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Champagne? No, English sparkling “alla cieca”. Il test di un ristorante stellato

Champagne No, English sparkling chapel down alla cieca. Il test di un ristorante stellato test Caractère ristorante stellato Londra chef Emily Roux e Michel Roux che parla anche un po' italiano
Immaginate di sedevi a pranzo in un ristorante stellato di cucina francese, che in carta ha solo vini francesi e italiani. Nel calice, spumeggiante, vi aspettate Bollinger o Taittinger. Oppure Moët & Chandon. Piatti e spumante, insieme, funzionano divinamente. L’abbinamento è da favola. Tutti i commensali concordano. Ma dopo il dolce, lo chef svela che non avete bevuto Champagne. Bensì English Sparkling. Ovvero il metodo classico inglese. La trovata è della cantina Chapel Down, che ha sede nel Kent. Una delle più importanti aziende produttrici di bollicine inglesi ha voluto così sfidare lo Champagne, per dimostrare la qualità dei suoi prodotti. Ben lieti di prestarsi al test Emily e Michel Roux, rinomati chef del ristorante di cucina francese Caractère, al 209 di Westbourne Park Road, nel noto quartiere Notting Hill di Londra. https://chapeldown.com/blogs/news/what-a-roux.

«Abbiamo invitato alcuni amanti della cucina francese a pranzo – spiegano padre e figlia – e abbiamo detto loro che si trattava del lancio di cuvée speciali di spumante. Da Caractère, la carta dei vini include solo etichette francesi ed italiane. La sfida era chiara: gli ospiti si renderanno conto che stanno bevendo spumante inglese? Abbiamo servito tre dei migliori metodo classico dell’Inghilterra, in gran segreto, “alla cieca”, ovvero coprendo le bottiglie. Dopo aver raccolto i pareri dei clienti, tutti entusiasti dei vini proposti, abbiamo chiesto di indovinare il brand. Qualcuno ha detto Bollinger. Altri Taittinger. Altri ancora Moët & Chandon. Immaginate la loro faccia quando abbiamo svelato che si trattava degli English Sparkling di Chapel Down!».

CHAPEL DOWN, GLI ENGLISH SPARKLING SFIDANO LO CHAMPAGNE

L’evento si è tenuto in occasione dello Champagne Day del 25 ottobre scorso. «Abbiamo collaborato con il rinomato duo di chef Michel ed Emily Roux – svela oggi la cantina inglese – per valorizzare la loro tradizione francese e sfidare in modo giocoso la percezione dello Champagne, rispetto al vino spumante inglese. Durante l’evento, i partecipanti hanno espresso il loro amore per la cucina francese e per lo Champagne. Senza rendersi conto che i vini spumanti serviti non erano francesi, bensì prodotti da Chapel Down! La selezione includeva Chapel Down Brut, Chapel Down Rosé e Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs 2019». Spumanti che, anche nel prezzo, in Inghilterra, sfidano lo Champagne. Assestandosi fra i 40 e i 70 pound.

«La reazione dei partecipanti al test – commenta ancora Chapel Down – è stata straordinariamente positiva. Il 100% degli ospiti ha elogiato la qualità dei vini. Un sondaggio post-evento ha evidenziato che il 58% degli intervistati preferisce Chapel Down rispetto allo Champagne, mentre il 42% lo ha valutato alla pari del proprio Champagne preferito. I vini sono stati descritti come “freschi” e “briosi”, ricevendo ampi consensi per la loro eccellente lavorazione». Ma c’è di più. Grazie al successo dell’evento, il Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs ha ottenuto un posto nella prestigiosa carta vini del Caractère. Il ristorante, fresco della prima stella Michelin, parla un po’ anche italiano, dal momento che il marito di Emily Roux è il milanese Diego Ferrari, allievo di Alain Ducasse a Parigi.

L’ASCESA DELL’ENGLISH SPARKLING SULLO CHAMPAGNE NEL REGNO UNITO

«Volevamo sfidare le percezioni – spiega Emily Roux – e mettere in evidenza la straordinaria qualità dei vini spumanti inglesi. La reazione dei nostri ospiti è stata semplicemente incredibile. Vedere la loro sorpresa e il loro entusiasmo per i vini di Chapel Down ha confermato la nostra fiducia nell’eccellenza del vino inglese. È stata un’esperienza davvero memorabile e siamo entusiasti di poter offrire il Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs nel nostro menù».

