Dal legno ai primari. Dalle (sovra) concentrazioni al frutto. Tenuta Castelbuono – Carapace è il volto più clamoroso del “nuovo corso” del Sagrantino di Montefalco e del Montefalco Rosso in Umbria. I vini umbri della famiglia Lunelli – ben più famosa per i Trento Doc Ferrari – sono cambiati in maniera drastica negli ultimi anni, spostando il paradigma enologico dai terziari alla freschezza: non più vini “pesanti”, “grassi” e molto tannici, a beneficio di eleganza e beva. Il tutto senza perdere di vista il varietale. Un segnale di attenzione ai mercati, che prediligono sempre più i rossi meno strutturati, al pari dei vini bianchi e degli spumanti. È quanto emerge in maniera netta dagli assaggi effettuati nei giorni scorsi “A Montefalco“, nuovo format studiato dal Consorzio Vini Montefalco e Spoleto e dall’agenzia di comunicazione Miriade & Partners, che prende il posto della storica “Anteprima Sagrantino“.
Un restyling dell’evento clou che richiama ogni anno, nella regione del centro Italia, un centinaio tra giornalisti e operatori del settore, per l’assaggio delle nuove annate dei vini locali. Il Sagrantino di Montefalco perde così la sua centralità – non in senso assoluto, ma relativo – per lasciare spazio soprattutto ai vini bianchi (in primis il Trebbiano Spoletino, ma anche il bistrattato Grechetto) e, in un certo senso, anche alle bollicine: dai pét-nat ai Metodo classico (chiedere per credere a Scacciadiavoli, passato in 20 anni da 2 a 80 mila bottiglie con ottimi risultati), che iniziano ad abbondare in zona. Del resto, nel 2023, i produttori di Sagrantino hanno dovuto fare i conti con pesanti cali delle vendite dei vini rossi di punta, in alcuni dei mercati principali.
È così che Tenuta Castelbuono – Carapace finisce per svettare tra i migliori assaggi dell’annata 2020 di Sagrantino di Montefalco, dentro e fuori dal calice. Il cambio di rotta stilistico della famiglia Lunelli in Umbria va infatti letto e interpretato come un segnale forte, da parte di una delle famiglie “forestiere” che ha deciso di investire in questo angolo di Umbria, sin dal 2001. Risale al 2012 l’apertura al pubblico dell’imponente cantina denominata “Carapace”, prima scultura al mondo «in cui si vive e si lavora», ad opera dell’artista Arnaldo Pomodoro.
Al netto della buona prova dei vini della famiglia Lunelli, il restyling di “Anteprima Sagrantino” porta con sé una diminuzione drastica dei campioni in degustazione – non solo per la mancanza delle “prove di botte” -. Solo 25 i Sagrantino di Montefalco Docg 2020 in degustazione, due i passiti. Diverso il discorso per il Montefalco Rosso Doc: solo 5 i 2022 (tra cui spicca ancora, appunto, Tenuta Castelbuono), 15 i 2021, 8 i 2020, 6 i 2019 e un 2018. I Montefalco Rosso Riserva Doc in degustazione in occasione de “A Montefalco” 2024 sono risultati solo 6, suddivisi in maniera equa tra 2021 e 2020.
I MIGLIORI SAGRANTINO 2020 E MONTEFALCO ROSSO 2022, 2021, 2020 E 2019
Nelle tre tipologie, oltre ai vini targati Lunelli, spicca l’ottima performance di Cantine Briziarelli, altra realtà che sembra aver deciso un alleggerimento del profilo dei propri rossi, senza dimenticare il varietale. Colpisce, in particolare, “Rosso Mattone” 2021 della casa vinicola fondata nel 2000 a Montefalco. Altra garanzia assoluta sono i vini di Arnaldo Caprai (“25 anni” e “Valdimaggio“, senza dimenticare il rapporto qualità prezzo dell’ottimo “Collepiano“) e Tabarrini (“Colle alle Macchie” e “Campo alla Cerqua” e il Rosso “Boccatone”).
L’ormai ex “presidente in ciabatte” lascia sbalorditi con “Il Bisbetico domato“, 100% Sagrantino di Montefalco che si conferma un faro per una denominazione che punta ad “alleggerire” il proprio profilo e a promuoversi sui mercati per la propria versatilità. superando l’ostacolo dei tannini. Molto bene anche i Sagrantino 2020 di Agricola Mevante, Antonelli, Goretti, Lungarotti, Romanelli, Scacciadiavoli e il “Vinum Dei” di Terre San Felice.
Tra i Montefalco Rosso 2021 spiccano, oltre ai già citati, il “Terrebianche” di Cesarini Sartori, Colpetrone, Tenuta Bellafonte con “Pomontino“, nonché – riecco – Terre di San Felice e Agricola Mevante (due aziende da tenere in ampia considerazione per il futuro). Tra i Montefalco Rosso 2020 ecco Fattoria Colsanto, ma è il solito Romanelli ad primeggiare con “Capo De Casa“. Tra i Montefalco Rosso 2019 la spunta “Giulio II” de Le Thadee, al pari di Perticaia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
I maggiori produttori di vino si attendono per il 2022 una crescita del 4,8%, che arriverebbe al 5,6% per la sola componente export. A spingere le vendite il successo delle bollicine (+5,7% i ricavi complessivi, +7,5% l’export) mentre i vini fermi si aspettano un +4,6% (+5,3% l’export). Più scettici sul futuro gli operatori esposti sul canale off trade (Gdo e Retail), mentre il maggior ricorso alla vendita diretta garantisce maggiore sicurezza. Sono solo alcuni dei dati che emergono dall’indagine dell’Area Studi Mediobanca sul settore del vino italiano.
Lo studio riguarda 251 principali società di capitali italiane con fatturato 2020 superiore ai 20 milioni di euro e ricavi aggregati pari a 9,3 miliardi di euro. Una cifra pari all’85,3% del fatturato nazionale del settore.
MIGLIORA L’EXPORT DI VINO ITALIANO NELL’UE
Il 2021 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un aumento del fatturato del 14,2% (+14,8% il mercato interno, +13,6% l’estero). L’Ebit margin ha riportato un lieve aumento al 6% rispetto al 5,4% del 2020, il risultato netto è passato dal 4,2% al 4,3% del fatturato.
I vini frizzanti (+21%) hanno accelerato più dei vini fermi (+12,4%) mentre le cooperative hanno contenuto la crescita al +9,2% (+19,6% le non cooperative). Prevalgono i mercati di prossimità (Paesi UE) con il 41,2% dell’export, seconda area di destinazione il Nord America (34,1%); crescita importante (+22,8%) per l’America centro-meridionale.
Il 2021, secondo lo studio Mediobanca, ha preservato il canale Gdo che, stabile al 35,6% del mercato, è cresciuto a valore del 13,5% e ha decretato la ripresa dell’Ho.Re.Ca. (+28,1%), che passa dal 15,6% al 15,9%. Due i trend in consolidamento: la premiumizzazione dei consumi e la maggiore attenzione alla sostenibilità.
Aumenti a doppia cifra per i vini Icon (+33,2%) e Premium (+20,2%), più contenuti per i vini Basic (+8,7%), pari a metà delle vendite complessive. Tiene il bio, con vendite 2021 in aumento dell’11%, per una quota di mercato del 3,3%; balzo in avanti per il vino vegan (+24,8%) al 2,2% del totale.
Sempre secondo lo studio di Mediobanca, cresce l’interesse anche per i vini naturali (+6,9%) e biodinamici (+2,4%) ciascuno confinato all’1% del mercato.
LE CANTINE ITALIANE BEST PERFORMER
Nel 2021 importanti operazioni di M&A nel mondo del vino hanno trasformato la classifica dei principali produttori nazionali. La leadership di vendite nel 2021 resta appannaggio del gruppo Cantine Riunite-GIV, con fatturato a 635,2 milioni (+9,7% sul 2020).
Al secondo posto la Italian Wine Brands (423,6 milioni di euro) che sale di cinque posizioni dopo l’acquisizione di Enoitalia e della statunitense Enovation Brands Inc. Completa il podio il polo Botter-Mondodelvino (Clessidra) in crescita del 19,3% sul 2020 a 415 milioni.
Seguono altre cinque società con ricavi superiori a 200 milioni di euro: la cooperativa romagnola Caviro, il cui fatturato 2021 pari a 389,9 milioni di euro è cresciuto del 7,7%, la trentina Cavit (fatturato 2021 pari a 271 milioni di euro, +29,2% sul 2020), la toscana Antinori (265 milioni di euro, +24,6% sul 2020), la veneta Santa Margherita (220,6 milioni, +28,3%) e la piemontese Fratelli Martini che ha realizzato una crescita del 5,4%, portandosi a 219,4 milioni di euro.
