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Possibili dazi vino Trump: raccolta firme dei distributori negli Usa

Possibili dazi vino Trump raccolta firme dei distributori negli Usa Allarme della U S Wine Trade Alliance USWTA lettera governo
L’U.S. Wine Trade Alliance (USWTA) ha lanciato in queste ore un appello urgente all’industria dell’ospitalità e dei distributori di vino negli Stati Uniti. L’associazione, che rappresenta e tutela gli interessi delle aziende americane coinvolte nella distribuzione e vendita di vini importati, sta mobilitando il settore con una raccolta firme da allegare a una lettera all’amministrazione Trump. Nel testo, l’organizzazione denuncia il grave impatto che avrebbero nuovi possibili dazi sul vino, sulle stesse imprese americane.
Secondo USWTA, i dazi minacciano la stabilità economica di oltre 300 mila imprese tra ristoranti, hotel, bar e negozi di vino negli Stati Uniti. La raccolta firme si pone come obiettivo di coinvolgere almeno 5 mila aziende del settore, rafforzando la propria posizione nelle trattative con Washington.

Insomma, dopo le tante voci che si sono rincorse in campagna elettorale, la storia potrebbe ripetersi. Proprio per questa ragione, l’USWTA vuole scoraggiare il governo Trump a riproporre tariffs del 25% su vini francesi, tedeschi e spagnoli, come fatto tra il 2019 e il 2020. All’epoca, il surplus di costi gravato sulle imprese americane fu di oltre 230 milioni di euro. Secondo le stime di Unione italiana vini, il danno per le cantine italiane si aggirerebbe attorno ai 330 milioni di euro. Il vino Made in Italy subirebbe un taglio del 17% del proprio giro d’affari negli Usa.

POSSIBILI DAZI VINO, USWTA: RACCOLTA FIRME E LETTERA AL GOVERNO TRUMP

L’U.S. Wine Trade Alliance, attraverso l’appello lanciato in queste ore dal presidente Ben Aneff, sottolinea l’importanza della partecipazione attiva di distributori e importatori, che grazie alla loro rete di contatti possono amplificare il messaggio e contribuire a raccogliere più firme. «Caro Segretario Lutnick, caro Segretario Bessent e Ambasciatore Greer – si legge nella lettera che sarà indirizzata al governo Trump – all’inizio del vostro mandato, speriamo che consideriate la nostra difficile situazione. Siamo proprietari di ristoranti, bar, hotel e negozi in tutto il Paese. In ogni Stato e in ogni città, condividiamo l’orgoglio per ciò che abbiamo costruito e per il nostro ruolo nelle economie locali. Siamo luoghi di incontro nei momenti di festa e di difficoltà. Diamo vita alle strade principali e impieghiamo milioni di americani».

«Gli ultimi anni – si legge ancora sono stati devastanti per il nostro settore tra chiusure, inflazione, carenza di manodopera e dazi. Ciò che abbiamo costruito e le persone che impieghiamo continuano ad affrontare sfide. Vi chiediamo di aiutarci a proteggere i nostri investimenti nella forza lavoro nazionale, garantendo la possibilità di acquistare e vendere vino importato a prezzi accessibili. Tra il 2019 e il 2021, i dazi del 25% sulla maggior parte dei vini europei ci hanno colpito duramente. I dazi sui vini europei danneggiano in modo sproporzionato le aziende americane. Il vino nei nostri locali viene acquistato da distributori americani, che lo hanno acquistato da importatori americani.

I DAZI SUL VINO EUROPEO RIDUCONO I MARGINI DELLE IMPRESE AMERICANE

«Per ogni dollaro guadagnato dai produttori europei – recita ancora la lettera che U.S. Wine Trade Alliance indirizzerà all’amministrazione Trump – le imprese americane ne generano 4,50. Nei ristoranti a servizio completo, le bevande rappresentano circa un terzo del fatturato: il vino incide fino al 60% dei margini lordi. I nostri clienti cercano vini che si abbinino ai nostri menu e, quando il prezzo è troppo alto, spesso rinunciano all’acquisto, riducendo i nostri margini di profitto. Tra il 2019 e il 2021 abbiamo perso vendite, investimenti e sospeso i piani di espansione. Non avevamo nulla a che fare con la disputa commerciale che ha portato ai dazi, ma ne abbiamo subito le conseguenze, con tariffe che hanno colpito oltre 3 miliardi di dollari di vino. I dazi sul vino sono stati un fallimento. I produttori europei hanno trovato nuovi mercati e l’UE continua a sovvenzionare il suo settore aeronautico».

MIGLIAIA DI POSTI DI LAVORO A RISCHIO CON I DAZI SUL VINO DI TRUMP

La lettera si chiude con un filo di speranza. «Sappiamo che intendete affrontare importanti questioni di politica commerciale con l’Unione Europea e altri Paesi – si legge a chiusura della missiva della  U.S. Wine Trade Alliance – ma il vino non dovrebbe essere incluso in alcuna futura lista di dazi. Le tariffe di base sul vino sono inferiori a un quarto di dollaro a bottiglia sia negli Stati Uniti che nell’UE. I nostri mezzi di sostentamento, i posti di lavoro dei vostri concittadini e la salute dell’intero settore dell’ospitalità dipendono dal mantenimento di queste condizioni». L’industria vinicola americana lancia dunque un segnale chiaro: i dazi sul vino importato non solo danneggiano i produttori europei, ma mettono a rischio migliaia di imprese e posti di lavoro negli Stati Uniti. Con questa mobilitazione, USWTA spera di convincere l’amministrazione a rivedere le proprie politiche commerciali e a preservare un mercato essenziale per la ristorazione e la distribuzione americana. https://winetradealliance.org/action-letter/

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Codice della strada, i Consorzi del vino dell’Umbria scrivono a Salvini


Continua a far discutere l’inasprimento delle sanzioni del codice della strada, per chi guida sopra i limiti di 0.5. Dopo l’iniziativa della Rete di impresa Vite in Riviera, in Liguria, sono i Consorzi del vino dell’Umbria a scrivere una lettera al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. Obiettivo: porre l’attenzione sul «terrorismo mediatico» che sta penalizzando «uno dei simboli della cultura e della tradizione italiana», ovvero il vino.

La richiesta dei Consorzi è che si promuova una cultura del consumo responsabile, specificando in maniera definitiva che nel nuovo codice della strada non è stato modificato nessuno dei limiti precedentemente in vigore. E che oggi è possibile ancora consumare vino al ristorante con particolari attenzioni. Di seguito il testo del documento inviato dai a Salvini, da parte di Consorzio Tutela Vini Montefalco, Consorzio Tutela Vini Orvieto, Consorzio Tutela Vini Torgiano e Consorzio Tutela Vini Trasimeno.

LETTERA DEI CONSORZI DEL VINO DELL’UMBRIA AL MINISTRO SALVINI

Al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini

Gentilissimo Ministro Matteo Salvini,
abbiamo aperto l’anno 2025 con la demonizzazione delle bevande alcoliche, vini inclusi, su qualsiasi canale di comunicazione: social, televisione e giornali cartacei hanno scatenato una campagna di terrorismo mediatico sull’alcol con conseguente riduzione del consumo del vino e calo delle vendite di cui sta risentendo il mercato del vino.

Fin dall’Antica Roma il vino faceva parte dell’alimentazione sia per il popolo che per l’aristocrazia. Oggi giorno noi viticultori ci siamo ritrovati, prima a livello europeo a combattere con leggi che affermano che “il vino è pericoloso e cancerogeno”, ed ora con i nuovi provvedimenti del codice della strada in Italia che, seppur rigidi e doverosi, stanno creando, per una cattiva narrazione, non pochi problemi al mercato del vino.

La preoccupazione in merito all’abuso del consumo di alcolici ha portato a questo DDL penalizzando però un simbolo della cultura e della tradizione italiana, quello del VINO. Visto il terrorismo mediatico che ne è conseguito, crediamo sia doveroso da parte del Governo un chiarimento in merito all’invariato limite del codice della strada (che è rimasto a 0.5g/l) promuovendo una cultura del consumo moderato e responsabile. Richiediamo al Governo di diffondere delle linee guida del consumo di alcool ed il relativo smaltimento (ad esempio: quanti bicchieri di vino è possibile permettersi di bere al ristorante, bevendo anche acqua e mangiando adeguatamente, senza superare il limite di legge. Consigli su come organizzarsi al ristorante: il conducente non beve mentre gli altri sono liberi di farlo, abituarsi al concetto di portare a casa una bottiglia non terminata a tavola ecc…). Sarebbe importante che il ministero specifichi che nel nuovo codice della strada non è stato modificato nessuno dei limiti che erano in precedenza in vigore.

Altri Paesi nel mondo da tempo si sono dotati di simili provvedimenti: ciononostante, ben comunicati alla popolazione non hanno portato alla demonizzazione del consumo moderato –come sta avvenendo in Italia– ma al contrario hanno contribuito alla diffusione di comportamenti virtuosi basati sul bere responsabile e moderato. Oggi in Italia sta passando il concetto di non dover bere assolutamente prima di mettersi alla guida, il che, oltre ad essere un grande errore di comunicazione, va a colpire la stragrande maggioranza dei consumatori che hanno fatto del consumo moderato e responsabile il proprio stile di vita, rischiando di aprire la strada agli eccessi.

Come produttori di vino comprendiamo che l’attacco al mondo del vino sia conseguenza di difficoltà nel contrastarne l’abuso. Noi produttori siamo da anni impegnati nella promozione della cultura del vino fondata sul consumo moderato e consapevole e ci impegneremo ancora nel valutare altre strade, come la produzione di bottiglie di minori dimensioni, come quelle da 0.375 litri per facilitarne il consumo e la vendita nei ristoranti. Chiudiamo questa lettera chiedendole maggiore comprensione nei confronti di tutto il mercato del vino e collaborazione per la diffusione di un consumo consapevole e moderato di vino di alta qualità che da sempre contraddistingue l’Italia.

ATS I Consorzi del Vino per l’Umbria

Consorzio Tutela Vini Montefalco
Consorzio Tutela Vini Orvieto
Consorzio Tutela Vini Torgiano
Consorzio Tutela Vini Trasimeno

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Etichette allarmistiche vino: Coldiretti e Filiera Italia pronte alla mobilitazione


Coldiretti
e Filiera Italia si preparano alla mobilitazione contro la proposta della Commissione Europea di introdurre etichette allarmistiche sulle bottiglie di vino e nuove tassazioni sul settore. Una misura che rischia di penalizzare un comparto strategico del Made in Italy, che conta 240 mila viticoltori e garantisce lavoro a 1,3 milioni di persone lungo la filiera.
Le due organizzazioni hanno inviato una lettera al presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen e ai commissari Raffaele Fitto (Coesione e Riforme), Cristophe Hansen (Agricoltura) e Olivér Várhelyi (Salute). La richiesta è di respingere la proposta contenuta nello Staff Working Document pubblicato il 4 febbraio dalla Direzione Generale per la Salute e la Sicurezza Alimentare (Dg Sante). Questo documento, finalizzato alla revisione del Piano europeo di lotta contro il cancro, prevede l’introduzione di messaggi dissuasivi sui prodotti vitivinicoli e un possibile aumento della tassazione.

«NO AD ETICHETTE ALLARMISTICHE SUL VINO»

«Non accetteremo mai una forma di etichettatura che penalizzi un settore che l’Unione Europea dovrebbe invece valorizzare” afferma Ettore Prandini, presidente di Coldiretti (nella foto di copertina). «È impensabile – dichiara – che la stessa UE che da anni rinvia provvedimenti fondamentali per la trasparenza e la salute, come l’obbligo di etichettatura d’origine su tutti gli alimenti, ora promuova misure di stampo ideologico». Dello stesso avviso Vincenzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti: «Questa non è l’Europa che vogliamo né quella che vogliono le imprese agricole e i consumatori italiani. Decisioni prive di basi scientifiche, come le etichette allarmistiche o il Nutriscore, finiscono per favorire alimenti ultraprocessati realmente dannosi per la salute».