«Chi – si chiede Liam Newton, responsabile Marketing di Chapel Down – è meglio della rinomata famiglia Roux per celebrare la qualità degli English sparkling Chapel Down? Il fatto che tutti gli ospiti abbiano considerato i nostri vini alla pari o superiori rispetto allo Champagne ci riempie di orgoglio. E dimostra quanto il settore dei vini spumanti inglesi sia cresciuto, in un arco di tempo relativamente breve. Con una qualità destinata a migliorare ulteriormente, man mano che la nostra regione vinicola continua a svilupparsi, alziamo un calice per celebrare il futuro del vino spumante inglese!».

Del resto, il successo della campagna “The Roux” di Chapel Down si inserisce in un contesto di forte crescita del mercato del vino spumante inglese. Secondo i più recenti dati di mercato in possesso della cantina del Kent, «il vino spumante inglese è il metodo classico più frequentemente consumato nel Regno Unito». Un report di IWSR ha inoltre identificato il vino spumante inglese come «una delle categorie a maggiore crescita e con maggiori opportunità future». Parlano chiaro i numeri, che vedono un incremento dell’English Sparkling del 12,2% in volume, tra il 2018 e il 2023, a fronte di un calo dell’1,4% dello Champagne nel mercato britannico.

English Sparkling, il viaggio: così gli spumanti inglesi sfidano lo Champagne

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Sapresti rispondere alle domande per diventare Master of Wine nel 2022?

L’Institute of Masters of Wine ha pubblicato le domande dell’esame Master of Wine 2022, compresa la lista dei vini per la parte pratica (degustazione). Dal 26 al 29 luglio 103 studenti hanno sostenuto gli esami teorici e pratici ad Adelaide, Londra e Napa.

I test costituiscono la seconda fase del programma di studio Master of Wine. Nell’arco di quattro giorni, gli studenti hanno sostenuto tre prove pratiche alla cieca da 12 vini. Cinque le prove teoriche su temi che hanno spaziato dalla viticoltura alla vinificazione, dalle procedure di pre-imbottigliamento alla lavorazione dei vini in cantina. Quesiti anche su tematiche legate al business del vino e all’attualità.

Gli aspiranti Master of Wine che hanno superato con successo gli esami teorici e pratici della seconda fase passeranno alla terza fase, quella del “Research paper“: la fase finale del programma di studio MW. Solo ottantasei dei 103 studenti che hanno sostenuto la degustazione alla cieca di 12 vini al mattino e l’esame teorico nel pomeriggio hanno superato la prima fase, il 25 luglio.

L’elenco dei vini e delle domande in inglese utilizzate per la valutazione della prima fase è stata resa nota dall’Institute of Master of Wine. Winemag.it è in grado di pubblicarle qui sotto. Sapresti rispondere alle domande per diventare Master of Wine?

STAGE ONE ASSESSMENT (S1A) 2022 PRACTICAL PAPER
Question 1

Wines 1-3 come from three different regions within the same country and are made from three different, single grape varieties.

With reference to all three wines:

  1. Identify the (15 marks)

For each wine:

  1. Identify the origin as closely as possible, with reference to the grape variety (3 x 8 marks)
  2. Comment on style, quality and commercial (3 x 12 marks)
Question 2

Wines 4-6 come from the same region. With reference to all three wines:

  1. Identify the region, specifying the origins of each wine as closely as (30 marks)
  2. Compare and contrast quality in the context of the region of origin. (24 marks) For each wine:
  3. Discuss maturity with reference to (3 x 7 marks)
Question 3

Wines 7-9 come from three different countries. Each is made from a different, single grape variety.

For each wine:

  1. Identify the grape variety and the origin as closely as (3 x 10 marks)
  2. Comment on (3 x 7 marks)
  3. Comment on style and commercial (3 x 8 marks)
Question 4

Wines 10-12 come from the same region. With reference to all three wines:

  1. Identify the (15 marks)

For each wine:

