La fine della Fiera. Qualcuno ha parlato di un ProWein in tono minore.
Io, invece, ho visto tre Fiere diverse
Con i padiglioni francesi che pullulavano di gente coinvolta sia dalle grandi eccellenze presenti che dalla meravigliosa immagine di Paese.
Un’immagine che trapelava dall’allestimento, dove il tricolore transalpino la faceva da padrone.
I padiglioni di altri grandi paesi produttori come la Spagna, che attiravano i visitatori con un vero total look improntato sulla loro bandiera.
E poi i nostri padiglioni, una disordinata accozzaglia di territori che guardano ciascuno al proprio orticello.
Il tricolore spuntava timidamente solo in qualche rara installazione
Quando ci confrontiamo direttamente con gli altri è evidente la nostra incapacità di comunicare il nostro sistema Paese. Il risultato di questa incapacità, in queste occasioni, si traduce soprattutto sui piccoli produttori delle zone meno celebrate del vino italiano.
Che, per chi non lo avesse ancora capito, rappresentano la maggior parte di un labirinto vinicolo di più di 500 denominazioni come quello di casa nostra. E la cui incapacità di raccogliere risultati non deriva solamente da limiti organizzativi propri.
E’ evidente che l’agenda di fiere come queste vada organizzata minuziosamente mesi prima della manifestazione per portare a casa un risultato. Non si può certo sperare, come negli anni ’80, che in una Fiera da 6000 espositori qualcuno si fermi al tuo stand per caso e ti faccia chiudere il deal della vita.
Ma e’ altrettanto vero che un sistema che comunica le sue eccellenze in modo ottimale aumenta le possibilità di relazioni per tutti (in questo senso il caso francese e’ emblematico). Comunicare l’esperienza di un Paese unico come il nostro e’ fondamentale soprattutto nel momento in cui la concorrenza internazionale e’ sempre più forte e organizzata.
L’unica ricetta possibile in questo senso è quella di fare sistema
Come? Rispolverando massivamente il nostro caro vecchio tricolore e smettendola di anteporre gli interessi locali e individuali al business collettivo
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
La grande bellezza dello stare nel vino è la sua interdisciplinarità, occorre conoscere di chimica, fisica, botanica,biologia,meccanica, economia, è importante mantenere sempre una mente aperta ed una visione d’insieme.
Cosi’ per rimanere sempre con la mente aperta, non rimanere chiusa nel mio ghetto. Avevo una giornata libera e sono andata a Live Wine a Milano.
Ho assaggiato, parlato con produttori, incontrato amici e colleghi e si mi sono divertita molto. Come tutte le volte in cui sono nel vino con leggerezza. “Leggerezza di linguaggio naturale”, vorrei leggere.
Basta focalizzare l’attenzione sui lieviti selezionati!
Si limita il racconto del vino ad un unico elemento, mentre il cammino dall’uva alla bottiglia è molto più lungo e complesso.
Basta addentrarsi in diatribe fra industriali vs artigianali!
Correte due campionati diversi, inutile sprecare fiato.
Il terrorismo sugli additivie sui coadiuvanti non ha portato a nulla. La casalinga di Voghera e la sua amica di Voghiera non conoscono la differenza fra queste due famiglie di prodotti.
E poi vi ricordo che la gomma arabica è un principale componente delle caramelle.
Raccontate del vino naturale figlio del tempo e non delle logiche commerciali. Raccontate del vino fatto da viticoltori che sono custodi del territorio.
Non parlate di vino fatto con le ricette!
Il vino è un lavoro di squadra, un racconto corale, non un susseguirsi di fredde operazioni di fabbrica.
Amici naturali, non correte dietro – in etichetta – ad api, coccinelle, farfalle, foglie con le stelline… Siate minimalisti ed essenziali, il vino parlerà da sé.
I giornalisti e le guide non vi hanno fatto nulla, non sono faziosi. Sono solo dei curiosi del vino che vogliono capire e conoscere il vostro mondo. Un nuovo linguaggio è possibile. Basta volerlo.