ETICHETTE ALLARMISTICHE SUL VINO: LETTERA ALLA COMMISSIONE EUROPEA

Nella lettera inviata alla Commissione Europea, Coldiretti e Filiera Italia ribadiscono l’importanza della prevenzione e della promozione di stili di vita sani, ma contestano con fermezza misure che colpirebbero ingiustamente un settore che vale quasi 14 miliardi di euro. «Il vino – dichiara Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia – non è solo una bevanda alcolica, ma un prodotto agricolo che nasce dalla terra e dal lavoro di milioni di agricoltori».

«È cultura, tradizione, identità – continua – parte della nostra storia e del nostro territorio. L’atteggiamento della Commissione lascia dubbi sulla reale volontà di tutelare il settore agricolo europeo». Coldiretti e Filiera Italia chiedono quindi alla Commissione Europea di eliminare dal proprio documento di lavoro ogni riferimento all’introduzione di etichette sanitarie allarmistiche e di nuove tasse ingiustificate sul vino, scongiurando un colpo durissimo a un pilastro dell’economia e della cultura enogastronomica italiana.

Angeli e demoni: vino vs energy drink

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Angelo Gaja scrive a Sergio Germano: scossa al Consorzio Barolo-Barbaresco


Con una lettera indirizzata al neo presidente Sergio Germano, Angelo Gaja dice la sua sulle recenti vicende del Consorzio di tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani. Diversi i riferimenti all’operato del predecessore di Germano, Matteo Ascheri e alla bocciatura delle proposte di modifica del disciplinare dei due grandi vini rossi delle Langhe. Angelo Gaja arriva quindi a suggerire l’istituzione di un «Comitato Senior»: «Non lo invoco per me – precisa – non ho più l’età per farne parte. Vi farei confluire di diritto i past-President, che sono i preziosi depositari della memoria storica del Consorzio. Assieme mi piacerebbe vedere invitati anche soggetti che hanno conoscenze storiche ed attuali del mercato. Giusto per fare un esempio, Ernesto Abbona, già past-President di Uiv; Gianni Gagliardo, Presidente di Deditus; Piero Quadrumolo per le cantine sociali; Luca Currado Vietti, che ha viaggiato ovunque nel mondo; Oscar Farinetti ad immaginare il futuro…. Il “Comitato Senior” non potrà interferire con l’attività del Cda, avrebbe unicamente una funzione consultiva».

GAJA: PRESIDENTE TUTTO FARE VS PRESIDENTE SUPER PARTES

Nell’esordio della lettera, Gaja si congratula con Germano per il nuovo incarico, per poi fare una distinzione precisa tra i «presidenti tutto fare» e il «presidente super partes». «Caro Sergio – si legge nella missiva – complimenti e grazie per esserti preso un badò e di volerlo portare avanti con entusiasmo. “Presidenti tutto-fare”. Continuiamo su questa strada, è così da sempre, e grazie a trovarli quelli che si sacrificano a fare il Presidente-tutto-fare. Una volta eletti si insediano in ufficio e portano avanti il lavoro avvalendosi del sostegno dei collaboratori. Ma il “peso” resta principalmente sulle spalle del Presidente-tutto-fare. Si può pensare anche ad un altro progetto?», si chiede Angelo Gaja prima di definire cosa sia un «presidente super partes».

«Avere un Presidente super partes – spiega Gaja – che vigila sul CdA, affidando al Direttore il compito di creare/costruire/ispirare l’azione sociale?  Ma un simile direttore è da inventare: che conosca almeno tre lingue estere, portatore di progetti innovativi e realizzabili, che abbia scritto libri, dotato di capacità oratorie, creatore di entusiasmo, una voglia matta di lavorare…  e così il Presidente tutto-fare che è uno dei NOSTRI, ci rassicura, ci dà molte più garanzie, ne andiamo orgogliosi e ce lo teniamo stretto».

LA LETTERA DI GAJA A SERGIO GERMANO: «GUARDARE AVANTI» E «VIGNETI A NORD»

Altro “capitolo” della lettera di Gaja a Sergio Germano è intitolato «Guardare avanti». «In uno dei discorsi di fine anno – si legge nella missiva – il Presidente Mattarella invitava a “leggere il presente con gli occhi di domani”. In effetti voleva essere uno stimolo ad osare. Si è spesso portati a “leggere il presente con gli occhi di ieri”. Perché conosciamo il passato, sappiamo cosa è stato utile e cosa no, abbiamo acquisito delle sicurezze, ad avviare il “nuovo” siamo prudenti».

Ecco poi il nodo dell’apertura del disciplinare ai vigneti a Nord, naufragata tra le polemiche. «La questione – scrive Angelo Gaja nella lettera indirizzata a Sergio Germano – ha generato un refolo irriverente in un bicchier d’acqua. Ci sono produttori che già da tempo avevano piantato dei vigneti di Nebbiolo nel versante Nord. Sottoporre i vini che si producono da quei vigneti al giudizio della commissione di degustazione aiuterebbe a capire».

GAJA: «IGP PIEMONTE? LA CASELLA MANCANTE DEL VINO PIEMONTESE».

Sempre nella missiva indirizzata a Sergio Germano, Angelo Gaja allarga il cerchio e affronta una tematica “calda” del vino piemontese, ovvero la mancanza di una “denominazione di ricaduta” regionale, a fronte della presenza della Doc Piemonte. «Avevo invano sostenuto a lungo l’istituzione dell’Indicazione geografica tipica. Al Piemonte del vino manca una casella… sembra che siano in pochi ad accorgersene». L’accusa, nemmeno troppo velata e condivisa da diversi produttori regionali, è che la Dop Piemonte venga utilizzata, in assenza dell’Igp Piemonte, come “denominazione di ricaduta”. Con conseguente danno di immagine per il brand “Piemonte”.

LA STOCCATA A FONDAZIONE CRC E I GIOVANI

È ricchissima di tematiche la lettera di Gaja a Germano. L’iconico produttore suggerisce anche una diversa gestione di Barolo en Primeur. «I proventi delle bottiglie offerte all’asta dai produttori, unitamente a parte (da definire) di quelli delle barriques di Vigna Gustava – si legge – debbono andare interamente/esclusivamente al Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e non essere lasciati nella più ampia disponibilità della Fondazione CRC».

Infine, il nodo delle nuove generazioni: «Aiutare i produttori giovani a partecipare è il compito più difficile. Gli strumenti moderni però sono quelli già ampiamente utilizzati dai giovani. Dotare il Consorzio di un Blog, sul quale i produttori identificabili per nome e cognome possano comunicare, avviare confronti sui temi di interesse dei nostri vini». Le ultime righe della lettera al neo presidente Sergio Germano paiono un disclaimer: «Facile, comodamente seduti a casa propria, fare il grillo parlante.  Non volevo essere arrogante. Caro Sergio, ti ringrazio in anticipo per il lavoro che svolgerai a beneficio di tutti noi. Con amicizia, Angelo Gaja».

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Danni peronospora sottostimati: «Vigneti zuppi d’acqua? C’è chi produrrà lo stesso»

Gentile Direttore,
faccio seguito all’articolo pubblicato giorni fa su winemag.it (a questo link). Nello specifico, sono rimasto un po’ sorpreso dall’indagine sui danni della peronospora in Toscana. Noi abbiamo un’azienda Bio dal 1994, sulle colline di Arezzo. Un danno di questo genere non lo avevamo mai avuto, così come dicono le persone più anziane della zona. Anche loro non hanno mai visto una cosa del genere. Nel mese di Aprile-Maggio ha praticamente piovuto tutti i giorni e, se non pioveva tutto il giorno, le piante erano comunque bagnate tutta la mattina. Appena iniziava un po’ di vento e sembrava che asciugasse, ripioveva subito dopo.

I vigneti erano praticamente zuppi di acqua. Le vigne, benché in notevole ritardo, cominciavano ad andare verso la fioritura che prometteva benissimo, con grappoli bellissimi e abbondanti. Come dico sempre, il miglior concime è la pioggia. Però questa situazione ha creato l’impossibilità di muoversi e fare trattamenti che, altrimenti, sarebbero andati perduti per il dilavamento. In realtà la temperatura non era calda e si aggirava sempre sui 10/15 gradi. Non avrei mai pensato di arrivare a una situazione simile. Non si riusciva neanche a star dietro al taglio dell’erba. L’acqua non ha mai dato tregua.

A fine Maggio e i primi giorni di Giugno si tagliava con la pioggia. Ora certamente il vino non possiamo produrlo, non avendo gran parte dell’uva. Non siamo una fabbrica. Ma quello che mi dispiace è vedere ancora nel 2023 chi, nonostante i danni avuti, tirerà fuori il prodotto dicendo che il danno è stato solo del 10 o del 30%. Con il clima di quest’anno, questa stima non è credibile. Sarebbe giusto che ora le ingenti giacenze di vino in cantina siano vendute al giusto prezzo, visto che ogni volta che produciamo è un grande sacrificio. Ma è anche giusto che chi compra o comprerà vino dell’annata 2023, qualora riuscisse a trovarlo, lo acquisti con il suo reale certificato di origine.

Con i miei migliori saluti

Fabio De Ambrogi
Gratena Società Agricola
via Bernardo Dovizi, 40/D
52100 Arezzo

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Fivi, vini dealcolati: «Sono una bevanda, non un vino»


Con una lettera al Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, Fivi pone i paletti dei cosiddetti vini dealcolati. Due le richieste: considerarli alla stregua di bevande comuni, dunque non “vini”; e alzare un muro contro le criticità che deriverebbero dalla loro introduzione nei disciplinari dei vini a indicazione geografica.

La dealcolazione dei vini, prevista dal Reg. 2117/2021, si sta ora definendo in sede ministeriale e desta grande preoccupazione la possibilità prevista dalla normativa europea di dealcolare, solo parzialmente, anche i vini a indicazione geografica (DO e IG). La Federazione italiana vignaioli indipendenti non esprime «nessuna contrarietà alla bevanda in sé, ma parere assolutamente negativo sul fatto che questi prodotti possano rientrare nella categoria vino».

Fivi definisce «ancora più preoccupante il fatto che la discussione avvenga in concomitanza con la revisione del sistema delle indicazioni geografiche in sede europea, nella quale è attualmente previsto un passaggio di competenze dalla DG Agri all’EUIPO che ridurrebbe le denominazioni ad un puro marchio commerciale, depotenziandone il ruolo di tutela».

UNA QUESTIONE GIÀ DIBATTUTA

La questione dell’inserimento dei vini dealcolati come tipologia dei vini a denominazione di origine o a indicazione geografica viene dibattuta nel settore ormai da anni. Con la lettera al ministro Lollobrigida, Fivi si accoda al coro di no già espresso da tutta la filiera vitivinicola italiana al precedente ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, nel maggio 2021.

In quell’occasione, sempre con una lettera indirizzata a Roma, Aci – Alleanza delle Cooperative italiane, Assoenologi, Cia, Confagricoltura, Copagri, Federdoc, Federvini e Unione Italiana Vini esprimevano la loro «ferma contrarietà rispetto alla possibilità di utilizzare le categorie dei vini “dealcolati” e “parzialmente dealcolati” per i vini a denominazione di origine protetta e a indicazione geografica protetta».

«Il prodotto che ne deriva – riferivano le associazioni di filiera – non ha i requisiti oggi richiesti ad una Dop o Igp, rischiando di penalizzare queste ultime nella percezione del consumatore. Pur concordando con la proposta delle istituzioni europee di armonizzare le definizioni dei prodotti a basso tenore alcolico nell’ambito della riforma della Pac e l’esigenza di mantenere queste categorie nell’ambito del Regolamento Ocm, i prodotti totalmente dealcolati avrebbero dovuto contemplare il termine “bevanda” in luogo di “vino“».

I migliori vini senza alcol? Da un buon vino base. Ed è già guerra tra industrie

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«Ecco perché siamo usciti dal Consorzio Vini Colli Euganei»: lettera di 9 cantine padovane

Con la presente le aziende Alla Costiera, Ca’ Lustra, Quota 101, Reassi, San Nazario, Villa Sceriman, Vignale di Cecilia, Vignalta e Vigna Roda, sono a comunicare le motivazioni che le hanno indotte ad interrompere la carica di socio del Consorzio Volontario per la Tutela e la Promozione dei vini DOC e DOCG Colli Euganei.