In merito ai maggiori incrementi di fatturato nel 2021, Tenute Piccini (miglior cantina Gdo 2019 per Vini al Supermercato – winemag.it) domina la scena con un +61% sul 2020 che la colloca davanti al gruppo Lunelli (+57,6%), a Terra Moretti (+47,6%), a Serena Wines 1881 (+40,1%) per chiudere con il +32,7% di Villa Sandi.
Osservando la redditività (rapporto tra risultato netto e fatturato), il 2021 vede in testa le società toscane e venete: Frescobaldi (25,6%), Santa Margherita (21,3%) e Antinori (17%). Alcune aziende hanno una quota di export molto elevata, in alcuni casi quasi totalitaria: Fantini Group tocca il 97,4%, Ruffino il 94,5% e il polo Botter-Mondodelvino il 91,1%.
I TERRITORI DEL VINO ITALIANO
Dai conti aziendali emergono le specificità regionali. Nel 2020 il miglior Roi tocca alle aziende piemontesi (8,2%), seconda posizione per quelle venete (5,5%) e sul gradino più basso del podio le toscane (4,4%).
Secondo lo studio Mediobanca, i produttori toscani eccellono nella marginalità: con un Ebit margin al 14,6% distanziano i piemontesi (9,8%) e i lombardi (6,7%). In Toscana anche la maggiore stabilità finanziaria, con i debiti finanziari pari ad appena il 22,5% del capitale investito.
Grandi esportatori i produttori piemontesi (72,2% del fatturato) e toscani (63,8%). Nel 2020 la maggiore proiezione internazionale ha salvaguardato le vendite dei produttori piemontesi (+10,8%) spinte dall’export (+20,1%) ma non è riuscita a fare altrettanto per quelli toscani (-11,2% in totale).
Recupero della Toscana nel 2021 con vendite in crescita del 24,9%. In avanzamento anche i produttori lombardi (+22,4% le vendite totali e +23,8% quelle oltreconfine) favoriti dalla maggiore diffusione degli spumanti (46,1% del fatturato).
IL SUCCESSO DEL VINO ONLINE
Oltre il 90% del wine e-commerce dei principali produttori è intercettato da piattaforme online specializzate con vendite in esplosione nel 2020 (+132,8% sul 2019). La classifica dei principali pure player , sempre secondo l’indagini dell’Area Studi Mediobanca, è guidata da Tannico, che nel 2020 ha registrato ricavi per 37,1 milioni di euro, in crescita dell’83% sul 2019.
Aumenti in tripla cifra per Vino . com (+218,7%) che, superando i 30 milioni di euro, ricopre la seconda posizione e per Bernabei (+160,4%) a 25,9 milioni. Sopra i 10 milioni di euro anche il fatturato di Callmewine (12,4 milioni), in aumento del 93,3%. XtraWine, raddoppiando il proprio fatturato rispetto al 2019, supera i 7 milioni di euro.
Winelivery si avvicina allo stesso importo dopo una crescita del 491,6%. Il 2020 è stato un anno di forte sviluppo anche per realtà di minori dimensioni, alcune delle quali, come Etilika, nate proprio in pieno boom. Per il 2021 è previsto un ulteriore balzo superiore al +60%.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(5 / 5) È l’icona della Tenuta Castelbuono di Bevagna (PG), se non altro per il nome di fantasia che ricorda la forma della cupola della cantina, progettata da Arnaldo Pomodoro. Parliamo del Montefalco Sagrantino Docg “Carapace”. Sotto la lente di ingrandimento di Vinialsuper, la vendemmia 2014 di uno dei due vini rossi top di gamma della famiglia Lunelli – proprietaria di Ferrari Trento – in Umbria.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il nettare si presenta di un rosso rubino intenso e luminoso. Il naso è connotato da un’ammaliante vena floreale, con ricordi di rosa, rimpolpati dalla frutta a bacca nera e rossa tendente al maturo. Si distinguono, per esempio, la mora, la ciliegia e il lampone sotto spirito.
Non manca l’apporto del legno, con terziari di vaniglia, liquirizia e tabacco. Al palato, il vino rivela un’ottima corrispondenza col naso, oltre all’attesa tipicità. La presenza del tannino, uno dei tratti distintivi dell’uva Sagrantino di Montefalco, è rilevante ma ben integrata.
Molto ben integrati anche i 15 gradi di percentuale d’alcol in volume (15% vol). Buona, infine, la persistenza. Un vino, il Carapace di Tenuta Castelbuono Lunelli, che con la vendemmia 2014 pare giunto allo stato di grazia e all’equilibrio, dopo anni di evoluzione.
L’etichetta ha comunque ancora molta “vita” davanti: almeno 5 anni ad alti livelli. In cucina è perfetto l’abbinamento con le carni, in particolare la selvaggina, gli stufati, gli arrosti e i formaggi stagionati.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto sin dal 2003, il Montefalco Sagrantino “Carapace” è ottenuto da uve Sagrantino in purezza, selezionate dai migliori vigneti della tenuta di Bevagna. La raccolta avviene a mano, nel mese di ottobre.
La selezione avviene solo tra le migliori viti, nell’ambito del “Progetto Patriarchi” sviluppato dalla famiglia Lunelli in collaborazione con l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (TN). I terreni in cui affondano le radici le viti sono di natura limoso-argillosa, molto resistenti alla siccità estiva.
Il sistema di allevamento è il cordone speronato, con una densità di impianto di 6.250 ceppi per ettaro. Molto bassa la resa: la produzione per ettaro si assesta sui 35 ettolitri di vino. Una volta giunte in cantina, le uve vengono sottoposte a una premacerazione a freddo, a 12 gradi per 30 ore.
La temperatura massima di fermentazione sale a 28 gradi, nei tini di legno. La macerazione sulle bucce protrae per 15-20 giorni. La maturazione avviene in botte grande, per un periodo di 24 mesi. Segue l’affinamento minimo di 12 mesi in bottiglia, che precede la commercializzazione.
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TRENTO –Ruben Larentis, enologo e direttore tecnico di Ferrari Trento, ha ricevuto a Londra il “Lifetime Achievement Award” in occasione di The Champagne & Sparkling Wine World Championships 2019.
“Un premio – commenta la cantina trentina di proprietà della famiglia Lunelli – che rende onore al mirabile lavoro che porta avanti da oltre trent’anni”. Sessant’anni, trentino, diploma all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, Ruben Larentis è entrato alle Cantine Ferrari nel 1986.
Ha saputo raccogliere il testimone di un grande maestro, Mauro Lunelli, per quasi quarant’anni l’enologo principe di Casa Ferrari e, a fianco di Marcello Lunelli, Vicepresidente, creare etichette uniche e di grande prestigio.
“Questo riconoscimento – commenta Ruben Larentis – è per me particolarmente significativo sia per la sua portata internazionale, sia perché si accompagna ad un risultato straordinario per i vini a cui mi dedico, anima e corpo, da 34 vendemmie”.
“Premia un sistema di lavoro che mira sempre all’eccellenza e una squadra che si distingue per passione, capacità, cultura enologica. E proprio al team che mi affianca ogni giorno va la mia riconoscenza. Dedico il premio a mia moglie e a mia madre: è il mio modo di ringraziarle per la loro silenziosa presenza”, conclude Larentis.
The Champagne & Sparkling Wine World Championships deve la sua importanza e il suo prestigio soprattutto all’autorevolezza del suo fondatore, Tom Stevenson.
È autore della Christie’s World Encyclopedia of Champagne & Sparkling Wine di cui è appena uscita la quarta edizione, realizzata con il prezioso supporto di Essi Avellan, anch’essa grande esperta di bollicine e membro della giuria di The Champagne & Sparkling Wine World Championships.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
TRENTO – Il Gruppo Lunelli continua il percorso di managerializzazione avviato da anni nominando Simone Masè Direttore Generale con competenza su tutte le aziende nel core business di Gruppo.
Masè riporterà al CEO Matteo Lunelli e avrà la responsabilità di coordinamento e ottimizzazione di tutte le attività operative e progettuali di Cantine Ferrari, Bisol1542, Surgiva, Segnana e Tenute Lunelli.
Il manager di origine trentina, 48 anni, torna nella sua terra dopo oltre vent’anni di carriera fra Milano e Amsterdam. Laureato in Economia, Simone Masè ha ricoperto ruoli di responsabilità crescente all’interno del gruppo Heineken fino a diventare Global Marketing Activation Director per il brand Heinken.
Successivamente ha lavorato in qualità di Chief Marketing Officer per le aziende Branca, Paddy Power e Pinko. Per tre anni ha affiancato a questi ruoli quello di Senior Advisor Marketing & International Development per la Provincia Autonoma di Trento.
