Secondo le più recenti statistiche, il Pinot Noir occupa il 12% della superficie vitata in Alsazia. È in crescita di 3 punti negli ultimi 10 anni. Vent’anni fa, la quota del Pinot Nero si fermava al 7%. Una lievitazione lenta, ma costante. «Non è un caso, non è una moda, non è frutto del desiderio dei consumatori di bere più vini rossi in stile Borgogna, ma uno dei volti della rinascita dell’Alsazia». Lo assicura Foulques Aulagnon, Export Marketing Manager del Civa, il Comité Interprofessionnel des Vins d’Alsace. Non sorprende, allora, la scelta dei francesi di presentarsi lunedì 16 ottobre a Milano – per la masterclass di Alsace Rocks! – con più vini rossi (quattro) che bianchi (due), senza considerare la coppia di Crémant d’Alsace.
I 4 Pinot Noir dei produttori Allimant Laugner, Domaine Butterlin (in cerca di un importatore in Italia), Domaine Frey-Sohler e Paul Blanck, presenti nel capoluogo lombardo per raccontare in prima persona i loro vini delle vendemmie 2022, 2021, 2019 e 2017, non hanno sfigurato. Piuttosto, hanno “costretto” la sala di giornalisti e operatori Horeca (enotecari e ristoratori milanesi) ad astrarsi dalla banale equazione “Pinot nero francese = Bourgogne”. A collocare subito sul corretto piano la degustazione è stato lo stesso Aulagnon (nella foto, a destra), che col Civa porta avanti ormai da anni l’idea del Pinot nero alsaziano.
LE NUOVE FRONTIERE DEL PINOT NERO IN ALSAZIA
Un vino pensato per l’abbinamento con il cibo. Da consumare – a seconda dell’interpretazione del produttore – tanto con spensieratezza, quanto al cospetto di portate più strutturate. Concetti già rimarcati durante le edizioni 2021 e 2022 di Millésimes Alsace Digitasting®, il grande evento digitale del Civa che – parentesi – non sarà più riproposto in futuro, su decisione del board di Avenue de la Foire aux Vins, Colmar. Ribaditi e confermati a Milano anche da un produttore “navigato” come Philippe Blanck (nella foto, a sinistra), che invita gli italiani a «sondare la versatilità dei Pinot Noiralsaziani nel pairing con i piatti della grande tradizione gastronomica del Belpaese».
La superficie vitata complessiva dell’Alsazia – fa eco Foulques Aulagnon – è stata per circa 1.500 anni di 30 mila ettari, il doppio rispetto a quella attuale. La metà dei vigneti era a bacca rossa. Durante il Medioevo, quando l’Alsazia faceva parte del Sacro Romano Impero germanico, eravamo conosciuti per i nostri bianchi, ma anche per i nostri vini rossi. Ormai da tre generazioni, in Alsazia, abbiamo nuovi produttori formatisi all’estero, o in Borgogna, che hanno ripreso l’allevamento del Pinot Nero, riportandolo in auge accanto a varietà come Riesling, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Gewürztraminer».
IL PINOT NOIR D’ALSAZIA GRAND CRU: KIRCHBERG DE BARR E HENGST
E a partire dalla vendemmia 2022, il Pinot Noir d’Alsazia ha visto una duplice promozione a Grand Cru. La varietà a bacca rossa è stata autorizzata nella Aoc Alsace su 2 particolari terroir: il Grand Cru Kirchberg de Barr (a Barr, nel Basso Reno) e l’Hengst (a Wintzenheim nell’Haut-Rhin). Si tratta dell’ennesima conferma della volontà dei produttori alsaziani di farsi conoscere per i loro Pinot Nero nel mondo, con prodotti di altissima qualità, nel solco della grande attenzione all’incredibile variabilità dei suoli che è il punto forte dell’Alsazia del vino.
Il decreto del 9 maggio sulla Gazzetta Ufficiale del 13 maggio ritocca la fisionomia dei Grand Cru locali a distanza di quasi 20 anni dall’ultima modifica, che ha consentito a Kaefferkopf di entrare nella cerchia dei 51 “vigneti d’eccezione” dell’Alsace, nel lontano 2007.
Nel calice, i Pinot Noir Grand Cru Kirchberg de Barr riflettono le caratteristiche dei terreni marno-calcarei, che regalano vini dalla struttura potente ma raffinata. Il colore è scuro e profondo. Il naso è complesso con note di frutti neri e spezie. Al palato una viva acidità e un ottimo volume, ma nel complesso una grande finezza, sottolineata anche dal finale lungo e salino. Grande potenziale di invecchiamento.
I Pinot Noir Grand Cru Hengst – ovvero “Etalon”, “Stallone” – sono il frutto di suoli di marna, calcare e arenaria che nel calice si tramutano in vivacità ed energia. I vini sono potenti, profondi e si conservano a lungo. Di un bel colore rosso rubino, si distinguono per la loro complessità al naso con note di frutta rossa e spezie. Al palato, la loro struttura è ricca ed elegante, con tannini setosi. Finale lungo e grande potenziale in termini di affinamento.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Scatta la rivolta di imprese, cittadini e Istituzioni contro lo scandalo mondiale del mafia marketing che per la prima volta verrà messo in mostra con quello che Coldiretti definisce «un’inquietante “collezione” dei più vergognosi prodotti agroalimentari venduti nel mondo con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più odiose, sfruttati per fare un business senza scrupoli sul dolore delle vittime e a danno dell’immagine del Paese».
L’appuntamento è per venerdì 2 dicembre dalle ore 9 a Palermo in via Amari, accanto al Teatro Politeama al Villaggio Coldiretti. Accorreranno migliaia di agricoltori, assieme al presidente di Coldiretti Ettore Prandini e alla delegata di giovani Coldiretti Veronica Barbati.
Un atto di denuncia rispetto a un fenomeno che getta discredito sull’immagine del Paese – continua Coldiretti – diffondendo inaccettabili stereotipi, contro il quale prende il via una mobilitazione nazionale guidata dai giovani imprenditori che saranno presenti in piazza per difendere la reputazione dell’Italia ed il loro futuro».
Per l’,occasione insieme alla prima mostra sui prodotti del mafia marketing. nel mondo verrà diffuso lo studio Coldiretti “La mafia del piatto, dai ristoranti al supermercato“. Un focus sulla ristorazione che in tutti i continenti «sfrutta termini come mafia, cosa nostra, camorra come elementi di richiamo per fare affari propagandando una immagine distorta dell’italianità».
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
La Grande distribuzione, ovvero il mondo dei supermercati, apre le porte alle etichette di vino Horeca, ovvero a quei vini top di gamma sin ora riservati dalle cantine italiane a enoteche e ristorazione. È quanto emerge dall’incontro online andato in scena a Wine2Wine, versione digitale di Vinitaly 2020.
Una necessità già prospettata dal nostro network di testate (Vinialsupermercato.it e WineMag.it, incentrate rispettivamente su Gdo e Horeca) in occasione del primo lockdown, attraverso la proposta di un “Patto sul Vino in Gdo” che coinvolgesse realtà produttive sin ora escluse della distribuzione moderna.
Ospiti del dibattito, intitolato “Vino e grande distribuzione di fronte al cambiamento”, oltre a Virgilio Romano dell’Istituto di Ricerca IRI, anche Mirko Baggio, Responsabile vendite Gdo di Villa Sandi e membro di Federvini ed Enrico Gobino, Marketing Director del Gruppo Mondodelvino e membro di Unione Italiana Vini.
Per il Retail: Gianmaria Polti, Responsabile Beverage – Carrefour; Alessandra Corsi, Direttore marketing dell’offerta e Mdd – Conad; Francesco Scarcelli, Responsabile Vini, Birre, Bevande Alcoliche Coop Italia e Fabio Sordi, Direttore commerciale del Gruppo Selex.
Alla base della conferma dell’apertura della Grande distribuzione nei confronti delle etichette Horeca ci sono i dati di vendita del vino italiano nei supermercati, durante i primi 10 mesi del 2020.
Come sottolineato dalla ricerca Iri presentata da Virgilio Romano, a subire l’incremento maggiore dall’inizio dell’emergenza Covid-19 sono stati i vini di fascia medio alta, con un prezzo compreso tra i 3 e i 10 euro.
Importante, più in generale, l’incremento a valore rispetto al 2019 (+6,4%) e in volume (+5,4%), che portano ad oltre il 50% il dominio della Gdo tra i player della distribuzione (l’online è cresciuto sino a quota 1,1%).
Come già dichiarato a WineMag.it il 9 maggio, il category Francesco Scarcelli ha ribadito la disponibilità di Coop a trattare con le cantine italiane sino ad ora concentrate sull’Horeca, a patto che “il rapporto sia duraturo e ci si concentri sulla creazione di dinamiche a medio lungo periodo”.
“Non abbiamo bisogno di ulteriori etichette dedicate dalle cantine alla Gdo – ha sottolineato – ma di etichette con una storicità e un nome già riconosciuto nell’Horeca, da poter mettere a scaffale. Sarà poi compito delle insegne valolizzarle a dovere, in primis sul fronte di un prezzo congruo”.
“La nostra esperienza con la marca privata ‘Fior Fiore Coop’, del resto, che con Amarone, Brunello e Barolo supera i 25 euro, ci dimostra che il consumatore è disposto a spendere per vini di cui conosce la tradizione e il valore”, ha precisato Scarcelli.
Dello stesso parere Gianmaria Polti di Carrefour: “Stiamo assistendo a un trade-up degli acquisti, con i vini tra i 7 e i 10 euro che subiscono l’incremento maggiore nelle vendite. Per negoziare bisogna avere una controparte che, sino ad ora, è mancata: sono mancate le cantine blasonate, sempre rimaste diffidenti nei confronti della Grande distribuzione, a torto o ragione”.
“La pandemia – ha aggiunto Polti – ha cambiato gli scenari: oggi assistiamo all’avvicinamento di una buona parte di queste cantine alla Gdo, che non snobbano più questo canale in grado di svolgere un ruolo importante in questi mesi segnati dal Covid-19”.
Secondo Polti, “la negoziazione tra cantine e Grande distribuzione non deve più spaventare”. Una prova? “Nell’ultimo mese – ha sottoineato il category di Carrefour – abbiamo venduto più Prosecco Docg che Doc. Invito quindi le cantine operanti nell’Horeca ad avvicinarsi alla Gdo: il nostro scaffale ha già iniziato fare spazio a etichette importanti e siamo convinti di continuare su questa strada”.