La prima ragione risiede nella convinzione che l’eventuale cessione della Doc Serprino alla Doc Prosecco potrebbe causare una grave perdita di identità territoriale. E non si intende solo dell’identità del Serprino ma anche, e soprattutto, delle altre Doc Colli Euganei, primi fra tutti i rossi. Gli interventi usciti nella stampa nel recente periodo, non fanno altro che avvalorare questa tesi, e preoccupante è la dichiarazione rilasciata dal Presidente Marco Calaon, il quale afferma che nella sua visione futura vedrebbe i Colli Euganei come immagine bandiera della Prosecco Doc. (il mattino di Padova del 8.11.22).

Questo è esattamente il pericolo che vorremmo si evitasse, in quanto una menzione così forte inevitabilmente offuscherebbe tutte le altre radicate tipicità del nostro luogo, anziché trainarle, come alcuni sostengono. Le aziende sopra citate ritengono opportuno che decisioni così importanti per i Colli Euganei, che segnano in modo marcato il futuro di un territorio, debbano necessariamente essere discusse il più ampiamente possibile dagli imbottigliatori e dalla base sociale, cosa che invece in questa occasione non è mai avvenuta, essendo l’Assemblea stata posta dinnanzi a scelte quasi obbligate senza un dibattito costruttivo nell’interesse di tutti.

Tutto questo è reso possibile dal fatto che esiste all’interno del Consorzio un problema di rappresentatività che porta di fatto in assemblea ad un forte sbilanciamento della capacità decisionale verso la cooperativa locale. La consapevolezza da parte degli organi amministrativi di avere i numeri per far approvare qualunque decisione sia appoggiata dalla Cantina Sociale, sembra che nell’ultimo periodo abbia fatto perdere l’interesse anche al solo ascolto dell’opinione della minoranza, rappresentata da un certo numero di medio/piccole aziende imbottigliatrici che cercano di far conoscere la qualità enologica dei Colli Euganei».

GLI ANTEFATTI

Polveriera Colli Euganei: otto cantine escono dal Consorzio Vini

Colli Euganei come “Asolo” del Prosecco Doc, Zanette conferma: «Trattative aperte tra Consorzi»

Quando metteremo Rovolon sulla mappa dei grandi vini rossi italiani?

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Fivi e la riforma dei Consorzi del vino: perché è il momento giusto con Meloni e Centinaio


EDITORIALE – Cosa c’entrano Giorgia Meloni e Gian Marco Centinaio con la riforma dei Consorzi del vino italiano e dei loro meccanismi di rappresentatività? Apparentemente nulla. In realtà, guardando all’esito delle ultime elezioni politiche, potrebbe essere arrivato il momento giusto per le aspettative della Federazione italiana vignaioli indipendenti. Per capire perché, occorre fare un passo indietro, al Mercato Fivi di Piacenza 2021.

In quell’occasione, Gian Marco Centinaio, in veste di Sottosegretario al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali del Governo Draghi, fece visita ai vignaioli. Assicurando loro che «il problema della rappresentatività all’interno dei Consorzi di Tutela va affrontato al più presto. Perché troppo spesso pochi decidono per tanti. Serve un tavolo di confronto che coinvolga tutti gli attori della filiera».

Parole messe nero su bianco dall’allora ufficio stampa di Fivi (i veneti di Studio Cru, oggi non più in carica), che a winemag.it confermavano: «Centinaio ha visionato il comunicato prima dell’invio e ha detto che andava bene».

Per i vignaioli, la revisione dei criteri di rappresentatività nei Consorzi di tutela è «una priorità» e ha l’obiettivo di «dare voce a tutti gli attori». Secondo Fivi, «la normativa attualmente vigente (DM 232/2018, art. 8) stabilisce che i voti siano attribuiti in funzione della produzione vitivinicola dell’anno precedente, senza alcuna attenzione al numero di produttori».

CENTINAIO E L’INCONTRO PROMESSO AI VIGNAIOLI FIVI

Non è tutto. In occasione dell’incontro avvenuto al Mercato dei Vini 2021 di Piacenza Expo, domenica 28 novembre 2021, i vignaioli indipendenti hanno presentato al Sottosegretario Gian Marco Centinaio «un dossier d’intervento su alcuni aspetti ritenuti problematici per il lavoro quotidiano della categoria».

I temi principali su cui i Vignaioli hanno cercato il confronto, oltre alla rappresentatività all’interno dei Consorzi, sono stati la semplificazione burocratica e la legge per il contenimento del consumo del suolo agricolo.

«L’incontro con il Sottosegretario Gian Marco Centinaio qui al Mercato dei Vini è stato un importante momento di confronto, che ci auguriamo avrà presto riscontro concreto nell’apertura del tavolo auspicato dal Sottosegretario», commentava Matilde Poggi, allora presidente della Federazione italiana vignaioli indipendenti.

Un incontro che non è mai avvenuto ma che oggi, forse, è più semplice da immaginare rispetto al passato. Il Governo guidato da Giorgia Meloni vede la Lega, partito di Gian Marco Centinaio, tra i principali attori.

Lo stesso Centinaio è stato eletto vicepresidente del Senato della Repubblica, con Francesco Lollobrigida (Fratelli d’Italia) a ricoprire il ruolo di Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare (che fu di Centinaio nel Governo Conte).

FIVI, LE RICHIESTE AL GOVERNO MELONI E L’INVITO A LOLLOBRIGIDA

È proprio a Lollobrigida che il neo presidente Fivi, Lorenzo Cesconi, ha indirizzato nelle ultime ore una lettera contenente «un nuovo appello alla tutela dei piccoli produttori». Tra i punti salienti, proprio la revisione dei meccanismi di rappresentatività dei Consorzi del vino italiano.

«I criteri di voto al momento favoriscono i grandi gruppi e le cooperative sociali, a causa di un’interpretazione troppo ampia del “voto ponderale” e ad un uso spesso problematico delle deleghe. Fivi chiede dunque un intervento sul  decreto legislativo n. 232/2018, in particolare sull’art. 8 relativo alle modalità di voto, per rafforzare l’effettiva rappresentanza di tutti gli attori della filiera».

«I Vignaioli – si legge ancora sulla lettera indirizzata dalla Federazione al ministro Lollobrigida – rappresentano un modello che orienta la propria produzione verso la più alta qualità, nel pieno rispetto e nella completa espressione del territorio. È necessario che in tutti i Consorzi sia riconosciuta loro pari dignità».

Fivi chiude la sua lettera invitando il ministro Francesco Lollobrigida all’Assemblea della Federazione, che si svolgerà lunedì 28 novembre a Piacenza, durante il Mercato dei Vini dei Vignaioli indipendenti 2022.

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Enoteche escluse dal Fondo per il sostegno: lettera di Vinarius a Patuanelli

Le enoteche sono state escluse dal “Fondo di parte capitale per il sostegno delle eccellenze della gastronomia e dell’agroalimentare italiano”. Una decisione che ha scatenato la reazione di Vinarius, associazione delle Enoteche italiane che raccoglie 120 associati per 50 milioni di euro di fatturato complessivo. Circa 8 mila le enoteche presenti invece in Italia, di cui almeno 6.500 operanti nel settore della mescita.

«Appena appresa la notizia – afferma Andrea Terraneo, Presidente di Vinarius – abbiamo deciso di intervenire con prontezza e guidati dalla volontà di aprire un canale di dialogo con il Ministero. Chiediamo l’integrazione delle enoteche, tra le categorie a cui questi aiuti spettano».

Allo stesso modo di ristoranti, bar, gelaterie e pasticcerie, anche le enoteche sono promotrici e grandi utilizzatrici di prodotti DOP e IGP, quindi riteniamo doveroso il loro inserimento nella lista presente nel decreto attuativo».

ENOTECHE: UN’ALTRA BATOSTA DOPO IL LOCKDOWN

Dopo due anni di profonda difficoltà causati dalla situazione sanitaria nazionale e in un momento di continua incertezza economica data dalla crisi energetica e delle materie prime anche le enoteche, chiedono un sostegno economico e di potersi finalmente sedere ai tavoli di concertazione, «come parte integrante della filiera agroalimentare».

«Prendiamo sempre più coscienza del nostro ruolo di dialogatori con ministeri ed enti governati – continua Terraneo – soprattutto in una situazione di emergenza continuativa e con nuove normative uscenti che riguardano la filiera nel suo complesso».

Serve un continuo confronto reciproco e paritario – sottolinea ancora il presidente di Vinarius – anche se ci rendiamo conto di non essere ancora dentro i tavoli di discussione. Per questo e con il percorso messo in atto negli ultimi anni ci auguriamo di essere chiamati come rappresentanti di una folta e laboriosa categoria esattamente al pari delle altre».

Con la lettera inviata venerdì 8 luglio, l’associazione presieduta da Andrea Terraneo si augura «di ricevere una risposta collaborativa da parte del ministro Patuanelli, che già aveva manifestato in passato il desiderio di supportare gli esercizi commerciali che giornalmente lavorano per valorizzare e promuovere l’inestimabile patrimonio agroalimentare italiano».

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Riforma Indicazioni geografiche, la lettera aperta: «No ad esternalizzazione all’Ufficio Marchi Euipo»

Lettera aperta alle istituzioni europee da parte di Arepo, Arev, Efow e oriGIn Eu. Le quattro associazioni si dicono «estremamente preoccupate per la direzione che la Commissione Europea (CE) sembra aver preso nella prossima riforma della politica delle Indicazioni geografica – IG». Al centro del dibattito, «l’intenzione della CE di esternalizzare la gestione quotidiana delle IG all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), che è responsabile della registrazione di marchi e disegni».

In estrema sintesi, secondo i firmatari «l’attuale politica delle Ig è più di una semplice protezione di un nome, è una parte integrante e di successo della politica agricola comune e dello sviluppo rurale». Per questo motivo «dovrebbe rimanere parte di essa ed essere pienamente gestita dalla Commissione europea».

Arepo, Arev, Efow e oriGIn Eu chiedono «pertanto un continuo e forte coinvolgimento della Commissione europea e, più direttamente, della Dg Agri, nella gestione della politica delle IG, alla luce della sua comprensione globale delle IG dell’Ue, compresa la promozione dello sviluppo rurale, la sostenibilità, la protezione d’ufficio e la negoziazione di accordi bilaterali o multilaterali».

IL DOCUMENTO INTEGRALE FIRMATO AREPO, AREV, EFOW E ORIGIN EU

Winemag.it è in grado di riportare di seguito interamente il documento sottoscritto dalle quattro associazioni, che rappresentano la stragrande maggioranza degli stakeholder europei delle Indicazioni geografiche.

Siamo preoccupati per l’intenzione della CE di esternalizzare la gestione quotidiana delle nostre specifiche IG all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), che è responsabile della registrazione di marchi e disegni.»

Questo è estremamente sconcertante. La CE ha promosso l’unicità del sistema di protezione delle IG sui generis dell’UE, che è sempre stato gestito a livello nazionale e comunitario dalle autorità responsabili dell’agricoltura come parte della politica di sviluppo agricolo e rurale.

Per decenni, la CE ha investito risorse per promuovere un approccio simile in tutto il mondo insistendo sulle specificità delle IG e sulle loro differenze con altri diritti di proprietà intellettuale, giustificando così un sistema di gestione diverso.

Non solo le IG hanno un regime autonomo diverso dai marchi e dagli altri DPI, ma sono diritti collettivi che svolgono diverse funzioni pubbliche (es. bene pubblico, protezione d’ufficio, deroghe specifiche al diritto della concorrenza). Le IG non sono un’espressione di interessi privati che protegge solo un nome o un segno.

Nel corso degli anni, le IG dell’UE sono diventate un simbolo della qualità degli alimenti e delle bevande europee nel mondo. Investimenti significativi sono stati fatti da tutte le persone coinvolte, attori del settore privato e pubblico, per migliorare la protezione e la promozione delle IG a beneficio di molte regioni rurali in tutta l’UE.

La politica della qualità non ha lo scopo di proteggere solo le denominazioni delle IG, ma anche di valorizzare, difendere e promuovere i punti di forza e le particolarità delle IG.