Nel gennaio 2017 è entrato in Publicis Communications come Chief Marketing Officer per essere nominato, nel maggio dello stesso anno, CEO Saatchi & Saatchi Italia, una tra le agenzie creative italiane più premiate al mondo.
Simone Masè entra nel Gruppo Lunelli il 15 luglio 2019, subentrando al precedente Direttore Generale, Beniamino Garofalo, che ha terminato il 30 giugno un percorso molto positivo durato quasi quattro anni. Si è trattato di una scelta condivisa con l’azienda che risponde anche al desiderio di Beniamino di riavvicinarsi alla famiglia a
Milano.
“Proprio oggi iniziamo con grande entusiasmo a lavorare con Simone Masè, che conosco da alcuni anni e di cui ho apprezzato la professionalità e il profilo internazionale – ha commentato Matteo Lunelli, CEO del Gruppo di famiglia. – Siamo fiduciosi che il suo talento e la sua esperienza, che spazia dal beverage, alla moda, fino alla comunicazione, saranno preziosi per continuare il percorso di crescita e internazionalizzazione di tutti i nostri marchi. Con Beniamino Garofalo, in questi intensi anni di collaborazione, abbiamo portato avanti tanti bellissimi progetti e affrontato numerose sfide, ottenendo risultati di grande soddisfazione. Ci tengo quindi a ringraziarlo anche a nome della nostra famiglia e di tutto il team del Gruppo, per la grande energia e passione con cui ha contribuito allo sviluppo delle nostre aziende”.
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MILANO – Nel 2018 tutti e cinque i primi player del segmento spumante hanno aumentato il loro fatturato. Guardando la classifica vediamo che la leadership della piemontese Fratelli Martini, presieduta da Gianni Martini e che opera nel mercato con i marchi Canti e Sant’Orsola, quest’anno esce ulteriormente rafforzata registrando un fatturato di 220 milioni di euro ed allungando il divario dal secondo player portando a 80 milioni il distacco dal secondo specialista delle bollicine italiane ovvero la veneta La Marca, che comunque ha ottenuto un risultato di spicco con una crescita negli ultimi due anni del 40%. Il tutto è avvenuto all’insegna del Prosecco, prodotto di riferimento per entrambe le società che ne rappresentano rispettivamente il secondo (Fratelli Martini) e il primo (La Marca) imbottigliatore della denominazione di origine controllata per numero di bottiglie, considerando sia il proprio marchio sia il private label che è particolarmente elevato per La Marca.
Posizioni altrettanto forti, in materia di Prosecco, sono quelle di cui dispongono Villa Sandi, quinto in classifica e con una quota significativa di referenze nell’ambito del Superiore di Conegliano e Valdobbiadene docg, e Contri, che dalla quinta posizione dello scorso anno si è portato al quarto posto superando proprio l’azienda di Giancarlo Moretti Polegato. L’unica eccezione alla dittatura del metodo italiano (Martinotti o Charmat) nella parte alta della classifica è quella del gruppo Lunelli, che si conferma al terzo posto con 101 milioni di cui ben 72 sono stati realizzati con il metodo classico Trentodoc di Cantine Ferrari.
Dopo un anno vissuto in trincea, tra crisi internazionali e carenza di prodotto (post vendemmia 2017), i big del settore vinicolo nel 2018 sono riusciti a portare a casa un risultato positivo. In un anno complicato come quello appena concluso, tra le tensioni internazionali e le conseguenze della tragica vendemmia ‘17 (quella della gelata di aprile), per i big del vino italiano è andata meglio del previsto. A testimoniarlo sono i dati di preconsuntivo raccolti in anteprima da Pambianco Strategie di Impresa, dai quali si evidenzia una tenuta complessiva della fascia alta, dove spiccano i due leader Antinori e Frescobaldi che mettono a segno consistenti incrementi di fatturato e mostrano una marcia più spedita dei gruppi di fascia accessibile, avvantaggiati dalla domanda internazionale di bollicine made in Italy.
Nella fascia alta, il differenziale dipende dai risultati di Antinori, primo con 213 milioni (+5%), e di Frescobaldi, secondo con 119 milioni (+13%). Tra gli inseguitori, è stato soprattutto un anno dedicato ai cambiamenti interni e con andamenti per lo più in linea con l’esercizio precedente. Anche nell’ambito commerciale la corsa è leggermente rallentata, con un +5% nel 2018 contro il +6% dell’esercizio precedente, ma i valori in questo caso sono diversi: la top ten delle società cosiddette commerciali vale complessivamente 2,35 miliardi di euro e la più piccola di queste realtà fattura ben 150 milioni.
Osservando la top ten della fascia commerciale, appare evidente che tutti i gruppi sono in crescita, con la sola eccezione di Iwb che comunque conferma i valori del 2017. Tra i risultati più significativi compaiono quelli di Botter, che guadagna 15 milioni di euro, e di Enoitalia, che sale di 13 milioni, principalmente grazie al contributo del Regno Unito dove l’azienda veneta controlla una quota del 20% del vino venduto on trade e in buona parte si tratta di Prosecco.
Oggi la quota di produzione legata alla spumantistica per Enoitalia è pari al 40% e proprio per gestire il business dello spumante è stato realizzato il nuovo stabilimento di Montebello Vicentino. Da evidenziare, infine, il risultato di Gruppo Santa Margherita, che non può essere considerato una vera propria realtà commerciale poiché al suo interno convivono una parte ampia di prodotti accessibili (dal Pinot grigio al Prosecco), grazie ai quali la società del gruppo Marzotto ha conquistato i suoi mercati di riferimento a cominciare dagli Stati Uniti, e una altrettanto importante di fascia alta e fortemente remunerativa. Il 2018 si è chiuso con un balzo di oltre il 5% a 177,5 milioni di euro.
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TRENTO – Cantine Ferrari punta sul Pinot Nero e annuncia la novità dell’anno per i Trento Doc: il Giulio Ferrari Rosé Riserva del Fondatore 2006.
Una tappa importante nella storia ultrasecolare della cantina, in un 2018 già ricco di novità, come l’acquisizione del marchio dell’amaro Re Laurino e i nuovi vini di Podernovo, la tenuta toscana della famiglia Lunelli.
“Una testimonia dell’ossessione per l’eccellenza e l’indissolubile legame con il territorio”, commentano dalla casa trentina.
Tiratura limitata per la novità di casa Ferrari: solo 5 mila bottiglie. E obiettivo chiaro: “Diventare l’icona delle bollicine italiane rosé”. Il prezzo? Circa 160 euro
LA NOVITA’
Il Giulio Ferrari Rosé è un Trento Doc dalla vibrante intensità, sintesi perfetta del carattere del Pinot Nero e dell’eleganza dello Chardonnay, frutto di un’attenta selezione nei vigneti di famiglia in alta quota alle pendici dei monti del Trentino.
Nasce solo negli anni degni di una grande Riserva. La prima annata è frutto della vendemmia 2006 ed è quindi rimasta per undici anni in affinamento sui lieviti, nel buio e nel silenzio della cantina, confermando la capacità dei vigneti di montagna di esprimere vini in grado di vincere la sfida del tempo.
LA STORIA
Ognuna delle 5 mila bottiglie sarà custodita in un raffinato cofanetto, destinato alla vendita nell’alta ristorazione e alle enoteche più esclusive in Italia e nel mondo. Era il 1902 quando Giulio Ferrari decise di dare forma al suo sogno: creare nel suo Trentino bollicine capaci di suscitare emozioni uniche.
Nel 1980 la famiglia Lunelli ha dedicato a lui e al suo sogno l’etichetta più prestigiosa della casa, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore. Visione, coraggio e passione rivivono ora nella versione rosé di quella che si è nel frattempo affermata come la bollicina più premiata d’Italia.
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TRENTO – Ogni anno, da ormai sette anni, un appuntamento speciale e molto atteso riunisce i Cavalieri del Lavoro produttori di vino in una cantina diversa. L’edizione 2018 si è tenuto il 22 e 23 giugno a Trento, alle Cantine Ferrari.
A fare gli onori di casa il Cavalier Gino e tutta la famiglia Lunelli, che ha ha ospitato i Cavalieri per un fine settimana molto particolare.
Un’occasione unica non solo per degustare le etichette di alcune delle migliori cantine d’Italia, ma anche per confrontarsi su cosa accade nel mondo del vino a livello nazionale e internazionale.
Momento clou della due giorni trentina è stata la degustazione, presso le Cantine Ferrari, dei vini di ciascun Cavaliere, guidata dal giornalista Luciano Ferraro e dal sommelier Mariano Francesconi.
Un viaggio in Italia attraverso i suoi grandi vini, dal Piemonte alla Sicilia, presentati dai produttori stessi con passione e ricchezza di aneddoti. Unico vino estero in programma, il sudafricano Riserva Morgenster, che avrebbe dovuto essere presentato dal Cav. Giulio Bertrand, mancato però un mese fa e ricordato in occasione dell’assaggio del suo vino.
