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I vini di Cipro secondo Vouni Panayia: vitigni autoctoni e viticoltura di montagna

Vitigni autoctoni e viticoltura di montagna i vini di Cipro secondo Vouni Panayia Barba Yiannis Peter Pavlos Andreas Kyriakidis

EDITORIALE – Seguo l’evolversi della viticoltura e dei vini di Cipro ormai da diversi anni. Una terra lontana dalle rotte più battute dai winelovers e dai professionisti internazionali del settore. Quando si pensa al vino del Mediterraneo e si guarda a est, il primo (per alcuni unico) pensiero è la Grecia. I suoi splendidi Assyrtiko sono ormai noti in tutto il mondo, così come gli aromatizzati Retsina, souvenir immancabile per i turisti.

Ancora più a oriente, prima di incrociare altre due terre del vino sempre più alla ribalta, Libano e Israele, si trova Cipro con i suoi attuali 7.641 ettari vitati. Un’isola in cui si produce vino dalla notte dei tempi. Lo dimostra l’antica tradizione del Commandaria, vino ambrato dolce le cui tracce risalgono all’800 a.C.

Oggi, se c’è una cantina in grado di raccontare da sola le punte di qualità ormai raggiunte dai vini ciprioti, quella è Vouni Panayia. Una realtà famigliare che ha trovato casa nel villaggio montano di Panayia, nella regione di Pafos. Il primo areale vinicolo di Cipro che si incontra solcando il mare Mediterraneo, da ovest verso est.

Dopo gli studi in Viticoltura ed Enologia all’Università di Firenze, Yiannis Kyriakidis e i fratelli Peter e Pavlos sono riusciti a lanciare definitivamente l’azienda di famiglia, fondata nel 1987 dal visionario Andreas Kyriakidis. Oggi la cantina produce circa 200 mila bottiglie e sembra aver raggiunto l’equilibrio perfetto tra quantità e qualità.

Venticinque gli ettari a disposizione di Vouni Panayia, circondati da una pineta, a mille metri d’altitudine. «Un terroir unico», come piace definirlo alla famiglia Kyriakidis. Siamo ai piedi della catena montuosa del Troodos, dominata dalla vetta del Monte Olimpo (1.952 metri). Tra un’increspatura e l’altra s’incontrano vigne vecchie e nuovi impianti, su cui sembrano vegliare i monasteri bizantini e le famose “chiese dipinte”, patrimonio Unesco.

I vigneti piantati da Andreas Kyriakides con le varietà bianche autoctone a bacca bianca Xynisteri, Promara, Spourtiko e Morokanela e a bacca rossa Maratheftiko, Yiannoudi e Ntopio Mavro, sono il tesoro nelle mani della terza generazione. Le radici, rimaste indenni alla fillossera, sono custodite dal presente e dal futuro dell’azienda, che può contare anche su piccoli appezzamenti di altre rare varietà autoctone come Morokanella, Aspri Fraoula (Vasilissa), Michailias, Maroucho, Bastartiko e Ofthalmo.

Dalla conservazione e valorizzazione del patrimonio di vecchie vigne, il passo è breve verso lavorazioni meticolose in cantina. Tra le mura di Vouni Panayia, la parola d’ordine è una sola: microvinificazione. «L’obiettivo – spiega Yiannis Kyriakidis – è comprendere a fondo il carattere e il potenziale qualitativo delle uve autoctone di Cipro, attraverso l’osservazione delle loro prestazioni in diverse pratiche viticolo-enologiche».

Un approccio che ha dato vita a 7 vini in tiratura limitata, applicato anche al resto della produzione, secondo canoni di “precisione enologica” assimilabili a quelli delle migliori cooperative altoatesine. Il tutto anche grazie a straordinari investimenti tecnologici in macchinari – tutti di fabbricazione italiana – nonché in legni francesi di prima qualità.

I VINI DI CIPRO CON GLI OCCHI DI VOUNI PANAYIA
Pafos Pgi Alina Xynisteri 2020 Franc de Pied (12,5% – Medium dry)

Alla vista si presenta di un giallo paglierino intenso. Ampio e intenso anche il naso, che alterna note floreali, agrumate e fruttate a polpa gialla matura. Sfiora l’aromaticità al palato, ben riequilibrata da una mineralità pietrosa, gessosa, calcarea, che tende il sorso e rimanda alla matrice del terreno a disposizione di Vouni Panayia.