  1. Assess quality in the context of the region of (3 x 8 marks)
  2. Comment on maturity and capacity to age, with specific reference to (3 x 12 marks)
ESAME MASTER OF WINE 2022: I VINI ALLA CIECA
  1. Heytesbury Chardonnay, Vasse Felix, Margaret River, Australia. (13.0%)
  2. Sauvignon Blanc, Shaw+ Smith, Adelaide Hills, Australia. (12.5%)
  3. The Florita Riesling, Jim Barry, Clare Valley, Australia. (12.5%)
  4. Julien, Chateau Langoa Barton, 2010. Bordeaux, France. (13%)
  5. Estephe, Chateau Les Ormes de Pez, 2018. Bordeaux, France. (14.5%)
  6. Emilion Grand Cru, Chateau Moulin St Georges, 2015. Bordeaux, France. (14.5%)
  7. Quarts de Chaume Grand Cru, Demaine des Forges, Loire Valley, France. (11.0%).
  8. Noble One, De Bertoli, New South Wales, Australia. (12.7%)
  9. Vin de Constance, Klein Constantia, Constantia, South Africa. (14%)
  10. Vintage Port, Taylor’s, Douro Valley, Portugal. (20.5%)
  11. Quinta de Vargellas Vintage Port, Taylor’s, Douro Valley, Portugal. (20%)
  12. LBV Port, Taylor’s, Douro Valley, Portugal. (20%)
THEORY PAPER – MASTER OF WINE 2022

TWO questions to be answered, ONE from Section A and ONE from Section B.

Section A Question 1

Can small independent wine retailers compete with large chains on price? How else can they compete effectively? (Paper 4)

Section B Question 2

Discuss the current role and potential future use of hybrids in viticulture (Paper 1).

Question 3

Outline the key considerations in deciding which pre-bottling treatments to use for each of the following:

  1. a vegan wine;
  2. an orange wine;
  3. an organic wine; and
  4. a mass-market, inexpensive wine. (Paper 3)
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Nuove date Prowein 2022, ira di Londra: «Attacco diretto al mercato britannico»

Scontro frontale senza esclusione di colpi fra Regno Unito e Germania, dopo lo slittamento di Prowein 2022 da marzo a maggio. Londra accusa Messe Düsseldorf di aver sferrato «un attacco diretto sia alla London Wine Fair che al mercato britannico delle bevande». Le nuove date di Prowein, di fatto, coincidono con quelle dell’evento londinese, in programma al London Grand Hall Olympia Exhibition Centre proprio dal 16 al 18 maggio.

«Questa è una mossa estremamente aggressiva da parte della Prowein – – commenta Hannah Tovey, direttrice dell’evento londinese – nonché estremamente dirompente per il nostro settore».

LONDON WINE FAIR E PROWEIN, LO SCONTRO

La decisione – continua – è stata presa senza considerare molti dei loro espositori o il loro pubblico di visitatori del Regno Unito. Abbiamo fatto numerosi tentativi di contattarli dalla settimana scorsa, quando le voci di un cambio di data hanno iniziato a circolare. Non hanno avuto la cortesia di rispondere».

Una furia, quella di Hannah Tovey e del management della London Wine Fair, che non si ferma qui. Spostare Prowein 2022 dalle date storiche di marzo al 16-18 maggio, «equivale a un enorme sconvolgimento per l’industria del vino, in un momento in cui tutti noi desideriamo un ritorno alla normalità. Siamo tutti consapevoli dell’impatto che Covid-19 ha avuto sulle mostre dell’industria delle bevande».

LONDRA ACCUSA DUSSELDORF

La London Wine Fair del 2020 è stata rinviata al 2021, ma poi si è svolta grazie a un innovativo format digitale. «All’epoca – continua Tovery – la nostra preoccupazione principale era quella di sostenere i nostri espositori. A tutti loro è stato offerto un rimborso per i loro stand del 2020 e crediamo di esserci comportati con la massima integrità».

«Dopo gli ultimi due anni di perturbazioni – conclude la direttrice della London Wine Fair – l’industria degli eventi delle bevande dovrebbe lavorare insieme per facilitare le opportunità per il commercio del vino di fare affari».

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Acquistare vino italiano in Bitcoin? Forse possibile con Italian Wine Crypto Bank

Il condizionale è d’obbligo, visto il mix tra letale tra Bacco e Finanza. Ma acquistare vino italiano in Bitcoin e con le principali criprovalute internazionali potrebbe presto diventare possibile, grazie ad Italian Wine Crypto Bank (Iwcb).

Il progetto, illustrato oggi da in un webinar da Rosario Scarpato (interventuto in diretta da Dubai, dove vive e lavora) e i soci Davide Casalin e Alessandro Brazzini – tre figure chiave della rivoluzionaria “Criptobanca del vino italiano” – dovrebbe prendere avvio il 4 aprile 2021, con l’emissione dei primi token e l’apertura delle porte ai primi correntisti virtuali.

Quella che presentiamo oggi – ha precisato Scarpato – è la Fase 1 dell’Italian Wine Crypto Bank. Qualora dovessimo trovare l’appoggio delle cantine italiane, il prossimo anno potremmo dare avvio alla prima iniziativa su scala mondiale che lega il vino alle principali criptovalute, tra cui figurano appunto gli ormai noti Bitcoin”.