La degustazione della splendida sequenza è terminata con fuoriprogramma, ossia un magnum di Giulio Ferrari Riserva del Fondatore dell’annata 1992 proposto da Gino Lunelli per un brindisi conclusivo.
La giornata è poi continuata poco lontano, a Villa Margon, la cinquecentesca sede di rappresentanza del Gruppo Lunelli nel cuore dei vigneti Ferrari, che nei suoi affreschi racconta le gesta dell’Imperatore Carlo V ma anche la lunga tradizione vitivinicola della zona.
Qui si è conclusa con una cena di gala, a cura dello chef stellato di casa Ferrari Alfio Ghezzi, la settima edizione dell’incontro, che ha permesso di mettere a confronto le storie di grandi famiglie del vino e di territori straordinari, esattamente ciò che ha permesso, negli anni, di rendere il vino italiano unico e amato in tutto il mondo (foto Antonio Benanti, ospite della cerimonia)
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TRENTO – Non si arresta la crescita del gruppo Lunelli in Italia, forte anche di tanti successi a livello internazionale. Dopo la grappa Segnana e l’acqua Surgiva, la famiglia proprietaria di Ferrari Trento segna un altro colpo in città: l’acquisizione del marchio dell’amaro Re Laurino.
“Dell’Elmo Saracini, famoso per la sua grappa e per il suo amaro Re Laurino, ci ha espresso la volontà di vendere. Gli amari hanno ricominciato ad essere apprezzati ultimamente. E così abbiamo accettato la proposta, acquistando l’azienda”.
Parole di Franco Lunelli in esclusiva a vinialsuper, durante il nostro tour delle Tenute di proprietà della famiglia trentina che ha dato il via al sogno di produrre “uno spumante capace di competere con lo Champagne, in Italia”.
Dalle finestre della sede di Ferrari Trento si scorge, in lontananza, la distilleria Tschurtschenthaler dell’Elmo Saracini, ormai di proprietà della terza generazione Lunelli. Situata a soli 7,3 chilometri da via del Ponte: 10 minuti di strada, in auto.
I Lunelli inizieranno a produrre l’amaro dal prossimo anno, dopo aver rilevato il marchio Re Laurino – legato tra l’altro a una delle più note leggende del Trentino, tramandata soprattutto in Val di Fassa – “senza modificare la ricetta originale”.
Il liquore “Re Laurino”, “digestivo e aperitivo”, è il simbolo della storica casa di Povo di Trento: “Un Elisir creato da Mario Tschurtschenthaler dell’Elmo. Il primo commercializzato dalla famiglia”. Presentato tuttora con l’etichetta originale degli anni Cinquanta. E’ la “Riserva dell’Elmo Saracini”, il prodotto di punta.
“So che i ragazzi hanno in mente qualcos’altro – chiosa Franco Lunelli – ma questo ve lo racconteremo la prossima volta!”. In realtà, le novità annunciate a vinialsuper non finiscono qui.
IN ARRIVO ANCHE NUOVI VINI ROSSI La crescita del brand Lunelli si concentrerà anche sul core business: il settore wine. Tenuta Podernovo, in Toscana, si prepara di fatto alla presentazione di due nuove etichette di vino rosso fermo.
Il tutto avverrà tra la fine di settembre 2018 e i primi mesi del 2019, per un totale di 7-8 mila bottiglie complessive. Si tratterà di un Cabernet Franc (vinificato in barrique nuove) e di un Sangiovese (tonneaux, barrique, botte grande), vinificati in purezza.
“La Denominazione sarà ‘Igt Costa Toscana’, che affiancherà l’Igt Toscana e comprende i territori di Massa, Lucca, Livorno, una parte della provincia di Pisa e Grosseto”, anticipa l’enologo trentino Corrado Dalpiaz, emissario dei Lunelli nel pisano dal 2001 e colonna portante dell’enologia italiana.
Le due etichette saranno delle vere e proprie “chicche” destinate all’Horeca, che affiancheranno gli ormai collaudati “Aliotto” e “Teuto”, presenti anche in Gdo (Esselunga e Il Gigante). “Due vini ottenuti da selezioni delle migliori uve dei nostri vigneti di 15 anni, in occasione della vendemmia 2015 a Tenuta Podernovo”.
IL GRUPPO
Ferrari Trento, azienda che da sola rappresenta la fetta più importante del Gruppo Lunelli, è ormai simbolo del Made in Italy e dello stile di vivere italiano nel mondo. Conta oggi 5,4 milioni di bottiglie prodotte, con l’export al 15%.
Ferrari fu pagata 30 milioni di lire al momento del suo acquisto. Oggi il fatturato si assesta su 71 milioni di euro (+12% rispetto al 2016). Sale a 100 milioni il fatturato complessivo del Gruppo Lunelli, che cresce del 7% rispetto al 2016 e commercializza, in totale, 11 milioni di bottiglie.
Un impero che comprende anche la casa prosecchista Bisol di Valdobbiadene, la storica distilleria trentina Segnana e Surgiva, brand di acqua che sgorga nel Parco Naturale Adamello Brenta, scelta dall’Associazione Italiana Sommelier (Ais) e destinata alla migliore ristorazione.
Tra i recenti successi riconducibili alla famiglia Lunelli, anche la freschissima elezione di Mirko Scarabello (prima responsabile di produzione e poi direttore tecnico e mastro distillatore di Segnana) a presidente dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un’elezione all’unanimità quella che ha nominato Mirko Scarabello alla presidenza dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino.
Classe 1967, trentino doc, percorso di studi all’attuale Fondazione Mach di San Michele all’Adige. Dopo qualche anno di lavoro nel mondo del vino, nel Chianti Classico in Toscana, Mirko Scarabello dagli anni ’90 ha dedicato la sua carriera al mondo della grappa e dal 1998 è prima responsabile di produzione poi direttore tecnico e mastro distillatore della distilleria Segnana, storico marchio della famiglia Lunelli che ha contribuito negli anni a promuovere e internazionalizzare il concetto di grappa di qualità e di grappa trentina in particolare.
Consigliere dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino dal 2017, ora ne è alla presidenza. «Un incarico che mi onora, soprattutto perché prendo il testimone da Beppe Bertagnolli, un vero e proprio ambasciatore della grappa del Trentino – spiega il neo presidente Scarabello – cercherò di portare avanti le attività contando su una grande intesa con il consiglio e cercando di essere il più possibile vicino alle esigenze dei nostri distillatori».
Dopo otto mandati di presidenza con Beppe Bertagnolli, si rinnova così in gran parte l’assetto di uno degli istituti di tutela più antichi in Italia per il settore delle bevande. Alla vicepresidenza la conferma di un altro decano della grappa in Trentino, Bruno Pilzer, dell’omonima distilleria in Val di Cembra.
Territorio, tutela, qualità, sono solo alcune delle parole chiave che il nuovo presidente dell’Istituto utilizza per parlare del prossimo futuro dell’Istituto. «Ci aspetta subito una grande sfida – commenta Mirko Scarabello – che è quella di creare un protocollo sui controlli dell’Ig Grappa del Trentino, cosa che cominceremo a fare dai primi di giugno discutendone prima in sede di Assodistil poi con confronti sul territorio».
Dopo la creazione del marchio europeo infatti, sarà necessario trovare un piano di controlli e soprattutto individuare il futuro certificatore. «Un impegno che rispetto ad altre regioni ci trova già più preparati – continua in proposito il presidente dell’Istituto – anche perché siamo l’unica realtà in Italia che dagli anni Sessanta si è dotata di un disciplinare più rigido e territoriale».
Dalla promozione alla tutela, le prossime sfide dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino. «E’ la nostra fortuna produrre in una terra come quella del Trentino – dice il nuovo presidente Mirko Scarabello – noi siamo partiti dalle nostre piccole distillerie per farci conoscere in tutto il mondo e abbiamo capito che è il Trentino che il consumatore cerca e trova nei nostri prodotti; il 70 per cento delle nostre terre è rappresentato da montagne, è anche grazie al nostro lavoro che riusciamo a sostenere questo ambiente così unico per clima, conformazione, paesaggio ed è la stessa unicità che dà valore alle nostre grappe».
A questo proposito il consiglio lavorerà molto sulle sinergie con altri partner trentini e non solo. «Dovremo puntare sul gioco di squadra cercando di unire le forze con altre realtà del territorio trentino, ma non solo – continua il presidente Scarabello – per farlo abbiamo bisogno di cominciare un percorso che guardi ai nuovi consumatori, pur puntando sul valore aggiunto che abbiamo e che troviamo nella tradizione del nostro prodotto».