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Otto Marzo, Festa della Donna. Un paio di tette con una bella etichetta di vino in secondo piano, da pubblicizzare ben bene, avrebbe fatto contenti in molti. Ma noi siamo differenti. E chi ci segue lo sa.
Oggi, 8 Marzo, Festa della Donna, vogliamo raccontarvi il ruolo della Donna nel mondo del vino moderno.
E quando pensiamo a “donna” e “vino”, ci viene in mente un nome su tutti: Marilena Barbera. Per i pochi che non la conoscessero, Marilena è una donna del vino che ha saputo imporsi, come poche, nel panorama della viticoltura italiana di qualità.
Lo ha fatto senza scendere mai a compromessi. Con nessuno. Per di più in una regione difficile come la Sicilia. Marilena Barbera è una di quelle che si fanno fotografare in vigna, in canottiera. Senza trucco. Con in mano una cesoia. Mica l’ombretto.
Non produce vini per i supermercati, ma fa vini da Gdo: che – almeno per oggi, consentitecelo – sta per Grande Donna Orgogliosa. Della sua Sicilia. Dei suoi vini e dei suoi vigneti. Della sua Terra, nelle sue mille sfumature. E – lo diciamo noi – anche di sé stessa. Auguri a tutte le Donne del Vino come Marilena.
Non è semplice parlare del ruolo della donna nel mondo del vino di oggi. Almeno, non è semplice senza cadere nei clichés che accompagnano [quasi] ogni tentativo di analizzare le questioni di genere.
Chiedo venia per le generalizzazioni che sarò costretta a fare, ché sarebbero necessari volumi per affrontare un tema così delicato, e certamente sarebbero necessarie competenze in ambiti in cui non sono ferrata: sociologia, psicologia, macroeconomia ed altro ancora.
Vi offrirò, dunque, un punto di vista parziale ma sincero: quello di vignaiola, e di vignaiola del Sud.
Il mondo del vino è un settore economico e sociale in evoluzione continua, e probabilmente è anche uno di quelli che negli ultimi vent’anni ha vissuto cambiamenti epocali grazie all’ingresso di generazioni nuove che hanno profondamente trasformato il modo di produrre e di comunicare.
Guardiamo, ad esempio, all’impatto che i “nuovi” media (social, blog, le dinamiche della rete nel loro complesso) hanno avuto – e sicuramente continueranno ad avere – sulle abitudini di consumo del vino, al loro ruolo fondamentale nell’azzeramento della distanza fra i produttori, vignaioli o grandi aziende che siano, e le persone che il vino lo acquistano (mescitori, ristoratori e consumatori).
Una vera rivoluzione che si è consumata in pochissimi anni e che ha generato la necessità di profonde mutazioni nelle professioni che ruotano intorno al vino e nelle relazioni fra gli attori di questo mondo.
Le donne, di sicuro, questa trasformazione la stanno cavalcando: vedo intorno a me colleghe vignaiole che senza paura mostrano le mani segnate dal lavoro.
Vi sembra una trovata di marketing? Nemmeno per sogno: se pensate a come veniva dipinta la classica rassicurante “donna del vino” vent’anni fa, con il rossetto in ordine e la messimpiega fresca di parrucchiere, siamo ad anni luce di distanza.
Vedo enologhe che affermano con forza le proprie capacità direzionali in squadre di cantina composte da decine di uomini, vedo giornaliste che si infilano gli scarponi e vanno a raccontare il vino dove il vino si fa, in vigna.
Eppure, di fronte a questa radicale (e necessaria) trasformazione della professionalità femminile, che sempre più donne rivendicano con orgoglio e senza vezzi, il mondo del vino reagisce, spesso, come sempre ha fatto: con malcelata diffidenza, con sufficienza, con un atteggiamento (a volte insopportabile) di mera tolleranza.
I motivi sono tanti e – credo – siano per la maggior parte culturali. Perché questa rivoluzione di cui vi ho parlato poco fa è, in effetti, una rivoluzione incompleta. Non è solo il mondo del vino ad essere stato prevalentemente “maschile” fino a qualche anno fa, ma la gran parte del mondo del lavoro in Italia. E vorrei utilizzare, perché ritengo sia più appropriato, il termine “maschilista” o, ancor meglio, “sessista”.
