24 mesi sui lieviti). La base 2019, degustata in anteprima, alza ulteriormente l’asticella delle aspettative sul Meunier in Oltrepò pavese.
CRESCONO GLI ETTARI DI PINOT MEUNIER IN OLTREPÒ PAVESE
A crederci è anche Cantina Scuropasso, a Pietra de Giorgi. «È una varietà che abbiamo nel cuore – commenta il titolare, Fabio Marazzi – viste le grandi interpretazioni in purezza della Champagne, che conosciamo ormai da diversi anni. I produttori che piantano Meunier in Oltrepò stanno crescendo. Trovo che sia un bel segnale, ben oltre alla semplice “moda”. Noi abbiamo impiantato il nostro vigneto 6 anni fa, su terreni calcarei, scegliendo barbatelle dalla Francia e un’esposizione non troppo soleggiata. Si è ambientato molto bene: mostra una bella vigoria, con una resa di 90 100 quitali per ettaro. Abbiamo alcune prove di spumantizzazione in purezza, che abbiamo scelto di inserire nella Cuvée del nostro Blanc de Noir Roccapietra».
È Flavia Marazzi a spiegare le ragioni di questa scelta. «Ci siamo accorti che il Pinot Meunier conferisce una morbidezza e “grassezza” perfetta per essere abbinata al carattere del nostro Pinot nero. Aggiungendone il 10-15% ci consente di rispettare la nostra precisa identità stilistica, riducendo la necessità di ricorrere al dosaggio. Mi auguro che il percorso di introduzione del Meunier nel Metodo classico Docg dell’Oltrepò pavese giunga a compimento, in quanto è un vitigno nobilissimo, che dà ottimi risultati anche nella nostra zona. D’altro canto, l’apertura al Meunier offre un’opportunità in più ai produttori, senza toglie nulla in termini di territorialità e tipicità».
IL PINOT MEUNIER NELLA CUVÉE DELL’OLTREPÒ METODO CLASSICO
Della stessa opinione Alessio Brandolini: «Ho piantato mezzo ettaro nel 2013 – spiega il vignaiolo Fivi di San Damiano al Colle – in una vigna dove il Pinot Nero soffre molto il gelo, a 150 metri sul livello del mare, esposto a Nord. Sono molto contento di questa scelta: in questi anni, a parte nel 2017, non ho mai avuto problemi di gelate. Stilisticamente apprezzo il Pinot Meunier per la sua verticalità».
«Lo considero un vino da taglio – continua Brandolini – arrivando a un massimo di utilizzo dell’8% nella cuvée. Ne pianterò sicuramente altro nei prossimi anni, ma sempre nell’ottica di vitigno gregario: resto infatti convinto che in Oltrepò si debba puntare tutto sul Pinot nero. Sono stato tra i produttori più favorevoli alla sua introduzione nel disciplinare e ritengo sia molto più funzionale al territorio rispetto a vitigni come il Pinot Grigio, che non c’entra nulla».
Freschissima l’esperienza sul vitigno di Cantine Bertelegni. «Siamo tra gli ultimi ad avere impiantato questo vitigno in Oltrepò pavese – commenta Andrea Bertelegni – con lo scopo preciso di inserirlo nella nostra cuvée Metodo classico, formata così da Pinot Nero, Chardonnay e Meunier. La prima vendemmia “vera” è stata quella del 2023. Potremo dunque presentare sul mercato il nostro vino non prima di 24 mesi minimi di affinamento. L’obiettivo è arrivare a regime con a 36-48 mesi di affinamento. Più in generale, ci auguriamo che siano premiati gli sforzi del Consorzio per rendere più appetibile una Docg che, ad oggi, non lo è».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Miglior Metodo Classico italiano 2024 Giulio F.56 Underwater Azienda Agricola Federici La Baia del Sole top 100 winemag.it davide bortone
Il Miglior Metodo classico italiano 2024 è il Vsq Extra Brut Giulio F.56 Underwater dell’Azienda Agricola Federici – La Baia del Sole. Il punteggio assegnato in occasione delle degustazioni alla cieca della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 (acquistabile a questo link) è di 96/100. Si tratta di uno spumante tra i più unici in Italia e al mondo, ottenuto in Liguria da uve Vermentino. Il vino base dell’edizione UWW 2022 del Vsq Extra Brut Giulio F.56 affina in botti grandi di rovere. La vera particolarità è però il successivo “cantinamento subacqueo” delle bottiglie. L’operazione avviene a 52 metri di profondità, a Cala degli Inglesi, nell’area marina protetta di Portofino. Qui, la differenza di pressione, le correnti armoniche, la temperatura costante e la scarsa presenza di luce consentono allo spumante di sviluppare un perlage finissimo e un’evoluzione dei caratteri terziari dell’uva.
F.56 UNDERWATER DI FEDERICI: IL MIGLIOR METODO CLASSICO ITALIANO È “SUBACQUEO”
Alla vista, Giulio F.56 Underwater dell’Azienda Agricola Federici – La Baia del Sole si presenta di un color paglierino carico, con riflessi dorati. Il perlage si conferma molto fine e molto persistente. Naso sul fiore tipico del Vermentino, oltre che su una frutta di grandissima precisione e purezza, sull’esotico a polpa gialla. L’idrocarburo, netto, sottolinea l’avvenuta terziarizzazione degli aromi. Ma il quadro, tra naso e palato, è ancora più ricco e stratificato.
Si avvertono note di erbe della macchia mediterranea come rosmarino e alloro; agrumi, tra la scorza e la polpa, al limite del candito: cedro ancor più del bergamotto, pompelmo rosa, mandarino. Giulio F.56 Underwater è sapido in allungo, con ritorni di frutta e idrocarburo. Lo spumante Metodo classico dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it è il punto di incontro tra il presente e le tecniche di affinamento subacqueo più innovative.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
ESCLUSIVA winemag.it parla Berlucchi in Oltrepo per il Pinot Nero ci piace un sacco vigne olcru
Il telefono squilla alle 15.43. Dall’altra parte della cornetta c’è Cristina Ziliani. Una telefonata cordiale, per spiegare in esclusiva a winemag.it i contorni dell’acquisizione di Vigne Olcru, boutique winery dell’Oltrepò pavese, da parte di Berlucchi, nota casa spumantistica della Franciacorta di cui Cristina Ziliani è consigliere delegato. Per cominciare, il closing dell’operazionenon è stato ancora effettuato. «È tutto deciso ma si terrà a novembre – precisa la più grande dei tre figli di Franco Ziliani, compianto pioniere degli spumanti Metodo classico della provincia di Brescia – in una data che dobbiamo ancora stabilire insieme alla famiglia Brambilla, da cui abbiamo acquistato Vigne Olcru».
Perché Berlucchi investe in Oltrepò pavese? Le ragioni sono diverse. «Innanzitutto – spiega Cristina Ziliani a winemag.it – il Pinot Nero dell’Oltrepò pavese ci piace un sacco. In secondo luogo, si tratta di un vino spumante metodo classico Docg, come Franciacorta e Alta Langa. C’è poi da considerare la vicinanza alla nostra terra di origine. Pavia e Brescia sono vicine, quindi si tratta di un territorio comodo da raggiungere; certamente più vicino della Toscana e di Bolgheri, dove abbiamo l’altra cantina del gruppo, Caccia al Piano».
BERLUCCHI-VIGNE OLCRU: DALLA CUVÉE IMPERIALE A UN PINOT NERO OLTREPÒ
Praticità, pragmatismo e schiettezza tutta bresciana, certo. Ma gli Ziliani – e con loro il grande brand internazionale Berlucchi – non sono nuovi in Oltrepò pavese. Risale al 2009 la dismissione del centro di pressatura nella frazione Mairano di Casteggio (PV), fortemente voluto e utilizzato per anni, quando Berlucchi sedeva addirittura nel Consorzio Tutela Vini Oltrepò, in qualità di vinificatore. Proprio sulle colline pavesi crescevano le uve di Pinot nero destinate alla celebre Cuvée Imperiale, ai tempi non etichettata come “Franciacorta Docg” (oggi questo non sarebbe possibile).
La ricerca di un’azienda che rispondesse ai requisiti è stata lunga (nel mirino era finita anche Monsupello della famiglia Boatti). «Quello che cercavamo – spiega Cristina Ziliani – era una piccola cantina, una boutique winery dunque, con bella prospettiva e modernità. Il nostro intento non è quello di stravolgere un territorio o strafare. Vogliamo portare il nostro know-how spumantistico in una terra che già conosciamo piuttosto bene, come l’Oltrepò pavese, e provare a fare bene. Non abbiamo ancora, comunque, un piano strategico e di marketing legato a Vigne Olcru: potremmo decidere di utilizzare il loro brand, oppure crearne un altro. Di certo non utilizzeremo “Berlucchi” per i vini che produrremo in Oltrepò».
CRISTINA ZILIANI: «CI SIAMO FIDANZATI CON L’OLTREPÒ»
Intanto, i tecnici di Berlucchi e lo stesso Arturo Ziliani sono pronti ad affiancare la famiglia Brambilla di Vigna Olcru nella vendemmia 2023. «A giorni raccoglieremo i nostri primi grappoli in Franciacorta e nell’altra nostra cantina franciacortina Antica Fratta. Poi toccherà alla cantina toscana Caccia al Piano. In Oltrepò, per quest’anno, saremo osservatori. Mio fratello Arturo è uno sperimentatore. Ci va sempre con i piedi di piombo: pur conoscendo già il Pinot nero oltrepadano, vorrà prima toccare con mano i frutti dei terreni di Vigne Olcru prima di sbilanciarsi. Lo stesso sta facendo in Franciacorta con l’Erbamat: decine di prove di vinificazione in purezza. Non ama azzardare».
«Arturo – conclude Cristina Ziliani – dice sempre che ci vuole tempo per conoscere terra e uve. Non pretendiamo di arrivare come maghi in Oltrepò, ma in modo serio e con coerenza, senza voler fare numeri pazzeschi. Aderiremo al Consorzio? Dobbiamo ancora valutarlo, proprio perché il piano strategico di Vigne Olcru, sia dal punto di vista commerciale che di marketing, è ancora da mettere a punto. Per sintetizzare, possiamo dire che ci siamo di sicuro fidanzati con l’Oltrepò. Ma non abbiamo ancora deciso se ci sposeremo, se avremo dei figli e a che università speriamo di poterli iscrivere, un giorno». Prosit.