Tra le azioni in programma anche il potenziamento della comunicazione e dell’immagine del marchio del Tridente attraverso gli strumenti tradizionali, ma soprattutto utilizzando il linguaggio dei nuovi sistemi di comunicazione, a partire dai social network. «Un modo per cominciare a raccontare un prodotto storico con mezzi innovativi», sottolinea Mirko Scarabello.
Come detto, Vicepresidente dell’Istituto sarà ancora Bruno Pilzer (distilleria Pilzer), mentre gli altri consiglieri sono Luigi Cappelletti (Antica Erboristeria Dr. Cappelletti), Alessandro Marzadro (Marzadro), Carlo Pezzi (distilleria Pezzi), Giuliano Pisoni (distilleria Pisoni), Bernardino Poli (Casimiro), Rudy Zeni (distilleria Zeni).
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Dalla capitale Ferrari, Trento, ai feudi di Podernovo (Terricciola, Toscana) e Castelbuono (Bevagna, Umbria). E’ un triangolo ideale quello che unisce le Tenute Lunelli, dal nord al centro Italia.
Un tour di 584 chilometri, macinati (volentieri) per raccontare l’idea imprenditoriale di una delle famiglie del vino più eleganti e illuminate del Paese. Capace di rinnovarsi e, al contempo, restare saldamente attaccata alle tradizioni più genuine.
Alle classiche “bollicine” Trento Doc, di cui è simbolo Ferrari, la terza generazione della famiglia Lunelli ha voluto affiancare la produzione di vini rossi fermi. Lo ha fatto scegliendo due delle zone più vocate d’Italia: i Colli Pisani (Tenuta Podernovo) e l’Umbria (Tenuta di Castelbuono, 35 Km a sud di Perugia).
Nei primi anni Duemila, entrano così nel “portafoglio” dei Lunelli il Sangiovese, il Merlot e il Cabernet Sauvignon toscano. E il Sagrantino umbro. Tutti vitigni nobili, capaci di raccontare come pochi il terroir d’appartenenza.
Per i vini bianchi fermi, del resto, la famiglia Lunelli si affida all’ormai collaudatissima Tenuta Margon, a meno di 5 Km dalla sede produttiva trentina di via del Ponte, 15.
Chardonnay, Pinot Nero, Sauvignon, Incrocio Manzoni e Pinot bianco i vitigni allevati in un contesto mozzafiato, tra le ripide colline che dominano la valle scavata dal fiume Adige.
Insomma: anche se il tour delle Tenute Lunelli è ancora affidato alla buona volontà dei visitatori (è allo studio un servizio di collegamento “istituzionale”, che coinvolgerà in una prima fase la cantina toscana e quella umbra) i chilometri da affrontare in auto sembrano un lontano ricordo, una volta giunti alle varie destinazioni.
L’accoglienza, in loco, è garantita in particolare in Toscana: Casale Podernovo costituisce infatti l’opera di recupero delle case dei fattori, restaurate e rese ancora più accoglienti dalla presenza di una splendida piscina, con vista sui vigneti.
In Umbria, Tenuta Castelbuono di Bevagna è invece l’opera del maestro Arnaldo Pomodoro: il Carapace. Una cantina a forma di guscio di tartaruga la cui parte esterna sta mutando nel tempo, sotto l’azione degli agenti atmosferici che stanno ossidando le placche di rame. Integrando sempre di più l’edificio con l’ambiente circostante.
Qui l’accoglienza non è prevista. Ma tutt’attorno è un tripudio di piccoli e grandi alberghi. Di borghi e di viuzze caratteristiche. Di monumenti e di ristoranti-enoteche, come l’Osteria Antiche Sere di Luciano Sabbatini, da visitare per testare la vera cucina locale.
Anche in Trentino, ovviamente, l’offerta ricettiva non manca. Con la possibilità di scegliere una struttura nell’accogliente città di Trento o negli ancora più tranquilli dintorni, spingendosi verso la vicina e bella Rovereto.
TENUTA PODERNOVO Il nostro tour inizia dalla Toscana. Da un paesello di 4.500 abitanti, Terricciola, che sta ai Colli Pisani come Greve sta al Chianti. Ad accompagnarci nella visita di Tenuta Podernovo c’è un pezzo di storia dell’enologia italiana: Corrado Dalpiaz. Tessera numero 63 di Assoenologi.
“Tanto per i pomi torna”: la madre di Corrado, nel 1968, rassicurava così il marito. Era convinta che il figlio, diplomatosi a San Michele all’Adige (classe 6ª S) e in partenza per il suo primo “viaggio-lavoro”, sarebbe tornato a breve, per la raccolta delle mele (i “pomi”, appunto).
L’enologo trentino, invece, ha trovato in Toscana la sua nuova patria. Prima a Montescudaio, dove contribuì a istituire l’omonima Doc. Poi a Podernovo. “Fu Mauro Lunelli a chiamarmi – spiega Dalpiaz – nel 2000. Forte della nostra decennale conoscenza, dal momento che a San Michele eravamo compagni di banco, mi colpì al cuore, proponendomi di guidare il progetto delle tenute toscane”.
Sessanta ettari complessivi, di cui 25 vitati per il 70% a Sangiovese. Seguono Merlot, Cabernet Sauvignon e Franc. Un ettaro è destinato al re dei vitigni a bacca rossa del Trentino: il Teroldego. “Abbiamo scoperto che ne è permessa la coltivazione sui Colli Pisani e lo abbiamo voluto, quasi per forza di cose, nei nostri vigneti”.
Il Teroldego, di fatto, svolge a Podernovo la funzione del Colorino: con i suoi antociani, “trentinizza” (anche se in minima parte, con 1-2% di addizione nei blend) i vini rossi prodotti a Terricciola.
In vigneto, le pratiche sono quelle dell’agricoltura biologica. La certificazione arriverà a breve: il percorso – fortemente voluto da Marcello Lunelli che, dopo Trento, mira a estenderlo a tutte le Tenute – è iniziato nel 2009. Trattamenti di solo rame e zolfo, utilizzo di insetti antagonisti e pratica del sovescio sono ormai una consuetudine.
La novità, introdotta per la prima volta in Italia nel 2005 dalla famiglia Lunelli, proprio a Podernovo, è l’utilizzo di un macchinario che consente di stabilire lo stato di “salute” delle piante.
“Un sistema a infrarossi – spiega Dalpiaz – che ci aiuta a capire quando e dove raccogliere esattamente l’uva, attraverso una stima scientifica della vigoria del singolo ceppo”.
Ne scaturisce una mappa, con chiazze di diversi colori. Le aree identificate con il colore verde sono quelle del “Libro dei sogni”. Da lì, sotto la guida del responsabile dei vigneti, Filippo Accardi, le squadre di vendemmiatori raccoglieranno le uve destinate ai “cru” di Podernovo.
Ci spostiamo poi in cantina, dove l’ultima novità sono le anfore e gli orci di Manetti, su cui sono in corso alcuni esperimenti (in particolare sul Sangiovese, con buoni risultati). Splendida e moderna la struttura, in cui non manca un collegamento con il Trentino.
A partire dalla progettazione, riservata allo studio di architettura Giorgio e Luca Pedrotti. Passando per i materiali: il tetto in legno, perfettamente abbinato al “sasso” recuperato nelle campagne circostanti, riporta alla mente la tipica ambientazione montana. Moderna e funzionale anche la barricaia, inaugurata nel 2005.
LA DEGUSTAZIONE
I vini prodotti a Tenuta Podernovo (150 mila bottiglie complessive) sono Aliotto (60% Sangiovese, 20% Cabernet Sauvignon, 20% Merlot) e Teuto (65% Sangiovese, 30% Merlot, 5% Cabernet Sauvignon).
Ma due nuove etichette completeranno l’offerta tra fine settembre 2018 e gli inizi del 2019. Per un totale di 7-8 mila bottiglie. Si tratta di un Cabernet Franc (barrique nuove, il primo che sarà presentato) e di un Sangiovese (tonneaux, barrique, botte grande), entrambi vinificati in purezza.
“La Denominazione – anticipa l’enologo Dalpiaz – sarà ‘Igt Costa Toscana’, che affiancherà l’Igt Toscana e comprende i territori di Massa, Lucca, Livorno, una parte della provincia di Pisa e Grosseto. Sono due selezioni delle migliori uve identificate in mappa come ‘Libro dei sogni’, ottenute da vigneti di 15 anni, in occasione della vendemmia 2015”.
Entrambi i vini degustati convincono, per motivi diversi. Ma il fil rouge che li lega è evidente. La grande eleganza e finezza, coniugata in maniera più “pop” in Aliotto e in versione “luxury” in Teuto.
Aliotto, acquistabile anche al supermercato (è presente per esempio nell’assortimento Esselunga e in quello de Il Gigante) è un vino rosso che si presta anche a un consumo “estivo”, a una temperatura più fresca rispetto al consueto.