Dello stesso avviso Alessandra Corsi di Conad: “Continueremo in questo trend – ha evidenziato – forti anche del fatto che sono i nostri clienti a chiederci sempre maggiore qualità, non solo nel segmento vino. Presto, di fatto, saranno presenti a scaffale nuove etichette precedentemente riservate da alcune cantine esclusivamente all’Horeca. Invito anche io le aziende a seguirci, dal momento che i consumatori sono ormai pronti a trovare vini di qualità in Gdo”.
Fabio Sordi di Selex: “I nostri category sono certificati sommelier – ha sottolineato – e siamo dunque abituati a considerare la qualità e non solo il prezzo. La vera sfida sarà quella di riuscire a comunicare con i clienti, con un linguaggio comprensibile anche dai non esperti e con degli scaffali sempre più leggibili“.
Positivi i riscontri dall’altra parte della barricata. “La Gdo in Italia è sempre stata vista con un po’ di snobismo – ha affermato Enrico Gobino di Mondodelvino Spa – un canale di serie B rispetto a quello tradizionale. Nel resto del mondo non è così”.
“Considerando la Gdo in ambito di diversificazione multicanale – ha aggiunto – molti potrebbero trarne beneficio, ma la Gdo deve venire incontro alle cantine sul fronte del rispetto del prezzo e di una ‘promozionalità’ non aggressiva, che preservino la storia di valore della singola etichetta”.
Mirko Baggio della veneta Villa Sandi ha confermato l’opinione del collega produttore: “L’ingresso delle etichette Horeca in Gdo è un argomento molto sentito. Il dato positivo della crescita dei vini tra i 7 e 10 euro dimostra che c’è sempre più spazio per le etichette di qualità nella Grande distribuzione. Ciò che paga, sempre più, è il rapporto qualità prezzo, non solo la mera logica del prezzo e della promo”. Si attendono dunque le prime mosse.
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“Grazie raga, è stato quasi meglio dei mondiali”. Spopola sul web l’inserzione sponsorizzata di Ceres, comparsa a poche ore dalla notizia della formazione del nuovo Governo.
“E’ sempre un piacere Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Sergio Mattarella, Enrico Mentana“, recita lo spot del noto marchio di birra danese.
Un’entrata a calice teso nella storia infinita che ha visto protagonisti Cinque Stelle, Lega e il presidente della Repubblica.
Birra ghiacciata e pop corn, appoggiati sulla bandiera di un’Italia che i mondiali quest’anno li guarderà dal divano. Da spettatrice.
Come spettatori sono stati gli italiani, in queste settimane di spread alle stelle, mercati in subbuglio e tedeschi col mirino puntato sul Bel Paese.
Al termine di una serie infinita di rimpalli, scambi di responsabilità fra partiti di maggioranza, Presidente della Repubblica e forze di opposizione – roba che neanche Andre Agassi, Pete Sampras, Steffi Graf e Martina Navràtilovà sullo stesso campo di gioco – ecco il post di Ceres. Con tanto di “tag” a Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Sergio Mattarella.
Geniale. Geniale nella sua semplicità e contemporaneità. Così come il post dello scorso 25 maggio quando, sulla scia della nuova normativa per la privacy, Ceres pubblicò “Informativa sulla Privacy […] Accetta ed esci, che è venerdì”. Commento al post? “Dai che della tua birra ti puoi fidare.”
Ironia. Forse davvero una delle chiavi per comunicare non solo un brand, ma anche il concetto di bere consapevolmente.
Non ce ne vogliano quindi Di Maio e Salvini se, accanto all’ormai noto slogan “bevi responsabilmente”, per una volta ci sentiamo si aggiungere “Governa responsabilmente”.
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Otto Marzo, Festa della Donna. Un paio di tette con una bella etichetta di vino in secondo piano, da pubblicizzare ben bene, avrebbe fatto contenti in molti. Ma noi siamo differenti. E chi ci segue lo sa.
Oggi, 8 Marzo, Festa della Donna, vogliamo raccontarvi il ruolo della Donna nel mondo del vino moderno.
E quando pensiamo a “donna” e “vino”, ci viene in mente un nome su tutti: Marilena Barbera. Per i pochi che non la conoscessero, Marilena è una donna del vino che ha saputo imporsi, come poche, nel panorama della viticoltura italiana di qualità.
Lo ha fatto senza scendere mai a compromessi. Con nessuno. Per di più in una regione difficile come la Sicilia. Marilena Barbera è una di quelle che si fanno fotografare in vigna, in canottiera. Senza trucco. Con in mano una cesoia. Mica l’ombretto.
Non produce vini per i supermercati, ma fa vini da Gdo: che – almeno per oggi, consentitecelo – sta per Grande Donna Orgogliosa. Della sua Sicilia. Dei suoi vini e dei suoi vigneti. Della sua Terra, nelle sue mille sfumature. E – lo diciamo noi – anche di sé stessa. Auguri a tutte le Donne del Vino come Marilena.
Non è semplice parlare del ruolo della donna nel mondo del vino di oggi. Almeno, non è semplice senza cadere nei clichés che accompagnano [quasi] ogni tentativo di analizzare le questioni di genere.
Chiedo venia per le generalizzazioni che sarò costretta a fare, ché sarebbero necessari volumi per affrontare un tema così delicato, e certamente sarebbero necessarie competenze in ambiti in cui non sono ferrata: sociologia, psicologia, macroeconomia ed altro ancora.
Vi offrirò, dunque, un punto di vista parziale ma sincero: quello di vignaiola, e di vignaiola del Sud.
Il mondo del vino è un settore economico e sociale in evoluzione continua, e probabilmente è anche uno di quelli che negli ultimi vent’anni ha vissuto cambiamenti epocali grazie all’ingresso di generazioni nuove che hanno profondamente trasformato il modo di produrre e di comunicare.
Guardiamo, ad esempio, all’impatto che i “nuovi” media (social, blog, le dinamiche della rete nel loro complesso) hanno avuto – e sicuramente continueranno ad avere – sulle abitudini di consumo del vino, al loro ruolo fondamentale nell’azzeramento della distanza fra i produttori, vignaioli o grandi aziende che siano, e le persone che il vino lo acquistano (mescitori, ristoratori e consumatori).
Una vera rivoluzione che si è consumata in pochissimi anni e che ha generato la necessità di profonde mutazioni nelle professioni che ruotano intorno al vino e nelle relazioni fra gli attori di questo mondo.
Le donne, di sicuro, questa trasformazione la stanno cavalcando: vedo intorno a me colleghe vignaiole che senza paura mostrano le mani segnate dal lavoro.
Vi sembra una trovata di marketing? Nemmeno per sogno: se pensate a come veniva dipinta la classica rassicurante “donna del vino” vent’anni fa, con il rossetto in ordine e la messimpiega fresca di parrucchiere, siamo ad anni luce di distanza.
Vedo enologhe che affermano con forza le proprie capacità direzionali in squadre di cantina composte da decine di uomini, vedo giornaliste che si infilano gli scarponi e vanno a raccontare il vino dove il vino si fa, in vigna.
Eppure, di fronte a questa radicale (e necessaria) trasformazione della professionalità femminile, che sempre più donne rivendicano con orgoglio e senza vezzi, il mondo del vino reagisce, spesso, come sempre ha fatto: con malcelata diffidenza, con sufficienza, con un atteggiamento (a volte insopportabile) di mera tolleranza.
I motivi sono tanti e – credo – siano per la maggior parte culturali. Perché questa rivoluzione di cui vi ho parlato poco fa è, in effetti, una rivoluzione incompleta. Non è solo il mondo del vino ad essere stato prevalentemente “maschile” fino a qualche anno fa, ma la gran parte del mondo del lavoro in Italia. E vorrei utilizzare, perché ritengo sia più appropriato, il termine “maschilista” o, ancor meglio, “sessista”.
Il mondo del lavoro in Italia è sessista, e il mondo del vino non fa eccezione.
Fatte salve alcune professioni che per tradizione sono state riservate alle donne da quando le donne sono entrate nel mondo del lavoro – pensiamo alla maestra dell’asilo o delle elementari, la commessa del negozio di articoli femminili, l’aiuto domestico, l’ostetrica, la baby sitter e poche altre – in nessuna professione le donne vengono trattate alla pari dei colleghi uomini: né per quanto riguarda le opportunità di accesso, né in relazione alla retribuzione, né per le reali possibilità di carriera. Questa condizione è comune alla maggior parte delle professioni e, dunque, esiste anche nel mondo del vino.
Nel mio caso specifico – perché un punto di vista parziale vi sto offrendo, e mi scuserete – le problematiche maggiori hanno riguardato il riconoscimento del mio potere decisionale nel settore della produzione.
Non sono entrata in questo mondo per scelta, ci sono entrata per necessità, alla morte di mio padre. La scelta è arrivata dopo, quando mi sono innamorata di questo lavoro.
Dunque, morto mio padre, ho ereditato una vigna, un mutuo, e una squadra di persone che faceva il vino. Riuscire a trasformare tutto questo in un’azienda che oggi riconosce, apprezza e trova [finalmente!] fondamentale il mio apporto è stato un percorso a ostacoli.
Per trasformare la vigna da convenzionale a biologica, e certificarla, ci sono voluti 10 anni; per utilizzare un sesto di impianto differente da quello che l’agronomo titolare aveva deliberato essere necessario ce ne sono voluti altrettanti; per smetterla con i lieviti selezionati in vinificazione ci sono voluti 4 anni, per abbandonare le chiarifiche 5, gli enzimi 7.
In tutti questi anni ho dovuto svolgere un lavoro di coinvolgimento, convincimento, blandimento (si dice? Beh, quello), dimostrazione dei risultati anno dopo anno. Non me ne pento affatto, ma nessuno mi toglie dalla testa che se fossi stata uomo ci avrei messo molto, ma molto di meno.
Non starò qui ad elencarvi tutte le alzate di sopracciglia durante le presentazioni commerciali, quando si tratta di firmare i contratti. Vi prego di credermi, in fiducia: nel mondo del vino per una donna è ancora molto difficile veder riconosciuti i propri meriti quale lavoratrice e professionista.
Vi faccio solo un ultimo esempio, per me illuminante: qualche tempo fa leggevo l’intervista di una enologa che lavora presso un’azienda toscana, che raccontava di come il titolare (uomo) fosse molto felice del fatto di averla assunta perché “l’ambiente si è ingentilito: in sala degustazione c’è sempre un fiore“. Ecco, questa è la forma mentis che le donne subiscono ancora oggi, e non è accettabile, non più.