Berlucchi Franciacorta sbarca in Oltrepò pavese: acquistata Vigne Olcru
Berlucchi Franciacorta sbarca in Oltrepò pavese: acquistata Vigne Olcru. Accordo tra famiglie Ziliani e Brambilla a Santa Maria della Versa
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Alba e Langhe in arrivo tre nuovi spumanti Metodo classico da Nebbiolo e Rese Langhe Doc Bag in box varieta aromatiche Albarossa rose modifiche disciplinari
Tre nuovi spumanti Metodo classico da uve Nebbiolo in Piemonte. È quanto ha richiesto la maggioranza dei produttori aderenti al Consorzio Tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani. L’esito delle votazioni, raccolte in parte attraverso una raccolta firme (l’assemblea fissata a metà giugno non aveva raggiunto il quorum di partecipanti), è stato comunicato ieri alle cantine aderenti al Consorzio piemontese. L’iter per l’approvazione definitiva delle modifiche ai disciplinari potrebbe portare alla nascita di due sparkling Blanc de Noir – Nebbiolo d’Alba spumante Metodo classico vinificato in bianco e Langhe Doc Nebbiolo Metodo classico vinificato in bianco – e di un rosato, il Langhe Doc Nebbiolo Metodo classico rosé. I tre nuovi spumanti Made in Piemonte potrebbero vedere la luce a partire dalla vendemmia 2024.
Le votazioni sono state accompagnate da un dibattito a tratti acceso tra i produttori. L’esito è frutto di maggioranze tutt’altro che schiaccianti. Secondo fonti di winemag.it, l’accordo maggiore sarebbe stato registrato dal Nebbiolo d’Alba spumante Metodo classico da Nebbiolo vinificato in bianco. Il disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di origine controllata Nebbiolo d’Alba prevedeva già le tipologie “Nebbiolo d’Alba Spumante” (rosso) e “Nebbiolo d’Alba Spumante Rosé”. Il Blanc de Noir completerebbe la gamma di colori dello sparkling ottenuto da uve Nebbiolo, con l’avallo alla vinificazione in bianco della varietà allevata in 25 comuni situate sulle due sponde del fiume Tanaro. Un provvedimento che innalzerebbe il valore dei BdN albesi, per i quali al momento è obbligatorio il declassamento delle uve.
La vera svolta riguarda i due Metodo classico Langhe Doc da uve Nebbiolo, Blanc de Noir e Rosé. A spingere per questa tipologia sono soprattutto i produttori di Barolo e Barbaresco, a cui è stata negata l’introduzione del vitigno simbolo del Piemonte nel disciplinare dell’Alta Langa, lo Champenoise ormai diventato simbolo d’eccellenza del mondo delle bollicine piemontesi. Di qualche anno fa l’esplicita richiesta di produttori come Sergio Germano (Ettore Germano, Serralunga d’Alba), rispedita al mittente dall’allora management dell’Alta Langa, guidato dal 2013 al 2022 da Giulio Bava (Cocchi). Una decisione poi confermata anche dalla nuova gestione targata Mariacristina Castelletta (Tosti 1820), in carica appunto dallo scorso anno. Nessuna indicazione, al momento, sul periodo minimo di affinamento sui lieviti dei due nuovi spumanti langhetti base Nebbiolo (qualcuno spinge per un minimo di 24 mesi, proprio come previsto dal disciplinare dell’Alta Langa).
RESE, BAG IN BOX, VARIETÀ AROMATICHE, ALBAROSSA E ROSÉ
Le tre novità “spumeggianti” non sono le uniche ad essere state approvate. Sono state infatti richieste modifiche delle rese del Langhe Rosso e del Langhe Rosato, portate a 110 quintali per ettaro, rispetto ai 100 attuali. La recente introduzione del Langhe Doc Barbera, con rese pari a 110 quintali, impedisce al momento il declassamento utile alla produzione di uvaggi Langhe Rosso o Langhe Rosato. L’innalzamento di 10 quintali pareggia i conti tra le due tipologie e offre ai produttori nuovi strumenti di valorizzazione del Barbera.
Sempre sul fronte del Langhe Doc Bianco e Rosso, è stata introdotta la possibilità di utilizzo di varietà aromatiche nell’uvaggio. Un provvedimento già varato nel 2020 dalla Doc Piemonte. Si potrà quindi produrre, per esempio, un Langhe Doc Bianco da uve Moscato secco, pur con divieto di menzione della varietà. Permangono tuttavia dubbi su quello che sarà il nuovo profilo organolettico di vini “Langhe Doc Bianco” potenzialmente ottenibili da varietà aromatiche (anche in purezza), in precedenza non ammesse nell’uvaggio. Il mercato darà le risposte attese. A larghissima maggioranza è stata poi introdotta la tipologia Langhe Doc Albarossa, varietà ad oggi ascrivibile alla sola Doc Piemonte.
Un passo in avanti sui mercati internazionali riguarda poi il Bag in Box, tanto in voga nei mercati scandinavi, Norvegia in testa. Sarà presto possibile produrre Bag in Box Langhe Doc Bianco, Rosso e Rosato, pur senza menzionare le varietà dell’uvaggio né ricorrere a menzioni aggiuntive, come quella della vigna. In precedenza, i BiB langaroli non potevano essere etichettati come “Langhe Doc”, ma solo come vini generici. Un’altra modifica riguarda i rosati. Valoritalia, negli ultimi mesi, ha sanzionato diverse aziende piemontesi di Langa per aver etichettato i loro vini come “rosé” al posto che “rosati”. Con larga maggioranza, è stato proposto di introdurre nel disciplinare il termine “rosé”, ad oggi assente dai testi vagliati dal Ministero e pubblicati in Gazzetta Ufficiale.
MODIFICHE AI DISCIPLINARI DELLE LANGHE: LE TRE BOCCIATURE
Tre le bocciature alle proposte di modifica dei disciplinari del Consorzio Tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani. La prima riguarda la mancata approvazione della proposta di avvio dell’iter del “Doc Langhe Moscato secco“. Una denominazione a cui avrebbero potuto aderire molti produttori di Moscato d’Asti Docg i cui vigneti si trovano in provincia di Cuneo, in comuni importanti per la bollicina astigiana come Santo Stefano Belbo e Cossano Belbo, senza contare Neive, Santa Vittoria d’Alba e Neviglie. Un’opzione per il momento scartata, nonostante sul territorio del cuneese esista un brand, “Escamotage”, che raccoglie 13 produttori di Moscato secco.
La Doc avrebbe consentito loro di non declassare questi vini a generici bianchi da tavola, oltre a delimitare l’area di produzione del Moscato secco, creando valore e possibilità di accesso ai bandi europei, che ammettono solo vini a denominazione di origine. No anche al Langhe Doc Viognier, che continua comunque la sua strada nella Doc Piemonte. La terza ed ultima bocciatura riguarda la proposta di istituzione di un Langhe Doc Nebbiolo Superiorecon menzione di vigna, sulla scorta di Barolo e Barbaresco. La tipologia attualmente prevista, il Langhe Doc Nebbiolo, non ammette infatti menzioni di vigna per il Nebbiolo, a differenza di quanto invece concesso per i Langhe Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Favorita, Freisa, Merlot, Nascetta, Pinot Nero, Riesling, Rossese bianco e Sauvignon.
I barolisti temono che questa concessione possa scalfire fette di mercato di Barolo e Barbaresco, intaccando la salvaguardia delle due denominazioni al vertice della piramide qualitativa. Per i proponenti, al contrario, il Langhe Doc Nebbiolo Superiore con menzione di vigna sarebbe un’ottima via per proporre sul mercato vini con le stesse rese di Barolo e Barbaresco, immessi tuttavia sul mercato almeno un anno prima. Vini freschi, più beverini e “pronti” dei grandi Re di Langa, che avrebbero portato in giro per il mondo il nome delle vigne di Barolo e Barbaresco, stuzzicando i consumatori a fare, in seguito, l’upgrade. Tra bocciature e approvazioni, una cosa è certa: nella Langhe non ci si annoia mai. Dentro. E fuori. Dal calice.
Docg del Piemonte: 622 nuovi ettari tra Barolo, Barbaresco, Gavi, Asti e Alta Langa
Cresce il vigneto Docg del Piemonte: 622 ettari tra Barolo, Barbaresco, Gavi, Asti e Alta Langa. Le richieste (approvate) dei Consorzi
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Aristos Zero Pas Dose e il primo Metodo classico della Valle Isarco
È prodotto con uve Sylvaner il rpimo Metodo classico della Valle Isarco. La novità della subregione da scoprire dell’Alto Adige è firmata Cantina Valle Isarco, la più giovane realtà cooperativa vinicola regionale, da sempre votata alla valorizzazione dei vitigni a bacca bianca Kerner e Sylvaner. In questo solco si inserisce l’ultimo arrivato, Aristos Zero Pas Dosé, Metodo Classico 100% Sylvaner. Il millesimo di debutto è il 2019, con una tiratura di (sole) 800 bottiglie. Per le annate 2020 e 2021 la cantina ha alzato il tiro a 1800 bottiglie, puntando ancora più in alto nel 2022, anno in cui la produzione è aumentata a quota 3500 bottiglie.
L’obiettivo finale di Kellerei Eisacktal , cooperativa che ha sede a Chiusa (Bolzano), sono le 5 mila unità per ogni annata. «La Valle Isarco – spiega il direttore generale della cantina, Armin Gratl – è un territorio di vini fermi. Ma il Sylvaner, che per noi è una varietà molto importante, che fuori dall’Alto Adige è ancora poco conosciuta. Così, abbiamo pensato di creare una quarta etichetta dedicata al nostro Sylvaner, che accontentasse il trend mainstream delle bollicine e anche la nostra forza vendite. Una chance interessante, ovviamente solo se il risultato fosse stato di alta qualità».
ECCO ARISTOS PAS DOSÉ DI CANTINA VALLE ISARCO
«Per questo – continua Gratl – Aristos Pas Dosé nasce dopo una sperimentazione iniziata nel 2018. Sarebbe stato facile fare un Metodo Classico utilizzando come uve lo Chardonnay, ma noi puntavamo con questo progetto a valorizzare e dare visibilità ai nostri vitigni autoctoni. Il Sylvaner è perfetto per la spumantizzazione, a differenza del Kerner.
«Abbiamo selezionato la vigna – conclude il direttore generale di Cantina Valle Isarco – nonché il momento della vendemmia ideale per fare un base spumante e capito tutto il percorso da fare per spumantizzare al meglio. Abbiamo scelto la versione non dosata perché volevamo mettere in bottiglia tutta l’espressività di questo vitigno, senza “alterazioni” del dosaggio». L’ennesimo progetto che guarda al futuro per una cooperativa che, secondo le prime stime, festeggerà il 2023 con un fatturato di 15 punti superiore al record già raggiunto nella gestione 2021, pari a 6,3 milioni di euro.