L’attuale politica delle IG è un successo. Nel 2013 il commercio delle IG dell’UE valeva 54 miliardi di euro all’anno e nel 2017 75 miliardi di euro all’anno. Oggi le IG rappresentano il 15,5% del totale delle esportazioni agroalimentari dell’UE.

Le nostre associazioni ritengono che abbiamo un solido quadro giuridico per le IG nell’UE che considera il ruolo delle IG come uno strumento di politica pubblica, uno strumento di sviluppo locale e come una parte fondamentale delle politiche agricole e commerciali dell’UE.

Inoltre, la recente riforma della politica agricola comune (PAC) ha portato a significative misure aggiuntive e positive per i nostri settori, come un’importante semplificazione delle procedure per la modifica dei disciplinari delle IG (standard rispetto agli emendamenti dell’Unione), una migliore protezione, la possibilità di includere volontariamente elementi di sostenibilità nei disciplinari e la possibilità per tutte le IG di fare uso dello strumento del regolamento di fornitura.

Questi importanti cambiamenti alla politica delle IG dell’UE sono in linea con le richieste della società e il Green Deal dell’UE. Sono appena entrati in vigore e snelliranno le procedure a beneficio dei produttori, dei consumatori e della Commissione europea.

Riteniamo che le IG abbiano funzioni pubbliche. Sono molto più che semplici diritti di proprietà intellettuale. Infatti, sono state considerate dai politici fino ad oggi come strumenti di politica pubblica, che forniscono beni pubblici a tutta la società europea, garantendo:

  • Lo sviluppo locale, mantenendo la popolazione rurale e l’occupazione
  • La produzione non delocalizzabile,
  • Prezzi premium per i produttori (in media 2,85 per i vini IG, 2,52 per gli alcolici IG e 1,5 per i prodotti agricoli e alimentari IG),
  • Gestione del paesaggio e della biodiversità,
  • Rispetto delle conoscenze tradizionali e della specificità dei prodotti.

Siamo fermamente convinti che le IG abbiano un ruolo di primo piano nella strategia Farm to Fork e dovrebbero essere utilizzate dai decisori europei e nazionali come uno strumento chiave per garantire la sostenibilità preservando l’equilibrio territoriale a livello regionale.

Questo è il motivo per cui la gestione delle IG dell’UE dovrebbe rimanere nelle mani della Commissione europea e non dovrebbe essere esternalizzata ad alcuna agenzia esterna.

Le nostre associazioni credono fortemente che delegare qualsiasi ruolo in termini di gestione delle IG all’EUIPO invierebbe un segnale negativo. Minerebbe l’opposizione dell’UE all’idea degli Stati Uniti che un marchio collettivo o un regime di marchio di certificazione sia il mezzo più efficace per fornire alle IG una protezione conforme ai TRIPs. Questo sarebbe un’inversione di marcia rispetto alla posizione che l’UE ha difeso strenuamente per anni a livello internazionale.

Inoltre, è fondamentale prendere in considerazione il fatto che i nostri disciplinari delle IG includono sempre più disposizioni che vanno oltre la protezione del nome. Di conseguenza, la Commissione europea è l’unica autorità che ha la competenza per occuparsene, poiché ha la capacità di valutare gli elementi dei disciplinari delle IG che riguardano la sostenibilità (inerente alle IG), la qualità, la concorrenza leale, ecc. tutti elementi che saranno sempre più centrali visto il Green Deal dell’UE.

La Commissione può anche garantire che il sistema delle IG rimanga veramente europeo, assicurando uniformità e coerenza nella sua applicazione in tutta l’Unione.

Infine, respingiamo un argomento della CE che dice che ha bisogno di avere più risorse per affrontare la politica delle IG. Crediamo che le nuove regole sviluppate per semplificare la procedura di modifica dei disciplinari delle IG avranno successo nell’aiutare la Commissione europea a gestire i possibili ritardi e arretrati, come è stato dimostrato quando tali modifiche sono state introdotte per i vini IG qualche anno fa. Il numero di dossier in sospeso è oggi molto più limitato e gli operatori delle IG non soffrono di arretrati.

CHI SONO I FIRMATARI DELLA LETTERA

AREPO, Associazione delle regioni europee per i prodotti d’origine, è una rete di regioni e associazioni di produttori che si occupa di prodotti d’origine e sistemi di qualità dell’UE. Rappresenta 33 regioni europee e oltre 700 associazioni di produttori per oltre il 60% delle IG europee.

AREV, Assemblea delle Regioni Europee del Vino, creata 33 anni fa, ha sede a Bruxelles e conta una cinquantina di regioni europee membri, rappresentate da una doppia base: politici regionali eletti e rappresentanti delle organizzazioni professionali viticole. Questo modello dà all’AREV una legittimità statutaria e storica unica (nella foto dell’articolo il presidente Emiliano-Garcia-Page-Sanchez).

EFOW, Federazione Europea dei Vini d’Origine, è l’organizzazione con sede a Bruxelles che rappresenta i vini DOP e IGP presso le istituzioni europee. EFOW rappresenta più dell’80% dei vini IG dell’UE. Come voce dei vini d’origine, la missione dell’EFOW è quella di difendere e promuovere il concetto di vino a indicazione geografica a livello europeo e internazionale.

oriGIn EU è la costola europea della World Alliance of Geographical Indications e rappresenta i singoli gruppi di IG e le associazioni nazionali di IG presso le istituzioni europee. Il settore delle IG dà un contributo significativo all’economia europea, rappresentando un valore di vendita di oltre 75 miliardi di euro e circa il 15,5% delle esportazioni totali di alimenti e bevande dell’UE.

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Danni da gelate: Italia, Francia e Grecia scrivono all’Ue

Tempo di ristori per i danni da gelate in Italia, Francia e Grecia. I tre paesi scrivono all’Ue chiedendo «interventi mirati per le ondate di gelo che, nel mese di marzo e aprile, hanno creato danni al settore agricolo». Un particolare riferimento viene fatto al comparto ortofrutticolo e a quello vitivinicolo.

La lettera è stata inviata oggi alla Commissione europea affinché «metta in campo idonee misure di aiuto urgenti e transitorie per sostenere le imprese danneggiate».

Nella missiva è stata inoltre evidenziata l’importanza della proposta di «destinare una adeguata quota dei pagamenti diretti della Politica Agricola Comune (Pac) alla creazione di una rete di sicurezza per tutte le aziende del settore, a supporto degli attuali strumenti di gestione del rischio».

Gelate in vigna, report Assoenologi: la mappa dei danni

La frequenza con cui si verificano questi eventi estremi – fa notare il Ministero per l’Agricoltura – comporta l’operatività di strumenti in grado di intervenire tempestivamente.

Solo un approccio integrato tra gli strumenti di gestione del rischio e il sostegno ad investimenti più mirati alla riduzione dei rischi stessi possono contribuire a migliorare la resilienza delle imprese agricole».

La lettera congiunta di Italia, Francia e Grecia segue di poche ore lo stanziamento di 105 milioni a favore del Fondo di solidarietà nazionale per i danni a produzioni, strutture e impianti produttivi delle aziende colpite dalle gelate e brinate dell’aprile 2021. Una misura contenuta nel Dl Sostegni bis.

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Il grido d’allarme di Fivi: «Consorzi del vino in mano a pochi grandi gruppi e coop»

Nuovo «appello alla tutela dei piccoli produttori» di Fivi per cambiare i meccanismi di rappresentatività dei Consorzi del vino italiano. La Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti riaccende l’annosa questione attraverso una lettera inviata al Sottosegretario Gian Marco Centinaio, ex ministro all’Agricoltura da sempre sensibile ai temi legati al mondo del vino.

«Tale meccanismo – scrive la presidente Fivi, Matilde Poggi – ha delle conseguenze inevitabili sull’effettiva rappresentanza all’interno dei Consorzi. Il voto è nelle mani di pochi grandi gruppi e cooperative, che decidono in solitudine le scelte di indirizzo strategico di gestione della denominazione».

L’invito è quindi quello di «creare un tavolo di lavoro per riconsiderare il criterio di rappresentanza attualmente in vigore, con l’obiettivo di rafforzare la vitalità dei Consorzi di tutela dando voce a tutte le parti».

A innescare la miccia, come chiariscono gli indipendenti, sono le «problematiche relative all’elezione del Cda del Consorzio di tutela Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg».

«In questa sede – fa notare la Federazione – è emersa l’intenzione di concentrare la gestione della denominazione nelle mani di alcuni grandi gruppi, in particolare afferenti al sistema cooperativo, con la conseguente esclusione degli interessi dei piccoli produttori».

IL CASO VENETO
Il caso Conegliano Valdobbiadene, sempre secondo Fivi, «non è che un esempio di una situazione ampiamente diffusa sul territorio nazionale». Per questo motivo la Federazione ritiene sia «necessario intervenire».

L’attuale normativa infatti, e in particolare l’art. 8 del DM 232/2018 – sottolineano i vignaioli – stabilisce che i voti siano attribuiti in funzione della produzione vitivinicola dell’anno precedente, valutando quindi esclusivamente la quantità prodotta, senza considerare minimamente né il numero dei produttori, né quanto questi contribuiscano alla tutela della qualità e del paesaggio della denominazione».

Un’ulteriore questione è l’istituto delle deleghe espresse dai soci viticoltori al momento dell’adesione, che «dà grande potere alle Cooperative che partecipano al lavoro dei Consorzi, rendendo gli altri partecipanti quasi inesistenti».

L’obiettivo della Fivi, in qualità di portavoce dei piccoli produttori italiani, è quello di «modificare questa procedura iniqua, per consentire l’effettiva rappresentanza di tutti gli attori della filiera per una reale tutela delle denominazioni».

«I piccoli produttori – aggiunge la Federazione italiana vignaioli indipendenti – rappresentano un sistema che orienta la propria produzione verso la più alta qualità ed è giusto che ogni Consorzio li tuteli riconoscendo loro una pari dignità».

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Il Dpcm 16 gennaio mette Enoteche contro Supermercati. Vinarius: «Noi discriminati»

Enoteche contro Supermercati. Davide contro Golia. C’è malumore, tra gli enotecari italiani, in seguito alla pubblicazione del Dpcm 16 gennaio 2021. Il nuovo decreto vieta infatti la vendita d’asporto di vino e alcolici dopo le ore 18 alle enoteche, ovvero ai negozi specializzati con codici ATECO 47.25, ma non alla Grande distribuzione organizzata.

A sollevare il problema, parlando di «discriminazione» è Andrea Terraneo (nella foto sopra), Presidente di Vinarius, Associazione delle Enoteche italiane. Una protesta messa nera su bianco, con una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

«Non comprendiamo il motivo per cui viene impedito a centinaia di enoteche sparse sul territorio nazionale di operare lasciando invece libertà di farlo alla grande distribuzione organizzata, incorrendo maggiormente nel rischio di assembramenti», scrive Terraneo.

Chiediamo pertanto la cancellazione di questa misura affinché non vengano penalizzate tutte quelle attività comprese nel divieto che stanno operando da mesi con massimo rigore e attenzione alla tutela della clientela e nel rispetto delle normative»

«Siamo certi – aggiunge Terraneo – che le ragioni da noi esposte possano portare ad un pronto accoglimento della nostra richiesta basandosi essa stessa su criteri di ragionevolezza e coerenza con lo spirito di tutela della salute pubblica e di salvaguardia delle attività commerciali che stanno a cuore a tutti quanti noi».

Il presidente di Vinarius sostiene di «comprendere il momento di forte difficoltà che sta attraversando il Paese a causa della pandemia e il complesso contesto con cui vengono prese le relative decisioni, incorrendo in possibili errori nella indicazione dei codici ATECO».

Ma a nome dell’Associazione delle Enoteche italiane chiede «un sollecito chiarimento in merito, affinché non vengano discriminati attività e operatori professionali appartenenti al settore del commercio di bevande alcoliche e analcoliche. La preoccupazione deriva dal fatto che inibire l’apertura dopo le 18 toglie all’enoteca il 30% del fatturato giornaliero in un quadro economico generale che ci vede già penalizzati».

La lettera del presidente Andrea Terraneo arriva a 9 mesi circa dal precedente sollecito inviato al ministro Putuanelli, nell’aprile 2020. Attraverso un sondaggio esteso anche alle enoteche non associate, Vinarius aveva fotografato il momento di difficoltà del settore.