Come funzionerà la cripto banca? Grazie a un “algoritmo” basato su 20 parametri, la società di Hong Kong a cui fa capo l’Italian Wine Crypto Bank ha individuato circa 200 vini di cantine italiane “dal valore affidabile nel tempo”.

Non si tratta di Sassicaia e Tignanello – ha sottolineato Scarpato (nella foto, sotto) – anche avremo anche loro. Piuttosto di vini meno noti di cantine che non necessariamente hanno brand internazionalmente riconosciuti, in grado tuttavia di garantire alti standard di qualità e un valore certamente crescente nel tempo, con l’affinamento”.

Le cantine che aderiranno autonomamente o saranno invitate da Iwcb sino ad aprile 2021, godranno dei particolari vantaggi riservati ai membri fondatori. Tutto quello che dovranno fare sarà fornire il vino e spedirlo al magazzino di Londra, “un luogo perfettamente attrezzato per la conservazione e lo stoccaggio”.

La banca pagherà le cantine fondatrici in euro e fornirà inoltre dei token omaggio, ovvero dei “gettoni” da spendere all’interno della blockchain dell’Iwcb: un “ambiente digitale” con transazioni sicure e garantite sui vini disponibili a catalogo.

Con un investimento minimo di circa 500 euro e il pagamento di una quota annuale, semplici amanti del vino, investitori  puri o figure interessate alle criptovalute (mentre scriviamo 1 bitcoin vale 18.477,70 euro), entreranno a far parte del Club dei Soci Esclusivi Iwcb.

Potranno scegliere di ritirare in ogni momento i vini acquistati e da noi immagazzinati – ha spiegato Rosario Scarpato – oppure attendere che il valore salga e scambiarli con altri correntisti. Saremo pronti a offrire qualsiasi tipo di consulenza ai clienti, dall’accesso al Club al post vendita”.

Lo scopo principale dell’Italian Wine Crypto Bank non sarà tuttavia la commercializzazione, che avverrà tramite l’invio del catalogo ai soci. “Tantomeno la speculazione”, ha spiegato il trio di promotori.

Siamo coscienti che il vino italiano sia un prodotto vivo ed è sulla sua promozione che si fonda l’Iwcb. Entrando a far parte del nostro portafoglio solo sulla base di rigidi parametri legati al valore e alla qualità nel tempo dell’etichetta, le cantine potranno godere di una promozione costante, diretta e indiretta e su scala mondiale”.

“Secondo diverse ricerche – ha concluso Scarpati – il mondo degli investitoti delle criptovalute sta assumendo sempre più peso sociodemografico, oltre a godere di ottime capacità di acquisto. Proprio a questo genere di figure, oltre che agli amanti del vino, si rivolge il nostro innovativo progetto, che è prima di tutto un’iniziativa di comunicazione del vino italiano nel mondo”. Il countdown è già iniziato.

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Feltri show da Chiambretti: “Il Prosecco è la benzina umana, ma si beve in osteria!”

Ennesimo show di Vittorio Feltri, ospite fisso di Piero Chiambretti a #CR4 – La Repubblica delle Donne. Nella puntata di mercoledì 19 febbraio, il direttore editoriale del quotidiano Libero, stuzzicato dal conduttore, ha detto la sua sui distributori automatici di Prosecco a Londra, fatti rimuovere dal Consorzio di Tutela italiano a pochi giorni dalla loro installazione.

“In Veneto – ha sottolineato Vittorio Feltri – ogni 20 metri c’è un’osteria. E lì ti bevi il tuo Prosecco, abbastanza buono. A Londra, invece, hanno abitudini diverse e bevono forse un po’ più di noi”.

“Credo che trovare il Prosecco in questa maniera costituisca un bel vantaggio: bevono senza doversi esporre alle critiche degli altri avventori del bar, che spesso ti additano. Bere è una soddisfazione, è qualcosa che ti fa stare meglio”.

“Facciamolo fare agli inglesi come vogliono – ha chiosato Feltri – ma io sono per l’osteria“. “Il Prosecco in mezzo alla strada è come andare a far benzina”, lo ha incalzato Chiambretti. “Beh – ha risposto Feltri – il Prosecco è la benzina umana. Più ne bevi più corri? No, meglio stai!”. Prosit.