Ci sono, per fortuna, fulgidi esempi del contrario, e ciascuna di noi – vignaiola, enologa, giornalista, sommelier, ricercatrice eccetera – ne può raccontare, ci mancherebbe. C’è la solidarietà di tanti colleghi uomini, l’apprezzamento dei clienti, la considerazione di molti, moltissimi professionisti che lavorano nel mondo del vino a diverso titolo.
Ma io sogno un mondo in cui le persone vengano apprezzate per il lavoro che svolgono, per i risultati che conseguono, per l’intelligenza, la flessibilità, la creatività, la visione, l’umanità, la generosità, al di là del genere che la natura, casualmente, ha loro assegnato.
Sogno un mondo che non abbia bisogno delle quote rosa. Oggi, festa della donna, brinderò a questo.
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(3 / 5) Che ci sia “Prosecco” e “Prosecco” è ormai chiaro a tutti gli attenti “bevitori”. Una regola che vale soprattutto al supermercato, dove peschiamo uno dei più commerciali e pubblicizzati: il Prosecco Doc Extra Dry millesimato 2017 Casa Sant’Orsola.
Un’etichetta che non faceva parte della nostra degustazione alla cieca di settembre 2017, in cui abbiamo stabilito i migliori e i peggiori “sparkling da Glera” al supermercato. Ma difficilmente – ve lo anticipiamo subito – sarebbe riuscita ad aggiudicarsi un posto tra i top.
LA DEGUSTAZIONE
Di certo, il Prosecco Sant’Orsola è uno di quei vini che, prima del calice, provano a raccontarsi visivamente sullo scaffale del supermercato (e ancora prima in tv, grazie a numerosi spot pubblicitari).
La bottiglia è avvolta in un sacchetto di colore arancione trasparente, che cattura l’attenzione del cliente. Un velo d’eleganza forse necessario per stordire, con il marketing, il palato di chi si accinge alla degustazione. Noi conosciamo Ulisse. E soprattutto le sirene.
Creature mitologiche a parte, il Prosecco Sant’Orsola si presenta del classico giallo paglierino nel calice. La “bollicina” è mediamente fine e persistente. Al naso la tipicità della Glera, che si esprime principalmente col sentore di pera.
Al palato, ennesima conferma dell’assoluta semplicità di questo Prosecco. L’ingresso è morbido, ma il nettare si sbilancia poi sui sentori zuccherini (pera matura). Finale sufficientemente persistente e lineare rispetto al sorso.
Un Prosecco destinato a un pubblico poco esigente, anche se il prezzo (se non soggetto a tagli prezzo e promozioni) non è tra i più invitanti per il portafogli, pur avvicinandosi al reale valore dell’etichetta. L’abbinamento? A tutto pasto, per chi gradisce, o come aperitivo.
LA VINIFICAZIONE
Il Prosecco Casa Sant’Orsola è prodotto con il Metodo Charmat, che prevede la rifermentazione della Glera in ampie vasche chiamate autoclavi. Casa Sant’Orsola è un marchio di Fratelli Martini Secondo Luigi Spa, che a sede in località San Bovo a Cossano Belbo, in provincia di Cuneo.
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MILANO – Dev’essere colpa della politica o del calcio. Per osmosi, anche il mondo del vino registra derive degne di una tribuna d’ultras o di un’aula parlamentare. Da una parte i puri. Gli eno vergini. Quelli che il vino si fa da solo (e l’aceto, di conseguenza, non esiste). Dall’altra, chi riesce ad apprezzare anche i vini cosiddetti “convenzionali”.
Battaglie tra intolleranze mentali più che alimentari, combattute sulla linea Maginot dei social. Eno allergie scatenate dall’utilizzo di “additivi” dipinti come armi chimiche di distruzione di massa. Roba che manco Bram Stoker.
https://youtu.be/3xivuKINhoU
L’ultima pagina di questo wine horror l’hanno scritta gli organizzatori di Live Wine. E dove, se non sui social? La pagina ufficiale dell’evento in programma il 3, 4 e 5 marzo al palazzo del Ghiaccio di Milano, ha diffuso un’immagine che sintetizza bene il contenuto di altre mille cronache di eno guerre tra “puristi” e amanti dei vini convenzionali.
“Quanti additivi ci possono essere in un vino a parte i solfiti? Troppi, ed è per questo che a Live Wine invitiamo solo produttori che scelgono di non utilizzarli”. Segue l’infografica, nemmeno troppo leggibile nelle parti testuali (ma questo non conta ai fini dello sputtanamento) con l’elenco di una sfilza di additivi utilizzati per la produzione dei vini convenzionali, biologici, biodinamici.
Solo “anidride solforosa” per quelli che saranno presenti a Live Wine. Chapeau. Perché io so’ io. E voi non siete un cazzo. Chi garantisce? Il più delle volte non si sa. In fondo, è anche una questione di Fede: basta crederci. Un po’ come non si smette mai di credere nella squadra del cuore.
“Parlare e scrivere di additivi e coadiuvanti nell’enomondo 3.0, dove dopo 4 post su Instagram e 100 like su Facebook prendi la patente da degustatore, è un’impresa coraggiosa”, commenta a vinialsuper l’enologa romagnola Claudia Donegaglia.
“Sull’onda dell’estremismo, del tutto e del contrario di tutto, si è persa la visione d’insieme del vino – continua – demonizzando, invece di cercare di conoscere la materia vino in tutte le sue sfaccettature. Come mi capita di dire spesso, con tutte questa ansia comunicativa si è persa la visione d’insieme del bicchiere”.
UN PO’ DI STORIA: COSA SONO GLI ADDITIVI DEL VINO
Come siamo arrivati a tanto? Perché si insiste a creare muri al posto di costruire ponti tra le due fazioni? Ma soprattutto: perché non partire dal “buono” racchiuso in entrambi gli schieramenti?
Questo è proprio il modello editoriale di noi di vinialsuper, in un eno mondo della stampa e dei wineblogger sempre più avvelenato dalla violenza di certi commentatori frustrati.
“Il mondo del vino è estremamente normato – spiega l’enologa Claudia Donegaglia – ma non da tempi recenti e con l’avvento del vino industriale. Leggete con attenzione: nel 1487 un decreto reale autorizzò in Germania l’aggiunta dello zolfo al vino. Se ne parlava anche in precedenza, ma fino ad allora non era stata stabilita la quantità da utilizzare”.
Calcolando quanto indicato nel decreto, si arriva a 18,8 mg/l. “L’aggiunta – precisa Donegaglia (nella foto) – avveniva impregnando dei trucioli di legno con una miscela di zolfo, erbe aromatiche ed incenso, bruciati nella botte vuota prima di riempirla di vino. Alla luce di tutto questo, vogliamo smettere di bere Riesling?”.
L’uso dei contenitori di legno, secondo l’enologa piemontese, è da far risalire ai tempi degli antichi Greci. “Per avere le prime botti con le doghe dobbiamo ringraziare i Celti e la barrique come contenitore da trasporto era pratica comune ai commerciati di Bordeaux. Cosa facciamo, basta bere vino francese?”.
“Del vino delle sue malattie e de i suoi rimedi è un libro di Giovanni Pozzi del 1816. Di due metodi per levare al vino l’odore di acido solforicodi Giuseppe Gatti risale al 1868. In questi trattati trovate l’indicazione dell’utilizzo del tartrato di potassio per stabilizzare il vino d’inverno, nonché quella di utilizzare la gelatina per limitare la durezza dei vini. Si parla anche dell’uso dell’olio di oliva per eliminare il gusto di fusto, dell’acqua di calce per limitare l’acescenza. Quindi, di additivi e coadiuvanti, mi sembra che si parli da tempo”.
Ai giorni nostri la normativa di riferimento sono: DPR 162/85; Legge UE 817/70; Regolamento UE 822/87; Codice enologico internazionale regolamenta le varie pratiche enologiche.
“Additivo”, come ricorda Donegaglia, “è qualunque sostanza che non è consumata di per sé come alimento, né utilizzata come ingrediente tipico di un alimento, la cui aggiunta intenzionale durante ogni qualsiasi fase della produzione, comporti la sua incorporazione e che influenza le caratteristiche di tale alimento”.
IL VADEMECUM DEGLI ADDITIVI
“L’enologia della demonizzazione e della contrapposizione – continua l’enologa Donegaglia – dovrebbe lasciare il posto alla conoscenza, alla visione d’insieme ed al buonsenso. Gli additivi esistono, così come si sono evoluti la tecnica enologica, la conoscenza, il gusto e le esigenze del consumo finale”. Ecco dunque le spiegazioni dell’esperta sull’utilizzo degli additivi demonizzati da Live Wine.
Acido tartatico, acido malico, acido lattico, acido citrico Acidi organici naturalmente presenti del mosto e nel vino, che possono esse aggiunti per rendere più equilibrato un vino dal punto di vista organolettico ed agevolarne la longevità. Perché, ammettetelo, è l’equilibrio una delle caratteristiche che ricercate.
L’acidificazione ha la funzione di aumentare l’acidità totale e diminuire il pH. L’aggiunta di acido citrico non deve portare il contenuto totale superiore a 1 gr/l. Questo acido ha anche la funzione di chelante (perdita di tossicità) dei metalli.
Colla di pesce Chiarificante ottenuto dalla vescica natatoria dei pesci, viene utilizzato sia in regime biologico che convenzionale, trova il suo uso più diffuso nella chiarifica dei vini bianchi. Rispetto alla gelatina, non dà surcollaggio e fa meno deposito, flocculando in maniera più compatta.
Acido ascorbico Grazie alle proprietà antiossidanti del prodotto, protegge il vino dall’influenza dell’ossigeno e generalmente viene utilizzato a ridosso dell’imbottigliamento. E’ un valido aiuto per le vinificazioni in riduzione e viene utilizzato in regime convenzionale e biologico. La dose aggiunta non deve oltrepassare i 100 mg/l.
Alginato di potassio
Con funzione chiarificante, usato come rifinitore a ridosso dell’imbottigliamento, viene estratto dalle alghe brune e viene utilizzato sia in regime convenzionale che biologico.
GILY: “LIVE WINE? COMUNICAZIONE SBAGLIATA” Sul tema interviene a vinialsuper anche Maurizio Gily dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
“Per me – sottolinea Gily – il concetto è che questo modo di comunicare allontana il consumatore dal vino, da tutto il vino. Si cerca un vantaggio competitivo attraverso una forma subdola di diffamazione dei concorrenti”.
“Subdola – continua – perché si suggerisce che un vino convenzionale contenga tutti quegli additivi che poi in gran parte nemmeno sono tali. Inoltre i produttori che ‘scelgono di non utilizzarli’ non hanno modo di dimostrare che è vero, non essendo sottoposti ad alcun controllo. Ci si basa su una dichiarazione, del tutto priva di rischi se si dichiara il falso”.