I titolari delle 105 attività intervistate rimaste aperte nonostante l’emergenza Covid-19 avevano evidenziato un calo del fatturato tra il 50 e l’80%. Il 22% delle enoteche aveva deciso di rimanere chiuso, mentre il 25% di rimanere chiuso ma di effettuare consegne a domicilio.

«Il rimanente 53% – precisava sempre ad aprile 2020 Vinarius – dimostra come le enoteche siano diventate in questo momento di incertezza dei punti di riferimento per il territorio per l’offerta di beni di prima necessità come acqua, pasta ed altri generi alimentari»

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Fivi scrive a Conte: “Siamo sconcertati dal nuovo Dpcm”

Matilde Poggi, Presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, ha scritto al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte perché riconsideri la decisione di chiudere alle 18 l’intero comparto della ristorazione.

Faccio parte di coloro che ritengono che il Covid 19 sia una malattia molto seria e pericolosa – scrive Matilde Poggi – e che il primo obbligo di ogni governo in questo momento sia quello di tutelare e proteggere la salute dei cittadini.

Mi lascia ugualmente del tutto sconcertata la decisione presa nell’ultimo DPCM 24/10/2020 di chiudere le attività di somministrazione alle ore 18.

L’innalzamento dei contagi, cui abbiamo purtroppo assistito negli ultimi mesi, impone un cambio di strategia ma mi parrebbe opportuno fermare unicamente le attività e le situazioni che provocano assembramenti”.

Nella lettera si sottolinea come molti ristoratori alla riapertura dopo la chiusura forzata di marzo e aprile si sono attrezzati per poter accogliere i loro clienti in tutta sicurezza investendo anche cifre considerevoli. Ora però si trovano a pagare per coloro che, in spregio ad ogni direttiva, hanno continuato a servire i clienti davanti ai locali, senza distanziamento, provocando pericolosi assembramenti.

Chi ha deciso di non rispettare le regole ha messo a repentaglio la salute altrui e contribuito alla cattiva percezione della categoria cui appartiene – continua Poggi – è pertanto giusto che gli venga intimata la chiusura.

Chi invece le regole le ha rispettate ed ha investito per potersi adeguare deve poter rimanere aperto. L’Italia è un Paese meraviglioso e ha gioielli che tutti ci invidiano: un paesaggio unico al mondo, siti culturali di richiamo mondiale e prodotti di altissima qualità della filiera agroalimentare, tra cui il vino”.

Chiudere i ristoranti, secondo Poggi, significa far soffrire ulteriormente anche i tanti vignaioli artigiani che a fatica hanno continuato a coltivare le loro vigne. Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, riunisce più di 1300 vignaioli che seguono l’intero processo produttivo del vino, dalla vigna al bicchiere. Sono aziende di medio piccole dimensioni, spesso famiglie, che hanno in queste attività il loro unico reddito.

Per i vignaioli il settore della ristorazione è il mercato di sbocco preferenziale per i loro vini e a poche ore dalla firma del nuovo Dpcm hanno già iniziato ad arrivare le prime disdette agli ordini in corso. I vignaioli, come molte altre categorie, sono stati pesantemente indeboliti dai mesi di chiusura forzata, ma la vigna non si può abbandonare e va coltivata anche se le vendite sono ridotte al lumicino.

“Noi di FIVI e tutti gli operatori del settore Horeca – chiosa la Presidente – vogliamo poter lavorare in sicurezza per dare il nostro piccolo contributo alla ripresa del Paese”.

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Fivi, Iva al 10% sul vino e fatture dividono i vignaioli. Ma la lettera è già a Roma

È un coro di no quello che arriva dalla “base” di Fivi in merito all’ipotesi di riduzione dell’Iva sul vino al 10%, rispetto all’attuale 22%. La proposta di passare dall’aliquota ordinaria a quella semplificata fino al 31 dicembre 2023 è contenuta in una lettera indirizzata a Roma dalla Federazione italiana vignaioli indipendenti, all’attenzione dei ministri Bellanova e Gualtieri. La missiva, firmata dalla presidente Matilde Poggi, è tuttavia al centro di un acceso dibattito tra gli associati Fivi, dalla Sicilia al Trentino.

Oltre al ribasso dell’imposta sul valore aggiunto, non convince la richiesta di poter emettere la fattura all’incasso, al posto che al momento della consegna o della spedizione del vino. Un’ipotesi che rischia di generare “zone d’ombra nei rapporti con l’Horeca”. In altre parole del “nero“, come sostiene qualche produttore.

Il più duro nei confronti di Fivi è il vignaiolo toscano Edoardo Ventimiglia, tra i più attivi della neocostituita Rete #ilvinononsiferma: “L’associazione di cui faccio parte non mi può mettere le mani in tasca in un momento così delicato – attacca il titolare di Sassotondo – o pensare che un ddt possa assumere valore legale in caso di mancati pagamenti o di necessità di credito bancario: senza una regolare fattura emessa prima o al momento della consegna e della spedizione, la merce è ancora in carico al vignaiolo”.

La riduzione al 10% dell’Iva, pensata per risollevare il settore, non avrebbe inoltre alcun risvolto sui consumatori, in quanto i vini sarebbero a scaffale allo stesso prezzo. Non è chiaro, poi, quali compensazioni dovrebbero essere utilizzate per evitare perdite ai vignaioli.

Il dibattito sulla fiscalità è corretto, ma va affrontato in un contesto più organico e allargato. Meglio sarebbe intervenire, allora, con accordi strutturali sulla scontistica a scaffale, tangibili dal pubblico”.

Fa eco Luigi De Sanctis, vignaiolo Fivi del Lazio: “Avrei consultato dei tributaristi, dei commercialisti, o comunque degli esperti in materia fiscale prima di mettere sul tavolo dei ministri Bellanova e Gualtieri una proposta di riduzione dell’aliquota Iva sul vino, in un momento così delicato per il nostro Paese”.

Con questa proposta non si risolve nulla, anzi ci si perde su un argomento molto scivoloso. Sarebbe stato meglio continuare a insistere sul problema dello stoccaggio: chi produce vini di qualità sa quanto il tempo sia utile per i corretti affinamenti e quanto invece deleteria l’ipotesi della distillazione.

La mancanza di spazi invoglia a vendere il vino prima del necessario. Con l’Horeca ferma, le annate rischiano di sommarsi in cantina e un aiuto dal Governo su questo fronte sarebbe davvero auspicabile”.

Anche la vignaiola siciliana Marilena Barbera esprime diverse perplessità sulla lettera di Fivi: “L’iniziativa è lodevolissima – commenta – perché mira a favorire la ripresa dei consumi e dell’Horeca, ma non si può dire altrettanto delle argomentazioni. Con la riduzione dell’aliquota al 10%, i vignaioli si troverebbero a perdere anzi dei soldi, senza benefici reali né per loro né per il resto della filiera, compreso il consumatore”.

In un momento in cui l’Italia fa appello al Mes perché non ha più soldi per pagare la cassa integrazione e le Regioni non hanno abbastanza liquidità per comprare le mascherine utili a contrastare Coronavirus, come si può ipotizzare una riduzione del prelievo fiscale?

Mettere mano oggi al meccanismo, comporterebbe conseguenze gravissime sull’Iva complessiva percepita dallo Stato alla fine del processo produttivo, ovvero al momento del consumo”.

“Il destinatario dell’abbassamento dell’aliquota – aggiunge Marilena Barbera – è il ristoratore e l’enotecario: la proposta non prevede alcun beneficio per il cliente finale, che si troverebbe a pagare la stessa Iva prevista oggi sui suoi acquisti, sia in enoteca, sia al ristorante. Molto più sensato proporre degli sconti agli operatori per organizzare assieme eventi e degustazioni, anche se questo non risolve del tutto i problemi”.

Una proposta simile è stata annunciata ieri da Regione Lombardia, che si prepara a mettere sul piatto un bando da 3 milioni di euro per rilanciare i consumi, dal mese di giugno. Gli operatori Horeca saranno incentivati all’acquisto di vini lombardi, grazie a uno sconto del 10% in cambio dell’allestimento di vetrine che promuovano il vino – e più in generale l’agroalimentare – Made in Lombardia.

Ancora più a nord, è il vignaiolo trentino Francesco De Vigili, una delle voci più giovani e autorevoli del mondo del vino italiano, ad avanzare dubbi sulla lettera di Fivi. “Si tratta di una ipotesi che non condivido e che, nel merito, non ha alcun senso: pare quasi una boutade“, chiosa dalla capitale del Teroldego, Mezzolombardo (TN).

“La riduzione dell’Iva dal 22% al 10% – precisa De Vigili – toglierebbe liquidità alle cantine in un momento già di per sé critico, per via del lockdown dell’Horeca. Sarebbe più utile l’esenzione dell’Iva sugli acquisiti dei beni”.

Tra le perplessità, anche quelle di Walter Massa: “Per quanto riguarda la mia azienda, e le aziende a regime ordinario, l’Iva non è un costo, semplicemente una partita di giro. Per le aziende a regime speciale è una fonte speculativa, voluta da certe centrali di potere per umiliare l’agricoltore e l’agricoltura italiana“.

Il vignaiolo di Monleale aggiunge: “Per la ristorazione compra al 22% ed emette ricevute fiscali al 10%, ognuno può trarre le sue considerazioni. Per il consumatore finale più l’aliquota è bassa e meglio è. Per lo Stato, con tutto quello che in un momento come questo c’è da fare , sostenere, meno so cambia e più introiti si possono avere è meglio è. Per le associazioni che vanno chiedendo questo, spero si siano appoggiate ad un pool di grandi economisti e fiscalisti, oppure è meglio che si affidino ai servizi sociali, non occuparsi di cose sociali”.

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Aliquota Iva sul vino al 10% al posto del 22%: la proposta di Fivi a Bellanova e Gualtieri

Abbassare l’aliquota Iva sul vino dal 22 al 10%, passando dall’ordinaria all’agevolata almeno per i prossimi tre anni e mezzo. È la proposta avanzata da Fivi “per favorire l’acquisto di vino e per sostenere il settore vitivinicolo” alle prese con le conseguenze del lockdown da Coronavirus. La lettera firmata dalla Federazione vignaioli indipendenti è da qualche giorno sul tavolo dei ministri Teresa Bellanova e Roberto Gualtieri, titolari dei dicasteri alle Politiche Agricole e all’Economia e Finanze.

L’aliquota Iva agevolata al 10% dovrebbe essere garantita dallo Stato fino al 31 dicembre 2023, se non oltre. Nella missiva, Fivi chiede inoltre di introdurre la possibilità di emissione della fattura solo all’incasso e il posticipo del versamento Iva delle fatture già emesse da marzo.

“Il primo comma dell’articolo 6 del DPR 633/72 – spiega la Federazione in una nota – prevede infatti che le cessioni di beni mobili si considerano effettuate nel momento della loro consegna o spedizione”.

Alla luce della situazione che ha portato alla sospensione di tutte le attività di somministrazione, tenuto conto che la loro ripresa ed il loro ritorno a livelli economici pre-pandemia saranno incerti, difficoltosi e lunghi, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti ha chiesto ai Ministri che, fino al 31/12/2023, l’Iva relativa alle vendite di vino all’Horeca sia esigibile solo al momento dell’incasso delle fatture e non al momento della consegna o della spedizione”.

Di conseguenza, la richiesta contenuta nella lettera ai ministri Bellanova e Gualtieri è che “anche la fattura sia emessa solo dopo aver incassato il corrispettivo dovuto”. Una posizione che, per certi versi, avvicina Fivi alle “Linee guida per il mercato e la rete di agenti” dettate a metà aprile da Club Excellence, la cooperativa che raggruppa alcuni tra i maggiori distributori e importatori di vino del Bel paese.

Nel documento viene infatti sottolineato che la consegna degli ordini di vino in conto vendita è da evitare, in quanto “pratica non corretta, volta a far prevalere logiche più propriamente finanziarie e di elusione fiscale“.