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Dalle Langhe arriva il primo Gin al Tartufo Bianco

Dalle Langhe arriva Wolfrest Alba, il gin 100% italiano al tartufo bianco. Un Gin Super Premium, distillato prezioso e profumato come il pregiato fungo ipogeo. Una ricetta composta da sole tre botaniche: ginepro piemontese, nocciole tostate del territorio, tartufo bianco di Alba.

Un tributo alla regione d’origine. Lo slogan “Lo Spirito del Piemonte” gioca infatti sul duplice significato di spirito, in quanto distillato e lo spirito figurato, quello che contraddistingue le Langhe.

LA SCELTA DELLE BOTANICHE
Per Wolfrest Gin le botaniche non sono mai casuali: ripercorrono il cammino del lupo italiano tra quelle incontrate nel suo lungo viaggio di ritorno dal centro Italia alle Langhe. Wolfrest prende il nome da Montelupo Albese, piccolo comune in collina a 10 km da Alba, paese di origine di Valentina Barone e Giovanni Alessandria, ideatori del “gin del lupo”.

Con Wolfrest Alba (dopo il classico Wolfrest, il primo gin, creato nel 2017) il viaggio del lupo continua, con grande attenzione a ciò che lo circonda, fino ad arrivare alla città di Alba.

WOLFREST ALBA
Wolfrest Alba è un Conteporary Super Premium Gin, nato per essere servito liscio ma studiato anche per la mixology. Le premesse sono però quelle di non limitare la distribuzione ai cocktail bar, ma aprirsi anche alla ristorazione grazie alla sua spiccata inclinazione gourmet.

Come i grandi vini sull’etichetta del Wolfrest Alba è stampato l’anno di raccolta dei tartufi, perchè ogni stagione annata è differente e unica. Aprendo la bottiglia è impossibile non riconoscere l’elegante e delicato profumo del tartufo bianco di Alba.

Wolfrest Alba è prodotto in piccolissimi lotti, sia per la quantità limitata e l’alto costo del tartufo bianco di Alba, sia per la complessità a livello produttivo.

COCKTAIL
Molti i cocktail che si possono preparare con Wolfrest Alba richiamando sapori e profumi del territorio, alcuni esempi sono:

Alba Martinez
Wolfrest Alba Gin, un cocktail a base vino composto da Brachetto, Barolo chinato e Barbaresco, guarnito con una fragolina – da servire in una coppa cocktail.

Piemonte Sour
Wolfrest Alba Gin, in aggiunta a Moscato, miele d’acacia, succo di limone, albume e infine guarnito con una grattuggiata fine di tartufo bianco d’Alba – Da servire in un bicchiere old fashoned.

WOLFREST
Wolfrest nasce come progetto di famiglia di Valentina Barone  e Giovanni Alessandria. Una grande passione per il gin, sviluppata nelle loro esperienze a Londra, a cui hanno unito le competenze lavorative e hanno deciso di creare questo distillato in una terra vocata ai grandi vini, le Langhe.

“Nel 2017 al ritorno dall’Australia ci sentivamo molto ispirati vendendo il fermento di quel paese, così a marzo abbiamo cominciato a sviluppare le prime idee (che già da anni coltivavamo nelle nostre menti) e finalmente quell’autunno abbiamo cominciato la produzione del nostro Wolfrest Gin” racconta Valentina Barone.

A dicembre del 2017 hanno lanciato sul mercato Wolfrest, un gin 100% italiano le cui 7 botaniche abbracciano tutta l’Italia: dal ginepro umbro e tosco-emiliano, fino alla nota agrumata data dall’arancia dolce di Pernambucco coltivata e raccolta in Liguria, toccando la zona pedemontana per la nota floreale dei fiori di sambuco fino a tornare alle Langhe, con rosmarino, timo, alloro e la nocciola del territorio.

“Fare un gin al tartufo è sempre stato il nostro obiettivo, sin dall’inizio, ma ci abbiamo messo molto a trovare la ricetta perfetta, perché un prodotto così speciale e unico merita un lavorazione che sappia esaltarlo ma soprattutto rispettarlo” racconta Giovanni Alessandria.

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Run The Mix: il primo Mixology Contest di Pernod Ricard

Si è conclusa a Milano la prima edizione di Run The Mix, il nuovo talent di Pernod Ricard dedicato al mondo della mixology. L’idea è quella di un contest che valuti e premi la poliedricità della figura del bartender contemporaneo, che segua la nuova tendenza “healthy” e che sostenga i giovani mixologist.