Il mondo del lavoro in Italia è sessista, e il mondo del vino non fa eccezione.
Fatte salve alcune professioni che per tradizione sono state riservate alle donne da quando le donne sono entrate nel mondo del lavoro – pensiamo alla maestra dell’asilo o delle elementari, la commessa del negozio di articoli femminili, l’aiuto domestico, l’ostetrica, la baby sitter e poche altre – in nessuna professione le donne vengono trattate alla pari dei colleghi uomini: né per quanto riguarda le opportunità di accesso, né in relazione alla retribuzione, né per le reali possibilità di carriera. Questa condizione è comune alla maggior parte delle professioni e, dunque, esiste anche nel mondo del vino.
Nel mio caso specifico – perché un punto di vista parziale vi sto offrendo, e mi scuserete – le problematiche maggiori hanno riguardato il riconoscimento del mio potere decisionale nel settore della produzione.
Non sono entrata in questo mondo per scelta, ci sono entrata per necessità, alla morte di mio padre. La scelta è arrivata dopo, quando mi sono innamorata di questo lavoro.
Dunque, morto mio padre, ho ereditato una vigna, un mutuo, e una squadra di persone che faceva il vino. Riuscire a trasformare tutto questo in un’azienda che oggi riconosce, apprezza e trova [finalmente!] fondamentale il mio apporto è stato un percorso a ostacoli.
Per trasformare la vigna da convenzionale a biologica, e certificarla, ci sono voluti 10 anni; per utilizzare un sesto di impianto differente da quello che l’agronomo titolare aveva deliberato essere necessario ce ne sono voluti altrettanti; per smetterla con i lieviti selezionati in vinificazione ci sono voluti 4 anni, per abbandonare le chiarifiche 5, gli enzimi 7.
In tutti questi anni ho dovuto svolgere un lavoro di coinvolgimento, convincimento, blandimento (si dice? Beh, quello), dimostrazione dei risultati anno dopo anno. Non me ne pento affatto, ma nessuno mi toglie dalla testa che se fossi stata uomo ci avrei messo molto, ma molto di meno.
Non starò qui ad elencarvi tutte le alzate di sopracciglia durante le presentazioni commerciali, quando si tratta di firmare i contratti. Vi prego di credermi, in fiducia: nel mondo del vino per una donna è ancora molto difficile veder riconosciuti i propri meriti quale lavoratrice e professionista.
Vi faccio solo un ultimo esempio, per me illuminante: qualche tempo fa leggevo l’intervista di una enologa che lavora presso un’azienda toscana, che raccontava di come il titolare (uomo) fosse molto felice del fatto di averla assunta perché “l’ambiente si è ingentilito: in sala degustazione c’è sempre un fiore“. Ecco, questa è la forma mentis che le donne subiscono ancora oggi, e non è accettabile, non più.
Ci sono, per fortuna, fulgidi esempi del contrario, e ciascuna di noi – vignaiola, enologa, giornalista, sommelier, ricercatrice eccetera – ne può raccontare, ci mancherebbe. C’è la solidarietà di tanti colleghi uomini, l’apprezzamento dei clienti, la considerazione di molti, moltissimi professionisti che lavorano nel mondo del vino a diverso titolo.
Ma io sogno un mondo in cui le persone vengano apprezzate per il lavoro che svolgono, per i risultati che conseguono, per l’intelligenza, la flessibilità, la creatività, la visione, l’umanità, la generosità, al di là del genere che la natura, casualmente, ha loro assegnato.
Sogno un mondo che non abbia bisogno delle quote rosa. Oggi, festa della donna, brinderò a questo.
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Ogni produttore di vino italiano dovrebbe venire come minimo una volta all’anno qui negli States e cercare di frequentare il meno possibile i vari gruppi a tema sui social come Facebook – dove ho avuto recenti diverbi – oppure certe degustazioni o presentazioni fatte da sprovveduti per tirar su “due lire”, tanto per arrivare a fine mese.