Anche il finale, di un asciutto stuzzicato da morbide tinte esotiche e mielate, rimarca il minerale. E sorprende, con note di salvia e rosmarino, tipicamente mediterranee. Vino godurioso, di estrema beva. Alina “Franc de Pied”, ovvero “A piede franco”, è prodotto da piante di 70 anni di Xynisteri, il vitigno a bacca bianca più piantato dell’isola di Cipro.

Ha grappoli di medie dimensioni, poco compatti e acini di medie dimensioni. Si è adattato molto bene ai terreni ricchi di calcare e alle condizioni climatiche mediterranee. Una varietà con grande capacità di resistenza all’oidio, usata nella produzione del Commandaria e del tradizionale distillato Zivania.

Pafos Pgi Spourtiko 2020 Franc de Pied (12%)

Si presenta alla vista di un giallo paglierino. Il naso è ampio, floreale e agrumato. Nette le note di frutta tropicale matura, su sfondo minerale e di erbe della macchia mediterranea. In bocca la vena minerale è ancora più marcata. Fa da rigida spina dorsale al vino, su cui prova a distendersi della morbida frutta matura.

Ricordi di cera d’api in centro bocca, prima di una chiusura ammandorlata. Beva agile per un vino tipico, semplice ma di un certo carattere. Uno specchio sincero dalla varietà Spourtiko, che significa ”scoppio” in riferimento alle sue bacche, la cui fragile buccia si spacca facilmente.

Si tratta di una varietà con un breve ciclo vegetativo. Il grappolo è di medie dimensioni, poco compatto. Gli acini piuttosto grossi, che a piena maturazione si colorano d’un giallo dorato. Lo Spourtiko gioca un ruolo chiave nel vigneto di Vouni Panayia, in quanto consente l’impollinazione del Maratheftiko.

Pafos Pgi Plakota Mavro & Maratheftiko 2019 Franc de Pied (13,5% vol)

Alla vista si rivela d’un rosso rubino. Altro naso ampio, generoso, questa volta succoso. Note di fragola e di lampone, di ribes e di ciliegia matura, scivolano precisi su ricordi di macchia mediterranea. In bocca si conferma un vino giocato principalmente sulla generosità delle note fruttate, a polpa rossa. Tannini molto setosi in ingresso e poco più ruggenti in chiusura, contribuendo così a riequilibrare un sorso materico, chiamando quello successivo. Buona persistenza, su note che virano sulla ciliegia amara.

Altro vino ottenuto da vigne a piede franco, che affondano le radici in terreni di matrice calcarea. Mavro e Maratheftiko sono le due varietà utilizzate da Vouni Panayia per questa etichetta. Il Mavro è la varietà di uva rossa più piantata a Cipro. Ha grappoli molto grandi e compatti. L’acino stesso è di dimensioni notevoli, con una buccia spessa.

Un vitigno che, secondo le sperimentazioni della famiglia Kyriakides, sembra preferire terreni freschi e profondi. È una delle varietà utilizzate per la produzione del vino dolce Commandaria, nonché del distillato Zivania. L’altra varietà a bacca rossa con cui si ottiene Plakota è il Maratheftiko. Ha grappoli compatti, di medie dimensioni, con bacche di piccole-medie dimensioni. Nonostante i problemi di impollinazione, è considerato la migliore varietà rossa cipriota. I vini prodotti in purezza con questa varietà possono risultare molto longevi.

Barba Yiannis Maratheftiko 2017 (13,5%)

Barba Yiannis è uno dei capolavori di Vouni Panayia. Uno di quei vini che, da soli, valgono la visita. Rosso rubino profondo, dall’unghia violacea. Primo naso che conferma le aspettative create dalla vista. Quelle, cioè, di un vino giovane e di prospettiva, all’inizio della curva evolutiva. Alle note tipiche del vitigno – frutta rossa e macchia mediterranea – rispondono terziari che chiariscono la tecnica di vinificazione.

Il sorso si snoda sul medesimo fil-rouge. Ingresso fruttato, preciso, succoso; centro bocca in cui fanno capolino le note conferite dall’affinamento in legno, oltre a un tannino elegantissimo; gustativa complessa, fruttata e fresca, con chiusura su note speziate, una suadente di vaniglia, cioccolato amaro, tabacco e venature saline.