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Prima dellAlta Langa 2023 il millesimo 2019 tra new entry e conferme reggia di venaria metodo classico piemontese
L’Alta Langa cresce nei numeri e nella testa. Il millesimo 2019, presentato in anteprima alla stampa e agli addetti del settore alla Reggia di Venaria lunedì 8 maggio in occasione della Prima dell’Alta Langa 2023 conferma l’attitudine alla qualità dei padri fondatori del Consorzio e dei loro “discepoli”. Altra costante della denominazione piemontese è la lettura fedele dell’annata nel calice. L’ultima annata si dimostra generalmente più verticale e tesa rispetto alla 2018 e perfetta per i lunghi affinamenti, con qualche (rara) eccezione dovuta alla scelta del dosaggio. Da poco sul mercato anche gli Alta Langa Riserva 2016, tra i quali spicca la doppietta di gran classe firmata Ettore Germano: un Blanc de Blancs e un Blanc de Noirs assolutamente da non perdere.
Tutti elementi che contribuiscono a disegnare in maniera sempre più netta i contorni di una Denominazione che non punta alla massa, ma al consumatore attento, formato, esperto. Molte aziende che negli ultimi anni hanno investito nell’Alta Langa hanno una reputazione consolidata nella produzione di vini fermi di pregio, come Barolo e Barbaresco. Cantine per le quali il Metodo classico non potrà mai essere un semplice “accessorio”, bensì la ciliegina sulla torta del puzzle di vini d’eccellenza, targati Piemonte.
Tra gli esordienti, a convincere su tutti è Anna Maria Abbona con il suo “San Bartomé” Extra Brut 2019 (4000 bottiglie per l’annata 2019, che diventeranno già 15 mila col millesimo 2021). «Per noi – spiega il cantiniere Lorenzo Schellino – l’Alta Langa, ad oggi, rappresenta un vino fatto in vigna. Sfruttando le zone a disposizione e i nostri suoli, otteniamo vini base predisposti per la spumantizzazione, senza grandi ritocchi in cantina. Vini di vigna, competitivi sul mercato anche a confronto con Champagne e altre grandi denominazioni».
Prima dell Alta Langa 2023 il millesimo 2019 tra new entry e conferme Enrico Serafino direttore commerciale Lino Lanfrancone 2
Prima dell Alta Langa 2023 il millesimo 2019 tra new entry e conferme Enrico Serafino direttore commerciale Lino Lanfrancone 1
Grandi conferme dell’intera gamma di Enrico Serafino che, con il direttore commerciale Lino Lanfrancone, analizza ancora più a fondo il fenomeno: «L’Alta Langa è prima di tutto una riappropriazione dei piemontesi delle origini del Metodo classico italiano, dato che siamo stati i primi in Italia a produrlo. I terreni sono di qualità indiscutibile: siamo in Langa, dove vengono prodotti Baroli e Barbareschi, al di sopra dei 250 metri. Il disciplinare è l’unico che dà un minimo di altitudine. Il Franciacorta, per esempio, dà un massimo di altitudine.
C’è voglia di rimettersi in gioco, di riproporre il grande Metodo classico italiano con vitigni internazionali come Pinot Nero e Chardonnay e di lavorare con vigneti di altissimo pregio per ottenere cuvée rappresentative di una parte del territorio e del vitigno.
Noi lavoriamo all’85% con il Pinot Nero perché reputiamo lo Chardonnay un vitigno adattivo, capace di adattarsi a dove lo si pianta: è un orgoglio avere grandi vigne di Pinot Nero, qui capace di dare grande longevità, piacevolezza, durezza, grinta, carattere. Non abbiamo timore di aspettare, anzi: oggi abbiamo portato uno Zero millesimo 2014 sboccato tre anni fa, quando in vendita abbiamo un 2017».
Eppure, tra i recenti ingressi nel mondo Alta Langa, non mancano interpretazioni “timide” del vigneto e del varietale, con dosaggi zuccherini volti a rendere – per ammissione stessa di alcuni produttori – più «commerciale» e «vendibile» la novità dell’assortimento. «A chi si approccio alla Denominazione – è il messaggio di Lino Lanfrancone – posso solo dire che l’esperienza fa la differenza. La Fiat ha sempre cercato di accontentare tutti, ma non è mai diventata leader. Puntando solo sulla qualità, Audi è arrivata in alto. Questo vale per auto, orologi, borse e vino. L’idea di base è distinguersi: dieci anni fa bevevano tutti roba tendenzialmente dolce, ma da quando i Pas Dosé hanno iniziato ad essere buoni, la gente si è spostata su questa tipologia».
Della stessa idea Sergio Germano (Ettore Germano): «Ho scelto di presentare alla Prima dell’Alta Langa 2023 le due riserve 2016, sboccate a novembre 2022. Per il Blanc de Blancs è la seconda annata, dopo la 2015. Per il Blanc de Noir si tratta invece della terza annata. Dopo un esperimento con meno di 2 mila bottiglie nel 2014 sono seguite 3.500 bottiglie per entrambe le tipologie nel 2015, sino ad arrivare alle 6 mila bottiglie per ciascuna delle Riserve 2016. I clienti hanno apprezzato queste nuove selezioni, abbiamo esaurito tutte le bottiglie delle annate precedenti. L’idea è quella di dare un messaggio alla tipologia riserva dell’Alta Langa, con uno spumante che permane sui lieviti 65 mesi, 5 in più dell’obiettivo minimo che si porrà il nuovo disciplinare, per la tipologia Riserva».
Secondo la mia esperienza, ed è un’opinione condivisa con altri colleghi – commenta ancora Sergio Germano – la differenza nell’Alta Langa di qualità la fa l’attenzione nella pressatura, la scelta delle frazioni, per non avere amari e acidità aggressive, partendo ovviamente da uve di qualità, con l’idea di fare un Pas Dosé. Esce così questo territorio che regala vini sapidi, minerali, freschi, connotati al contempo da un’estrema piacevolezza, nonché dalla tipica gastronomicità dei vini piemontesi. Il tutto con l’annata sull’etichetta, ovvero il millesimo. Sono poi convinto che il tempo è galantuomo con l’Alta Langa: bisogna lasciarlo sui lieviti, e con il tappo dopo la sboccatura»
E sul successo della denominazione: «È fisiologico – aggiunge il patron della Ettore Germano – che l’Alta Langa abbia iniziato a destare l’interesse di molti. Qualcuno più motivato, qualcuno più aggressivo e volenteroso di saltare su un treno che adesso viaggia veloce. Dobbiamo andare avanti così, senza abbassare l’asticella, convincendo i nuovi arrivati a condividere con noi gli obiettivi originari. Il fatto che l’Alta Langa sia veicolata dal Piemonte e dai suoi produttori è una garanzia di qualità anche per il futuro: un biglietto da visita pesante, in linea con la personalità e identità molto definita di questa denominazione, in un periodo in cui l’interesse internazionale cresce nei confronti delle bollicine».
Prima dell Alta Langa 2023 il millesimo 2019 tra new entry e conferme Sabrina Perrone Pas dose Azienda Agricola Fabio Perrone 2
Prima dell Alta Langa 2023 il millesimo 2019 tra new entry e conferme Sabrina Perrone Pas dose Azienda Agricola Fabio Perrone 1
Sabrina Perrone parla a nome di un’altra azienda che si affaccia per il secondo anno a un Alta Langa Pas Dosé, l’Azienda Agricola Fabio Perrone di Valdivilla, frazione di Santo Stefano Belbo (CN): «Il nostro Brut Nature 2019, 80% Pinot Nero e 20% Chardonnay, 2 mila bottiglie complessive, proviene da un vigneto a 650 metri sul livello del mare. Il vigneto può arrivare a produrre 6.500 bottiglie e le raggiungeremo, perché crediamo molto in questo vino e nella scelta di un dosaggio zero dettata dal nostro approccio: non aggiungere zucchero o liqueur ci consente di non “conciare” il vino, presentandolo in tutto il suo carattere e “pulizia”. Con il nostro ingresso nell’Alta Langa vogliamo puntare sul mercato italiano di nicchia».
Simone Allario Piazzo di Piazzo Comm. Armando di Alba (CN), è tra i sostenitori di una linea più “moderata”. «Siamo all’esordio nell’Alta Langa con le prime 3.600 bottiglie – spiega – e abbiamo dunque pensato a di partire tenendo conto innanzitutto dei risvolti commerciali. Siamo produttori di Barberesco e di Barolo e, anche in questo caso, con alcune etichette, ci stiamo concentrando sul concetto di bevibilità, propendendo per un Brut. In gamma, del resto, abbiamo anche un Nebbiolo in purezza Metodo classico Vsq non dosato, più incline al nostro gusto personale certamente non per tutti. L’idea, senza alcuna fretta, è quella di produrre in futuro anche un Alta Langa Pas Dosé, magari Riserva».
Daniele Cusumano, classe 1983 titolare ed enologo di Tenute Rade – Poderi in Calamandrina (AT) ha invece percorso una terza via. «Per il nostro Alta Langa Riserva preferiamo lavorare bene sulla cuvée ed evitare di intervenire con la liqueur d’expedition. Per questo abbiamo scelto la fermentazione malolattica al posto del dosaggio, ottenendo così un bilanciamento degli acidi. Non è una ricetta: in occasione del millesimo 2015 è stata svolta al 30%, in altre annate potrà essere diverso».
Prima dell Alta Langa 2023 il millesimo 2019 tra new entry e conferme simone allario piazzo
Prima dell Alta Langa 2023 il millesimo 2019 tra new entry e conferme daniele cusmano
Prima dell Alta Langa 2023 il millesimo 2019 tra new entry e conferme sylla sebaste mauro sebaste
Sylla Sebaste, figlia di Mauro Sebaste che deve il nome alla nonna, fondatrice dell’azienda agricola di frazione Gallo, ad Alba (CN), presenta la seconda annata della cantina, la 2019, ancora una volta Pas Dosé. «Siamo voluti entrare in questo mondo per volontà di mio padre, che crede moltissimo in questa denominazione e siamo sicuri che si svilupperà ulteriormente nel prossimo futuro. Per arrivare alla nostra idea di Alta Langa ne abbiamo assaggiati molti alla cieca, traendone ispirazione. Crediamo che debba essere un vino molto rappresentativo del territorio e siamo entrati a gamba tesa in questo segmento, con un Alta Langa distinguibile». Molto particolare l’approccio della cantina Mauro Sebaste, che può contare su una cuvée frutto di 4 cloni di Pinot Nero e altrettanti di Chardonnay, selezionati appositamente in Champagne.