Per le vendite già effettuate da marzo in avanti e per le quali è già stata emessa la relativa fattura di vendita, i vignaioli indipendenti Fivi richiedono di poter considerare l’Iva “in sospeso”, come avviene per le cessione alla Pubblica Amministrazione, “esigibile soltanto all’atto dell’incasso della stessa, precedentemente emessa”.

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Ristoranti del Buon Ricordo: “Riaprire per chi?”. L’appello alle istituzioni

“Aprite l’Italia. Torniamo alla libera circolazione, al turismo. Regaliamo positività agli italiani. Abbiate fiducia di noi imprenditori. Tutto il mondo ci invidia. Se davvero ci sarà da dover continuare a lottare con questo virus, lo faremo ma con il sorriso. Il clima di paura che tutte queste limitazioni instaurano non porterà a nulla di buono”. È l’appello rivolto alle istituzioni dall’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, a quasi due mesi dal primo grido d’allarme per il lockdown dovuto a Covid-19.

“Noi non siamo per le proteste eclatanti – continua l’associazione in una lettera inviata agli organi si stampa – ma il settore è davvero con i nervi tesi. I tempi sono scaduti: ci stiamo giocando l’intera ristorazione italiana”.

“Il nostro Mondo – spiegano i ristoratori – ancora si interroga e vaga senza certezze. La cassa integrazione per i nostri dipendenti, mentre scriviamo, ancora non si è monetizzata. Il palleggio di decisioni tra governo centrale e regioni ha portato, last minute, a dare la possibilità di aprire le nostre attività per oggi lunedì 18 maggio. Peccato che il Dpcm e le varie Ordinanze regionali contenenti il famoso protocollo con le regole da seguire sia arrivato solo qualche ora prima. Una barzelletta!”

Il 18 maggio la ristorazione italiana è invitata ad riaprire di corsa, rischiando di non riuscire a essere pronta dal punto di vista della sicurezza sanitaria, senza aver visto monetizzarsi praticamente ancora nessun aiuto economico, con pesanti dubbi legati al rinnovo delle 9 settimane di cassa integrazione, con la scure della responsabilità penale sulla testa e con norme regolamentari che, unite al clima negativo diffuso, porteranno ad un calo di fatturato previsto attorno all’80%”.

“Noi dell’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, che da 56 anni difendiamo la cucina della tradizione e che abbiamo sempre avuto come focus il turismo enogastronomico – continua la missiva – non possiamo tradire la nostra storia. Tutti quanti vorremmo aprire. I nostri associati fremono ma sono combattuti. Tutti quanti sappiamo che sarà impossibile fare profitto. Noi siamo abituati a saldare fornitori e dipendenti. Non possiamo rinnegare il nostro passato”.

Non ci sono le condizioni. Alcuni di noi apriranno lo stesso nei prossimi giorni per assicurare un servizio di ristorazione, necessario in alcune zone, ma come Unione Ristoranti del Buon Ricordo, al momento, non siamo messi nelle condizioni di svolgere la nostra missione legata al Turismo Enogastronomico. Confini regionali ed europei sono chiusi. In tantissimi aspetteremo quindi tempi migliori”.

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Fase 2, Assoenologi scrive al premier Conte: “Riaprire subito ristoranti ed enoteche”

Nel giorno in cui il premier Giuseppe Conte sostiene di “non essere pentito delle scelte adottate per la Fase 2“, aggiungendo “rifarei tutto”, Assoenologi indirizza una lettera alla presidenza del Consiglio, per chiedere la riapertura di ristoranti ed enoteche. Una necessità già espressa da Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, a poche ore dalle nuove misure decise dal Governo italiano.

“Il prolungamento della chiusura delle attività ristorative almeno fino al prossimo 1° giugno – si legge sulla lettera firmata dal presidente Riccardo Cotarella – rischia, ad avviso mio e dei soci che rappresento, di mettere in seria difficoltà non solo gli imprenditori di settore, ma anche il comparto enologico nazionale”.

Molte delle cantine presenti sul territorio del nostro amato Paese sono fortemente legate alle attività di ristoranti, enoteche e locali tipici che tanto caratterizzano il commercio, il turismo e la vita sociale dal Nord al Sud dell’Italia.

Comprendo che la situazione che Lei e il Suo Governo siete chiamati a fronteggiare e gestire non sia semplice, ma il timore, di fronte a queste misure, è di vedere scomparire un pezzo di Italia che fino a due mesi fa ha lavorato e investito per mandare avanti le proprie aziende”.

“Non voglio e non vogliamo come Associazione entrare nel merito scientifico delle scelte fin qui assunte – prosegue la lettera – perché non abbiamo alcun titolo per farlo, ma questo non ci esime all’esprimerle tutto il nostro timore. L’appello che Assoenologi le rivolge, è di aprire una eventuale nuova riflessione così da agevolare il ritorno alla piena attività della ristorazione, seppur con tutte le dovute e necessarie misure anti-contagio”.

La lettera inviata al premier Giuseppe Conte è simbolicamente firmata da tutta l’associazione Assoenologi, che conta più di 5 mila professionisti dai quali dipende in gran parte il livello qualitativo dei vini prodotti dalle oltre 300 mila aziende vitivinicole italiane.

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Covid-19, annullata Sicilia en Primeur 2020: appuntamento su Facebook a maggio

Assovini Sicilia, l’Associazione che riunisce 90 cantine siciliane, ha deciso di annullare l’edizione 2020 di Sicilia en Primeur. Dando appuntamento al 2021, in linea con le scelte di Veronafiere per Vinitaly 2020 e Messe Düsseldorf per Prowein 2020. Sicilia en Primeur, manifestazione promossa da ormai 17 anni da Assovini Sicilia, riunisce sull’isola, nel mese di maggio, circa 100 giornalisti provenienti da tutto il mondo.

Il coinvolgimento della stampa per la presentazione delle nuove annate dei vini siciliani, con i ragguagli sull’andamento della vendemmia 2019 in Sicilia, avverrà “virtualmente”.

L’organizzazione ha infatti pensato a una diretta Facebook prevista nei giorni di martedì 12 maggio 2020, alle ore 16.00 per i professionisti residenti in Italia, in Europa e negli Usa. Appuntamento per mercoledì 13 maggio 2020, alle ore 9.00, per Asia e India.

Così Alessio Planeta, in una lettera inviata ai giornalisti che avrebbero dovuto partecipare a Sicilia en Primeur 2020:

Carissimi amici vicini e lontani, ci auguriamo di cuore che voi e i vostri cari siate bene e in salute. In questo momento particolarmente difficile per tutti noi, ci siamo interrogati a lungo sulla possibilità di svolgere – come ogni anno- l’edizione 2020 di Sicilia en Primeur e insieme al Consiglio di Amministrazione siamo arrivati all’unanime conclusione che ad oggi le priorità siano ben altre.

La situazione che stiamo vivendo, seppure in costane evoluzione, non offre le condizioni ideali per svolgere serenamente una manifestazione che è prima di tutto un momento di socialità e condivisione. L’edizione 2020 verrà quindi riproposta nel 2021 quando, all’interno della kermesse, verrà dato spazio alla degustazione sia dell’annata 2019 che della 2020.

Ma la Sicilia del vino ha tanto da raccontare e per questo motivo non vogliamo fermarci ma trovare nuovi modi di comunicare che ci consentano di condividere, anche a distanza, tutte le informazioni riguardanti la vendemmia 2019 che riteniamo possano essere per voi un’importante chiave di lettura del nostro territorio.

Per questo motivo abbiamo pensato di coinvolgervi in una diretta Facebook che, per consentire a chi ci segue dalle varie parti del mondo, sarà organizzata in un doppio appuntamento nei giorni di martedì 12 maggio ore 16.00 per Italia/EU e USA e mercoledì 13 maggio ore 09.00 per ASIA – INDIA.

Durante la diretta, oltre a portarvi i saluti miei e di tutta l’Associazione, condivideremo con voi l’analisi elaborata grazie alla collaborazione di Mattia Filippi, enologo e consulente fondatore di Uva Sapiens, relativa all’andamento vendemmiale 2019 e risponderemo alle domande dei giornalisti partecipanti.

Nella speranza di vedere una partecipazione “virtuale” numerosa, vi salutiamo con l’augurio di rivederci il prossimo anno per degustare insieme due annate, con tante novità e nuove storie da raccontare.

Alessio Pleneta, presidente Assovini Sicilia

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Covid-19, lettera di Fivi al Ministero: 12 richieste per aiutare le aziende in difficoltà

Dodici richieste alla ministra Teresa Bellanova per aiutare le aziende in difficoltà a causa dell’emergenza Covid-19 sul fronte fiscale, retributivo e lavorativo. L’iniziativa è della Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, che ha scritto alla titolare del Ministero delle Politiche Agricole.

Una missiva di cui è stata data notizia alla stampa, da parte di Fivi, proprio nel giorno in cui la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il Decreto del Ministero Politiche Agricole relativo alle “proroghe e semplificazioni nell’attuazione dei relativi programmi per consentire alle aziende di realizzare gli investimenti e le attività già programmate, fronteggiando in questo modo l’emergenza in atto”. Al centro dei provvedimenti Ocm vino, ortofrutta, olio, zootecnia, apicoltura.

“E’ un impegno preso con imprese, associazioni e Regioni che manteniamo – commenta la ministra Teresa Bellanova, mettendo al riparo in questo modo i progetti messi in campo e il futuro stesso delle aziende, e avendo ben presenti le esigenze di necessaria flessibilità nell’attuazione degli investimenti legate a questo particolare momento. In questo modo ogni impresa avrà più tempo a disposizione su domande, rendicontazioni, realizzazione delle attività”.

“Nella certezza che, una volta terminata l’emergenza, quanto previsto potrà comunque essere realizzato con i risultati attesi e anche in questo modo le aziende di queste importanti filiere avranno una importante carta in più per il rilancio”, conclude la ministra Teresa Bellanova.

“Il delicato momento che stiamo vivendo – sottolinea Matilde Poggi, Presidente FIVI – richiede una risposta da parte del Governo immediata e forte. Noi vignaioli ci impegneremo come sempre, ancor di più se possibile, per fare la nostra parte, ma abbiamo bisogno che da parte delle istituzioni ci sia tutta la flessibilità e la sensibilità che la situazione richiede”.

La Federazione esprime “forte preoccupazione per la manodopera, fondamentale soprattutto nel corso della vendemmia”. Come denunciato da Coldiretti, la forza lavoro rischia di scarseggiare in tutta Europa, a causa delle limitate possibilità di spostamento delle persone.

Fivi in questo caso chiede una semplificazione gestionale dei voucher in agricoltura. Nei giorni scorsi, la Commissione Ue si è espressa a favore di “corridoi verdi” per l’agricoltura.

Le 12 richieste, in particolare, riguardano la proroga di 12 mesi della scadenza delle autorizzazioni per nuovi impianti e reimpianti scadenti nel 2020, nonché quella di i termini di rendicontazione della misura Ocm vino, Psr e Piani di riconversione e ristrutturazione vigneti.

Fivi chiede poi l’annullamento delle sanzioni previste per le aziende che non siano riuscite a concludere e a rendicontare i progetti Ocm promozione; la sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali agricoli per 12 mesi, unitamente a quelli dei versamenti di imposte, Inps ed Enpaia per i dipendenti delle aziende agricole.

Altre richieste della Federazione Vignaioli Indipendenti sono la concessione di prestiti di conduzione o finanziamenti bancari a lungo termine con annullamento del tasso di interesse, nonché l’annullamento della reintroduzione della tassa Imu sui fabbricati strumentali agricoli.

Fondamentale, per Fivi, l’aumento del limite delle bottiglie acquistabili da privati all’interno delle Ue, con la possibilità di vendere direttamente a privati in Europa, senza transitare da deposito fiscale.

Il tutto nell’ambito di una “fiscalità agevolata per il settore Horeca, per l’acquisto del vino italiano”, e un “differimento del versamento dell’Iva al momento dell’incasso della fattura”.