L’evoluzione nel calice, data l’ossigenazione, è continua e disegna sempre più i contorni di un nettare che va atteso, per essere goduto appieno. Vino con la strada spianata davanti, verso il futuro. Già godibilissimo e gastronomico. Non a caso Barba Yiannis è prodotto con le nobili uve Maratheftiko e può essere conservato senza timore per anni in cantina.

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degustati da noi vini#02 visite in cantina

Alla scoperta dei vini e delle cantine di Cipro

Le valigie scorrono lente verso i legittimi proprietari sul rullo bagagli del Terminal 1, aeroporto Milano Malpensa. D’un tratto, la mente vola indietro di qualche giorno. Vuoto d’aria. Flashback. Pedro, uno degli eredi titolari della Vouni Panayia Winery, ripone con cura in un elegante cartonato una bottiglia di Barba Yiannis. “Here you are, enjoy it”. Stretta di mano, saluti di rito. E da quello stesso istante non pensi ad altro che al viaggio che, quella bottiglia di fragile vetro, dovrà affrontare nella stiva dell’aeromobile di compagnia Aegean, col quale sei appena atterrato a Milano dopo una settimana di vacanza sull’isola di Cipro. La Dea bendata sembrerebbe stata benevola. Fronte e retro, la valigia è pulita. Nessuna macchia viola, di vino infranto. Check definitivo: Barba Yiannis ce l’ha fatta. Sì. Dio benedica il pilota. Una settimana di vacanza a Cipro può bastare per fare la conoscenza dei migliori prodotti delle vigne cipriote.

E alla Vouni Panayia Winery, al 60 di Archiepiskopou Makariou III Avenue, nel villaggio di Panayia, distretto di Paphos, Cipro centro-occidentale, la bandiera dell’enologia isolana viene tenuta alta sin dalla fondazione, avvenuta nel 1987 su intuizione di un uomo formatosi al dipartimento di Viticultura e Enologia del Ministero dell’Agricoltura di Cipro, Andreas Kyriakides. Oggi, ad accogliere i numerosi visitatori di tutto il mondo dietro al banco degustazioni della casa vinicola, c’è Pedro. Terza generazione, stessa passione. E una invidiabile formazione enologica, portata a termine niente meno che in Toscana.

VOUNI PANAYIA WINERY
               
Calice e piattino di formaggi locali: la degustazione dei vini dell’azienda di famiglia può cominciare. Le uve utilizzate sono tutte autoctone di Cipro. Si parte ovviamente dai bianchi, con Alina: dalle uve Xynisteri nasce un vino delicato, soave. Al naso emergono note di frutta esotica, pesca e limone. A dominare il palato sono appunto i sentori aciduli, che lasciano spazio a un finale più fruttato. Il secondo calice viene riservato a una “chicca” di Panayia: Spourtiko, nome del vino ottenuto dalla medesima uva, coltivata unicamente dalla famiglia Kyriakides nei vigneti di proprietà, nel cuore dei monti Troodos. Di colore giallo trasparente, Spourtiko risulta più secco di Alina.

Sentori di mela e finale lungo. Tocca poi a Promara, bianco più “importante”, affinato per due mesi in botti di rovere francese. Naso pieno, di frutta tropicale. La stessa percepibile al palato, in un finale delicatamente citrico. Quarto e ultimo bianco degustato: Alina medium dry. Uve Xynisteri, come per l’Alina “base”, ma in questo caso coltivate a un’altitudine superiore, tra gli 800 e i 1150 metri sul livello del mare, in suoli prettamente calcarei.

Ne risulta un bianco dalle note piacevolmente minerali. Sorprendente il finale, tendente al mieloso su note di arancia e limone. La degustazione prosegue con un rosato dal nome esotico, Pampela. In realtà si tratta di un blend di uve autoctone di Cipro, Maratheftiko e Mavro. Di colore rosso sgargiante, luminoso, si presenta al naso con carattere: si percepiscono note di ciliegia, fragola, arancia matura e melograno. Al palato è ricco, pieno, equilibrato, anche nel finale, lungo e fruttato.