Un’altra donna al timone è Sara Vezza, dell’omonima azienda agricola che può contare anche sul brand Josetta Saffirio per il Barolo, a Monforte d’Alba. Si tratta di una delle aziende che sta investendo maggiormente nell’Alta Langa, con 3.500 bottiglie nel 2018 che arriveranno a 11 mila col millesimo 2022. Circa 4 mila le bottiglie del 2019 in assaggio alla Prima dell’Alta Langa 2023, frutto di uve acquistate a Perletto e Clavesana, poi interamente lavorate e confezionate. «Abbiamo investito in un progetto di vigneto molto ambizioso, a 680 metri di altitudine, a Murazzano (CN), non ancora entrato in produzione, per arrivare a una superficie complessiva di 8 ettari. L’Alta Langa risponde a requisiti di grande qualità ed è un brand che vuole focalizzarsi sulle bollicine di alto livello.
Speriamo che il Consorzio lasci spazio ai piccoli produttori artigianali presenti nella base sociale, consentendo loro di costruire una rete di sostegno alla denominazione. L’esempio da seguire è quello del Consorzio del Barolo e Barbaresco, vera e propria costellazione di vignaioli custodi e interpreti del territorio, con il minimo comun denominatore della qualità.
Forse sarebbe il caso di rivedere lo statuto, riflettendo sull’opportunità di rimodulare la rappresentatività dei soci tenendo maggiormente in considerazione vignaioli e piccoli produttori e non solo il numero di bottiglie prodotte. Se non ci si sente coinvolti in un progetto comune è difficile condividere gli obiettivi: al contrario, se si fa parte di una visione comune, ci si sente molto più motivati. Accentrare è un peccato».
Invita alla massima fiducia la presidente del Consorzio Alta Langa Mariacristina Castelletta (Tosti 1820). «Abbiamo scelto questa location non solo perché la Reggia di Venaria è strepitosa, ma perché dispone di questa sala, con dimensioni particolari: è lunga 80 metri, larga 12 e alta 15. Dai 18 produttori dell’edizione 2018 siamo diventati 60 e ci tenevo che ci presentassimo tutti insieme, uniti, al cospetto del pubblico qualificato di operatori che ha risposto con grande entusiasmo alla Prima dell’Alta Langa 2023, quinta edizione della kermesse. La crescita, del resto, è avvenuta sotto tutti i profili».
«Credo che il segreto sia l’unicità dell’Alta Langa – aggiunge Castelletta – uno spumante diverso da qualsiasi altro Metodo classico italiano e internazionale e per questo ricercato. Registriamo nel 2022 un +67% di bottiglie sul mercato rispetto al 2021: 1,7 milioni di bottiglie già vendute rispetto ai 3 milioni di bottiglie prodotte, grazie ai 377 ettari attuali. Visto l’interesse, che si respira anche qui, abbiamo programmato nuovi impianti per ulteriori 220 ettari nel triennio 2023-2025, nel segno della grande fiducia che muove tutti noi produttori». Il futuro è solo da scrivere.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Igt Daunia 2017 Vino spumante Metodo classico Cantina La Marchesa
L’Igt Daunia 2017 Metodo classico “L’Istante della Marchesa” è uno degli spumanti presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Aglianico in purezza. Dopo oltre 42 mesi di maturazione sui lieviti e numerose prove da parte di questa piccola realtà della provincia di Foggia, già “Cantina dell’anno – Sud Italia” 2022 per la Guida Top 100 Migliori vini italiani targata winemag,it, ecco il primo metodo classico de La Marchesa. Un Pas Dosé.
Si conferma la meticolosità dell’approccio della cantina, dalla vigna alla bottiglia. L’Aglianico è riconoscibile sia al naso sia al sorso. Olfatto e palato si distendono su un letto di agrumi e frutti rossi e su venature saline che stuzzicano l’appetito, chiamando abbinamenti importanti. L’ennesima chicca de La Marchesa.
Guida top 100 - 2023
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Torre Mora Etna presenta a Vinitaly 2023 il primo Spumante Metodo Classico Rose Chiuse
Nuova etichetta per Torre Mora, la tenuta Piccini situata sull’Etna. A Vinitaly 2023 (pad. 9 stand c2) sarà presentato lo Spumante Metodo Classico Rosé “Chiuse”. Si tratta delle prime 3 mila bottiglie di Nerello Mascalese in purezza vinificato in rosa, dosaggio zero, vendemmia 2018 (48 mesi sui lieviti, sboccatura febbraio 2023). Un vino che incarna la filosofia produttiva “Un vitigno, un territorio“, al centro del progetto “Generazione Vigneti“, che vede protagonista quinta generazione della famiglia Piccini.
«Siamo motivati a perseguire una vision innovativa e votata alla sperimentazione – anticipano Ginevra e Benedetta Piccini – oltre che all’alta qualità del prodotto. Abbiamo lavorato per creare un’etichetta, quella dello Spumante Metodo Classico Chiuse di Torre Mora, la nostra tenuta sull’Etna, capace di rappresentare il fascino, la bellezza e l’energia che sono infuse in un territorio dominato dal vulcano».
Solo una delle sfaccettature dell’universo Piccini. A Vinitaly 2023 saranno infatti protagoniste tutte e cinque le Tenute, in un itinerario capace di toccare alcune delle aree enologiche pregiate del Bel Paese. «L’obiettivo – spiegano ancora Ginevra e Benedetta Piccini – sarà quello di evidenziare le peculiarità e le sfumature dei cinque terroir che hanno segnato la storia del settore vitivinicolo italiano e della nostra famiglia».
SPUMANTE SULL’ETNA PER TORRE MORA, ALL’INSEGNA DELLA QUINTA GENERAZIONE PICCINI
Al nostro fianco gli enologi Alessandro Barabesi e Pasquale Presutto, che gestiranno la parte tecnica di un progetto dall’approccio ecologico e sostenibile. Come quinta generazione Piccini siamo motivati a perseguire una vision innovativa e votata alla sperimentazione, oltre che all’alta qualità del prodotto».
Si parte dalle colline di Valiano, nel cuore del Chianti Classico, per poi costeggiare la Maremma toscana, dove sorge Tenuta Moraia, e proseguire nel regno del Brunello, dimora di Villa al Cortile. Completano il quadro le due tenute vulcaniche di Piccini 1882: Torre Mora, alle soglie dell’Etna, e Regio Cantina, ai piedi del Vulture, nelle terre dell’Aglianico.
«È un’immensa soddisfazione poter vedere i frutti del progetto avviato a metà anni Novanta – dichiara Mario Piccini, presidente di Piccini 1882 – assieme alle mie sorelle. Trent’anni fa, infatti, iniziammo ad investire nelle aree più vocate d’Italia, con l’ambizione di produrre i grandi vini del territorio, seguendo gli insegnamenti di nostro padre. Oggi, questo sogno è realtà, ed è con orgoglio che consegniamo le chiavi di questa eredità nelle mani delle nuove generazioni della famiglia Piccini».
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Lessini Durello Riserva Pas Dose 2017 Verde Fongaro Dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 e1675355321344
Il Lessini Durello Riserva Pas Dosé 2017 “Verde” di Fongaro è uno dei vini spumanti Metodo classico presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Ancora una volta convince l’uva Durella in purezza lavorata da una cantine simbolo dei Monti Lessini, con base a Roncà (Verona). Alla vista, l’etichetta “Verde” si presenta di un giallo paglierino intenso, con riflessi oro.
Al naso agrume da vendere, ma anche crema, brioche a denotare la lisi, albicocca più che pesca. In bocca tipica espressione tesa della Durella, pienamente corrispondente e coerente col naso. Uno spumante Metodo classico di buona struttura, all’inizio della sua lunga vita ed evoluzione. Il Lessini Durello Riserva Pas Dosé 2017 “Verde” di Fongaro è, in definitiva, uno degli spumanti da conoscere per avvicinarsi alle punte di qualità dell’uva Durella.
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Black Chalk Vineyard Winery Fullerton Rd Andover SP11 7JX 2
«Sono terre vergini, circondate da boschi incontaminati. Il potenziale ancora inespresso è immenso». Prendi un bambino. Mettilo di fronte a uno scaffale di caramelle. Capirai così l’entusiasmo di Enrico Cassinelli tra i filari di Hundred Hills. Gli occhi brillano. La voce enfatizza il concetto: «Gli English Sparkling, gli spumanti inglesi, sono il presente e il futuro: l’Inghilterra, con i suoi spumanti Metodo classico, può davvero sfidare lo Champagne».
Un fagiano si alza in volo poco lontano, mentre una brezza leggera fa il paio con la timidezza del sole che inizia a calare a Henley-on-Thames. Alle 4 del pomeriggio, nella Contea di Oxfordshire, regione del South East England, fa freddo nonostante la bella giornata senza nuvole. È qui che ha trovato casa (e lavoro) il 52enne pavese responsabile dei vigneti di Hundred Hills.
Cassinelli, originario di Santa Maria della Versa, cuore pulsante dell’eterna terra promessa degli spumanti italiani (l’Oltrepò pavese), è solo uno dei tanti forestieri che sta contribuendo all’ascesa delle bollicine inglesi base Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier. Josh Donaghay-Spire, head winemaker di Chapel Down, la cantina da 2 milioni di bottiglie complessive che detiene il primato della produzione degli English Sparkling, esprime con parole diverse gli stessi concetti. Lo stesso stupore.
Hundred Hills Winery The Old Rd Pishill Henley on Thames RG9 6HS 3
paesaggi viaggio tour spumanti inglesi winemag 6
Abbiamo piantato la vigna Kit’s Coty nel 2008, ottenendo sin da subito risultati entusiasmanti dalla critica, perché a mio avviso quello è il vigneto migliore del Paese. Ma in Inghilterra molte vigne devono ancora essere impiantate e molte devono entrare in produzione: di tutte queste, dunque, non conosciamo ancora il potenziale. Abbiamo una storia meravigliosa tutta da scrivere nei prossimi 5, 15, 25 anni».
Poco lontano dal quartier generare di Tenterden del colosso Chapel Down, per l’esattezza ad Appledore, sempre nel Kent, Charlie Holland, enologo di Gousbourne, si unisce al coro del collega con la sua visione degli spumanti inglesi: «Abbiamo una pagina bianca all’anno da scrivere in Inghilterra: si chiama vendemmia. Ogni volta un libro affascinante e unico, da interpretare partendo dai nostri meravigliosi suoli, che danno uve uniche». Game, set, match.
Avesse un colore, quest’onda di entusiasmo che sta guidando decine di imprenditori inglesi a convertire il business e investire nella viticoltura – in particolare proprio nella produzione degli English Sparkling – sarebbe il bianco. Un candore destinato ad essere associato sempre più a un calice di spumante proveniente dalle parti di Buckingham Palace. E non più, esclusivamente, alle «bianche scogliere di Dover» celebrate da Alice Duer Miller. Già, perché alla base di gran parte dei migliori spumanti inglesi c’è il gesso. Lo stesso componente del suolo che ha reso celebre lo Champagne, a livello internazionale.