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Covid-19, appello dei Ristoranti del Buon Ricordo: “Tempo scaduto, sarà un disastro”

“I tempi sono scaduti! Se davvero i nostri locali dovranno rimanere chiusi per un altro mese in queste condizioni, sarà un disastro assoluto. Tanti di noi non riapriranno. Una volta tanto, sarebbe stato importante anticipare il problema, non rincorrerlo!”. Così, in una lettera inviata agli organi di stampa, i 103 ristoratori che fanno parte de L’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, associazione che dal 1964 assicura “un viaggio tra i sapori e i colori della cucina italiana”. Un altro segnale preoccupante da un settore, quello della ristorazione, in ginocchio per via del lockdown dei decreti legati a Covid-19.

“Noi siamo da 56 anni ottimisti, vogliamo bene alla nostra Italia”, scrivono i ristoratori, divenuti celebri per l’omaggio dei piatti del Buon Ricordo a chi gusta il Menu del Buon Ricordo. “Faremo di tutto per non mollare. Ma da soli non possiamo farcela. Lo abbiamo detto in tempi ancora non così drammatici, ma nulla si è mosso”.

Il nostro è un grido d’allarme – si legge sulla lettera – che accomuna tutta la Ristorazione Italiana. Il Buon Ricordo grazie alla sua storia pensa di poter rappresentare le migliaia di colleghi sparsi per la penisola. Dateci un minimo di energia. Poi toccherà a noi di rimboccarci le maniche! W l’Italia, W la grande Ristorazione Italiana!”

All’inizio della lettera, i ristoratori del “Buon Ricordo” ripercorrono le tappe dell’emergenza Coronavirus. “Dal quel terribile 22 febbraio 2020 sono oramai trascorsi 38 giorni. Per tantissimi di noi ristoratori da quel momento gli incassi si sono azzerati. La paura ha iniziato a serpeggiare tra i clienti e gli eventi in programma sono stati tutti annullati. Subito abbiamo dovuto mettere il personale in ferie”.

Prima ci è stato ordinato di chiudere alla sera, poi di chiudere definitivamente quando oramai quasi tutti eravamo ovviamente già chiusi. Da allora sono passati giorni e settimane lunghissime. Tutto il Buon Ricordo, al pari dei colleghi della ristorazione italiana, ha aspettato aiuti rapidi e incisivi. Ancora nulla, eccetto una minima dilazione di pagamento delle tasse e contributi”.

“La cassa integrazione per i nostri dipendenti – precisano i ristoratori del Buon Ricordo – sta arrivando in queste ore. Nessun aiuto diretto da parte dello Stato a livello economico. I nostri colleghi all’estero ci fanno sapere di misure ‘importanti’ prese da governi come la Germania, la Francia, l’Ungheria. Per la ristorazione italiana, così come per la piccola e media impresa, quasi il nulla”.

Nel frattempo si moltiplicano in Italia le iniziative in sostegno della ristorazione. WineMag.it ha sposato quella, senza fini di lucro, nata dall’idea di un gruppo di giovani della provincia di Salerno. Il progetto, denominato Cucina Continua, mette in connessione i ristoratori con i clienti, sul modello dei Dining Bond in voga negli States.

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Lettera aperta di un sognatore

In questo periodo difficile per tutti, noi di WineMag.it e Vinialsuper.it abbiamo scelto di confermare in maniera ancora più ferrea la nostra linea di rispetto assoluto nei confronti dei lettori, che si manifesta da sempre nella netta differenziazione tra pubblicità e informazione.

Riteniamo questo punto fondamentale per dare il nostro contributo a un settore, quello della stampa enogastronomica, che soffre di una crisi di autorevolezza e credibilità – al di là della congiuntura economica – proprio a causa del progressivo svilimento etico e deontologico, che genera inaccettabili commistioni tra pubblicità e giornalismo.

Tutti lo sanno, nessuno ne parla: ebbene, abbiamo deciso di rompere il ghiaccio, costi quel che costi, sperando di essere seguiti da altri e di non rimanere soli con le spalle al muro, come spesso capita in Italia a chi alza la mano per primo. In ogni caso, è un rischio che deve assumersi chi ha a cuore l’informazione prima del portafogli.

Non intendiamo dunque partecipare ad alcun “tasting online”, “Splashmob”, “degustazione virtuale” proposta dagli uffici stampa in questi giorni alle nostre testate. Crediamo che qualsiasi cantina che intenda parlare, attraverso i nostri canali, con i nostri lettori, debba consentirci di veicolare correttamente tali attività codificandole come “pubblicità”, al posto di mascherarle da “informazione”.

Non sappiamo come arrivino a fine mese molti colleghi. Di certo, noi di WineMag.it e Vinialsuper.it non siamo in grado di vivere grazie ai campioni gratuiti che le aziende (generosamente) sono abituate ad elargire a testate e blog vari, grazie alla mediazione di uffici stampa lautamente retribuiti.

Intendiamo dunque interrompere il cordone ombelicale, consci che questa scelta ci costerà ulteriori problemi in un settore che vive di ripicche e vendette trasversali, specie nei confronti di chi non cede al paradigma del “do ut des”. Cordiali saluti

Davide Bortone, direttore responsabile WineMag.it -Vinialsuper.it

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Coronavirus, la filiera del vino italiano chiede un “piano strategico nazionale e Ue”

Per il mondo del vino italiano è necessario prevedere un “Piano Strategico di sostegno all’export vitivinicolo nazionale articolato su missioni di settore, piani di comunicazione integrata sui mercati internazionali più ricettivi” e “misure straordinarie promozionali e di sostegno alla domanda di vino sia per il mercato estero che interno, da strutturare con testimonial, opinion leader e ‘ambasciatori’ a livello nazionale ed internazionale, oltre che iniziative volte a garantire liquidità alle imprese e snellimento burocratico”.

Queste le richieste contenute nella lettera indirizzata alla Ministra delle politiche agricole, alimentari e forestali Teresa Bellanova, dalla filiera del vino italiano, che riunisce le principali organizzazioni del settore Confagricoltura, CIA, Copagri, Alleanza delle Cooperative Italiane, Unione italiana Vini, Federvini, Federdoc e Assoenologi.

Nero su bianco le difficoltà che il mondo vitivinicolo sta vivendo in relazione alla “grave crisi determinata dalla diffusione di Coronavirus”. Avanzate appunto al Governo alcune “proposte per mitigare i danni subiti dal comparto”.

In vista del prossimo Consiglio dei Ministri dell’agricoltura a Bruxelles, le proposte si muovono, con la richiesta di elaborare una strategia comune di sostegno straordinario al comparto agroalimentare insieme agli altri partner europei.

Per il settore vitivinicolo, secondo la filiera, “si deve partire con una forte iniezione di flessibilità nelle misure già esistenti, tra cui il sistema delle autorizzazioni per gli impianti viticoli, la ristrutturazione dei vigneti, investimenti e promozione per liberare risorse a favore del settore in modo che possa dare, anche in questo momento di difficoltà, un contributo per il sostegno ed il rilancio dell’economia nazionale”.

A livello nazionale la filiera ha avanzato alla Ministra Bellanova la convocazione del tavolo vino perché operi come “cabina di regia del settore per le iniziative urgenti di supporto”.

Il perdurare dell’emergenza Coronavirus Covid-19 in Italia e la sua diffusione a livello globale “determina una situazione di rilevante difficoltà per l’inevitabile contrazione dei consumi, per la chiusura dei pubblici esercizi, per la sempre più complessa logistica che rallenta qualsiasi tipo di pianificazione delle attività, anche di promozione sui mercati internazionali”, fa notare la filiera del vino italiano alla ministra Bellanova.

A ciò si aggiunge la mancata ricezione negli alberghi, agriturismi e nella ristorazione, che ha sottratto un naturale sbocco per le produzioni nazionali, nonché un validissimo supporto promozionale dei vini italiani verso gli acquirenti nazionali e stranieri”.

“Il perdurare dell’emergenza Covid-19 in Italia e la crescente diffusione a livello globale dell’epidemia – concludono le maggiori associazioni di rappresentanza del sistema vino italiano – rischia di creare quindi un eccesso di giacenza di prodotti in cantina a ridosso della prossima campagna vendemmiale e rende particolarmente incerto il contesto, rallentando qualsiasi tipo di pianificazione delle azioni di promozione nei mercati internazionali”.

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Coldiretti: “Vinitaly 2020 strategico, può segnare la riscossa del vino italiano”

Al centro di accese polemiche tra i produttori, Veronafiere trova un alleato in Coldiretti per la conferma di Vinitaly 2020. Per la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza degli agricoltori italiani, l’evento di Verona “può segnare il momento della riscossa del Made in Italy nel mondo, una volta superata l’emergenza Coronavirus, dopo il record storico fatto segnare dalle esportazioni di vino che hanno raggiunto i 6,43 miliardi nel 2019″.

Coldiretti esprime “apprezzamento per la volontà di Veronafiere di mantenere l’appuntamento del Vinitaly al 14-17 giugno”. “Un segnale di ottimismo per il settore – continua l’associazione – che è un importante elemento di traino per l’intero Made in Italy”. Proprio nei giorni scorsi la lettera con la quale il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, chiede fiducia al settore.

Quella di Vinitaly – ricorda Mantovani – non è una leadership di cassa, ma di mercato, di progetti, di comunanza d’intenti, con un’imprenditoria vivace ed intraprendente, portabandiera del Made in Italy, con la quale abbiamo il privilegio di dialogare da 54 anni. Non vogliamo che questo filo si interrompa, e con noi non lo vuole il sistema promozionale italiano”.

“Il vino nel 2019 si classifica come il prodotto agroalimentare più esportato nel mondo – chiosa Coldiretti – con un aumento del 3,1%. Bisogna ricostruire un clima di fiducia nei confronti del marchio Made in Italy, che rappresenta nell’alimentare una eccellenza riconosciuta sul piano qualitativo a livello comunitario ed internazionale”.

Proprio in questo quadro, sempre secondo Coldiretti, sarebbe importante confermare Vinitaly 2020, “appuntamento fieristico dell’agroalimentare italiano più atteso e partecipato da istituzioni, stakeholder e operatori di mercato”.

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Vinitaly, lettera di Mantovani (Veronafiere) agli espositori: “Attendiamo insieme”

Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, ha indirizzato quest’oggi, 11 marzo 2020, una lunga lettera a tutti gli espositori di Vinitaly 2020, utilizzando la newsletter dell’ente fieristico veronese. La preghiera, in estrema sintesi, è quella di “attendere gli sviluppi” dell’emergenza Coronavirus (Covid-19) sino al 3 aprile.

“Prima di Pasqua – scrive Mantovani – verificheremo le condizioni generali di svolgimento della manifestazione, con l’obiettivo concreto e prioritario di salvaguardare e mettere a frutto gli investimenti di tutte le Aziende espositrici. Ti ringrazio sin d’ora della disponibilità, dell’attenzione e della fiducia”.

Veronafiere attende dunque la fine del mese di marzo per prendere una decisione ufficiale su Vinitaly 2020, rimandato al 14-17 giugno. Di seguito riportiamo l’intera lettera di Giovanni Mantovani, inviata proprio nel giorno in cui l’ente fieristico di Verona ha dovuto incassare la richiesta di Fivi di rimandare Vinitaly al 2021.

Caro Espositore di Vinitaly, stiamo vivendo, non solo in Italia, ma a livello globale, una situazione di pericolo e di incertezza che nessuno di noi avrebbe mai immaginato di dover vivere. Il nostro mondo fatto di incontri, di viaggi, di relazioni è oggi “congelato”: la parola d’ordine è “stop alla mobilità fisica” e improvvisamente ci rendiamo conto di quanto sia difficile e faticoso (e innaturale..) vivere fermi.

I calendari delle fiere, in tutto il mondo, stanno subendo drastici stravolgimenti, con cancellazioni e spostamenti di data: anche Vinitaly ha seguito lo stesso inevitabile percorso, riposizionandosi nel mese di giugno.

I cambiamenti repentini di scenario, il bombardamento di informazioni, anche contrastanti, che riceviamo quotidianamente, la nostra natura di imprenditori che ci spinge comunque a pianificare e programmare, corrono davvero il rischio di farci perdere la bussola: non si può vivere alla giornata, ma non si possono neanche cambiare i piani ad ogni flash di agenzia.

C’è un termine che aiuta tutti, ed è quello del 3 aprile indicato dall’ultimo Decreto del Governo: in questo lasso di tempo è chiesto a tutti noi di adoperarci per il contenimento della diffusione del virus.