“Come ho già avuto modo di sottolineare in passato – precisa ancora Maurizio Gily – quella di Live Wine è una una sparacchiata che non giova, in ultima analisi, nemmeno ai produttori di vini ‘naturali'”.
“Infatti – spiega Maurizio Gily – è noto anche a chi, come me, abbia solo minime nozioni di marketing e comunicazione, che pensare di valorizzare il proprio prodotto suggerendo (sia pure senza dichiararlo esplicitamente) che quello degli altri è ‘sporco’ e pericoloso non è soltanto una mancanza di etica della concorrenza. Soprattutto è una strategia da perdenti, che attira su di sé il sospetto di millanteria e quindi non fa vendere di più. Forse il contrario”.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
“Vino e Sesso” è il titolo dell’editoriale (possiamo chiamarlo così?) a firma “Ais Staff Writer” che sta facendo discutere il web. A firmarlo è, in sostanza, l’Associazione italiana sommelier. La più prestigiosa realtà italiana della sommellerie.
Possibile che si sia caduti così in basso? In un italiano sintatticamente lacunoso, Ais cavalca il refrain del “vino rosso” che “aiuta”, grazie all’azione di sostanze come i polifenoli, nel sesso. Lo fa con spregiudicatezza. Un fulmine a ciel sereno nel firmamento di un’associazione capace di distinguersi per professionalità e rigore nelle maggiori manifestazioni enologiche nazionali.
Anche per questo, per questa folle uscita, non l’ha ancora criticata nessuno. Ais, si sappia, “conta”. “Conta” nel panorama “politico” del mondo del vino. “Conta” nella storia del vino italiano. “Conta” in quota alle maggiori cantine italiane, che si servono dei professionisti Ais: sicure, così, di tutelare e forse accrescere la propria immagine agli occhi dei consumatori. Ais “conta” anche nei Consorzi del vino.
Non a caso, anche un gruppo geniale e lungimirante come Esselunga ha scelto proprio Ais come tramite verso i clienti, nelle corsie dei propri store di successo. Successo, appunto. Lo stesso che uscite come questa, a caccia di like sui social, rischiano di offuscare.
Che si tratti, appunto, di una “operazione di marketing” mal riuscita (per scelta dell’argomento e del linguaggio)? Noi preferiamo chiamarla col suo nome: una gran puttanata. Alla stregua di tante altre, in un mondo del vino che – nell’epoca della comunicazione – sembra far sempre più fatica a comunicarsi “senza veli”, pur senza svestirsi della propria dignità.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Ogni produttore di vino italiano dovrebbe venire come minimo una volta all’anno qui negli States e cercare di frequentare il meno possibile i vari gruppi a tema sui social come Facebook – dove ho avuto recenti diverbi – oppure certe degustazioni o presentazioni fatte da sprovveduti per tirar su “due lire”, tanto per arrivare a fine mese.
Il mondo si muove ad un’altra velocità rispetto al nostro orticello che, spesso, retrocede per scarse competenze e preparazione sulla “materia vino” e la sua interazione con la società moderna. Va bene ciò che succede sui mercati della Francia, dell’Italia, o della Spagna, insomma dei principali produttori di vino a livello mondiale, ma è in altri ambiti che si sta giocando il futuro del vino italiano di qualità nel mondo.
Sicuramente gli americani, che noi spesso pensiamo distanti, sono quelli che più stanno influenzando il mondo del vino e non solo per essere il mercato numero 1 del pianeta.
E non importa se ieri, nella migliore pizzeria di Harlem, un bel vino rosso italiano lo si beveva in un tumbler, non importa se c’erano 8 vini rossi e 7 bianchi al bicchiere, e non importa se, quando ho chiesto il bicchiere tulipano, mi hanno guardato e detto “ah italiano” sorridendo.
Quel sorriso era un mix di venerazione per l’importanza che diamo al vino ma anche di consapevolezza di chi con il vino fa business, mentre noi siamo sempre troppo ancorati alla forma ed alle troppe parole. Non importa se spesso i buyer assaggiano il tuo vino nei bicchieri di plastica: “Cazzo me ne frega? Io voglio quel fottuto spazio in quello scaffale”, penso tra di me. E poi sono loro che acquistano e pagano il mio lavoro.
Non importa se spesso gli americani non fanno caso agli abbinamenti, non fanno caso se ha o meno il tappo a vite o se ha una bottiglia da 1,5 kg. Ciò che importa è che sia buono e che nei locali che frequentano sia disponibile e che ci sia al bicchiere. Chiuso.
Loro sono diversi da noi, molto più cordiali e aperti, soprattutto nei posti pubblici, ed intorno ad un bicchiere di vino, al bancone di un ristorante, puoi parlare e conoscere chiunque. Perché il vino è apertura mentale e fisica, predisposizione a qualcosa di bello. E poi sorridono e fanno domande quando gli dici che sei un italian wine producer.
IL FUTURO Una cosa interessante sarà il futuro del vino in USA, che per anni è rimasto ancorato a una classe sociale di bianchi con un buon indice di scolarizzazione mentre, ora, generazione dopo generazione, stanno entrando nuovi attori.
Gli afro americani e gli ispanici, soprattutto millennials, si stanno avvicinando al vino ed iniziano a consumarne ma, attenzione, spesso hanno gusti, palato e abitudini diverse, per cui chissà che evoluzioni porteranno al mercato amando soprattutto vini dolci o con un finale morbido quasi dolce.
In mezzo a tutte queste cose tu ti ritrovi a vendere Barbera d’Asti che, al di fuori di alcune isole felici come NYC, è difficile da proporre perché semplicemente non la conoscono.
E qui c’è il fulcro del discorso perché, mancando comunicazione e marketing, il vino si ritrova solo in balia delle onde e, quando trovi un’attività interessata a proporla, comunque la Barbera deve essere vicina a standard gustativi minimi prossimi di una certa omologazione del gusto internazionale.
Per quello che non si può più pensare di andare avanti così, ma bisogna affrontare il trade senza paura e cavalcare, con comunicazione, marketing e web, il mercato con le sue esigenze, debolezze, punti di forza ed opportunità. La grande differenza con la Francia sta tutta qui: con fatturati in crescita in USA e con una qualità percepita notevolmente più alta della nostra.
Con parole come Bordeaux e Bourgogne, veicolate da grandi e famosi vini, loro riescono ad ottenere ottimi posizionamenti anche con gli entry-level, spesso più scarsi dei nostri pari italiani. Qui la carta vini di un famoso locale di Miami, dove potrete vedere l’esiguità della presenza italiana.
LA COMUNICAZIONE
Sia alla degustazione di Omniwines che poi girando con gli agenti per enoteche e ristoranti, è ormai chiaro quale sarà la tendenza del vino su New York, in Texas o in California: sarà necessario arrivare a comunicare DIRETTAMENTE con il cliente finale, per accompagnarlo nella sua scelta finale che per il momento, causa leggi federali, sarà ancora fatta nei wineshop e non nelle ecommerce.
I ragazzi leggono sempre meno le testate storiche e sempre di più cercano tutto online, dove vige sempre il mio motto: se ci sei, ci sei. Ma se non ci sei, non ci sei. Negli States delle poche, mal fatte e rade iniziative di Consorzi o Associazioni di Produttori, arriva ben poco; esiste una comunicazione privata di alcuni grandi nomi fatta dai relativi importatori ma nulla di più.
Qualcosa di questa comunicazione traborda, come dal tavolo del ricco Epulone, ma non è sufficiente a generare interesse e massa critica come vorrei ci fosse su #Barbera o #Nizza ad esempio. Ce la faremo? Non lo so. Per ora no di sicuro e la Francia ci sta schiacciando in maniera prepotente. Cambieremo? Temo proprio di no.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Cervim protagonista in occasione del Master in marketing del vino organizzato da OIV, Organizzazione internazionale della vite del vino. Un master che si svolge da trenta anni e che da dieci vede la collaborazione del Cervim, ente istituito già con gli auspici dello stesso OIV.
La durata del master è di diciotto mesi, ed è riservato a partecipanti, quest’anno diciassette, provenienti da tutta Europa, ma anche da Cina e Usa, che hanno l’opportunità di conoscere tutto il mondo enologico e vitivinicolo. Mondo enologico che vede in primo piano anche la viticoltura eroica tutelata e promossa da Cervim.
Nella prima delle due giornate valdostane il gruppo è stato ricevuto all’Institut Agricole Régional della Val d’Aosta dove si sono susseguiti gli interventi di Roberto Gaudio, quindi di Odoardo Zecca, responsabile ricerca settore viticolo dello IAR e di Daniele Domenichetti, settore enologia dello stesso istituto; di Stefano Celi, presidente Associazione Viticoltori della Valle d’Aosta e François Murisier, nel recente passato Presidente del Comitato Tecnico-Scientifico del Cervim, ma anche vice presidente anziano OIV.
A seguire, e nella seconda giornata, i partecipanti del master hanno visitato cinque aziende ‘eroiche’ valdostane. La Valle d’Aosta è stata una tappa della parentesi ‘eroica’ del master fra la Svizzera, Laveaux e Canton Vallese, e poi la Savoia in Francia.
“Si tratta di un master di specializzazione molto importante – sottolinea il presidente Cervim, Roberto Gaudio – dove i partecipanti, per lo più giovani, hanno la possibilità di visitare ben venticinque paesi produttori e di formarsi come professionisti altamente specializzati. Siamo lieti di poter collaborare con OIV e di poter far conoscere la realtà della viticoltura eroica in cui opera il Cervim, una tipologia di produzione enologica particolare e di grande interesse”.
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Diciotto milioni di euro netti di ricavi nel 2009. Poi giù. Nel buio più profondo. Fino ad arrivare a una voragine dal diametro impressionante.
Un buco (finanziario) da 12 milioni di euro, consolidato dal bilancio 2016. E un vuoto (morale) ancora più disorientante, allo scattare delle manette ai polsi dell’eterno presunto Messia, giunto dalla Franciacorta: quell’Abele Lanzanova capace, secondo la GdF, di “appropriarsi di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. Era il 21 luglio 2016.
L’araba Fenice dell’Oltrepò pavese ha un nome solo ed è La Versa. Evocativo. Tattile. Come i trattori dei contadini in canottiera che, nella culla del Pinot Nero italiano, passano accanto a quel blocco di cemento di 15 mila metri quadrati, pronti a tornare a popolarsi di uomini, di passioni, di idee.