Di Teuto degustiamo la vendemmia 2015. Vino più complesso e gastronomico rispetto al “fratello minore” Aliotto (2 anni in legno e 6 mesi in bottiglia, prima della commercializzazione) perfetto per abbinamenti più complessi in cucina.
Splendida la trama tannica, ben definita al palato, capace di mostrare ulteriori margini di miglioramento del nettare. Quelli che sono evidenti in Aliotto 2001, il vero “colpo di scena” della degustazione guidata da Dalpiaz.
Un vino che non è in commercio, di cui i Lunelli conservano gelosamente alcune decine di bottiglie per le occasioni speciali. Il colore tiene, evidenziando sfumature solo vagamente granate.
Il naso si apre su un ventaglio infinito di profumi, dalla terra bagnata al tartufo, passando per il frutto rosso, la macchia mediterranea e i richiami balsamici.
Il palato non delude: il tannino di pura seta accompagna una beva giocata su frutta, mineralità e balsamicità. Chapeau. Un rosso che ricorda, per certi versi, i Brunello del versante grossetano.
TENUTA CASTELBUONO Dicono tanti testimoni che, durante la realizzazione del Carapace, quest’angolo di Umbria disegnato col pennello sulle colline di Bevagna (PG) fosse capace di ricordare le scene immortalate in certi quadri rinascimentali.
Una “bottega” a cielo aperto. Fra 30 ettari di vigneti. Un vespaio di artisti, architetti, progettisti e operai. Tutti guidati dal maestro Arnaldo Pomodoro. E’ il 2001 quando la famiglia Lunelli dà inizio ai lavori del Carapace, aperto al pubblico nel 2012.
Una vera e propria cantina-opera d’arte, capace di coniugare come poche l’idea di “Bello” e di “Buono”. Dalla spina vertebrale centrale si dipanano le volte, che poggiano a terra sinuose e leggere, grazie alla dinamicità delle ampie vetrate.
Un edificio vivo, dall’anima aperta e accogliente: il cuore è la barricaia, raggiungibile discendendo una rampa di ampie scale vorticose. Un’ambientazione idilliaca ospita le botti di legno, sotto al livello del terreno. Ma le pareti sono azzurre, illuminate. E ricordano il cielo, in una bella giornata di sole.
All’esterno, un dardo rosso conficcato nel terreno segnala la presenza del Carapace a diversi chilometri di distanza. Un punto, nel terreno. L’ennesimo collegamento tra un’estetica divina e ciò che c’è di più terreno: il suolo. E gi uomini che lo popolano.
LA DEGUSTAZIONE Ammaliati da tanta bellezza, il vino non può che completare un’esperienza che non è eccessivo definire “mistica”. I vini di Tenuta Castelbuono sono in evoluzione, ancor più dei rossi di Podernovo.
E non è solo una questione di uvaggio (il Sagrantino richiede e merita un lungo affinamento, per le sue caratteristiche).
L’arrivo del noto enologo Luca D’Attoma, nel 2015, ha portato a un vero e proprio cambio nella gestione del legno rispetto alle scelte precedenti di Ruben Larentis.
Il sorso delle ultime vendemmie di Carapace (Montefalco Sagrantino Docg), Lampante (Montefalco Rosso Riserva Doc) e Ziggurat (Montefalco Rosso Doc) è più internazionale e moderno. Ziggurat e Carapace, acquistabili anche al supermercato (Esselunga e Il Gigante) sono i vini umbri più “pronti” della Tenuta Castelbuono.
Nonostante ciò, mostrano ampi margini di ulteriore miglioramento in bottiglia, in linea con le caratteristiche dei rossi dell’area di Montefalco. Lampante 2014 è il vino top di gamma, che va ancora aspettato per esprimersi al meglio nel calice.
FERRARI TRENTO – TENUTA MARGON La “casa madre”, dove tutto ebbe inizio. E’ il 1902 quando Giulio Ferrari, appassionato imprenditore trentino, decide di iniziare a produrre un vino capace di competere con lo Champagne.
Un vino autentico, in grado di valorizzare la tipicità locale. Quale vitigno migliore dello Chardonnay, portato a Trento in seguito ad alcuni viaggi studio in Francia? I soldi non mancano a Giulio, di famiglia benestante e proprietaria di parecchi vigneti. Le attrezzature, seppur rudimentali, consentono il miracolo.
Le bollicine Ferrari – commercializzate all’epoca come “Champagne Maximum Sec G. Ferrari” – iniziano a far parlare l’Europa e poi l’Italia.
Che le apprezza e le consuma, prosciugando le scorte della piccola cantina ricavata nel seminterrato di un palazzo, nel centro di Trento.
Per l’esattezza in via Rodolfo Belenzani. A cento passi dal Duomo, la Cattedrale di San Vigilio. Col passare degli anni la domanda aumenta. E così l’affermazione del brand.
Soprattutto dopo la scoperta che le “bollicine” Ferrari migliorano nel tempo. E’ il 1945. Il muro eretto davanti all’ingresso della cantina per evitare saccheggi durante la Seconda guerra mondiale custodisce intatte le vendemmie 1937, 1938 e 1939.
Nasce così la prima riserva Ferrari. Da vini perfetti, rimasti in forma smagliante. Chi invecchia è il suo ideatore, che nel 1952 si decide a cedere l’attività a un giovane enotecario del posto, sicuro che avrebbe saputo valorizzare quel patrimonio come nessun altro. Quel giovane si chiama Bruno Lunelli.
Nasce così la Ferrari Trento, simbolo del Made in Italy e dello stile italiano nel mondo. La produzione passa dalle circa 12 mila bottiglie ai 5,4 milioni attuali (export al 15%).
La famiglia Lunelli, negli anni, coinvolge professionisti di tutti i settori (dal marketing all’arte, per intenderci) all’interno di un progetto a tutto tondo che forse, trova proprio nel Carapace umbro l’immagine più fulgida. La sua sinesi metafisica.
La terza generazione viene inglobata senza forzature all’interno di una “macchina da guerra” commerciale che fonda tutto sulla semplicità della qualità.
Marcello, Matteo, Camilla e Alessandro si formano nelle maggiori realtà internazionali e tornano “a casa” per scelta. Una famiglia del vino in cravatta (e tailleur) che sa valorizzare i propri dipendenti, premiati ogni anno con incentivi.
Non solo economici, ma anche umani: vietato non dare del “tu” al capo, incontrandolo tra i corridoi della Ferrari. Uno stile riassunto perfettamente da Franco Lunelli (nella foto) che incontriamo per un’intervista.
“Diciamo che negli anni ci è andata abbastanza bene – scherza il classe 1935 – se pensiamo che tutto ha avuto inizio dalla bottiglieria aperta da mio padre in un periodo simile a quello odierno, in cui tutti chiudevano”.
Bruno Lunelli fu il primo a proporre in zona “il vino da asporto”. “Andava casa per casa, coi fiaschi. E ne vendeva 15 ettolitri al giorno. Vino a un prezzo onesto, ma di qualità”.
Franco Lunelli ricorda ancora bene il giorno in cui il padre annunciò alla famiglia l’acquisto della Ferrari: “L’ho comprata perché si può incrementare, ci disse. Il signor Giulio vende 10 mila bottiglie l’anno. Ho firmato le cambiali e voi le pagherete per tutta la vita”. “Ci è andata bene anche in quel caso – continua a scherzare Franco Lunelli – perché abbiamo finito prima!”.
La Ferrari fu pagata 30 milioni di lire. Sette volte il suo fatturato. Oggi questa cifra si assesta su 71 milioni di euro (+12% rispetto al 2016). Sale a 100 milioni il fatturato complessivo del Gruppo Lunelli, che cresce del 7% rispetto al 2016 e commercializza, in totale, 11 milioni di bottiglie.
Un impero che comprende anche la casa prosecchista Bisol di Valdobbiadene, la storica distilleria trentina Segnana e Surgiva, brand di acqua che sgorga nel Parco Naturale Adamello Brenta, scelta dall’Associazione Italiana Sommelier (Ais) e destinata alla migliore ristorazione.
CUCINA GOURMET. E DAL 2019 L’AMARO Un ramo, quest’ultimo, che completa l’offerta trentina di Ferrari. Poco lontano da Villa Margon e dall’omonima Tenuta che dà vita ai vini fermi a marchio Lunelli, si trova infatti Locanda Margon.
Un paradiso per il palato guidato dallo chef Alfio Ghezzi (due stelle Michelin), dove è possibile godere di un menu ricercatissimo, servito nel cuore dei vigneti. Ma non finisce qui. Manca l’amaro, per restare in tema ristorazione.