Ad un Bartender contemporaneo infatti non si richiede più solo una grande capacità tecnica, ma anche competenze trasversali. Dal sapersi relazionare col cliente alla capacità di creare cocktail di bell’estetica, dal saper leggere le tendenze, al marketing fino alla conoscenza del food pairing.

La finale di Run The Mix ha visto sfidarsi tre squadre di giovani Bartender (un elemento per squadra deve essere under 30) a rappresentanza di Nord, Centro e Sud Italia: la Nordic Runners capitanata dal brand expert Paolo Rovellini e dalla guest bartender Cinzia Ferro, la Middle Runners guidata da Claudio Zerilli e dal guest bartender Leonardo Leuci, la Southern Runners con Matteo Bonandrini e il guest bartender Alexander Frezza. In palio un viaggio a Londra e visita alla distilleria Beefeater.

Alle squadre il compito di proporre una Signature drink list composta da tre drink “healthy”, con un massimo di 7 ingredienti di cui almeno 2 home made ed utilizzando un prodotto Pernod Ricard (da scegliere tra i whisky Jameson, Chivas, The Glenlivet, la vodka Absolut, il rum Havana Club, i gin Beefeater, Plymouth, Monkey, la tequila Altos ed Amaro Ramazzotti).

A giudicarli una Giuria eterogenea formata da l’esperto mixologist Francesco Cione Bar Manager dell’Octavius
Bar at The Stage Milano, Marco Sacco chef stellato patron del Piccolo Lago di Verbania, l’imprenditrice Lucia Stragapede fondatrice di Pastichéri, i drink stylist Nelum Francesca Caramini e Gabriele Litta titolari di Fluffer Studio, e Alberto Vaccaro Coach certificato dalla World Association of Business Coaches nonché Counselor professionista.

I VINCITORI
E’ stato il team Southern Runners a dimostrare di eccellere per tempo di esecuzione, estetica del cocktail, arte del garnish, gestualità e coreografia, gusto e aroma, food pairing, capacità di relazione, empatia e storytelling.

“La perfezione della semplicità del food pairing, la potenza evocativa, l’eleganza della presentazione e la bellezza cromatica arricchita da un garnish equilibrato e d’appeal. L’apertura verso il cliente resa concreta dalla libertà data alla giuria di scegliere il proprio cocktail. L’abilità tecnica unita al calore e alla passione e l’essere un collettivo’ coeso di idee, stili, conoscenze e skills strategiche.”

Questa la motivazione data dalla giuria per una decisione sofferta, visto l’alto livello messo in campo dalle tre squadre, che ha premiato la squadra composta da Riccardo Russo e Ugo Acampora da Napoli, Giuseppe Milillo da Giovinazzo e i due under 30 Luigi Rosario Grasso da Catania e Giovanni Maffeo da Lecce.

LA DRINK LIST VINCITRICE
Una drink list incentrata sul concetto di tempo sviluppato attraverso tre cocktail rappresentati da tre uccelli: il Colibrì, icona della giovinezza, il Punk, raffigurante l’adolescenza e la Civetta, a raffigurare la maturità. Sostanza nel bicchiere e nel food pairing e forma nell’estetica il tutto raccontato da un’iconografia pulita, avvincente e facilmente decodificabile.

COLIBRI’
40 ml di Absolut Elix
20 ml succo di pompelmo rosa
5 ml sciroppo di zucchero
15 ml panna fresca alla mandorla
15 ml Mole Poblano homemade
10 ml albume pastorizzato
2 gocce di acqua di fiori d’arancio
Soda
Garnish: grattugiata di cioccolato

Food Pairing:
Polpetta pollo alla mandorla con Mole Poblano e pomodoro secco

PUNK
40 ml di Altos Tequila infusa alla banana
20 ml di gin Monkey 47
100 ml di acqua di anguria cotta sottovuoto con timo limonato e santoreggia
20 ml succo di limone
Garnish : chips di banana

Food Pairing:
Coulis di anguria, mousse di yogurt salato aromatizzato al timo limonato e chips di banana disidratata

CIVETTA
4cl Jameson Black barrel
Fake Vermouth di cabernet
2 gocce di Angostura
3 gocce di Pernod
Profumo di rabarbaro sul finale
Zest di limone
Garnish: timo
Stir & strain attraverso polvere di caffè in tumbler basso con chunk cubo

Food Pairing:
cioccolato fondente con sale maldon e chutney di albicocche

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Villa Sandi sotto accusa a Londra: “Sostiene estrema destra, boicottiamo il suo Prosecco”


LONDRA –
Continua il fuoco incrociato tra Londra e il Veneto. Questa volta sotto accusa c’è Villa Sandi. Alcuni attivisti dell’Lgbt, movimento che difende i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, invitano a boicottare la cantina della famiglia Moretti Polegato (nella foto), che produce Prosecco a Crocetta di Montello, in provincia di Treviso.