Ci credono in molti – ma forse ancora in troppo pochi – nel rilancio della storica cantina pavese ad opera della nuova società costituita da Terre d’Oltrepò e Cavit. In questo quadro, in una terra che da troppi anni è un puzzle di buoni propositi e di ottimi progetti individuali annegati nell’incapacità di “fare rete”, la cooperazione pare l’unico asso nella manica.
Lo sa bene Andrea Giorgi, personaggio a metà tra il cow boy e il sindaco sceriffo: presidente della newco scioglilingua “Valle della Versa”, partecipata al 70% dai lombardi e al 30 dai trentini. Ironia sottile, silenzi dosati. Risposte mai banali o scontate. A volte pungenti. Un giardiniere pronto a seminare nel deserto. Un minuto Gandhi, il minuto dopo William Wallace (a parole) prima di Bannokburn. Senza però sfociare nel bipolarismo.
Al suo fianco Marco Stenico, il mediatore. Il direttore commerciale per antonomasia. Trentino d’origine, è lui il braccio destro di Giorgi. L’uomo perfetto per riconquistare il mercato.
E non importa se, al 24 agosto, i due non sappiano ancora quali siano, esattamente, i bottoni da premere sul quadro elettrico per accendere la luce nel “caveau” di La Versa, intitolato allo storico presidente duca Antonio Denari. Per risorgere ci vuole tempo. E occorre fiducia. La ricetta? Ripartire dal passato, in chiave moderna.
“Questa è un’azienda nuova – precisa Stenico – costituita dai due soci. Terre d’Oltrepò e Cavit si sono prese carico, ognuna per le proprie competenze, di alcune attività. Noi seguiremo la parte commerciale, mentre i nostri partner trentini la parte tecnica, la vinificazione e la parte industriale, che sta per essere messa in attività a partire già da settembre”.
Dalla scorsa settimana, i conferitori della zona di Santa Maria della Versa e di Golferenzo hanno ricominciato a portare le loro uve a La Versa. “Tutto raccolto a mano – evidenzia Stenico – Pinot Nero, Riesling e Moscato”. La prima vendemmia della nuova società si assesta sui 25 mila quintali di uva. Masse certamente inferiori ai 450-500 mila quintali che Terre d’Oltrepò e i suoi soci sono in grado di produrre annualmente. Ma siamo, appunto, solo all’inizio.
La parte del leone spetta al Pinot Nero, con oltre 10 mila quintali. A seguire il Riesling, 5 mila. E infine il Moscato, con 7-8 mila quintali. Quantità risicate da maltempo e gelate che hanno interessato l’Italia, travolgendo anche l’Oltrepò Pavese. Cento i soci conferitori di quella che fu La Versa, cui si andrà a sommare la base sociale di Terre d’Oltrepò, costituita da oltre 700 soci. Tradotto in vigneto: 6 dei 13 mila ettari complessivi sono controllati da Valle della Versa, con un potenziale produttivo che supera il 55% dell’intera zona.
“Da questa vendemmia – commenta Andrea Giorgi – ci aspettiamo un prodotto da collocare nel più breve tempo possibile sul mercato con il marchio La Versa. Un’operazione strategica per Terre d’Oltrepò, che ha già due stabilimenti: uno a Broni, l’altro a Casteggio. Il primo ha un grande potenziale dal punto di vista tecnologico, che arriva fino alla trasformazione di 15 mila quintali di prodotto al giorno. Casteggio si sta invece specializzando nell’imbottigliamento di prodotti fermi. Qui a Santa Maria La Versa vogliamo invece sviluppare il marchio e destinarlo a prodotti spumanti e a frizzanti in genere”.
Il mercato di riferimento è chiaro. “Nella nostra strategia complessiva – risponde Giorgi – visti i quantitativi enunciati, possiamo abbracciare tutta la gamma, dalle enoteche ai supermercati, passando dai ristoranti. Stiamo accuratamente selezionando i canali nei quali entrare nel modo più redditizio possibile, per creare uno zoccolo duro sul mercato italiano e sviluppare l’estero, dal momento che l’export, oggi, riguarda solo una piccola parte. Quello che vogliamo fare è accontentare i diversi target di clientela, dando senso al lavoro delle nostre centinaia di conferitori”.
Al canale moderno, quello della distribuzione e della grande distribuzione organizzata (Do-Gdo) sarà affidato il 70-75% della produzione. Il resto alla nicchia della ristorazione e delle enoteche. Diverso il discorso per il marchio La Versa. Ed è qui che si gioca una delle partite fondamentali per il rilancio della cantina pavese.
IL TESORO NEGLI ABISSI Nei due piani sotterranei della cantina sono infatti custodite oltre un milione di bottiglie di metodo Classico oltrepadano (o futuro tale). Voci incontrollate assegnerebbero a questo scrigno un valore di 4,2 milioni di euro. Lo stesso per il quale la newco si è aggiudicata l’asta.
Una cifra che Giorgi e Stenico non confermano. E che, anzi, sembrano ridimensionare. Cosa ne sarà di questo bottino, vera carta da giocare anche nei confronti delle resistenze sull’operazione di Cavit in Oltrepò, da parte di una frangia di vignaioli delle Dolomiti? Cinque le annate custodite nel Caveau, comprese tra la 2004 e la 2015 , tra Docg e Vsq.
“Vorremmo identificare il posizionamento del prodotto in una fascia alta – precisa il direttore commerciale -. Canalizzeremo in Gdo La Versa, fatta eccezione per marchi storici come Testarossa e Cuvée storica, che invece saranno appannaggio del canale tradizionale. Sintetizzando, sia per la Gdo sia per l’Horeca, un posizionamento alto per i prodotti La Versa e numeri più bassi. Ristoranti, enoteche e bar di prestigio avranno l’esclusiva del top di gamma di La Versa, protetto dalle logiche dei facili volumi, su livelli dei grandi Franciacorta e dei grandi TrentoDoc”.
“A partire da ottobre inoltrato – dichiara Marco Stenico – saranno immesse sul mercato le prime 5-10 mila bottiglie selezionate in maniera tecnica e precisa, capaci di garantire senza ombra di dubbio quella qualità che avremo sicuramente fra tre anni. Il resto dello stock sarà venduto come prodotto di semi lavorazione ad altri produttori. Per noi questo milione di bottiglie ha un valore enorme e vogliamo portarlo a casa tutto. Devono essere il biglietto da visita di La Versa, ma soprattutto dell’intero Oltrepò, per il quale ci candidiamo a un ruolo di vero e proprio traino”.
LE ETICHETTE Le etichette, specie quelle destinate alla Gdo, sono ancora in fase di elaborazione. Sarà un lavoro di mediazione che interesserà le stesse insegne, avvezze a richiedere ai clienti layout ben precisi, secondo le moderne frontiere del neuromarketing.
Le prime bottiglie oggetto di restyling dovrebbero spuntare sugli scaffali di una nota catena italiana a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre (manca solo la firma sul contratto). Saranno invece tutelate da qualsiasi ingerenza le etichette storiche di La Versa, cui sarà garantita “un’identità vecchio stile, o comunque della vecchia bottiglia”.
“Faremo dei piccoli cambiamenti – annuncia Marco Stenico – ma senza togliere riconoscibilità al marchio”. Grande attenzione al mercato italiano. Ma nel mirino, per l’estero, oltre agli Stati Uniti, si affiancheranno missioni su piazze importanti, come Germania e Inghilterra.
L’aspettativa? “Innanzitutto – risponde Stenico – portare a casa la pagnotta. Ma i nostri piani industriali prevedono una crescita di 6 milioni nel primo anno e di 10 nei prossimi 3-4 anni, con redditività”. Una parola magica, “redditività”, che riguarderà soprattutto un’oculata gestione dei costi e delle risorse.
Di fatto erano trentacinque i dipendenti de La Versa colata a picco. Sette i milioni di fatturato nel 2015, scesi poi a poco più di 4 milioni nel 2016, per pagare stipendi e mantenere gli standard infrastrutturali. Di fatto, oggi sono 6 i dipendenti effettivi di La Versa (un enologo e 5 cantinieri). E se di numeri si parla, basti pensare che Terre d’Oltrepò, con un fatturato di 40 milioni, ha oggi in carico 48 dipendenti.
“Una gestione scellerata quella del passato – evidenzia il presidente Andrea Giorgi – che ha portato alla distruzione del fatturato di La Versa. Scelte imprenditoriali e commerciali errate hanno condotto la società a un’esposizione esagerata. Ma tra le cause del fallimento bisogna citare anche una componente politica, perché è impossibile immaginare 35 dipendenti in una realtà da 4,5 milioni euro annui”.
IL CONSORZIO “La ripartenza di La Versa – dichiara Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – è un nuovo inizio per un Oltrepò spesso percepito come schiavo di mille padroni e incapace di governare il proprio mercato. All’Oltrepò Pavese serve un marchio collettivo leader, La Versa può esserlo. In Oltrepò ci sono il Pinot nero, la storia spumantistica dal 1865, i terreni collinari tra i più vocati d’Italia, i borghi del vino più caratteristici e l’anima vera di ‘contadini diventati imprenditori’, come ricordava Carlo Boatti”.
“Tutti – prosegue Bottiroli – ripetono come dischi rotti che manca una strategia d’insieme. Per me, ferme restando le identità di tanti singoli produttori di filiera e le loro maestose composizioni, manca un direttore d’orchestra. Manca un leader che sposi un progetto di marketing e posizionamento a valore, forte dei numeri per competere in Italia e nel mondo”.
“In altre parole possiamo trascorrere i prossimi 10 anni a cercare di mettere insieme 1700 aziende vitivinicole, 300 delle quali vanno sul mercato con le loro etichette e un imbottigliamento significativo di una miriade di tipologie, oppure collaborare al rilancio di La Versa, perché torni a svolgere il ruolo di autorevole ambasciatore di un Oltrepò di alta gamma, come avveniva ai tempi del Duca Denari”.
La Versa, evidenzia Bottiroli, “ha testimoniato con il suo impegno e la sua storia l’eleganza e la longevità unica che può arrivare ad avere un grande ‘Testarossa, marchio La Versa per l’Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico, pura espressione del Pinot nero d’Oltrepò. Ne abbiamo 3.000 ettari”.
“La nuova proprietà – esorta il direttore del Consorzio – deve coinvolgere il territorio in un percorso in cui tutti devono credere con passione, perché ripartire richiede progetti, massa critica, continuità e tempo. La Versa deve tornare a raccontare ed affermare cosa sia un grande spumante Metodo Classico italiano e un superlativo vino dell’Oltrepò”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Chiedigli con cosa l’abbina. C’è un momento preciso in cui il “goloso” si trasforma in gourmand: quando nella testa gli balena il pensiero d’abbinare a quella tavoletta di cioccolato un buon vino. Questione di gusto. Ma anche di sensibilità. E di tecnica.