Anzi, mancava. “Nell’autunno scorso – spiega Franco Lunelli – l’amico Dell’Elmo Saracini, famoso per la sua grappa e per il suo amaro Re Laurino, ci ha espresso la volontà di vendere. Gli amari hanno ricominciato ad essere apprezzati ultimamente. E così abbiamo accettato la proposta, acquistando l’azienda”.
Ferrari Trento inizierà a produrre l’amaro dal prossimo anno, rilevando il marchio Re Laurino – legato a una delle più note leggende trentine – senza modificare la ricetta originale.
“So che i ragazzi hanno in mente qualcos’altro – chiosa Franco Lunelli – ma questo ve lo racconteremo la prossima volta!”. E allora arrivederci, ragionier Franco. Prosit!
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Bisol, marchio storico del Prosecco Superiore di Valdobbiadene, si racconta al mondo attraverso un nuovo linguaggio che ne interpreta i valori cardine: unicità, autenticità e tradizione. Il progetto, presentato al Vinitaly 2018, sottolinea il grande legame con il territorio e la continuità con la storia del marchio e al tempo stesso guarda al futuro per adeguarsi alle sfide e cogliere le grandi opportunità del mercato.
Dopo quattro anni dall’acquisizione, l’azienda è stata pienamente integrata sfruttando le sinergie con il Gruppo Lunelli e sono stati attuati investimenti, in campagna e in cantina, volti alla continua ricerca dell’eccellenza produttiva. L’inizio di questa nuova fase di sviluppo di Bisol si manifesta oggi con una completa revisione della gamma prodotti e dell’immagine della marca, studiata con il supporto dell’agenzia Robilant Associati.
LE NOVITA’ IN CASA BISOL Cambia innanzitutto il logo, nel quale viene evidenziata la data del 1542, anno in cui un documento storico testimonia la presenza della famiglia Bisol come viticoltori nella zona, e si sottolinea il legame con il territorio attraverso l’indicazione di Valdobbiadene e la rappresentazione stilizzata di una ripida collina coltivata che ricorda il Cartizze.
La nuova immagine coordinata ha inoltre un colore distintivo, il “verde Bisol”. Un tocco di verde
che richiama il rigoglioso paesaggio coltivato a vite che contraddistingue da secoli queste colline. “Oggi celebriamo una tappa importante del nostro percorso – spiega Gianluca Bisol, Presidente della Bisol Desiderio & Figli – da sempre utilizziamo il verde come tratto distintivo nelle nostre etichette per esprimere lo storico e intimo legame con Valdobbiadene. Oggi, con un tratto di verde ancor più vivo, confermiamo la volontà di diventare sempre di più ambasciatori di questo meraviglioso territorio. Una sfida lungimirante, che con il prezioso contributo della famiglia Lunelli, raggiungerà traguardi ancor più ambiziosi, perché per essere originali bisogna essere originari, e chi più di Bisol può essere originario nel mondo del Prosecco?”
La linea Bisol è fatta solo di Prosecco Superiore Docg e vuole raccontare la varietà del territorio di Valdobbiadene e sperimentare tutte le sfumature del Prosecco Superiore, perché ciascuna etichetta è espressione di un particolare terroir e di una specifica composizione del terreno. Una collezione fatta di eccellenza senza compromessi, che racconta il faticoso lavoro della terra, frutto di una viticoltura eroica. Proprio per valorizzare ed avere il massimo rispetto per l’identità del territorio, sono state create due nuove etichette della Denominazione Rive: il Relio Rive di Guia, che vuole essere il vertice della produzione della Casa e il Rive di Campea, espressione del più importante vigneto di proprietà.
Accanto alla gamma Bisol è stata rivista anche la collezione Jeio. Se Bisol è il cognome, Jeio è il soprannome. Jeio era infatti il soprannome con cui Desiderio Bisol nel dopoguerra era affettuosamente chiamato dalla moglie. Se Bisol è l’anima legata a un saper fare, Jeio è l’espressione più fresca della marca, il volto contemporaneo, l’anima gioiosa del Prosecco che esprime la capacità di godere della qualità della vita, tipicamente italiana. Queste due collezioni sono due anime complementari della stessa marca che convivono e giocano l’una con l’altra.
“È un progetto strategico per il Gruppo Lunelli ma vuole dare anche un contributo allo sviluppo del territorio” afferma Matteo Lunelli, Amministratore Delegato del Gruppo Lunelli e Vice Presidente di Bisol. “Il Prosecco in tutto il mondo continua a crescere a ritmi straordinari, ma sul mercato viene richiesta prevalentemente la categoria senza indicare la preferenza per uno specifico marchio. Siamo convinti che sia fondamentale sottolineare la differenza tra Prosecco e Prosecco Superiore e auspichiamo che si sviluppino marchi riconosciuti e riconoscibili dal consumatore, al fine di promuovere la qualità e valorizzare questo grande vino. Bisol vuole essere sempre di più protagonista del Prosecco Superiore di Valdobbiadene”.
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Perlé Zero è l’ultimo spumante Metodo Classico partorito da Ferrari Trento. Una Cuvée di tre vendemmie di solo Chardonnay, messa in bottiglia nel 2010.
Un mosaico costruito con grande gusto ed eleganza dalla casa spumantistica trentina, che arricchisce il proprio curriculum dell’ennesimo capolavoro.
LA DEGUSTAZIONE
Il calice del Ferrari Perlé Zero Cuvée Zero (sboccatura 2017) si colora di un giallo dorato luminosissimo, spezzato da un perlage finissimo e di rara persistenza. Un vulcano in eruzione nel vetro.
Ma siamo in montagna. E il naso del Perlé Zero stabilisce coordinate geografiche (e ampelografiche) indiscutibilmente riconoscibili. Nette. Quelle del grande Chardonnay del Trentino.
A flebili richiami di crosta di pane e lieviti, tipici del Metodo Classico, rispondono con fierezza sentori morbidi di pasticceria. Un prato su cui spuntano fiori di camomilla, arnica, verbena, radice di liquirizia. Erba appena sfalciata. Quando la temperatura si alza un poco nel calice, ecco i caldi risvolti meno attesi: le zaffate del cumino e dello zenzero.
In bocca, il Trento Doc Ferrari Perlé Zero entra dritto, sul filo di un rasoio. Poi si allarga. Il filo conduttore resta comunque la sapidità, unita a un’acidità invidiabile. Tutt’attorno rimbalzano sentori fruttati esotici (ananas maturo) che giocano a smussare durezze e dosaggio (zero, appunto), assieme alla tipica avvolgenza ammandorlata dello Chardonnay. Sembra il lavoro del mare, attorno agli scogli.
Rendono ancora più complesso il quadro gustativo i richiami balsamici di mentuccia e macchia mediterranea. Il tutto prima di una chiusura lunga e persistente, connotata da una vena amara di pompelmo, capace di stuzzicare il sorso successivo.
Un grande spumante, complesso ed elegante, questo Perlé Zero di Ferrari. Perfetto in abbinamento a portate di pesce e crostacei, anche se – per struttura – non disdegna affatto le carni bianche. Da provare con un piatto esotico come l’anatra alla pechinese, tutt’altro che scontato.
LA VINIFICAZIONE
Tre vendemmie, messe in bottiglia nel 2010, compongono la Cuvée Zero 10 di Ferrari. In particolare, si tratta dell’assemblaggio del miglior Chardonnay 2006, 2008 e 2009. Uve provenienti dai vigneti di montagna di proprietà della famiglia Lunelli, alle pendici dei monti, in Trentino.
Come spiega la stessa Ferrari, la Cuvée di Perlé Zero prende il nome dall’anno della messa in bottiglia, in questo caso 10 (2010). Il mosaico di millesimi viene precedentemente affinato in acciaio e in legno, poi in vetro. Una volta imbottigliata, la cuvée matura per un minimo 6 anni su lieviti selezionati in proprie colture.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Tutti i vigneti trentini di proprietà del Gruppo Lunelli destinati alla creazione di Ferrari Trentodoc hanno ottenuto la certificazione biologica. “Una notizia attesa – commenta in una nota la casa di Trento – che a pochi giorni dal Vinitaly 2017 e corona l’impegno della famiglia Lunelli nel riportare al centro dell’attività agricola il concetto stesso di fertilità naturale del terreno, il rispetto dell’ambiente e di chi vi lavora”.
“La certificazione biologica di tutti i vigneti trentini della nostra famiglia – commenta Marcello Lunelli, vice presidente delle Cantine Ferrari – rappresenta un grande traguardo che ha ricadute positive su tutto il processo produttivo, e rafforza ulteriormente il nostro impegno in termini di responsabilità sociale verso i territori in cui operiamo”.