Il mondo si muove ad un’altra velocità rispetto al nostro orticello che, spesso, retrocede per scarse competenze e preparazione sulla “materia vino” e la sua interazione con la società moderna. Va bene ciò che succede sui mercati della Francia, dell’Italia, o della Spagna, insomma dei principali produttori di vino a livello mondiale, ma è in altri ambiti che si sta giocando il futuro del vino italiano di qualità nel mondo.
Sicuramente gli americani, che noi spesso pensiamo distanti, sono quelli che più stanno influenzando il mondo del vino e non solo per essere il mercato numero 1 del pianeta.
E non importa se ieri, nella migliore pizzeria di Harlem, un bel vino rosso italiano lo si beveva in un tumbler, non importa se c’erano 8 vini rossi e 7 bianchi al bicchiere, e non importa se, quando ho chiesto il bicchiere tulipano, mi hanno guardato e detto “ah italiano” sorridendo.
Quel sorriso era un mix di venerazione per l’importanza che diamo al vino ma anche di consapevolezza di chi con il vino fa business, mentre noi siamo sempre troppo ancorati alla forma ed alle troppe parole. Non importa se spesso i buyer assaggiano il tuo vino nei bicchieri di plastica: “Cazzo me ne frega? Io voglio quel fottuto spazio in quello scaffale”, penso tra di me. E poi sono loro che acquistano e pagano il mio lavoro.
Non importa se spesso gli americani non fanno caso agli abbinamenti, non fanno caso se ha o meno il tappo a vite o se ha una bottiglia da 1,5 kg. Ciò che importa è che sia buono e che nei locali che frequentano sia disponibile e che ci sia al bicchiere. Chiuso.
Loro sono diversi da noi, molto più cordiali e aperti, soprattutto nei posti pubblici, ed intorno ad un bicchiere di vino, al bancone di un ristorante, puoi parlare e conoscere chiunque. Perché il vino è apertura mentale e fisica, predisposizione a qualcosa di bello. E poi sorridono e fanno domande quando gli dici che sei un italian wine producer.
IL FUTURO Una cosa interessante sarà il futuro del vino in USA, che per anni è rimasto ancorato a una classe sociale di bianchi con un buon indice di scolarizzazione mentre, ora, generazione dopo generazione, stanno entrando nuovi attori.
Gli afro americani e gli ispanici, soprattutto millennials, si stanno avvicinando al vino ed iniziano a consumarne ma, attenzione, spesso hanno gusti, palato e abitudini diverse, per cui chissà che evoluzioni porteranno al mercato amando soprattutto vini dolci o con un finale morbido quasi dolce.
In mezzo a tutte queste cose tu ti ritrovi a vendere Barbera d’Asti che, al di fuori di alcune isole felici come NYC, è difficile da proporre perché semplicemente non la conoscono.
E qui c’è il fulcro del discorso perché, mancando comunicazione e marketing, il vino si ritrova solo in balia delle onde e, quando trovi un’attività interessata a proporla, comunque la Barbera deve essere vicina a standard gustativi minimi prossimi di una certa omologazione del gusto internazionale.
Per quello che non si può più pensare di andare avanti così, ma bisogna affrontare il trade senza paura e cavalcare, con comunicazione, marketing e web, il mercato con le sue esigenze, debolezze, punti di forza ed opportunità. La grande differenza con la Francia sta tutta qui: con fatturati in crescita in USA e con una qualità percepita notevolmente più alta della nostra.
Con parole come Bordeaux e Bourgogne, veicolate da grandi e famosi vini, loro riescono ad ottenere ottimi posizionamenti anche con gli entry-level, spesso più scarsi dei nostri pari italiani. Qui la carta vini di un famoso locale di Miami, dove potrete vedere l’esiguità della presenza italiana.