MAISON FRANCESI A CACCIA DI TERRENI NELLA “NUOVA CHAMPAGNE”
Se ne sono accorti da un pezzo i francesi, padroni indiscussi del mercato con i loro Méthode Traditionnelle. Domaine Saint Evremond, nel Kent, è di proprietà della storica e prestigiosa maison Taittinger dal 2015. I 69 ettari di Selling Court Farm, non lontano da un noto Golf Club, fanno parte del parco vigneti inglese della casa di Reims, oltremanica nei panni di conquistadores.
L’acquisto della tenuta è frutto di un accordo con il distributore britannico Hatch Mansfield. Una joint venture felice, tra mostri sacri della qualità e dei premium wines. L’esordio sul mercato è ormai agli sgoccioli: la prima etichetta è attesa per il 2024 e sa già di battesimo. Di inizio di una nuova epoca per la maison fondata nel 1734 da Jacques Fourneaux.
Ed è lo stesso Pierre-Emmanuel Taittinger a chiarire come l’investimento vada ben oltre i cambiamenti climatici: «Siamo la prima Maison di Champagne a dare vita a un vigneto nel Regno Unito, a un’ora da Londra e in una regione in cui il sottosuolo gessoso ha la stessa struttura geologica della Côte des Blancs, in Champagne». Un investimento ben programmato. Secondo quanto appreso da winemag.it, in Inghilterra, il costo dei terreni nudi è ancora tutto sommato contenuto.
INGHILTERRA, +70% DI ETTARI VITATI NEGLI ULTIMI 5 ANNI
Ridgeview Wine Estate Ditchling Common Fragbarrow Lane BN6 8TP 2
Black Chalk Vineyard Winery Fullerton Rd Andover SP11 7JX 1
Si parla di cifre che oscillano fra i 30 e i 50 mila pound per ettaro, ovvero dai circa 34 ai 58 mila euro. Cifre che hanno favorito investimenti e conversioni agricole. Tanto che l’Inghilterra è passata dai 211 ettari impiantati negli anni Ottanta al boom dei 2.200 ettari della decade 2010-2020. Tra il 2020 e il 2021 sono stati piantati 753 ettari, cui si aggiungono i circa 400 del 2022.
Sino ad arrivare, così, a un totale di 4 mila ettari vitati. La parte del leone è dello Chardonnay (1,179 ettari), seguito da Pinot Noir (1.164, di cui 63 di Pinot Noir Précoce / Frühburgunder) e Pinot Meunier (327 ettari). Nove i milioni di bottiglie prodotte complessivamente nel 2021 (erano 5 milioni nel 2017), di cui il 68% sono bollicine. Ma l’interesse crescente per gli spumanti inglesi è confermato anche dal ciclo di incontri dell’austriaca Riedel in tre cantine inglesi, sul finire di gennaio 2023.
Maximilian Riedel in persona, accompagnato da referenti britannici del noto marchio di calici – tra i quali Stephen McGraw e Martin Turner della consociata Spiegelau Nachtmann – ha voluto incontrare gli enologi locali e i referenti di Wine Gb – Simon Thorpe MW e Julia Trustram Eve – per studiare un calice ad hoc per gli English Sparkling. L’ennesima riprova di quanto, ormai, gli spumanti inglesi siano sulla bocca di tutti e aspirino a un ruolo da protagonisti nella scena internazionale.
LA VITICOLTURA IN INGHILTERRA: ENGLISH SPARKLING PROTAGONISTI
Wiston Estate North Farm A24 Pulborough RH20 4BB 3
Wiston Estate North Farm A24 Pulborough RH20 4BB 4
Che il Metodo classico abbia un ruolo di primissimo rilievo in Inghilterra, lo dicono anche i numeri. Le bollicine di qualità rappresentano il 98% di tutti gli spumanti prodotti, all’apice degli stili nel Regno Unito. Come spiega l’organismo di controllo a winemag.it, «la dicitura “English Sparkling Wine” può essere utilizzata in etichetta solo se il vino è stato sottoposto a certificazione Dop o Igp. La differenza tra i due tipi di denominazione dipende principalmente dalla varietà dell’uva».
La Dop riguarda i 6 vitigni classici consentiti: Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Meunier, Pinot Précoce (il Frühburgunder tanto diffuso in regioni tedesche come l’Ahr), Pinot Blanc e Pinot Gris. L’Igp, invece, include un numero molto più ampio di varietà, compresi incroci come il Seyval Blanc (ibrido 5276). Se un produttore non sottopone il proprio vino ai regimi Dop o Igp, di solito lo etichetta come “Vino d’Inghilterra” generico.
Qualcuno utilizza anche la dicitura “Methode Britannique“, mescolando ulteriormente le carte franco-inglesi, ai bordi liquidi della Manica. Un’importante consultazione è in corso nel settore per individuare – entro Primavera – criticità e punti di forza dei disciplinari. L’obiettivo è quello di agevolare i produttori, ma soprattutto di favorire il marketing e la comunicazione degli spumanti inglesi.
Tra le proposte tecniche, quella di alzare da 9 a 18 mesi l’affinamento minimo degli English sparkling Dop, sotto al marchio Great British Classic Method. Se in Inghilterra ristoranti come The Harrow at Little Bedwyn del 12 volte stella Michelin Roger Jones hanno servito gli English Sparkling dall’esordio sino alla chiusura – avvenuta nel 2020 – oggi, in ottica nazionale e ancor più sul fronte dell’export (pari al 4% della produzione complessiva, con Scandinavia, Usa e Giappone in testa alla classifica), semplificare la regolamentazione è tra le priorità di Wine Gb.
TOUR IN 12 TAPPE TRA GLI SPUMANTI INGLESI METODO CLASSICO
Paesaggi incantati tra vigneti, pascoli, colline vergini, viali alberati che conducono a piccole cattedrali nascoste e una grande ricchezza di fauna selvatica. Viaggiare nella regione del South East England, alla scoperta degli spumanti metodo classico inglesi, significa toccare con mano le immense potenzialità enoturistiche ancora inesplorate dell’Inghilterra.
Sei, in particolare, le contee interessate dal tragitto, da ovest a est: Berkshire, Shropshire, Oxfordshire, Hampshire, Sussex e Kent. Le 12 cantine suggerite da winemag.it sono collegate tanto da comode autostrade quanto da strade di provincia per cui occorre una certa abilità al volante, specie nelle stagioni più fredde.
Un percorso di circa 300 miglia (quasi 500 Km) che vale la pena di vivere in almeno 5 giorni a bordo di un’auto a noleggio, comodamente disponibile negli aeroporti londinesi. Quelle sottolineate sono le tre cantine da non perdere, per chi ha meno tempo a disposizione. Sulla pagina Instagram di winemag.it, la storia in evidenza “English Sparkling”, con tutte le immagini e video del viaggio.
GLI SPUMANTI METODO CLASSICO INGLESI DA NON PERDERE
All Angels Vineyard [metaslider id=”76540″] Classic Cuvée 2014; Rosé Sparkling 2018. Piccola cantina dall’approccio molto genuino, sotto la guida di Mark Darley. La vinificazione non avviene in loco e un investimento in tal senso potrebbe portare a un ulteriore innalzamento della qualità media di tutte le etichette. Splendido, in particolare, il risultato ottenuto nel 2014, grandissima annata per l’Inghilterra, anche in termini di longevità.
Coates & Seely [metaslider id=”76544″]
Blanc de Noirs 2014 “La Perfide”; Brut Reserve NV; Rosé NV. Massima precisione degli spumanti grazie al team di esperti enologi francesi, la cui mano è comunque leggera, in favore dell’espressione dei suoli gessosi.
Hundred Hills Winery [metaslider id=”76548″] Blanc de Noirs 2019; Blanc de Blancs 2018; Rosé 2018. Team agronomico guidato dall’italiano Enrico Cassinelli, cui spetta un ruolo decisamente arduo, visto l’approccio della cantina alla massima espressione del vigneto, rinunciando alla quantità in favore della qualità assoluta. Risata contagiosa quella del titolare Stephen Duckett, che fa il paio con la ricerca della massima precisione in ogni calice. I vini Hundred Hills rispecchiano bene questa duplice attitudine: gran bevibilità e gastronomicità, accostata all’espressione sincera dei suoli e delle parcelle di vigneto.
Black Chalk Vineyard & Winery [metaslider id=”76554″] Classic 2018; Wild Rosé 2018 II. La più dinamica e giovane tra le cantine visitate. L‘enologa Zoë Driver, pur giovanissima, ha viaggiato molto e il bagaglio pesa (ovviamente in positivo) nel calice. In vigna, l’esperienza e la passione di James Mature. Cantina che sprizza energia e dinamismo.
Hattingley Valley Wines [metaslider id=”76559″] Rosé 2019. L’approccio “costumer oriented”, spinto dalle dimensioni e dal potenziale produttivo non indifferente della cantina, soddisfa più nel packaging che nell’effettiva stratificazione e valorizzazione del terroir nella gamma. Spumanti inglesi comunque perfetti per avvicinarsi alla tipologia.
Hambledon Vineyard [metaslider id=”76565″] Classic Cuvée; Première Cuvée; Classic Cuvée Rosé; Dosage Zéro Première Cuvée Pinot Meunier. Cantina che ha cambiato proprietà e scelte, spostandosi radicalmente dalla produzione di vini fermi da varietà tedesche degli anni Sessanta e Settanta a una linea di spumanti Metodo classico di altissimo rango. Hambledon è la prima cantina inglese ad aver immesso sul mercato una linea di vini prodotti tra i confini nazionali, nel 1952.
Wiston Estate [metaslider id=”76570″] Blanc de Noir 2014; Blanc de Blancs 2015; Vintage Rosé 2014; Blanc de Blancs NV, Estate Cuvée, Brut NV. In una parola sola: eleganza. Cui va aggiunta un’altra parola: assoluta. Eleganza assoluta. Questo propone Wiston Estate, dal croccantissimo spumante di entrata, ai millesimati che si avvicinano ai 10 anni sui lieviti. Wiston Estate, unica cantina inglese a possedere una tradizionale pressa Coquard – largamente utilizzata in Champagne – è anche Chalk Restaurant: l’angolo gourmet che conferma l’amore dei fondatori per il gesso che rende così unica l’espressione degli spumanti.