Un coro a cui si sono uniti diversi critici enogastronomici britannici. Il motivo? Il logo di Villa Sandi compariva tra quelli degli sponsor del controverso World Congress of Families XIII, il Congresso Mondiale delle Famiglie andato in scena a Verona dal 29 al 31 marzo scorso.

Villa Sandi ha spiegato di aver aderito come supporter dell’evento “su richiesta della Regione Veneto”, che ha patrocinato l’iniziativa. La cantina trevigiana viene accusata senza mezzi termini di essersi schierata con “razzisti, bigotti e ultra nazionalisti”.

Interpellato dalla piattaforma globale di informazione indipendente openDemocracy, Jay Rayner, critico di ristoranti per il quotidiano britannico Observer, ha chiesto ai connazionali di boicottare Villa Sandi.

Alcuni prosecchi lasciano un sapore più cattivo in bocca rispetto ad altri – ha dichiarato Rayner – ma nessuno più di Villa Sandi. In un mondo politico complesso, oscuro e spesso miserabile, i consumatori hanno bisogno di informazioni, e ora ce l’hanno.

Chi non gradisce una società come Villa Sandi, che sponsorizza coalizioni di razzisti, bigotti e ultra nazionalisti, determinati a sostenere una guerra per i diritti delle donne e della comunità Lgbt, può smettere di bere o promuovere i suoi prodotti. E davvero semplice”.

Peter Tatchell, attivista britannico per i diritti LGBT, ha risposto all’appello di Rayner: “È scandaloso che Villa Sandi abbia sponsorizzato questo congresso omofobo e sessista, che è sostenuto da politici di estrema destra. Esorto i consumatori a mostrare la loro rabbia boicottando i prodotti dell’azienda”.

Contro la cantina prosecchista anche Sarah Wiener, una celebrità in Germania, candidata al Partito dei Verdi per il Parlamento Europeo in Austria. La polemica è giunta anche in Italia. “Le aziende possono spendere i loro soldi a loro piacimento, e i clienti possono fare lo stesso ora che conoscono i valori supportati da Villa Sandi e Brazzale Spa”, riferendosi ad un altro sponsor aziendale dell’evento – una grande azienda casearia italiana.

Gabriele Piazzoni, segretario generale del gruppo italiano LGBTI e attivista Arcigay, ha definito “inquietante” il sostegno delle aziende “a un evento che rappresenta un’idea medievale della società, contro i diritti delle donne e della stessa famiglia e, più in generale, contro ogni tipo di famiglia considerata non tradizionale”.

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Milano Coffee Festival all’insegna dello Slow Coffee: il nuovo modo di concepire il caffè

MILANO – Contiene più caffeina un caffè lungo o un espresso? Che sapore ha la caffeina? Quante varietà di caffè esistono, oltre alle note Arabica e Robusta?

Dubbi che si potranno chiarire in un sorso al Milano Coffee Festival, in programma il 19, 20 e 21 maggio. Appuntamento al Base di via Tortona, 54.

Un’occasione per scoprire come la concezione stessa di caffè stia cambiando, anche in Italia. Avvicinandosi al concetto di “slow coffee”. Avete letto bene. Quello che all’apparenza può sembrare un ossimoro, in realtà è l’espressione più moderna della “pausa caffè”. La versione 2.0.

Ad assicurarlo è Francesco Masciullo, campione italiano Baristi 2017 ospitato ieri da Zodio, a Rescaldina (MI). “Città come Londra e Melbourne – evidenzia il 26enne di origini salentine – sono avanti anni luce rispetto all’Italia su un’idea diversa del caffè. Le caffetterie specializzate sono moltissime, nel mondo. Qui da noi se se contano solo una decina”.

Si può trovare Masciullo dietro al bancone di Ditta Artigianale, a Firenze. A Milano i punti di riferimento sono due: Cofficina e Orso Nero. A Brescia c’è Tostato. Il sud è ancora più restio al “cambiamento”. Ma Quarta Caffè di Lecce sta provando a portare vento nuovo, dopo anni di produzione intensiva di caffè base Robusta (meno qualitativa rispetto all’Arabica e dai sentori meno fini, anche se apprezzabilissimi).