LA COMUNICAZIONE
Sia alla degustazione di Omniwines che poi girando con gli agenti per enoteche e ristoranti, è ormai chiaro quale sarà la tendenza del vino su New York, in Texas o in California: sarà necessario arrivare a comunicare DIRETTAMENTE con il cliente finale, per accompagnarlo nella sua scelta finale che per il momento, causa leggi federali, sarà ancora fatta nei wineshop e non nelle ecommerce.
I ragazzi leggono sempre meno le testate storiche e sempre di più cercano tutto online, dove vige sempre il mio motto: se ci sei, ci sei. Ma se non ci sei, non ci sei. Negli States delle poche, mal fatte e rade iniziative di Consorzi o Associazioni di Produttori, arriva ben poco; esiste una comunicazione privata di alcuni grandi nomi fatta dai relativi importatori ma nulla di più.
Qualcosa di questa comunicazione traborda, come dal tavolo del ricco Epulone, ma non è sufficiente a generare interesse e massa critica come vorrei ci fosse su #Barbera o #Nizza ad esempio. Ce la faremo? Non lo so. Per ora no di sicuro e la Francia ci sta schiacciando in maniera prepotente. Cambieremo? Temo proprio di no.
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Siccità e sostegno al reddito per le imprese, sburocratizzazione, registro telematico ed ex voucher. Il Consorzio Vino Chianti scrive al Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina.
Dopo l’incontro dello scorso 29 agosto a Firenze, l’ente del vino toscano ha messo nero su bianco le richieste di un settore che sta vivendo “un’annata complicata”.
“I viticoltori stanno lavorando con la grande difficoltà – spiega Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti – come non accadeva da decenni. La qualità è garantita, ma in alcune zone abbiamo registrato cali di produzione del 50% Abbiamo chiesto al Ministro di gestire questa situazione con interventi straordinari”.
“A rischio – spiega Busi – ci sono gli investimenti delle imprese e i posti di lavoro. Abbiamo raccolto le richieste dei viticoltori, proponendo anche delle soluzioni. Il nostro vuole essere un contributo costruttivo, per risollevare un settore fondamentale per la nostra economia”.
Una moratoria sui pagamenti alle banche, Enti previdenziali e detassazione fiscale, quindi, come primo intervento per dare respiro alle aziende dopo la grave siccità che ha procurato danni ingenti alle uve Dop e Igp. Uno squilibrio nella produzione che si riverserà nei bilanci aziendali con perdite di fatturato.
“Data l’eccezionalità del fenomeno – si legge nella lettera inviata al ministro Martina – a nulla servono i normali strumenti oggi in essere, come l’assicurazione agevolata, ma occorre almeno una moratoria della situazione debitoria delle aziende nei confronti degli istituti bancari, degli enti previdenziali e la detassazione fiscale 2017 per riportare i bilanci aziendali alla normalità nel medio termine”.
EXPORT E VOUCHER “Affinché non si ripetano situazione di tale gravità – continua la missiva – si richiede anche una nuova gestione delle risorse idriche disponibili, sviluppando una rete di bacini strategica e incentivando aziende agricole o Enti a realizzarli. Per quelli esistenti invece, nel rispetto delle regole della sicurezza, la semplice manutenzione dovrebbe avere carichi burocratici e costi ridotti al minimo”.
Nella lettera si affronta anche il tema dell’export. “E’ necessaria una più tempestiva promozione del prodotto all’estero attraverso lo strumento dell’Ocm promozione, che al momento risulta essere ancora alla firma della Corte dei Conti, impedendo di fatto la possibilità di presentare progetti per tempo, e una sburocratizzazione del settore”.
Si evidenziano anche le criticità dei nuovi strumenti che sostituiscono i voucher. Se il primo, come scrive il Consorzio “era uno strumento molto efficace e di semplice applicazione per il settore agricolo, lo strumento che li ha sostituiti, oltre alla difficoltà iniziale dell’uso e del funzionamento, appare complesso e si rischia che ingeneri aree grigie anziché mettere a pulito situazioni non chiare”.
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La Fivi – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti – chiede che venga rispettato l’obbligo per i Consorzi che si avvalgono dell’erga omnes di fornire una rendicontazione separata per le azioni di promozione della Denominazione. Lo fa attraverso una lettera indirizzata al Ministro Martina, dopo numerose segnalazioni ricevute da parte di delegazioni di produttori aderenti a FIVI in diverse parti d’Italia.