Occasione imperdibile per tutti i buongustai la degustazione organizzata mercoledì 10 aprile presso Il Centro di Arese (MI) da Signorvino e Domori. Cinque varietà del miglior produttore di cioccolato al mondo, abbinate a tre primizie dell’enologia italiana.
Apurimac (dark chocolate 70%), Sur del Lago (fine cacao 70%), Morogoro (fine cacao 70%) e Criollo (80 e 90%), a fare da contraltare al Barolo Chinato di G.D. Vajra, al Marsala Superiore Riserva 10 anni “Oro” di Marco De Bartoli e al Brandy italiano di Villa Zarri. Che si cercasse concordanza o contrapposizione, poco importa. Il risultato della degustazione condotta per Domori da Giulia Agnolin (marketing) e Beatrice Gaboardi (store manager Arese) e per Signorvino dal wine specialist Matteo Sala e dallo store manager Alessandro Mazzoleni, è stata pura emozione.
LA DEGUSTAZIONE Si parte con Sur del Lago, cacao 70% proveniente dalla patria del cioccolato Domori, il Venezuela. Un fondente con richiami di mandorla, caffè e un sottofondo nemmeno troppo soffuso di tabacco. Con il Barolo Chinato di G.D. Vajra l’abbinamento funziona, eccome. Tutto si gioca sulle morbidezze. Con il chinato che prova a fare il furbo, sfoderando nel retro olfattivo una spezia piccante che non intacca la piacevolezza dell’abbinamento.
Tocca poi ad Apurimac, dark chocolate 70% originario del Perù. Un cacao Trinitario dall’acidità più spiccata rispetto a quella di Sur del Lago. I richiami di note floreali fresche, spuma di latte e toffee sono una sorpresa. L’abbinamento con il Barolo Chinato Vajra è solo apparentemente in contrasto: la grande freschezza che contraddistingue tutta la produzione della cantina di Via della Viole fa il pari con l’acidità del cioccolato, rinvigorendone con le erbe addizionate al nobile vino Docg piemontese la struttura fresca. Chapeau.
Tocca ora a Morogoro, altro 70% cacao fine proveniente però dalla Tanzania. L’abbinamento con il Marsala Superiore Riserva 10 anni “Oro” di Marco De Bartoli esalta la tostatura del cioccolato e i suoi richiami al legno. Una persistenza aromatica intensa infinita, frutto dell’incontro tra la nocciola tostata che contraddistingue Morogoro Domori e il contributo dei 10 anni di affinamento in fusti di rovere e castagno del Marsala De Bartoli.
Il secondo cioccolato abbinato all’affascinante semi-secco siciliano è il Criollo 80% (Venezuela). La percezione zuccherina è inferiore rispetto a Morogoro. Più evidente la pastosità al palato. Un test più arduo, dunque, per il Marsala. L’abbinamento, in questo caso, si gioca tutto sul filo dell’alcolicità. Il poderoso ma elegante Criollo riesce così a svelare la vena “secca” della base Grillo del Marsala De Bartoli. E’ un trionfo per le papille gustative.
Si passa dunque al Brandy italiano di Villa Zarri, ottenuto dalla casa emiliana su una base di uve Trebbiano. Giulia Agnolin pesca dal mazzo un Criollo 90%, che trae inganno per il colore chiaro, che ricorda tutto tranne un fondente “così fondente”. Un cacao delicato e prezioso, che lascia la bocca pulita. Rotondo. Il Brandy sfoderato dal wine specialist Matteo Sala gioca sullo spunto tannico del cioccolato, che non manca. E, al contempo, ne esalta l’aromaticità.
Tutto bellissimo. Eppure mai quanto la chicca finale. Domori, infatti, ha nel suo paniere anche le fave di cioccolato. Un abbinamento emozionale quello con il Brandy italiano Villa Zarri, che gioca tutto sulla vena vegetale della fava e del Trebbiano. Un modo perfetto per concludere una degustazione da favola.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un grande risultato per Ais e per tutti i sommelier che, da anni, con professionalità, prestano servizio in lungo e in largo in Lombardia, e non solo. Il Comune di Milano ha conferito ieri all’Associazione italiana Sommelier l’Abrogino D’Oro 2016. L’attestato di Benemerenza civica è stato consegnato dal sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, al presidente della delegazione Ais di Milano, Hosam Eldin Abou Eleyoun , in occasione di una solenne cerimonia al Teatro Dal Verme. “Questo attestato – ha sottolineato Eleyoun – è merito di tutti i nostri 1853 soci e del gruppo di lavoro che si impegna ogni giorno dell’anno nel comunicare il vino. La passione, la professionalità, l’abnegazione sono solo poche parole per rappresentare la squadra di Ais Milano premiata con questo riconoscimento”. Una candidatura, quella alla prestigiosa Benemerenza meneghina, fortemente sostenuta nei mesi scorsi da Enrico Marcora, consigliere comunale della lista Sala e socio Ais.
IL SOMMELIER E’ “POP” Un riconoscimento all’impegno di tanti giovani, dunque. Ma anche a una filosofia che, in un mondo come quello del vino, spesso tacciato d’essere autoreferenziale e “snob”, ha saputo aprirsi – specie negli ultimi anni – a un pubblico sempre più eterogeneo. Incontrando così il favore degli appassionati. Basti pensare che è proprio l’Associazione italiana sommelier a formare il personale delle enoteche di molte catene della Gdo. Non ultima la milanese Esselunga.
“Al supermercato – commenta di fatto Fiorenzo Detti (nella foto), presidente Ais Lombardia – è assolutamente possibile bere bene. Devo dire che questa Gdo, al suo interno, è composta da persone qualificate che sanno comprare e comprano sempre meglio, spuntando il prezzo migliore perché, a differenza dei piccoli esercizi, acquista vini in grosse quantità. In questo modo la Gdo riesce a proporre all’utente finale numerose etichette molto valide, a prezzi vantaggiosi. E’ ormai confermato il trend che vede sempre più aziende blasonate aderire al circuito della grande distribuzione”.
Un fenomeno che, secondo Fiorenzo Detti, non è destinato a esaurirsi. Anzi. “Sono sicuro – continua il presidente Ais Lombardia – che oggi e sempre meglio nel futuro la Gdo saprà proporre prodotti di qualità al giusto prezzo. Io stesso acquisto da sempre vini al supermercato. E non è un caso se Ais cura la formazione enologica del personale che opera in questi grandi gruppi. D’altro canto – conclude Fiorenzo Detti – devo ammettere che da loro abbiamo avuto modo di apprendere molto, soprattutto in merito alle strategie di marketing che adottano. Insomma: più li conosciamo, più ci convincono che sono davvero bravi”.[sg_popup id=”1″ event=”onload”][/sg_popup]
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dicono che ci siano due modi per recepire un mantra. Capirlo e farlo proprio. O riconoscerne semplicemente il suono. Sbuffando. Dopo la terza nota uguale. Quello che sta avvenendo in Oltrepò pavese, patria italiana del Pinot Nero, con la massiccia opera di “comunicazione quotidiana” condotta da Emanuele Bottiroli – direttore e segretario del Consorzio di Tutela – mostra perfettamente entrambe le facce della medaglia.
“Buongiorno Oltrepò Pavese” è il nome della “rubrica quotidiana di Emanuele Bottiroli dedicata all’Oltrepò Pavese in onda tutti i giorni alle 8.15 su Facebook”. Iniziativa lodevole, che ha l’obiettivo di sotterrare gli scandali che (un anno sì e l’altro pure) attraversano questa martoriata terra di grandi vini, a suon di good news. Ma siamo sicuri che siano davvero buone notizie quelle che arrivano dall’Oltrepò? Per rispondere, tocca scomodare gli inglesi, oggi impegnati in faccende meno importanti, tipo la Brexit. No news is good news, dicono oltremanica. E quanto hanno ragione.
Il mantra di Bottiroli, di fatto, rischia di trasformarsi in un vero e proprio boomerang per tutta la viticoltura oltrepadana. Frasi come “al vino dell’Oltrepò pavese servono nuove piazze su cui imporsi”, “la voglia della metropoli (Milano, ndr) di scoprire il nuovo Oltrepò Pavese”, “spesso c’è stata una battaglia controproducente tra diversi modelli aziendali: produttori, imbottigliatori, vinificatori”, “oggi ci sono nuovi mercati su cui vincere“, “il Consorzio Tutela vini Oltrepò Pavese è impegnato in un grande riposizionamento sul canale Horeca, in particolare milanese”, “per fare valore e fare marketing delle nostre migliori produzioni”, al posto di dare la sveglia, rischiano di avere un solo altro risvolto: porre l’accento sull’esistenza di un problema.
Un problema bello grosso, considerata l’insistenza con la quale la rubrica di Bottiroli va “in onda” su Facebook. Sempre sul filo delle stesse note da cardiogramma piatto. Non siamo soliti a pezzi d’opinione. Ma veder andare in malora un territorio che, per provare a cambiare, utilizza solo parole al posto dei fatti, ci dà la forza e il coraggio di metterci in prima linea. Per l’Oltrepò Pavese del Vino. Per l’Oltrepò Pavese dei produttori garbati. Per l’Oltrepò Pavese che vuole cambiare davvero. Coi fatti. Magari iniziando da una rivoluzione tra gli uffici del Consorzio, auspicata da molti. Una rivoluzione che porti unità d’intenti e unità di vedute. Una rivoluzione che trasformi il Pavese da serbatoio a pompa di benzina. Per Facebook, ci sarà sempre tempo. Domani. Magari tutti assieme.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Trecentoquarantamila bottiglie. Si assesta su queste cifre la produzione di vino novello da parte di Cavit, Cantina Viticoltori del Trentino. Cifre in decremento. Così come in picchiata risultano, su scala nazionale, le vendite di vino novello. Una crisi senza fine, quella del corrispettivo italiano del Beaujolais nouveau francese. Il primo nettare della vendemmia, ottenuto (almeno parzialmente) mediante macerazione carbonica, ha perso il fascino di 10 anni fa. In Italia se ne producevano 10 milioni di bottiglie. Oggi 2 milioni. Il minimo storico, come sottolinea la stessa Coldiretti.