Ridgeview Wine Estate [metaslider id=”76575″] Blanc de Noir 2015 limited release; Blanc de Blanc 2017 limited release; Rosé de Noir 2018 limited release. La cantina possiede alcuni tra i vigneti di Chardonnay e Pinot Nero più vecchi in produzione per gli English Sparkling. L’approccio è rigido, focalizzato sull’espressione del suolo, senza rinunciare a una certa bevibilità e immediatezza.
Bluebell Vineyard Estates [metaslider id=”76579″] Blanc de Blancs 2015. Parola d’ordine “frutto”. Gli spumanti inglesi targati Bluebell Vineyard Estates si riconoscono tra mille per la caratterizzazione sul frutto. Residui zuccherini tendenzialmente più alti della media completano il quadro di una cantina che ha una precisa identità, nel segno del gusto del titolare, Kevin Sutherland.
Balfour Winery [metaslider id=”76584″] Blanc de Noirs 2018. Ampia tenuta nel Kent, focalizzata su un paradigma ben chiaro: «Non lavoriamo nel settore vino, ma nel settore dell’intrattenimento». Bello spazio attrezzato per l’estate e le giornate assolate di primavera, in cui godersi calici di spumanti poco complicati, di grande immediatezza e piacevolezza.
Chapel Down [metaslider id=”76592″] Kit’s Coty 2016 “Coeur de Cuvée” – North Downs; Kit’s Coty 2017 Blanc de Blancs – North Downs; Rosé Brut 2019 – Tenterden; Three Graces 2017 – Tenterden; Brut Nv – Tenterden. Non capita spesso: la cantina che produce più volumi è quella in grado di lasciare maggiormente il segno nel calice. Merito delle decine di ettari che Chapel Down possiede nella vigna di gesso più prestigiosa di tutta l’Inghilterra: Kit’s Coty. Tutta la gamma di spumanti è centratissima e di carattere, ma la vera personalità degli English Sparkling targati Chapel Down esce con le “etichette bianche”. Spumanti inglesi da non perdere per nessuna ragione.
Gusbourne Estate [metaslider id=”76599″] “51° N” 2014; Blanc de Noir 2018; Blanc de Blancs 2018; Brut Reserve 2019. Altra cantina in cui la “mano” dell’enologo si coniuga alla perfezione con l’espressione del suolo. Il parco vigneti del Kent di Gusbourne consente di lavorare le masse garantendo risultati qualitativi costanti, ma è il mix tra suoli gessosi, argillosi e ricchi di sabbie che agevola calici di grande qualità e personalità. Vini piuttosto mascolini, pur eleganti. In particolare, Gusbourne può essere considerata un punto di riferimento assoluto in Inghilterra per la spumantizzazione del Pinot Nero.
ENSLISH SPARKLING: GUIDA AGLI SPUMANTI INGLESI IN PILLOLE
I cambiamenti climatici sono una concausa, non la ragione unica dei recenti investimenti dell’Inghilterra nella viticoltura e nella spumantizzazione Metodo classico. L’aumento delle temperature medie, che favorisce la maturazione delle uve più che in passato e che aumenta anche le chance dei vini fermi, è la ciliegina sulla torta di un progetto ad ampio raggio che affonda le sue radici, in diversi casi, addirittura negli anni Cinquanta.
Massima attenzione, da parte dei produttori, nella scelta del sito in cui impiantare i vigneti. Deve essere in grado di assicurare la massima qualità delle uve atte alla spumantizzazione. L’acidità è un parametro importante, ma non l’unico a cui rispondere nella scelta dei siti da impiantare. La parola d’ordine, da queste parti, è “equilibrio“: un must per tutte le regioni vinicole internazionali che aspirano a un ruolo da protagoniste nei calici della critica e dei consumatori mondiali.
Molti spumanti inglesi sono frutto di singole parcelle, generalmente disposte su suoli contraddistinti da una larga presenza di gesso (chalk), calcare e altre rocce sedimentarie come il flint (chilt nella declinazione sassone del termine inglese). Grande spazio anche alla sabbia, nonché alla cosiddetta greensand, la “sabbia verde“, ricca di potassio e minerali, frutto del fine sgretolamento del gesso. Ovviamente è presente anche l’argilla, il tipo di suolo più comune nel Kent, una delle regioni con le temperature medie più alte del Paese e le minori precipitazioni. Il Kent è noto per l’appunto come The Garden of England, il Giardino d’Inghilterra, per la presenza di vaste piantagioni di frutta e ortaggi, oggi parzialmente soppiantate dai vigneti.
Nonostante i riscontri crescenti della critica internazionale, l’Inghilterra considera pressoché agli esordi il proprio percorso nell’Olimpo della viticoltura internazionale.
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Lo dimostra l’impianto di diversi cloni della medesima varietà, non solo nel singolo contesto aziendale, ma anche all’interno della medesima vigna. Ad ogni clone di Chardonnay, per esempio, spesso corrisponde un filare o più. I diversi cloni vengono vendemmiati a seconda dell’epoca di maturazione, che può variare anche di diversi giorni, consentendo ai produttori di sperimentare e trarre il meglio da ogni vendemmia.
L’approccio di molte cantine agli English Sparkling è rivolto alla valorizzazione dell’espressione della singola annata, oltre che della singola vigna o, addirittura, parcella. La grande variabilità tra un’annata e l’altra convince molti ad avere in gamma uno o più spumanti NV (non-vintage) frutto dell’assemblaggio di più annate.
La vendemmia 2018, generosa e qualitativamente ottima, ha per esempio consentito ai produttori inglesi di accantonare buoni quantitativi di vini base per i millesimi successivi.
Dal punto di vista organolettico, gli English Sparkling sono generalmente caratterizzati da una vibrante freschezza e verticalità, dettata dall’acidità naturale delle uve Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier coltivate a queste latitudini, ormai ben gestita in vigna e in cantina. Lo zuccheraggio (chaptalization) è pratica poco diffusa tra le cantine che puntano alla massima qualità e all’espressione del terroir (la maggior parte).
Un descrittore spesso ricorrente per i calici di spumante inglese Metodo classico è la mineralità/sapidità, specie nelle aree in cui le viti affondano le radici in suoli gessosi, calcarei e ricchi di minerali. Non mancano quasi mai gli agrumi e la frutta (che sia a polpa rossa, bianca o gialla) è generalmente croccante. Il legno è poco contemplato nella vinificazione, se non per i vini base di riserva, la cui percentuale varia da un minimo di 5 a un massimo del 20% nella cuvée.
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Alta Langa vero fenomeno del metodo classico italiano 597 ettari entro il 2025 1
Continua la crescita inarrestabile, ma ragionata, dell’Alta Langa Docg. Nel 2022 le vendite sono quasi raddoppiate. Quello piemontese è il vero fenomeno del metodo classico italiano. Per la precisione, il 2022 si chiude con un +40% sulle vendite rispetto all’anno precedente, che già aveva fatto segnare un +42% rispetto ai valori pre-pandemia. Le cantine socie del Consorzio, con sede ad Asti, salgono a 134 grazie all’ingresso di 18 nuove compagini, tra case produttrici e viticoltori.
La produzione attesa di Alta Langa vendemmia 2022è di 3 milioni di bottiglie. Un risultato sostanzialmente in linea con quello del 2021, nel quale il leggero calo dovuto alle particolari condizioni climatiche dell’annata è stato mitigato dall’entrata in produzione di nuovi impianti. Il prossimo decennio sarà comunque fondamentale per avere un quadro esaustivo delle reali mire dei produttori di Alta Langa Docg, che annunciano di voler «crescere e affermarsi» ulteriormente.
Nel 2023 sarà infatti riaperto il bando vigneti che consentirà l’iscrizione di 220 nuovi ettari ad Alta Langa Docg nel prossimo triennio 2023-2025. Il vigneto dell’Alta Langa potrà così passare dagli attuali 377 ettari (175 in provincia di Cuneo, 164 in provincia di Asti e 38 in provincia di Alessandria) ai complessivi 597 ettari. Un provvedimento che viene definito «un forte segnale di fiducia nel futuro della denominazione» da parte del management dell’ente di Tutela, che in passato aveva deciso di bloccare gli impianti.
ALTA LANGA DOCG: CRESCERANNO GLI ETTARI
Nel dicembre 2019, alla luce della situazione di mercato e delle scorte in affinamento presso le cantine delle aziende associate, il Consorzio Alta Langa aveva inviato a Regione Piemonte la proposta di sospensione delle iscrizioni di vigneti della denominazione per il triennio 2020 – 2022. Un’occasione che i produttori non vogliono perdere, invece, a partire dal prossimo anno: la programmazione regionale prevede infatti l’apertura e la chiusura delle iscrizioni ogni tre anni. Nel 2023, sempre in Piemonte, cresceranno anche le superfici destinate alla produzione delle Docg Gavi, Barolo, Barbaresco e Asti.
«La nostra denominazione – commenta la presidente del Consorzio Mariacristina Castelletta – è unica e speciale, fatta da persone ambiziose, agricoltori e produttori di bollicine uniti insieme da una visione lungimirante e da un grande orgoglio piemontese. Abbiamo fatto tanta strada in questi ultimi anni. Solo dieci anni fa i produttori erano 12. Anno dopo anno siamo cresciuti in termini di vendita con percentuali a doppia cifra».
«Ora – conclude Castelletta – inizia una nuova sfida: il prossimo triennio sarà determinante per il futuro. L’apertura sostanziale delle superfici ci proietta, entro 10 anni, in una dimensione doppia rispetto all’attuale. Abbiamo davanti un grande futuro e la possibilità di una crescita importante che affronteremo tutti insieme, coesi, mantenendo la vocazione di qualità che questo vino ha nel suo Dna».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Via pavese dall Oltrepo Docg Metodo Classico raccolta manuale Riserva 48 mesi sui lieviti carlo veronese direttore
Regole di produzione più restrittive e un nuovo nome: Oltrepò Docg Metodo Classico, senza “pavese“. Se da un lato l’Assemblea dei soci del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese semplifica la comunicazione delle proprie “bollicine”, dall’altro introduce importanti novità verso il riconoscimento qualitativo internazionale. In particolare, la raccolta delle uve atte alla spumantizzazione (Pinot Nero e Chardonnay, ma anche Pinot Grigio e Pinot Bianco) dovrà essere manuale e in cassetta. Introdotta poi la tipologia “Riserva“, con almeno 48 mesi di permanenza sui lieviti.
Le modifiche al disciplinare della Denominazione di origine controllata e garantita sono state votate a maggioranza dai soci riunitisi martedì 6 dicembre 2022, presso la sala Gallini di Riccagioia a Torrazza Coste (PV).