I Consorzi di Tutela dei vini a Denominazione d’Origine, in base alla legge in vigore, possono infatti richiedere contributi a chi rivendica la Denominazione, anche se non soci, per finanziare le proprie attività. Questo a condizione che gli associati siano almeno il 40% dei produttori e che producano almeno il 66% del vino certificato.
La legge però prevede anche che le voci di spesa di cui si chiede contribuzione ai non soci debbano avere un bilancio separato. Molte delegazioni Fivi locali hanno segnalato che i Consorzi stanno inviando richieste di contribuzione ai non soci. Questo senza specificare né dare visibilità a quali azioni intraprese tali contributi si riferiscano. Addirittura, a queste richieste non si accompagna il bilancio dedicato previsto dalla legge.
“Chiediamo al Ministro Martina di intervenire – dichiara la Presidente Fivi Matilde Poggi (nella foto)- per richiamare i Consorzi alla necessità di adeguarsi al quadro normativo vigente, fornendo una chiara rendicontazione del loro operato suddivisa tra le azioni intraprese a favore dei soli soci e quelle intraprese a favore di tutti coloro che rivendicano la denominazione”.
Sempre sullo stesso tema, la Fivi ha di recente richiesto al Ministro Martina di rivedere il meccanismo di attribuzione dei voti all’interno dei Consorzi di Tutela, in modo da dare più spazio ai Vignaioli, evitando il dominio delle cooperative di primo e secondo grado nei consorzi più importanti.
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Un sorriso a metà. La Fivi è soddisfatta “solo in parte” per l’approvazione del Testo Unico del Vino. Questa la prima reazione – nemmeno troppo a caldo – della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti all’approvazione in Commissione Agricoltura della Camera del nuovo Testo Unico sulla viticoltura e la produzione del vino, che è quindi diventato legge. Un testo che tenta di mettere ordine in un settore “fortemente appesantito da pratiche burocratiche che ne minano la competitività”.
Da sempre attiva nello stimolare il legislatore, già nel 2012 la FIVI aveva consegnato all’allora Ministro Catania un dossier per la riduzione della burocrazia nel settore vitivinicolo. Lo studio, redatto in collaborazione con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, metteva in evidenza le criticità della legislazione italiana e proponeva le soluzioni per risolverle. “È viva quindi la soddisfazione nel vedere alcune delle richieste della FIVI rientrare nel nuovo Testo Unico – sottolinea la Federazione dei vignaioli indipendenti – come l’istituto della diffida e il Registro Unico dei Controlli” che crea “un raccordo tra le diverse autorità che operano nel sistema dei controlli, in modo da evitare visite doppie nella stessa cantina”.
“Adesso attendiamo fiduciosi – commenta il presidente FIVI Matilde Poggi – i decreti attuativi e speriamo che portino a un effettivo snellimento della burocrazia. Resta il rammarico per il mancato intervento sulla rappresentatività nei Consorzi“. Recentemente, infatti, la FIVI è intervenuta con una lettera al Ministro Martina, chiedendo di rivedere il meccanismo di attribuzione dei voti all’interno dei Consorzi di Tutela, in modo da dare più spazio ai vignaioli, evitando il dominio delle cooperative di primo e secondo grado nei consorzi più importanti.
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Sembra una risposta indiretta (o direttissima, dipende dai punti di vista) alle polemiche che nascono quotidianamente nel mondo del vino italiano. Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, attraverso una lettera inviata al ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina, chiede di “rivedere il modello di attribuzione del diritto di voto all’interno dei consorzi di tutela”. Come? “Prevedendo che i voti in assemblea spettino in misura fissa, per il 30% alla produzione delle uve, per il 30% alla trasformazione delle uve e per il 30% all’imbottigliamento”. Il restante 10% “sarebbe distribuito in base ai volumi prodotti nell’anno vendemmiale precedente dai soggetti rientranti in una o più delle tre categorie sopra citate”. Per garantire che il bilanciamento sia efficace, Fivi propone inoltre che i produttori che conferiscono alle cantine cooperative mantengano i voti connessi alla produzione di uva, per lasciare alle cooperative i voti derivanti dalla trasformazione e dall’imbottigliamento.