“Indubbiamente – spiega Susi Pozzi, direttore Marketing Italia di Cavit S.C. – il mercato del Novello negli anni ha subito un ridimensionamento, sia dal punto di vista delle bottiglie totali sia del numero di produttori. E’ un prodotto che ha raggiunto la fase di maturazione e declino. Le motivazioni sono diverse: un calo generalizzato del consumo di vino, la perdita ‘dell’effetto attesa’, dopo la modifica della data del cosiddetto ‘deblocage‘ del 6 novembre, una costante rincorsa all’anticipo del Natale che ha eroso ‘spazio/tempo’ alla vendita di questo prodotto, in particolare nel canale Gdo”.
Eppure, per Cavit, la produzione di vino novello rappresenta un segmento importante. “Il nostro novello Fiori d’Inverno è leader nel canale Gdo – precisa ancora Pozzi – mentre Terrazze della Luna è dedicato al canale Horeca. Il novello, per Cavit, rappresenta ancora un prodotto importante, che sosteniamo con eventi ad hoc per comunicare al consumatore e agli opinion leader la peculiarità dell’uva Teroldego, particolarmente adatta alla tecnica della macerazione carbonica, oltre alle caratteristiche distintive dei nostri Novelli”.
IL NOVELLO DI CAVIT L’Igt Vigneti delle Dolomiti “Fiori d’Inverno”, destinato ai supermercati, è un vino di pronta beva, preparato e proposto al consumatore già un mese dopo la fine della vendemmia. La zona di produzione è il Campo Rotaliano, nei comuni di Mezzolombardo, San Michele all’Adige e tra le colline coltivate a vite di Roverè della Luna. In particolare, “Fiori d’Inverno” nasce dalle uve di due vigneti autoctoni trentini: Teroldego e Schiava Gentile, che contribuiscono al blend rispettivamente al 70 e al 30%.
La tecnica usata per la vinificazione del Teroldego è la macerazione carbonica: le uve, perfettamente sane e mature, vengono fatte sostare intere e non pigiate in tini di acciaio inox in ambiente saturo di anidride carbonica. Durante questo periodo avviene la fermentazione intracellulare con estrazione delle sostanze aromatiche più delicate presenti nella buccia. Dopo qualche giorno l’uva viene pressata e il mosto fatto fermentare a temperatura controllata. Unito alla Schiava gentile (che dunque non subisce macerazione carbonica) viene poi sottoposto a un breve affinamento in tini di acciaio inox, prima dell’imbottigliamento e della commercializzazione. Dati analitici: alcool 11,50% vol., acidità totale 4,8 g/l, estratto secco netto 26 g/l, zuccheri residui 7 g/l.
Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivo e brillante. Profumo netto, marcatamente fruttato con sentore di lampone e fragola tipico dei vini ottenuti in macerazione carbonica. Sapore secco, piacevolmente equilibrato, di corpo leggero, ma elegante e vivace. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.
Il Novello di Teroldego Igt Vigneti delle Dolomiti “Terrazze della Luna” è vinificato e proposto al consumatore appena dopo un mese dalla vendemmia. “A torto – spiega Susi Pozzi – per la sua giovinezza, è considerato di ‘relativa’ qualità: è invece il frutto di un’attenta selezione delle uve, di una raffinata tecnica enologica e di un efficiente servizio al consumatore più curioso”. La zona di produzione è sempre quella del Campo Rotaliano in Trentino, ossia l’area vitata delimitata dalle Borgate di Mezzolombardo, Mezzocorona e San Michele all’Adige, collocata lungo i fiumi Adige e Noce. “L’esperienza – evidenzia Pozzi – ha dimostrato che il vitigno più adatto all’elaborazione del vino Novello è l’autoctono Teroldego, opportunamente selezionato e vinificato in purezza. La particolare resistenza ‘meccanica’ della buccia consente di mantenere integri gli acini durante la prima fase di vinificazione in macerazione carbonica delle uve intere. Particolare questo molto importante per i processi enzimatici che avvengono in questa prima fase all’interno dell’acino e che conferiscono al vino quel particolare sentore fruttato e fresco, tipico del novello”.
Il metodo di elaborazione è quello della macerazione carbonica. I grappoli maturi e perfettamente sani vengono posti interi, e non pigiati, in piccoli tini di acciaio inox. La macerazione in ambiente chiuso, in totale assenza di ossigeno, favorisce l’estrazione delle sostanze aromatiche e coloranti dalle bucce. Dopo alcuni giorni si passa alla pigiatura delle uve, avviando il mosto alla fermentazione a temperatura controllata. Un breve affinamento in recipiente d’acciaio inox precede imbottigliamento e commercializzazione.
Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino, vivace e brillante; profumo netto con marcato sentore fruttato che ricorda i frutti di bosco e in particolare il lampone. Sapore fresco, armonico, delicato e piacevole. Dati analitici: alcool 12,00% vol, acidità totale 5 g/l, estratto netto 26 g/l, zuccheri residui 6 g/l. Temperatura di servizio: 12-14° gradi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“La percentuale del vino italiano che viene venduta all’estero è in crescita e per molte aziende ha oltrepassato la soglia del 50% della produzione. Questo implica che all’interno delle azienda vitivinicola ci siano delle persone con delle competenze specifiche per seguire il lavoro di vendita e promozione sui mercati esteri”. Steve Kim, managing director di Vinitaly International, ha moderato oggi il settimo seminario internazionale di marketing del vino organizzato dalla Fondazione Edmund Mach (Fem) a San Michele all’Adige (Trento) e centrato sui nuovi modelli per l’export.
L’evento, rivolto ad esperti di marketing del vino, produttori e studenti, si inserisce all’interno del percorso formativo di eccellenza “executive master wine export management”, che forma gli specialisti dell’export vini. Professionisti in grado di supportare le aziende del vino nel complesso processo di internazionalizzazione. Oggi, al termine del seminario, si è svolta anche la consegna degli attestati a 24 nuovi manager del vino.
“Abbiamo analizzato quali sono queste competenze, i mercati storici del vino italiano, ma soprattutto quelli nuovi e la Cina in particolare, dove l’Italia del vino non è ancora riuscita ad affermarsi come hanno fatto i cugini d’Oltralpe, ma si stanno facendo enormi sforzi per recuperare terreno” ha detto Kim, l’esperta coreana a capo del braccio strategico internazionale di Vinitaly e impegnata ad utilizzare i canali innovativi per comunicare e celebrare “il vino italiano” all’estero – con un’enfasi creativa sui social media – sempre con un occhio di attenzione per aiutare i produttori italiani a vendere di più di una semplice bottiglia di vino.
LA CRESCITA L’export vitivinicolo italiano è fortemente cresciuto in quest’ultimo ventennio a dimostrazione del grande appeal internazionale della nostra vitienologia. E’ cresciuta però anche la concorrenza sui mercati internazionali, sono aumentate le problematiche organizzative, si sono fortemente modificati i sistemi distributivi e la stessa rete di importazione si è decisamente evoluta in quest’ultimo quinquennio. Grandi evoluzioni che stanno obbligando le imprese enologiche italiane a grandi sforzi organizzativi e ad aumentare fortemente la loro capacità di gestire la loro presenza sui mercati internazionali.
“Occorre puntare sulla qualità del vino, ma anche creare marchi in grado di esprimere uno stile di vita. Se riusciamo a fare questo le opportunità sono enormi”, ha detto Matteo Lunelli, presidente di Cantine Ferrari nonché direttore dell’International Wine and Spirits Competition IWSC, intervenuto assieme ad Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini e titolare della cantina Donnafugata, Emilio Pedron, amministratore delegato di Bertani Domains, Raffaele Boscaini, responsabile Marketing Masi, Francesco Ferreri, presidente di Assovini Sicilia, Matilde Poggi, presidente Fivi e titolare di Le Fraghe, Roberta Crivellaro dello studio legale Whiter.
A conclusione della tavola rotonda si è svolta la consegna degli attestati ai 24 nuovi export manager del vino, provenienti da varie regioni italiane e selezionati da una commissione che ha valutato oltre 70 candidature. Intanto, è tutto pronto per il prossimo corso: il 31 dicembre scadono i termini per iscriversi alla quinta edizione del corso di wine export management.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(3,5 / 5) Sotto la lente di Vinialsuper il Brut De Meyran Blanc de Blancs Méthode Traditionnelle (Metodo Classico) in vendita nei supermercati Esselunga. Uno spumante, il “Caves Elisabeth”, prodotto da Veuve Amiot, attiva sin dal 1884 a Saint-Hilaire-Saint Florent, Saumur Cedex.
Positivo il giudizio della degustazione. Una bollicina profumata, fresca e fragrante quella prodotta dalla maison Veuve Amiot per i supermercati di Caprotti. Il nome “Caves Elisabeth” ricorda la vedova di Armand Amiot, Elisabeth per l’appunto, che diede avvio al successo dell’azienda, sul finire dell’Ottocento. Un appunto a Esselunga: giusto pretendere dai propri fornitori retro etichette in italiano.
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Una bottiglia unica per raccontare l’identità del Consorzio Vini Asolo Montello. È stata presentata sabato 27 agosto nel Comune di Montebellunala nuova bottiglia istituzionale dell’Asolo Montello: un Asolo Docg Superiore nella tipologia Brut prodotto con lieviti indigeni da uve Glera provenienti da soli vigneti dell’area Asolo Montello. “Nato dal lavoro corale del nostro Gruppo Giovani, sarà il Prosecco che rappresenterà tutti noi produttori – spiega Armando Serena, presidente del Consorzio – ma anche il territorio da cui proviene. Per la fermentazione sono stati infatti scelti i lieviti autoctoni selezionati nel corso di una sperimentazione che ha preso il via da qualche anno. Un modo in più per caratterizzare fortemente il nostro prodotto e distinguerlo da quello delle altre denominazioni”. Non solo i ceppi di lieviti indigeni esprimono al meglio le caratteristiche del territorio – aromaticità, struttura e persistenza gustativa – ma anche la scelta di proporre la bottiglia istituzionale nella versione Brut non è casuale. Questa tipologia, infatti, mette in risalto, come sottolinea il Consorzio, “la forte identità delle colline dell’Asolo e Montello, dove il terreno è per natura predisposto a vini di maggiore struttura”. Alte colline, forti escursioni termiche, buona ventilazione e ricchezza minerale, si esprimono al meglio in un Prosecco dal tenore zuccherino mediamente basso. Grazie ad un’azione di co-marketing, supportata da Unindustria Treviso, con altre realtà del territorio per la promozione della denominazione, la bottiglia rientra anche in un progetto più ampio di valorizzazione del territorio. Saranno coinvolte circa quaranta aziende e industrie della zona che non appartengono al settore vinicolo, in modo che la possano utilizzare nel corso di fiere e manifestazioni, soprattutto all’estero. La bottiglia si presenta con un’immagine fresca: etichetta a sfondo bianco con il logo del Consorzio e capsula nera con un bindello applicato per raccontare il progetto.