Capitolo vini rossi. Quello di Barba Yiannis, per intenderci. Un amore sbocciato dopo l’assaggio di Plakota, il primo dei red wines proposti da Pedro. Siamo di fronte all’ennesimo blend, questa volta di tre differenti uvaggi: Maratheftiko, Mavro e il mai citato Ofthalmo. Un rosso aromatico, fruttato, che ricorda alcuni Cannonau sardi. Ciliegia, mora e mirtillo al naso; prugna al palato, delicato e tondo.

E infine, Barba Yiannis. Eccolo, il re dei vini Panayia. Di colore rosso impenetrabile, profondo, regala al naso decisi sentori fruttati e terziari, conferiti dall’affinamento. Il palato è elegante, pulito, asciutto. Chiaro il tocco della barrique francese, in cui Barba Yiannis riposa dodici mesi, affidandosi prima dell’imbottigliamento. Tredici gradi per un vino piacevolmente caldo, in cui spuntano neppure tanto timidamente vaniglia e cioccolato. Sorprendente.

Da provare. Pedro accompagna poi i visitatori nel sul regno: lo stabilimento della Vouni Panayia Winery. “Per me, per noi – dichiara timido, ma con orgoglio – fare vini non è semplicemente un modo come un altro di ‘fare impresa’, bensì un vero e proprio stile di vita. Qualcosa che ormai abbiamo nel sangue da diverse generazioni”.

E la si può toccare con mano questa passione. La si percepisce chiaramente tra le botti di acciaio dove le uve subiscono i primi trattamenti dopo la vendemmia, a cavallo tra i mesi di settembre e ottobre. Sullo stanzone veglia un dipinto di Dioniso, la divinità che – secondo il mito – insegnò agli uomini l’arte di produrre vino. Si scende poi sotto il livello del suolo. Ancora più nel cuore dei monti Troodos.

Qui riposano le bottiglie di vino Panayia, ordinatamente riposte in posizione orizzontale, come a formare un mosaico di sapori e profumi solo da scoprire. Poco lontano, due operai sistemano con cura le sei bottiglie che compongono ogni cartone di vino. Trecento ogni ora. “Quasi tutti i nostri macchinari provengono dall’Italia – evidenzia Pedro, sorridendo e ammiccando gli ospiti di Milano – e in particolare sono prodotti da un’azienda del Veneto”.

Regna il silenzio poco oltre, quando il giovane mostra la stanza delle barrique francesi. Sembra di percepire il sonno operoso dei vini. “Utilizziamo solo due volte ogni botte – spiega Pedro – e poi la rivendiamo ad altri produttori locali di vino, che le utilizzano per l’affinamento di vini liquorosi come la tradizionale Commandaria, o liquori come la Zivania (Zibania)”.

Le barrel hanno una capienza tra i 200 e i 250 litri e sono collocate in una stanza a temperatura naturale di 18-20 gradi. Ultima tappa della visita ai ‘sotterranei’ della Vouni Panayia è il museo dei vini prodotti in loco, dove è possibile ammirare la prima bottiglia, datata 1990. Il tour è finito, ed è già ora di tornare verso Paphos.

Non prima di aver ammirato la pineta che circonda le vigne della Vouni Panayia Winery, che si estendono su una superficie di oltre 25 ettari, lavorati prettamente a mano, con l’ausilio di un piccolo trattore (un ambiente protetto, che aderisce al network “Life, Natura 2000).

Vigne che ogni anno consentono la produzione di 300 mila bottiglie di vino. Rigorosamente autoctono, unicamente cipriota. Distribuite anche nei supermercati locali, comprese le grandi catene internazionali della grande distribuzione organizzata (Gdo), come il gruppo francese Carrefour.

KAMANTERENA SODAP LTD WINERY
Il wine tour prosegue più a valle. E l’esperienza alla Kamanterena – Sodap Ltd Winery si può racchiudere tutta in un aggettivo: vulcanica. Merito di Irene Georgiu, la tour guide che ci accompagna nella degustazione, mescolando la propria passione per i vini ciprioti a nozioni di vita privata e battute degne d’un comico di Zelig.

Un metro e cinquanta di pura elettricità, umanità e simpatia. E quel fare materno che con guasta, se accostato tanto ai vini quanto agli ospiti. Ma cominciamo con il contestualizzare. Ci troviamo esattamente in località Stroumbi, nel distretto di Paphos, all’interno di una cooperativa sorta in loco nel 2004, ma che unisce dal 1947 oltre diecimila famiglie di produttori di vino di tutta l’isola di Cipro.