Le cooperative potrebbero in ogni caso raccogliere le deleghe dai singoli soci per l’attività di produzione. Ma tali deleghe “dovrebbero essere rinnovate a ogni singola assemblea”. La proposta è che ogni Consorzio di Tutela deliberi in merito al numero di deleghe massime che ciascun consorziato potrà portare in Assemblea, con un massimo di dieci. Questa misura andrebbe a riequilibrare il peso all’interno dei consorzi, dove oggi quello che dovrebbe essere un esercizio associato del voto, si trasforma in realtà nella golden share di un presidente o un direttore di cooperativa.
“La cooperazione ha enormi meriti in questo Paese e gode meritatamente della tutela Costituzionale – commenta la presidente Fivi Matilde Poggi – ma non crediamo rispecchi la volontà del legislatore la singolare circostanza che si è venuta a creare nei consorzi governati completamente da gruppi cooperativi, che sono in grado di imporre le proprie decisioni non solo a tutti gli altri consorziati, ma anche e soprattutto ai non consorziati in virtù dell’erga omnes. Lo scopo di questa proposta della FIVI è anche quello di evitare che si verifichino fenomeni di abbandono dei Consorzi esistenti per dare vita alla costituzione di nuovi, come già avvenuto nell’area di Soave, in Trentino e in corso di avvenimento in Oltrepò Pavese“. In quest’ultima area, in effetti, la scissione è già avvenuta, con la creazione del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, presieduto da Fabiano Giorgi.
La rappresentatività all’interno dei consorzi è oggi normata dal D.Lgs 61/2010, che prevede l’ammissione di viticoltori singoli o associati, di vinificatori e di imbottigliatori. “Questi possono votare in misura ponderale alla quantità prodotta nella precedente campagna vendemmiale -fa notare la Fivi – e se il consorziato svolge più di una funzione i voti si cumulano. Ciò ha portato al dominio delle cooperative di primo e secondo grado nei consorzi più importanti”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La nascita dei parchi eolici non rispetta l’iter previsto dalla legge. E’ la denuncia della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), che osserva come “negli ultimi anni in varie regioni d’Italia decine di vignaioli e di agricoltori in genere si sono trovati davanti a una notifica di esproprio senza essere stati in alcun modo avvisati e tanto meno interpellati prima dell’avvio del procedimento”. Per questo i Vignaioli Indipendenti hanno scritto al Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina per chiedere un suo interessamento alla vicenda, precisando che la Fivi non è in alcun modo contraria ai parchi eolici e ritiene anzi di grande importanza la ricerca di fonti di energia rinnovabile. Il punto rilevato dai Vignaioli è il rispetto dei tempi di comunicazione dei progetti, che permetterebbero agli interessati di formulare le proprie osservazioni all’attenzione dell’autorità espropriante. “Siamo di fronte – spiega Matilde Poggi, presidente Fivi – a svariati casi di parchi eolici autorizzati senza che venisse interpellato il territorio e senza aver dato opportuna comunicazione dell’avvio dei procedimenti, come gli innumerevoli parchi eolici autorizzati negli ultimi anni dalla Regione Campania”. Agli agricoltori non resta pertanto che appellarsi al Tar, ma anche nel caso in cui fosse accolto il loro ricorso, pur avendo diritto ad un rimborso, si vedrebbero comunque espropriati per anni dei terreni e negata di fatto la possibilità di tornare alle condizioni antecedenti. “Il nostro auspicio – aggiunge Guido Zampaglione, vignaiolo in Calitri (Avellino) e consigliere nazionale Fivi – è che ci sia maggiore attenzione su questa vicenda e un interessamento che riguardi tutti i soggetti coinvolti a vari livelli, come i sindacati e le associazioni di categoria”.
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