IL COMMENTO DI VERONESE E FUGAZZA
«Il territorio – spiega Carlo Veronese, direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese – ha approvato modifiche importanti per il futuro della denominazione al vertice della piramide qualitativa dell’Oltrepò, in un’assemblea caratterizzata da un clima sereno e costruttivo. Inizieremo subito a lavorare per dare attuazione alle richieste dei soci e poter inviare, nel più breve tempo possibile, alla Regione Lombardia la documentazione necessaria all’approvazione di Regione Lombardia, Masaf e Commissione Europea».
Soddisfazione anche da parte della presidente del Consorzio, Gilda Fugazza, che tocca anche altri argomenti: «Questo lavoro molto tecnico – ha dichiarato – è frutto di un percorso che parte da lontano, dai Tavoli dedicati alle Denominazioni e non è di fatto ancora finito. Da presidente mi auguro che in futuro la burocrazia che condiziona le “buone” pratiche del mondo della viticoltura e non solo si snellisca. E, soprattutto, sia più connessa alle esigenze dell’attualità, condizionata pesantemente da variabili che ci impongono la vera resilienza e capacità di affrontare gli imprevisti».
La recente modifica al disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò pavese” Metodo classico – Doc dal 1970 e Docg dal 2007 – arriva a distanza di quasi 10 anni dall’ultimo ritocco, approvato dal Mipaaf tramite il D.M. 7/03/2014.
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Guida winemag 2023 il Verdicchio 2015 Pas Dose Millesime di Mirizzi e Spumante dell anno top 100 migliori vini italiani
Il Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 Pas Dosè “Millesimè” di Mirizzi è Spumante dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Si tratta del primo millesimo “senza dosaggio” immesso sul mercato dalla cantina marchigiana guidata da Gianluca Mirizzi.
Una nuova etichetta che si va ad aggiungere alla centratissima gamma di spumanti e vini fermi della cantina di Jesi. Al centro del progetto enologico, la varietà simbolo delle Marche, il Verdicchio.
In un mondo della spumantistica italiana ed internazionale che sta vivendo un vero e proprio boom, mostrando ad esperti e winelovers di tutto il mondo nuove zone potenzialmente interessanti, tanto quanto “esperimenti” enologici poco degni di nota, provenienti da areali privi di esperienza nella spumantizzazione, il “Millesimè” 2015 di Mirizzi convince per la capacità di tenere al centro del sorso la tipicità della varietà marchigiana per eccellenza.
MILLESIMÈ, METODO CLASSICO 100% VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI
Conscio delle potenzialità del Verdicchio nei lunghi affinamenti, Gianluca Mirizzi ha scelto di tenere sui lieviti per circa 70 mesi il suo primo Pas Dosè, dopo aver sperimentato per diverse annate con “bollicine” con residuo zuccherino. Una scelta che paga, sotto ogni profilo: stilistico, culturale, imprenditoriale e organolettico.
Naso e palato del Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 Pas Dosè “Millesimè” di Mirizzi raccontano di uno spumante Metodo classico legato come pochi altri alle Marche. In grade evidenza il frutto giallo, le note iodiche e una leggera venatura idrocarburica che s’accosta alla buccia d’agrume (cedro), a segnare i tratti decisi di uno Champenoise di gran struttura e persistenza, dalla chiusura freschissima, quasi balsamica.
MIRIZZI DOPO MONTECAPPONE: UN NUOVO BRAND PER IL VERDICCHIO
Mirizzi è la seconda azienda fondata da Gianluca Mirizzi. Dal 2015 affianca Montecappone, lo storico brand della famiglia. La scelta dello stemma araldico come logo della nuova avventura è utile a comprendere la filosofia della cantina di Jesi, che vuole abbinare tradizione e modernità.
Nascono così gli spumanti “Millesimè“, base Verdicchio in vari dosaggi, oltre a una linea di vini dai nomi curiosi: “Cogito A.“, “Ergo” ed “Ergo Sum“. L’azienda dispone di 6 ettari di vigneti e 3 di oliveti, in conversione biologica.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Alta Langa Etna Doc e non solo nuove opportunita in Gdo per gli spumanti italiani alternativi 1
La sete di spumante italiano di qualità nel mondo e un approccio sempre più export oriented delle “maison” del Belpaese sta costringendo i buyer della grande distribuzione nazionale a cercare nuove referenze da proporre ai clienti. In particolare è il recente exploit nell’export di Franciacorta e Trento Doc a costringere i compratori delle insegne a guardare altrove. Per far fronte alla ripercussioni interne, che in alcuni casi si traducono in mancanza di disponibilità di prodotto.
Fari puntati, dunque, sulle nuove frontiere della spumantistica italiana. In testa il Piemonte dell’Alta Langa. Ma a beneficiare del crack delle disponibilità delle bollicine trentine e bresciane potrebbero essere anche la Sicilia dell’Etna Doc e l’Oltrepò pavese del Pinot Nero Docg.
La caccia ai nuovi sparkling, Metodo tradizionale o Martinotti (Charmat), potrebbe premiare anche la Puglia e la Campania della Falanghina, le Marche della Passerina, il Friuli Venezia Giulia della Ribolla Gialla (quest’ultima a caccia disperata di premiumizzazione, dopo il fallimento della proposta di modifica al disciplinare). Senza dimenticare l’Alto Adige delle cuvée da Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco, già ben rodato sulla tipologia.
È quanto emerge da alcune interviste di winemag.it a Marca by BolognaFiere, kermesse incentrata sulla Mdd conclusasi ieri pomeriggio a Bologna. Colloqui che danno ancora più senso ad altre informazioni raccolte sul campo, proprio nei territori che potrebbero finire nel mirino dei buyer della grande distribuzione.
ETNA DOC E ALTA LANGA: GLI INVESTIMENTI DI PICCINI E MGM MONDODELVINO
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Alta Langa Etna Doc e non solo nuove opportunita in Gdo per gli spumanti italiani alternativi 3
In Sicilia, Piccini 1882 sta preparando l’esordio sul mercato del suo primo spumante Metodo classico Etna Doc. Si tratta di 18 mila bottiglie totali, con 3 annate (2018, 2019 e 20202) a riposare nelle cantine della Tenuta Torre Mora.
Il lancio dovrebbe avvenire a inizio 2023, nel solo segmento Horeca. Ma chi conosce il visionario patron Mario Piccini sa che questo potrebbe essere solo l’inizio di un’avventura nella spumantistica etnea, che potrebbe sfociare in altre referenze, destinate alla Gdo.
Non è una supposizione ma una certezza, invece, l’investimento continuo di Mgm – Mondo del vino Spa nel mondo degli spumanti italiani “alternativi”, in particolare nell’Alta Langa. Il gruppo di Priocca (CN) può contare dal 2011 di una cantina interamente dedicata alla produzione di spumanti Metodo classico, Cuvage ad Acqui Terme (AL).
Il successo delle bollicine langhirole di Mondodelvino, tutte base Nebbiolo e Cortese, porta a pensare che la Gdo possa attingere a piene mani dalle etichette della holding acquisita da Clessidra Private Equity nell’aprile 2021.
Il tutto mentre un altro spumante varietale è pronto a fare il suo esordio sul mercato, nel solco della linea Asio Otus di Mgm. Il biglietto da visita? Una conturbante bottiglia “piumata” – il vetro è intagliato in modo tale da ricordare le piume del gufo, simbolo della gamma di «vini enigmatici» della famiglia Martini – che saprà catturare l’attenzione sugli scaffali delle insegne dei supermercati.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Export Sudafrica salvato dal vino sfuso ma cresce limbottigliato. Exploit dello spumante Franschhoek view with sunset Foto Artist Studio Eddie Wilson
Arriva dall’export la consolazione delle cantine sudafricane, in un 2021 ormai entrato nei libri di storia per i divieti di vendita di alcolici e conseguente il tira e molla tra l’industria vinicola sudafricana e il governo di Pretoria. I volumi delle esportazioni dei vini sudafricani hanno raggiunto quota 388 milioni di litri, mentre il valore è cresciuto a 585 milioni di euro. Il merito è principalmente del vino sfuso. Ma si segnala anche l’exploit del Metodo classico Méthode Cap Classique. Costante la crescita dei vini imbottigliati, in quasi tutti i mercati.
«Le cifre – commenta Wine of South Africa – sono molto positive se paragonata alle esportazioni del 2018, dove il volume totale di 420 milioni di litri esportati ha fruttato solo 517 milioni di euro». Bulk wines, dunque, accompagnati da una crescita – seppur minore, in percentuale – dei vini in bottiglia. Sempre più conosciuti e apprezzati nel mondo.
L’esportazione di vino confezionato, che è fondamentale per far crescere l’immagine di qualità del Sudafrica – riferisce WoSa – è stata fortemente colpita da problemi di fornitura di imballaggi. Ma alla fine è riuscita a mostrare una buona ripresa ed è cresciuta del 6,7% in volume e di un piacevole 9,2% in valore».
CHARDONNAY E SAUVIGNON BLANC: PIACCIONO I BIANCHI
Il valore delle esportazioni di vino sfuso (escluso il vino industriale) è aumentato del 33,6% in volume su base annua. Le varietà a bacca bianca hanno dominato nel 2021, con una crescita annuale guidata in particolare dalla domanda di Chardonnay (+167%) e Sauvignon Blanc (+79%).
Una crescita a lungo termine che si registra anche sul valore del litro di vino sfuso. Con un aumento dell’8% sul totale delle esportazioni sfuse e un +32% sul vino bianco fermo, tra il 2018 e il 2021.
Performance eccezionale anche per il Méthode Cap Classique, lo spumante metodo Classico sudafricano «salito a razzo del 40% in volume nel 2021». «La tipologia – commenta Wines of South Africa – sta guadagnando costantemente riconoscibilità in un segmento molto competitivo, condiviso con Champagne, Prosecco e Cava».
«Sono molto rincuorata dalle cifre delle esportazioni del 2021 – continua Siobhan Thompson, Ceo di WoSa -. È evidente che i nostri mercati chiave vedono il Sudafrica come un produttore di vino di alta qualità costante. E che, anche in condizioni difficili, ci sforziamo di continuare a rifornire i nostri mercati e di continuare a vendere il vino in modo responsabile, il che infonde ulteriormente senso di fiducia».
L’appuntamento per il trade, dopo i rinvii dovuti alla pandemia, è a CapeWine 2022, in programma dal 5 al 7 ottobre. Un’occasione, sottolinea Siobhan Thompson – per rafforzare la nostra posizione leader sul fronte green, attraverso il tema Sostenibilità 360».