Siamo a un’altezza di circa 600 metri sul livello del mare, nella casa di una pluripremiata impresa vitivinicola, capace di aggiudicarsi premi internazionali al Decanter World Wine e all’International Wine & Spirits Competition, grazie a un sapiente mixaggio delle uve autoctone con quelle internazionali (Shiraz, Cabernet Sauvignon, Merlot, Semillon). Per intenderci: 2 milioni di bottiglie prodotte mediamente all’anno.

Il biglietto da visita con il quale il gruppo Sodap, secondo indiscrezioni, sta tentando di allettare nuovi soci o acquirenti, navigando finanziariamente in acque che non sarebbero limpide come quelle del mare di Cipro. E mentre alcuni colossi bancari stanno alla finestra, i vini prodotti nello stabilimento di Stroumbi continuano a essere esportati principalmente in Paesi come Danimarca (Horsholm e Rodding), Spagna (La Jonquera), Belgio (Woluwe Saint Lambert).

E ancora Grecia (Atene), Germania (Berlino), Giappone (Tokyo), Australia (Sydney), Stati Uniti d’America (New York e Florida), Francia (Orlienas), Svezia (Solna) e Repubblica Ceca (Praga). Una vocazione internazionale, quella di Kamanterena Sodap, che si riflette appunto sull’assortimento di vini commercializzati e proposti in degustazione.

Ed ecco addentrarci nell’affaire dell’istrionica Irene Georgiou. La prima bottiglia che stappa è uno Xynisteri della linea Kamanterena. Un bianco secco, di colore giallo paglierino intenso, con riflessi verdi. Naso energico, palato accattivante e astringente: mela verde, limone e lime.

Dodici gradi: più leggero di altri Xynisteri, ma più pulito e lungo nel finale. Passiamo poi all’assaggio di Arsinoe 62, un altro vino derivato da uve dell’autoctono Xynisteri, selezionate appositamente nella zona di Laona, nel distretto di Paphos. L’affinamento in bottiglia ne migliora l’aromaticità e lo rende il miglior accompagnamento testato in loco ai piatti di pesce e carne di pollo dei tradizionali Meze di Cipro.

E mentre Irene stappa il primo rosso, alla Sodap inizi a sentirti un po’ come a casa, coinvolto dalle storie di vita vissuta di questa straordinaria donna, di origini turche, con legami di sangue in Romania. E che ha vissuto per diversi anni persino in Canada.

Nel cielo dell’ampia stanza adibita a enoteca, Irene culla un calice d’un rosso di cui l’azienda va fiera: il Maratheftiko della linea Stroumbeli. “Il nostro enologo – spiega la guida, tenendo gli occhi fissi su quel calice – tiene molto alla perfetta ossigenazione dei vini, prima dell’assaggio. In questo momento sarebbe fiero di me”.

La risata che segue è incredibilmente contagiosa. Il Maratheftiko offerto risulta in effetti un ottimo esempio della potenza che può offrire quest’uva cipriota. Di colore rosso intenso, profondo, esprime un elegante profumo di frutti di bosco, cuoio e legno.

Il palato è asciutto, pulito, con un finale in cui emerge tutto il carattere della barrique francese, resa ancora più elegante dalla vaniglia. Irene passa poi ai blend. E’ il momento di assaggiare un altro “pezzo da 90”: il blend tra Maratheftiko e Cabernet Sauvignon cipriota, della linea Mountain Vines. Nel calice si presenta di un rosso intenso, tendente al viola.

Colpisce l’intensità delle note fruttate, che abbracciano sentori di legno affumicato. Al palato si presenta complesso, ricco, lungo: si avvertono note di frutti di bosco e barrique. I tannnini risultano eleganti, caratteristici del Cabernet. Un bel mix, a metà tra Francia e Cipro. Ultimo assaggio: tocca allo Shiraz della linea Stroumbeli.

Un bel rischio, quello corso da Irene, dal momento che ho subito precisato di non amare gli Shiraz “moderni” diffusisi come funghi negli ultimi dieci anni, in ogni angolo del Pianeta – rimanendo fedele al gusto di quelli siciliani. Ma quella di Irene è una scommessa vinta.