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Nome di fantasia accattivante, anzi ammiccante. Immagine in etichetta inequivocabile. Prodotto valido. Risultati assicurati.
Ha impazzato sui social network, prima di Natale, la pubblicità di 50 Sfumature di Passerina.
Nulla a che vedere con un cinepanettone alla Boldi e De Sica rivisitato in chiave hard. Qui si parla di vino. Della Passerina, of course. Cosa avevate capito?
La Casa Vinicola Silvestroni di Camerata Picena, provincia di Ancona, ha deciso di lanciare sul mercato con un nome… così, la sua ultima produzione.
Chiamiamola pure deriva del marketing 2.0, coniugato al mondo del vino. Fatto sta che lo spot, a sentire quelli di casa Silvestroni, ha funzionato. E funziona.
Ci ha contattato infatti Francesco Patrignani, responsabile vendite dell’azienda in questione. Che oggi concede a vinialsupermercato.it un’intervista. Buona visione. Pardon: buona lettura.
Quando e come è nata l’idea di chiamare “così” la vostra Passerina?
L’idea è nata da Alessandra Silvestroni, titolare dell’azienda. Tutto nasce dal film “50 sfumature di Grigio”, nel periodo in cui moltissimi canali pubblicitari promuovevano l’uscita di questo film che ha avuto un grande successo in tutto il mondo. Da questo film nasce “50 sfumature” di Passerina Igp
Si tratta di una produzione “ad hoc” con questa etichettatura, o la casa vinicola Silvestroni produce solo questa Passerina?
Si tratta di un’esclusiva in cui l’immagine la fa da padrona e cattura il consumatore finale. Produciamo un’altra Passerina, chiamata “Podesteria”, imbottiglia in veste più classica. Ideale per gli amanti delle tradizioni senza alludere ad alcun pensiero malizioso.
Da quando Silvestroni produce Passerina?
Da circa 3 anni. Le uve di Passerina vengono acquistate dai nostri conferitori delle colline marchigiane
Sul sito aziendale non c’è alcuna evidenza di questo prodotto: perché?
Il nostro sito web è in fase di restyling. Aggiorneremo quanto prima.
Quali sono stati i risultati della campagna marketing?
La campagna marketing ha prodotto risultati che neanche noi ci saremmo aspettati. Ci ha fatto conoscere da molti con risultati tradotti in nuovi clienti, nuove collaborazioni e nuovi eventi. La campagna promozionale Facebook si rivolge a tutti coloro che amano il vino, il bianco in particolare, ma anche a tutti coloro che vogliono tenersi aggiornati sulle nostre novità e sui nuovi prodotti.
Oltre a Facebook, dove è stata pubblicizzata la Passerina “50 sfumature”?
Abbiamo collaborato con locali serali facendo degustazioni e tramite i nostri collaboratori. Probabilmente saremo anche al Vinitaly ed infine stiamo ultimando una campagna pubblicitaria in cui preferiamo ancora mantenere riservatezza.
Quante bottiglie ne sono state prodotte?
Ad oggi sono state prodotte circa 10 mila bottiglie. I dati sono in continua crescita. Il giro d’affari sta continuamente aumentando. Per scaramanzia e per non essere matematici, non parliamo di euro!
Dove va il mondo del vino italiano? Quali sfide per il futuro?
Il mondo del vino italiano è sempre più apprezzato. Il Made in Italy è ancora sinonimo di qualità e garanzia, basti pensare che abbiamo iniziato ad esportare i nostri vini anche in Australia. Più che di sfide preferirei parlare di continuità del nostro percorso nazionale ed internazionale.
Produzione di vino nelle Marche: cosa c’è da migliorare e quali sono i punti di forza?
Stiamo costantemente migliorando il livello qualitativo, ascoltando anche i nostri clienti, mentre il nostro punto di forza è che siamo artigiani del vino e non industria.
Qual è il ruolo dei vini delle Marche nel panorama nazionale, europeo e internazionale? I vini marchigiani si sanno differenziare per la tipicità del territorio, mentre a livello europeo ed internazionale siamo sempre più apprezzati. Le Cantine Silvestroni hanno sede nella Valle dell’Esino, nel cuore delle Marche.
La storia delle cantine Silvestroni ebbe inizio nel 1960, mese di luglio. All’epoca l’azienda, che portava il nome dei fratelli Aquili, era conosciuta e rinomata per la qualità dei suoi vini, per il servizio di consegna e per la sua modernità.
Fu lì che Sandro Silvestroni, giovane imprenditore, si appassionò al vino, ricevendo così dai fratelli Aquili la proposta di rilevare l’attività. Una solida realtà fondata da un giovane coraggioso. Che ancora oggi fa della “gioventù” un suo punto di forza.
E’ giovanissimo, nonostante il suo ruolo di grande responsabilità in azienda, anche Francesco Patrignani. “Finito il militare e rientrato in casa – racconta – ho iniziato a collaborare con la casa vinicola Silvestroni, attività di famiglia. Avevo circa 19 anni e mi occupavo della gestione del magazzino aiutando anche nelle consegne del vino fra ristoranti, bar ed enoteche. Non ero soddisfatto affatto! Non mi sentivo appagato! Di notte il cervello lavorava, pensavo a come potevo riuscire a realizzarmi”.Munito di valigetta nera, brochure, carta e penna, Francesco entra in macchina e inizia quella che chiama la sua “avventura da solo”.
“I risultati – spiega – furono inaspettati perché fin da subito ho iniziato a portare in casa nuovi clienti. Mi ricordo i primi circoli frequentati da grandi bevitori, in cui entravo anche un po’ impacciato e mi presentavo come addetto alle vendite per la cantina, facevo vedere i vini che avevamo e con una promozione allettante e con fare simpatico da giovanotto attiravo l’attenzione di molti. Quanti ‘no’ ho ricevuto e quanti ne riceverò… Ma spesso proprio con un ‘no’ che nasce un bel rapporto lavorativo”.
“Raccontata così potrebbe sembrare una passeggiata – continua Francesco – ma la fatica era notevole! Nel giro di mesi e mesi ormai mi stavo facendo conoscere e i risultati erano in continua crescita. Passione, continuità e assistenza al cliente mi portano ad avere un bel portafoglio clienti che ad oggi risulta soddisfacente e constante”.Francesco ha 24 anni, per la precisione.
“Ho collaboratori con cui ho un ottimo rapporto di stima e fiducia reciproca – dichiara ancora – e tutto ciò ogni giorno mi dà soddisfazioni uniche. Mi rapporto con direttori di alberghi, titolari di ristoranti, bar e locali serali. Persone con cui la differenza d’età è notevole ma nonostante tutto siamo sempre in sintonia”.
“Riesco spesso ad entrare nella mente del cliente e percepire quello che lui vorrebbe da me, si crea questa empatia iniziale che mi permette nel corso del tempo di collaborare con risultati soddisfacenti. Determinazione e precisione – conclude il giovane manager – sono due fattori che con il tempo ci premiano, ed io vado avanti con questa filosofia nel lavoro, ma anche di vita”.
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Alle vongole, of course. Il tuo rosso di Toscana, lo abbinerei agli spaghetti con le vongole. O all’orata al forno. Il bello del marketing 2.0 proposto da certe cantine d’Italia, è la sua vena sprezzantemente democratica. La pubblicità mostra in primo piano un calice di vino rosso e una bottiglia del vino di turno. La domanda, posta per creare evidentemente un elevato (in termini numerici, s’intende) dibattitto tra i potenziali acquirenti, è la seguente: “Sentore di viola mammola e frutti rossi assieme a profumi di liquirizia e note speziate. A quale piatto abbineresti un calice di Nipozzano Riserva?”.
Sotto il prossimo: una valanga di idee, di piatti, di portate. Di chef. Ma soprattutto di “like”. Del resto la campagna pubblicitaria di Frescobaldi è destinata al pubblico di Facebook.
E a rispondere all’annuncio a pagamento c’è un pubblico tanto variegato quanto curioso. Missione compiuta? Forse. Il problema è che nell’Italia delle cantine 2.0 si fa marketing sui social network per poi rischiare di deludere all’acquisto. A noi di vinialsupermercato.it è successo di bere in sequenza una bottiglia di Villa Antinori Rosso Toscana Igt 2013 capace di surclassare, letteralmente, il Brunello di Montalcino Frescobaldi 2010.
Questione di gusto? Fatto sta che tra le due bottiglie scorrono più di dieci euro di differenza, al supermercato: meno di 12 euro la prima, acquistata da Esselunga; e più di 24 euro la seconda, acquistata in un punto vendita della catena di supermercati Il Gigante. Forse avremmo fatto bene a ordinare (online?) un Nipozzano Riserva. Ovviamente dopo aver detto la nostra, su Facebook, in merito all’abbinamento.
Eppure, c’è chi si spinge ben oltre. Cavalcando, è proprio il caso di usare questo verbo, l’antico e mai defunto paradigma vincente che lega marketing e sesso. Avete capito bene. Guardate un po’ (foto a sinistra) la pubblicità di questa Passerina.
Gli artefici della trovata sono i responsabili marketing della Casa Vinicola Silvestroni, azienda che opera dagli anni Sessanta nella Valle dell’Esino, nel cuore della regione Marche. Ovvero, nel territorio vocato alla produzione di questo bianco accattivante: la Passerina. Nome che deriverebbe dalla forma dell’acino, che pare alato; nonché al fatto che gli uccellini ne vadano ghiotti.
E l’occasione non se la sono fatta scappare neppure quelli delle Cantine Silvestroni, che alla ricerca di un nome di fantasia per il loro prodotto (linea Travanesca) non hanno trovato di meglio che “Cinquanta sfumature”.
Chissà cosa direbbe Mr Grey se solo scoprisse che per Natale 2015, le Cantine Silvestroni propongono una confezione regalo composta da una bottiglia di Cinquanta Sfumature di Passerina abbinata a una mousse di baccalà con cialda al nero di seppia e dattero salato. Chapeau.
E allora converrebbe un po’ a tutti farsi un esame di coscienza sul mondo del vino 2.0. Un esame che dovrebbe portare tutti gli amanti (veri) del buon vino a documentarsi, approfondire, leggere e conoscere meglio un mondo che necessita di maggiore consapevolezza. Perché, in fondo, il bello è capire cosa vuol dirci il vino una volta versato nel bicchiere. Certamente più di quanto vuol dirci chi prova, prima ancora, a vendercelo.
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