“Esistono 150 specialità botaniche di caffè – ricorda Francesco Masciullo – eppure quella che più si adatta per caratteristiche e qualità alla concezione di ‘slow coffee’ è l’Arabica.  Quando parliamo di slow coffee ci riferiamo a un modo nuovo di concepire il caffè: quello che tecnicamente viene definito ‘caffè filtro’ e che, nel gergo comune, è noto come ‘infuso di caffè'”.

Per ottenerlo esistono almeno due metodi: il V 60 e la french press. A differenza dell’espresso classico, che finisce in tazza per pressione, il caffè si ottiene per “macerazione” o, meglio, per “infusione”.

Un procedimento simile a quello del the o del vino, se si pensa al contatto – più o meno prolungato – del filtro con l’acqua calda, o del mosto con le bucce, per favorire l’estrazione di sostanze come polifenoli e antociani.

In realtà, c’è una sostanziale differenza anche tra V 60 e french press. Il V 60 è tecnicamente definito “drip”: il caffè si ottiene per percolazione. La “V” ricorda la forma di questo semplice marchingegno, nel quale si poggia il filtro e si versa l’acqua calda. Il numero 60 rappresenta l’ampiezza dell’angolo di questa sorta di piramide rovesciata.

I METODI SLOW
A differenza del V 60, il metodo per ottenere un buon caffè attraverso la french press prevede due passaggi: infusione ed estrazione. Cambia dunque il gusto. “L’esame visivo non basta per definire la qualità di un caffè – spiega il campione italiano Francesco Masciullo – occorre infatti assaggiarlo, per definirne l’equilibrio e il corretto bilanciamento”.

Dalla french press possiamo aspettarci un corpo maggiore rispetto al V 60. Prevede infatti una fase di pressione (come l’espresso classico, ma ben più delicata e prolungata) operata dallo stantuffo, definito tecnicamente plunger. In particolare sono tre i passaggi necessari per concedersi un caffè con la french press:

1) Blooming: la pre infusione, che serve a eliminare buona parte della Co2 e dei gas volatili contenuti naturalmente nei chicchi di caffè
2) Infusione
3) Estrazione

Fondamentale il giusto tipo di macinatura. In una scala da uno a dieci:

1) La macinatura 1 è quella del’espresso da bar
2) La macinatura 4 è quella della Moka
3) La macinatura 6 è adatta al V 60
4) La macinatura 8 è perfetta per french press e syphon

Perché è importante la macinatura? “Tra un metodo di estrazione e l’altro – spiega Masciullo – il fattore determinante è il ‘tempo di contatto’ del caffè macinato con l’acqua, all’interno del filtro. Più il metodo richiede tempi lunghi di estrazione, più la grana del caffè dev’essere grande”.

Basti pensare che il tempo di estrazione di un caffè espresso classico è di circa 30 secondi (macinatura fine). Occorrono 2-3 minuti per ottenere un caffè da V 60 (macinatura media). Con il syphon, il tempo di estrazione aumenta, toccando soglia 3-3½ minuti (macinatura media-grossa). Il metodo french press prevede infine 4-5 minuti di contatto (grana grossa).

La prima fase di estrazione è la più delicata, in quanto determina i fattori alla base di un buon caffè:

1) Acidità
2) Dolcezza
3) Amarezza

Anche le dosi di caffè ed acqua sono parte di una vera e propria “ricetta”, utile a ottenere un perfetto slow coffee. Il parametro standard è di 60 grammi di caffè per un litro d’acqua.

Quale metodo privilegiare? “Per una tazza delicata e a suo modo corposa – risponde Masciullo – consiglio di usare il metodo V 60, che trasforma il caffè in un vero e proprio rito. Per una tazza standard, quotidiana e più facile da preparare, sceglierei la french press, che potrebbe tranquillamente prendere il posto della moka, se solo iniziassimo a pensare al caffè in maniera innovativa”.

LA TAZZINA GIUSTA
Fa bene Masciullo a parlare di “tazze”. C’è forse un materiale o una forma migliore per godere appieno degli aromi di un caffè? “Per l’espresso classico – assicura il campione italiano Baristi – fidatevi di tazze con la base convessa, più stretta rispetto alla parte alta”.

“Per quanto riguarda il materiale – conclude Masciullo – consiglio la ceramica, che trattiene più calore del vetro. Lo spessore della tazza è invece legata più a un fattore di estetica che alle capacità di garantire una perfetta degustazione”. Già, “degustazione”. Altro che le veloci “pause caffè”. Alzi la mano, allora, chi è pronto per per la slow coffee revolution.

 

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