Il punto di arrivo di un percorso lungo e impegnativo, iniziato oltre vent’anni fa. Numerosi studi e sperimentazioni in campagna condotti con il supporto della Fondazione Mach di San Michele all’Adige (TN), hanno portato alla convinzione che, una volta ottenuto un adeguato equilibrio del vigneto, sia possibile fare viticoltura biologica anche in territori di montagna.
Negli anni è stato introdotto il divieto totale di utilizzo di diserbanti e concimi chimici, a favore di pratiche tradizionali come il sovescio, di fertilizzanti naturali come il letame e dell’uso esclusivo di fitofarmaci ad alto grado di sicurezza, che prediligono l’impiego di prodotti naturali quali il rame e lo zolfo.
In questo contesto, nel 2014 è iniziato il processo di conversione al biologico di tutti i vigneti di proprietà delle Cantine Ferrari, che è terminato con successo qualche giorno fa.
“Questa cultura della sostenibilità e del rispetto per il territorio – sottolinea Cantine Ferrari – negli anni è stata condivisa anche con le oltre 500 famiglie che ci conferiscono le proprie uve, attraverso un lungo processo di formazione e di educazione da parte del team di agronomi di Casa Ferrari”.
A tutti i conferenti è stato chiesto di seguire un vero e proprio protocollo di viticoltura di montagna salubre e sostenibile denominato “Il Vigneto Ferrari”, elaborato sempre col sostegno scientifico della Fondazione Edmund Mach e certificato da CSQA.
IL TRENTODOC “SOSTENIBILE” A garantire una migliore qualità della pianta e dell’uva prodotta, queste iniziative hanno avuto importanti ricadute su tutto il territorio circostante, che oggi beneficia di una più ricca biodiversità, confermata anche dalla certificazione “Biodiversity Friend” da parte della Worldwide Biodiversity Association.
Un territorio, quello delle montagne del Trentino, che nei secoli il lavoro dell’uomo ha trasformato, rendendo più dolci i pendii con filari di viti coltivati e mantenuti come giardini.
Oggi questi vigneti di montagna, gli unici ad assicurare l’eccellenza della base spumante Trentodoc, sono ancora più in sintonia con la natura, grazie all’importante traguardo raggiunto dalle Cantine Ferrari, che dimostrano di conservare lo spirito pioneristico del loro fondatore. Fu proprio Giulio Ferrari, infatti, oltre un secolo fa, a individuare le montagne trentine come terreno ideale per la produzione del migliore Chardonnay destinato alla produzione di Metodo Classico.
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È un brindisi Ferrari a suggellare le celebrazioni dedicate al sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, che segnò il primo passo verso l’Unione Europea e firmato nella capitale italiana nel 1957.
Il pranzo offerto sabato 25 marzo dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai rappresentanti dei 27 Stati membri dell’Unione Europea, ha infatti visto il Ferrari Riserva Lunelli Trentodoc protagonista del brindisi ufficiale e abbinato anche al primo piatto del menù.
“Ferrari – commenta la nota casa spumantistica trentina – ha l’onore di essere scelto come brindisi ufficiale di tutti i maggiori appuntamenti istituzionali del nostro paese, tra i quali vogliamo ricordare proprio il cinquantenario del Trattato di Roma nel 2007 e ancor prima, nel 2004, la firma della nuova Costituzione Europea, nonché, più recentemente, le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia e l’insediamento del Presidente Mattarella”.
Le bollicine Ferrari Trentodoc “si confermano, quindi, il brindisi italiano per eccellenza, che da oltre un secolo celebra i momenti più significativi della vita istituzionale, culturale e sportiva del nostro paese”.
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(5 / 5) Un blend composto da Sangiovese per il 60%, completato da un 40% di Cabernet, Merlot e altre uve toscane (40%).
E’ il vino biologico Aliotto Toscana Rosso Igt 2013 Tenute Lunelli, ottenuto dalla vinificazione delle uve della Tenuta Podernovo, nel cuore delle colline pisane.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, Aliotto si presenta di un rosso rubino intenso con sfumature violacee. Al naso, anch’esso intenso, sprigiona note di frutti rossi (marasca) e frutta sotto spirito. Non manca una venatura minerale e vegetale, che ricorda il rosmarino.
Al palato, Aliotto Toscana Rosso Igt 2013 delle Tenute Lunelli si conferma vino caldo, di corpo, secco, ma anche rotondo e fresco. Giustamente tannico, regala piacevoli note sapide, che conferiscono alla beva ulteriore scorrevolezza.
Un vino equilibrato, che in bocca gioca come al naso con le note di frutta rossa, rivelandosi più “piacione” delle attese. Buono anche il risvolto retro olfattivo, intenso, mediamente fine e sufficientemente persistente.
Da considerarsi pronta la vendemmia 2013, che mostra qualche margine di ulteriore miglioramento in bottiglia. Questo rosso toscano si abbina alla perfezione con piatti di carne, dai ragù dei primi sino ai secondi.
LA VINIFICAZIONE
Aliotto nasce da una attenta selezione delle uve provenienti dai vigneti della Tenuta Podernovo, splendido poggio vitato nel Comune di Terricciola, all’interno della pregiata ed emergente zona vinicola delle Colline Pisane.
I vigneti affondano le radici in terreni dotati di una tessitura di medio impasto, franco-sabbioso-argilloso, ricchi di conchiglie fossili, con una esposizione che va da Ovest a Est passando per il Sud, a un’altitudine di 137 metri sul livello del mare. Il sistema di allevamento è il cordone speronato, con una densità d’impianto di 5680 ceppi per ettaro e una resa di 60 ettolitri di vino per ettaro.
La vinificazione prevede la fermentazione a 28 gradi, in tini di acciaio. Il periodo di macerazione si protrae tra i 10 e i 15 giorni. Dodici i mesi di maturazione in barrique, con affinamento in bottiglia minimo di 4 mesi, prima della commercializzazione. Aliotto viene prodotto sin da 2004.
La famiglia Lunelli ha voluto, a partire dagli anni Ottanta, affiancare al noto marchio di spumante Ferrari “altre produzioni che ne condividessero i valori di fondo, ovvero altissima qualità, ricercatezza e forte legame con il proprio territorio”.
Ecco dunque al fianco del Metodo Classico Ferrari un’acqua come Surgiva, un marchio storico della grappa come Segnana, i vini trentini Lunelli, i toscani della Tenuta Podernovo e gli umbri della Tenuta Castelbuono e locanda Margon.
Prezzo pieno: 7,20 euro
Acquistato presso: Il Gigante
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(5 / 5) Astenersi indecisi. Dovrebbe esserci scritto così, a caratteri cubitali, sull’etichetta frontale di Ziggurat Montefalco rosso 2009 delle Tenute Lunelli. Già, perché questo vino è un’esplosione. Di potenza. Di gusto. Di carattere. Roba da palati forti. In questa bottiglia, la potenza del rosso di Montefalco – il Sagrantino – incontra il Sangiovese e la sua eleganza. Ciò che ne scaturisce è un vino di grandissima forza. Speziato. Infuocato. E non è un eufemismo. Potrebbero trarre in inganno, infatti, i 13.5 gradi che farebbero pensare a una predominanza organolettica del Sangiovese sul Montefalco, vino che raggiuge (e supera) anche i 15 gradi, in alcune delle sue più grandi espressioni. Ziggurat Lunelli è la rappresentazione liquida delle monumentali costruzioni dell’epoca mesopotamica: gli “ziqqurat”, che come le piramidi poggiavano su una base ampia, affusolandosi verso il cielo. Così come questo vino inizia ampio e caldo, per raggiungere “punte” di grande carattere nel finale, in un concerto speziato e balsamico che conferisce all’assaggio immensa eleganza. Si abbina alla perfezione con le carni rosse poco cotte e con i piatti della tradizione toscana, nonché con la selvaggina.
Entrando nelle specifiche tecniche, Ziggurat è un blend così composto: Sangiovese 70%, Sagrantino 15%, Cabernet e Merlot 15%. La raccolta avviene in maniera manuale, tra i mesi di settembre e ottobre, nei vigneti di proprietà della famiglia Lunelli, a Montefalco e Bevagna, in Umbria, più esattamente in provincia di Perugia. Si tratta di terreni di composizione limoso -argillosa, dotati di una buona potenzialità agronomica, ben strutturati e resistenti alla siccità estiva. La macerazione si protrae per una ventina di giorni, con una prima fase compiuta a freddo, alla temperatura di 12 gradi, per 20 ore, per poi proseguire a 26- 28 gradi in botti di acciaio. Evidente, all’assaggio, come Ziggurat abbia subito anche una fase di maturazione (12 mesi in barrique da 225 e tonneaux da 500 litri) e almeno 6 mesi in bottiglia. Un vino sontuoso, che si presta anche a un ulteriore invecchiamento in bottiglia.
Prezzo pieno: 8,99 euro Acquistato presso: Il Gigante, Assago Milanofiori (MI)
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