VINI DEL SUDAFRICA: I PRINICIPALI MERCATI DELL’EXPORT
Parlano chiaro, del resto, le performance internazionali. Il Regno Unito, il più importante mercato di esportazione di vino del Sudafrica, ha mostrato una buona crescita sia in volume (+10%) che in valore (+25%) di vino confezionato. Un dato molto incoraggiante secondo Wosa, «nonostante i timori di un impatto negativo portato dalla Brexit e dalla pandemia di Covid».
La crescita maggiore si è sviluppata nell’Horeca, seguita dalla Gdo, specie nei supermercati di fascia alta. «Il mercato britannico ha sostenuto molto l’industria vinicola sudafricana durante uno dei periodi più difficili che abbia mai affrontato e questo può essere visto nella crescita delle nostre esportazioni», sottolinea ancora l’organizzazione di rappresentanza dei produttori di vino sudafricani.
Altro mercato più che mai soddisfacente per l’export 2021 dei vini del Sud Africa è stata la Cina. Anche grazie alla guerra commerciale cinese con l’Australia, confezionato e sfuso Made in South Africa hanno visto raddoppiare la quota di mercato.
Per i vini sfusi, le opportunità si sono concretizzate sia per i produttori cinesi che per i marchi che vengono imbottigliati in Cina. Mentre con le esportazioni di vino confezionato, Wosa ha visto «un grande aumento dei listing di vini sudafricani nei principali cataloghi dei rivenditori, con un certo numero di importatori nazionali che hanno anche ampliato i loro portafogli per includere il vino sudafricano».
CRESCE L’EXPORT NEL CONTINENTE AFRICANO. EUROPA STABILE
Anche i mercati africani hanno mostrato un eccellente recupero nel 2021, con volumi di esportazione che superano i livelli pre-Covid. I mercati che guidano questa crescita sono Nigeria, Kenya, Tanzania, Uganda, Mozambico e Zimbabwe. Ulteriori analisi di mercato mostrano che questo trend continuerà in futuro.
I mercati europei di riferimento – Germania, Paesi Bassi e Svezia – rimangono ampiamente stabili. «Il che è positivo – riferisce Wosa – nonostante le dure misure anti pandemia in vigore in tutti questi paesi, che hanno avuto un impatto diretto sull’Horeca».
Canada e degli Usa hanno a loro volta evidenziato una crescita dei volumi. «A guidare l’incremento dell’export è il vino sfuso. Tuttavia – sottolinea Wines of South Africa – in questi mercati tradizionalmente difficili, dato l’impatto della pandemia, questo è considerato nel complesso positivo».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Lessini Durello Doc Riserva 36 mesi Brut 2016 Casarotto
Il Lessini Durello Doc Riserva 36 mesi Brut 2016 di Casarotto è uno degli spumanti Metodo classico presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani di WineMag.it. Supera brillantemente i tasting alla cieca, confermandosi quale ennesimo pezzo da novanta della cantina di Montecchia di Crosara (VR).
LA DEGUSTAZIONE
Giallo paglierino luminoso per questo Champenoise simbolo dei Monti Lessini, ottenuto con l’uva autoctona Durella. Perlage finissimo, persistente. Naso croccante e d’un frutto voluttuoso, attorno alla crosta di pane.
Risvolti floreali e mielati, albicocca, agrumi, vena tropicale. E, soprattutto, una vena minerale-vulcanica pronta a far da fil rouge e da spina sorsale al sorso, sin dall’ingresso del Lessini Durello Doc Riserva 36 mesi Brut 2016.
La beva si dipana su sentori corrispondenti al naso, con altrettanta generosità ed eleganza tropicale. È il trionfo di un Metodo classico che riesce ad esaltare primari e terroir.
GLI ABBINAMENTI
Un punto di riferimento assoluto, questa etichetta di Casarotto, nel contesto della denominazione spumantistica veneta, al top tra gli spumanti italiani.
Come suggerisce la cantina, il Lessini Durello Doc Riserva 36 mesi Brut 2016 risulta versatile nell’abbinamento. Ottimo come aperitivo, sposa antipasti e portate a base di pesce, cotto e crudo. Si abbina bene a sopressa e formaggi locali. Eccellente con il baccalà alla vicentina.
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Alta Langa Docg Pas Dose Metodo classico 2017 Garesio
Buona la prima per l’Alta Langa Docg Pas Dosé Metodo classico 2017 di Garesio. L’annata d’esordio della cantina di Serralunga d’Alba (CN) nella pregiata denominazione di spumanti Metodo classico piemontesi è tra i vini premiati dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it.
LA DEGUSTAZIONE
L’Alta Langa Garesio, millesimato 2017, si presenta nel calice di un giallo paglierino luminoso. Perlage finissimo, molto persistente. Naso generoso, spazia dal frutto giallo maturo alla pasticceria, con nota gessoso-minerale e ricordi preziosi di agrumi e radice di liquirizia.
Al palato, un Alto Langa teso e pieno, sul frutto. Ottima anche la persistenza, ad innalzare ulteriormente il gradiente di gastronomicità. I vigneti da cui provengono le uve Pinot nero in purezza si trovano a Serralunga d’Alba, di fronte alla vigna di Nebbiolo del cru Cerretta di Garesio.
LA VINIFICAZIONE
Dopo la pressatura soffice e la fermentazione in acciaio a temperatura controllata, il vino atto a divenire Alta Langa Docg Pas Dosè Metodo classico 2017 è stato imbottigliato per la presa di spuma e lasciato riposare sui lieviti per circa 36 mesi.
Terminate le fasi di sboccatura e dosaggio, nella filosofia degli spumanti Pas dosé, non è stata aggiunta la liqueur d’expedition. Una scelta che consente di toccare con mano tutte le potenzialità del Pinot Nero spumantizzato da Garesio.
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Alleanza Alto Adige Toscana per il Metodo classico Brut Rose di Donatella Cinelli Colombini
C’è la mano di Josef Reiterer, patron della celeberrima cantina Arunda, nel Metodo classico Brut Rosé di Donatella Cinelli Colombini. Un’alleanza Alto Adige – Toscana per il primo spumante prodotto dalla cantina di Trequanda, che ha fatto il suo esordio assoluto al matrimonio della figlia Violante Cinelli Colombini con Enrico Pelagatti, a luglio 2021.
Si tratta di un Metodo classico base Sangiovese (vendemmia 2018, 24 mesi sui lieviti, sboccatura 2021) prodotto nei vigneti certificati biologici di Fattoria del Colle. Una “bollicina” in tiratura limitata (1.433 bottiglie) pensata per l’abbinamento al tartufo bianco delle Crete Senesi. L’etichetta fa il suo esordio sul mercato a tre anni dall’avvio del progetto.
IL PACKAGING D’AUTORE
Con la consulenza di Josef Reiterer, produttore di alcuni tra i migliori Champenoise italiani nella sua cantina di Meltina (BZ), a 1.200 metri sul livello del mare, Donatella Cinelli Colombini ha preparato una vigna di Sangiovese da dedicare alla spumantizzazione. «Quando Josef Reiterer mi disse di produrre più uva per me fu uno shock», racconta la produttrice toscana. Per il Brut Rosé Metodo Classico di Donatella Cinelli Colombini è stata inoltre costruita una sala buia e fredda (12°C) nella cantina della Fattoria del Colle.
Le bottiglie sono state poste nelle tradizionali pupitre, per il remuage manuale. Anche il packaging ha un tocco d’autore. L’etichetta è firmata da Alessandro Grazi, pittore senese di fama internazionale. Non mancano ulteriori dettagli: dalla tela di Pienza nella texture dell’etichetta, alla coiffe ecologica. Fino alla capsula con la tradizionale colomba, simbolo di Donatella Cinelli Colombini, e la scatola serigrafata.
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Glicerina a Terre dOltrepo caso chiuso. Giorgi Ora diranno che sono rettiliano
Si sgonfia col passare delle settimane il caso del vino contaminato rinvenuto dalle forze dell’ordine nella cantina Terre d’Oltrepò, nel pavese. Delle 30-40 mila bottiglie annue di Pinot Nero Metodo classico vendute ogni anno dalla cooperativa ai supermercati Eurospin, solo 20 mila facevano parte del lotto incriminato. Oggi si scopre che le bottiglie realmente contaminate sono appena 200.
A renderlo noto è la stessa cantina oltrepadana, attraverso il presidente Andrea Giorgi. «Sono un paio di centinaia le bottiglie di Metodo classico definitivamente accantonate, con livelli di glicerina di poco superiori ai limiti di legge».
Si tratta – spiega Giorgi – di una parte minima delle 5 diverse sboccature con cui erano state commercializzate le 20 mila bottiglie del lotto incriminato. ù
Per l’esattezza, i problemi sono stati riscontrati su 2 sboccature. Dopo le analisi del laboratorio Eurospin, in accordo con l’insegna abbiamo ritirato un totale di 4 mila bottiglie della marca privata da noi prodotta per l’insegna».
ANOMALIA CAUSATA DA UN ALTRO VINO
A causare l’anomalia, sempre secondo la Terre d’Oltrepò, sarebbe stata la contaminazione da una partita di vino che la cooperativa stava imbottigliando conto terzi, per un’altra cantina dell’Oltrepò. Azienda che Terre ha formalmente denunciato.
«Subito dopo aver terminato le mille bottiglie che erano in fase di dosaggio e imbottigliamento presso il nostro stabilimento – spiega Andrea Giorgi – abbiamo iniziato a lavorare il lotto per Eurospin»
Non è un caso che la contaminazione riguardi solo 200 bottiglie: il tempo che la liqueur precedente, contaminata con la glicerina, non lasciasse più residui nell’ampolla di dosaggio del vino destinato all’insegna di supermercati».
«Il conto terzi – continua Giorgi – è una pratica molto diffusa in Oltrepò pavese così come nel resto d’Italia. Molte piccole aziende, che non sono in grado di dotarsi di tutte le strumentazioni per l’imbottigliamento del Metodo classico, si rivolgono a quelle più gradi, come noi».
CONTROLLI MOLTIPLICATI A TERRE D’OLTREPÒ
Ora che la bolla del Metodo classico contaminato si è sgonfiata, il presidente di Terre d’Oltrepò guarda al lavoro fatto sin dal suo arrivo. «Ho ereditato una cantina che spendeva 1.600 euro all’anno per le analisi – spiega Giorgi a WineMag.it – mentre oggi ne spendiamo 37 mila. Se qualcuno Se qualcuno vuole sabotarci, lo dica: ci manca solo mi accusino di essere un rettiliano».
Il consiglio di amministrazione della cooperativa dell’Oltrepò pavese si riunirà venerdì prossimo. Chiederà di convocare un’assemblea agli inizi del mese di giugno. La prima in presenza dopo lungo tempo, qualora fosse allentate le misure anti pandemia Covid-19 in Lombardia.
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