Già, perché lo Shiraz Stroumbeli della Kamanterena Winery Sodap Ltd è incredibilmente fedele alla tradizione italiana, più che a quella francese. Non presenta, per esempio, alcuna nota dolciastra, che caratterizza gli Shiraz francesi (forse più internazionali di quelli siculi, ma certamente meno fedeli al terroir). E, a completare l’opera, il profumo che si diffonde nel calice è magico: intenso, caldo, con spiccate note speziate e rinfrescanti sentori di menta e pepe.

All’assaggio, questo rosso si presenta molto ben strutturato: buono il corpo e decisamente soddisfacente la lunghezza, in un crescendo di spezie e frutti di bosco a bacca scura. Sarebbe stato meraviglioso poterlo accorstare, all’istante, a un buon filetto di carne al sangue. Ma questo è il momento dei saluti, che con Irene non può essere che quello di un sentito, accorato “arrivederci”.

KEO
Parlare di vini di Cipro non può prescindere dal raccontare un’altra realtà: quella di Keo. La sede di produzione si trova nella parte centro-meridionale dell’isola, a Limassol (in italiano, Limisso), seconda città dello Stato di Cipro per numero di abitanti (circa 190 mila).

Lo stabilimento principale è collocato a poca distanza dal porto, ma esistono attualmente altri due poli di produzione, uno a Mallia e l’altro a Pera Pedi, sui monti Troodos, nella regione di Krasochoria. A Limassol l’azienda ‘sforna’ attualmemente 30 mila ettolitri di birra al mese, mentre nelle altre due sedi viene prodotto vino.

La conoscenza con Keo avviene non appena sbarcati sull’isola, dove in ogni angolo sono presenti pubblicità di questo colosso. Il primo bacio avviene quasi spontaneamente, nel primo locale di Cipro dove il turista sosta alla ricerca di refrigerio. La birra Keo è una lager leggera che deve competere soltanto con un altro prodotto: la birra Lion. Ma il confronto con questa superpotenza del settore è improponibile.

Èquasi raro trovare qualche ristorante o chiosco che abbia entrambe in lista. Il risultato è che Keo opera in un regime di quasi totale monopolio sull’isola. E di conseguenza i prodotti risultano poco tipici, poco ciprioti, troppo internazionali (nel senso negativo del termine) e troppo “chimici”.

Nei vini Keo, acquistabili in ogni catena di distribuzione di Cipro, sia essa nazionale o internazionale (Carrefour, per intendenrci) si avverte un utilizzo smodato dei solfiti. In sintesi: due bicchieri e sei KO. Anzi, KeO. Un esempio? Provate lo Xynisteri, acquistabile anche al Lidl locale.

CYPRUS WINE MUSEUM – MUSEO DEL VINO DI ERIMI, LIMASSOL
Altra tappa obbligata per gli amanti del vino a Cipro è il Cyprus Wine Museum, il Museo del vino di Cipro. Situato a Erimi, piccolo borgo di 1.400 abitanti a pochi chilometri da Limassol. Si tratta di una meritevole iniziativa privata di Anastasia Guy, che ha messo a disposizione del pubblico (biglietto di ingresso tra i 4 e 7 euro) la propria collezione privata di cimeli dell’arte di fare il vino, abbinando al tour guidato del museo la degustazione dei vini rigorosamente ciprioti prodotti e venduti sul posto, recanti il marchio Cyprus Wine Museum.

Si passa dal Maratheftiko al Mattaro, nonché all’immancabile Xynisteri, per poi degustare – accompagnati da dolci tipici – la famosa Commandaria, uno dei vini più antichi del mondo, che per Riccardo Cuor di Leone era “il re dei vini e un vino da re”. “Le uve di Mavro e Xynisteri – spiega Anastasia Guy – vengono lasciate appassire sulla vite, raccolte tardivamente per elevarne il tasso zuccherino presente in ogni acino. Vengono poi lasciate al sole a seccare e solo in seguito pigiate.

Di questo vino liquoroso parla Esiodo, già nell’800 avanti Cristo. Ma conosce una diffusione eccezionale al tempo delle Crociate, quando diventa il vino per eccellenza nei banchetti regali. Questa denominazione di origine controllata – la più antica del mondo anche secondo il Guinness World Records – è consentita solo in quattordici villaggi dell’omonima regione dominata dal castello di Kolossi, situato a pochi chilometri dal Cyprus Wine Museum, in cui si può ancora respirare il fascino dell’epoca del Cavalieri Templari.

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