Per questo insieme di motivi, di concerto con i principali attori del nostro settore e con le Istituzioni preposte, stiamo tenendo ferma la data del 14-17 giugno per Vinitaly e procediamo con le attività organizzative, anche di tipo straordinario, che stiamo mettendo in piedi per garantire la massima efficacia possibile alla manifestazione.

Vorremmo rendere ancora più chiaro un concetto: Vinitaly è la nostra manifestazione più significativa e più importante; lo è non tanto in termini economici, ma in quanto promuove, rappresenta ed in alcuni ambiti guida da decenni il settore enologico italiano nel mondo.

Non è una leadership di cassa: è una leadership di mercato, di progetti, di comunanza d’intenti con un’imprenditoria vivace ed intraprendente, portabandiera del Made in Italy, con la quale abbiamo il privilegio di dialogare da 54 anni. Non vogliamo che questo filo si interrompa, e con noi non lo vuole il sistema promozionale italiano.

Veronafiere Spa ha varato un piano industriale ambizioso, ha ottenuto un aumento di capitale importante, sta investendo in infrastrutture fisiche e digitali, in progetti di internazionalizzazione anche societari: abbiamo le spalle solide per sostenere investimenti davvero importanti anche per il Vinitaly.

Noi stiamo lavorando al massimo delle nostre capacità per garantirti un’edizione in linea con gli standard già conquistati, in grado di soddisfare le tue aspettative, con molte aree di innovazione e con un forte impegno sul fronte del business.

Un’attività, questa, svolta in piena condivisione e collaborazione con il sistema promozionale nazionale. Stiamo lavorando ad un Vinitaly “straordinario” in un tempo “straordinario”.

Se le cose andranno come tutti speriamo, il mese di giugno, con la concomitanza di altri importanti eventi italiani di caratura internazionale, sarà il momento in cui i riflettori si riaccenderanno sul nostro Paese, e noi ci saremo, insieme a te.

Attendiamo dunque gli sviluppi sino al 3 aprile e, prima di Pasqua, verificheremo con te e tutti gli espositori le condizioni generali di svolgimento della manifestazione con l’obiettivo concreto e prioritario di salvaguardare e mettere a frutto gli investimenti di tutte le Aziende espositrici. Ti ringrazio sin d’ora della disponibilità, dell’attenzione e della fiducia”.

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Coronavirus: 112 ristoranti ed enoteche di Milano e Pavia vogliono chiudere

Chiudere del tutto gli esercizi di somministrazione”, senza distinzioni: “Meglio un periodo di contenimento più severo, ma più limitato nel tempo”. Poi, un fondo d’emergenza per le imprese in difficoltà; cassa integrazione in deroga per i prossimi tre mesi per i dipendenti del settore; sospensione delle tasse per i prossimi 3 mesi, compresi quelli comunali, come il Cosap; infine, moratoria per il credito bancario e sospensione delle bollette.

Sono le richieste avanzate dai titolari di 112 esercizi di Milano e Pavia che si riconoscono nel Comitato Ristoratori Responsabili, in risposta alle disposizioni previste dal DPCM 8 Marzo 2020 per contenere l’epidemia Coronavirus Covid-19.

Destinatari della lettera aperta, della “massima urgenza”, sono il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Regione Lombardia, il Ministro della Salute e il Sindaco della Città Metropolitana di Milano.

“Ci rendiamo tutti conto della gravità della situazione – scrivono i ristoratori – e siamo pronti a fare i sacrifici necessari, laddove siano dettati da logiche opportunità. La decisione di consentire l’apertura dei bar e ristoranti pone tuttavia delle grandi perplessità”.

Per la natura del servizio offerto da esercizi di somministrazione la richiesta di mantenere il metro di distanza interpersonale è praticamente impossibile da far rispettare. La promiscuità è ineliminabile tra personale di servizio e cliente e tra i clienti stessi anche nel caso si dispongano di tavoli delle misure adeguate”.

“Lasciare i gestori delle attività come baluardo di prevenzione del contagio che impongono la suddetta distanza a rischio di sanzione – continua il Comitato Ristoratori Responsabili – è un provvedimento che facciamo fatica a condividere”.

La maggior parte di questi esercizi opera nelle ore serali. Lasciare la possibilità di tenere aperto fino alle 18 crea una disparità significativa tra esercizi che lavorano durante il giorno e altri che lavorano prevalentemente la sera”.

“Mantenere gli esercizi aperti e raccomandare alla popolazione di non muoversi da casa propria equivale a condannare tali esercizi al fallimento. Non si contempla la possibilità di poter effettuare il delivery anche oltre le ore 18, misura questa che potrebbe almeno mitigare l’effetto crisi per alcune tipologie di attività”.

In sintesi, “nel miglior scenario possibile, l’inevitabile crollo degli incassi porterebbe alla chiusura e al licenziamento di molti addetti”, ammoniscono i titolari dei 112 esercizi di Milano e Pavia.

“Ci chiediamo pertanto – continua la lettera – se abbia senso chiudere tutto tranne i ristoranti e i bar. Se il fine ultimo è quello di evitare la socialità tout court, per quale motivo si vuole lasciare la possibilità di contatto e contagio in luoghi dove è intrinsecamente più difficile regolamentarla? Paradossalmente musei e cinema che devono rimanere chiusi hanno più possibilità di far rispettare le distanze regolamentando gli accessi”.

Siamo preoccupati come cittadini circa l’effettiva efficacia di misure prese a metà e come imprenditori della sopravvivenza delle nostre aziende. Chiediamo di essere ascoltati quanto prima e di lavorare insieme per trovare una soluzione più intelligente possibile”.

“Non affrontare questi nodi – aggiunge il Comitato Ristoratori Responsabili – porterebbe a una situazione di completa incertezza e probabili effetti negativi anche sul contenimento del contagio e una quasi certa emorragia di imprese che o licenziano in massa o soccombono senza poter più contribuire”.

Il mondo ci sta guardando –  concludono i ristoratori – cogliamo l’occasione per dimostrare a tutti che sappiamo rispettare le regole ed essere responsabili per la comunità. Non vorremmo in un futuro essere additati come coloro che hanno sacrificato il bene pubblico per il proprio orticello”.

Di seguito l’elenco delle attività commerciali che hanno firmato la lettera aperta: Peck, Milano; Trippa, Milano; Ratanà, Milano; Princi, Milano; Il Liberty, Milano; Røst, Milano; Spazio, Milano; Poporoya, Milano; Al Pont de Ferr, Milano; Ca-ri-co Milano; Dabass, Milano; Il Nemico, Milano; Infernot, Pavia; Cascina Vittoria, Pavia;  Vineria Eretica, Milano; Mestè, Milano; Antica Osteria del Mare, Milano; Onest, Milano; Botticella, Pavia; Bicerin, Milano.

E ancora: Fingers, Milano; Pastamadre, Milano; Kanpai, Milano; Bar Banco, Bar Elettrocadore, Milano; Nebbia, Milano; Wood Banco e Cucina, Milano; Deus Cafè, Milano; Shannara3, Milano; Shannara Ristorante, Milano; Taglio, Milano; Burbee Artisanal Burger&Beer, Milano; Loolapaloosa, Milano; Besame Mucho, Milano; Gialle&Co, Milano; Neta, Milano; Il Cavallante, Milano; Cibi di Strada, Pavia; Mandarin 2, Milano; Ciotto, Milano; *drinc, Milano.

La lista prosegue con Tàscaro, Milano; Ciz Cantina e Cucina, Milano; Cafè Gorille, Milano; Trattoria del Nuovo Macello, Milano; Tipografia Alimentare, Milano; Erba Brusca, Milano; Antica Osteria dei Sabbioni, Milano; Solo Crudo, Milano; Frigoriferi Milanesi, Milano; The Botanical Club, Milano; Elita Bar, Milano; 142 Restaurant, Milano; Trattoria dei Cacciatori, Peschiera Borromeo; Mu Dimsum, Milano; Gennaro Esposito, Milano; Pizza Bistrot, Milano.

Ancora: Trattoria Mirta, Milano; La Cantina di Franco, Milano; Caffè del Lupo, Milano; Esco Bistro Mediterraneo, Milano; 28 Posti, Milano; Altrimènti, Milano; Motelombroso, Milano; Flor, Milano; Fratelli Torcinelli, Milano; La Brisa, Milano; Trattoria del Gallo, Vigano di Gaggiano; Trattoria Angolo di Casa, Pavia; Dell’Angolo, Vittuone; Da Martino, Milano; Hygge, Milano; Ral Coctail Bar, Milano; Plaza Cafè, Milano; Osteria al Coniglio Bianco, Milano.

Nella lista: Bussarakham, Milano; Bullona, Milano; Vino al Vino, Milano; Upcycle Bike Cafè, Milano; Osteria della Madonna, Pavia; Hu Hancheng, Milano; Kandoo, Milano; Le Api Osteria, Milano; Ristorante Zibo, Milano; Insieme, Milano; Cantine Isola, Milano; La Ravioleria Sarpi, Milano; Manna, Milano; Sushi Kòboo, Milano; Asola e Gerri, Milano; Chinesebox, Milano; Bob, Milano; Aguasancta, Milano; Sine Ristorante Gastrocratico, Milano.

Infine: Nuova Arena, Milano; Torre degli Aquila, Pavia; Trattoria Caselle, Morimondo; Lon Fon, Milano; Osteria Nuovo Convento, Milano; Ta Hua, Milano; Locanda del Carmine, Pavia; Antica Mescita Origini, Pavia; Lacerba, Milano; Vinoir, Milano; Testina, Milano; Valhalla la Brace degli Dei, Milano; Vinyl Pub, Milano; Gelateria Vier Bar, Pavia; La Taverna Anzani, Milano; La Taverna Gourmet, Milano; Muzzi, Milano; Alvolo, Pavia; DistrEat, Milano.

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Dazi Usa sul vino italiano: Unione italiana vini (Uiv) scrive a Sergio Mattarella

In occasione della visita ufficiale a Roma del vicepresidente americano Mike Pence, Uiv, l’organizzazione che rappresenta più dell’80% dell’export di vino italiano, chiede al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di farsi “portavoce delle istanze del settore vitivinicolo in merito al preoccupante scenario in materia di dazi all’esportazione dei prodotti agroalimentari europei”, in particolare sul vino italiano.

È quanto si legge nella lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dal presidente di Unione Italiana Vini Ernesto Abbona, che si è rivolto alla più alta carica dello Stato per invitarlo a farsi portavoce con il numero due della Casa Bianca delle preoccupazioni crescenti del mondo del vino italiano verso l’incombente minaccia americana di applicare i dazi sui nostri vini.

“Uiv – continua la missiva – auspica che possa essere allestito un tavolo negoziale dove UE, Italia e Stati Uniti possano confrontarsi serenamente. Confidando che le proficue relazioni che il nostro Paese ha da sempre mantenuto con gli Stati Uniti siano in grado di agevolare una soluzione immediata e che il settore del vino italiano non sia costretto a pagare a caro prezzo una guerra commerciale che rischierebbe di compromettere l’equilibrio economico e di mettere in forse la sopravvivenza stessa di migliaia di imprese italiane”.

Unione italiana vini ricorda al Presidente Mattarella che “gli imprenditori italiani del vino, in particolar modo negli ultimi vent’anni, hanno raggiunto straordinari traguardi nella valorizzazione delle produzioni enologiche di tutto il territorio nazionale e nella conquista dei mercati internazionali” e che “gli Stati Uniti sono la prima destinazione, in volume e in valore, delle vendite di vino italiano”.

Ernesto Abbona ha voluto anche sottolineare il sostegno già espresso dagli operatori americani, siano questi importatori, distributori o ristoratori e dagli stessi consumatori che, “all’unisono, hanno chiesto di tutelare le relazioni commerciali e i posti di lavoro statunitensi in vista dell’imminente decisione”. Numerosi membri del Congresso americano hanno già accolto le istanze del settore e sono pronti a difenderne gli interessi.

“In questo frangente – si legge infine nella lettera di Uiv – è essenziale il ruolo delle istituzioni europee e nazionali, affinché favoriscano il dialogo ed il confronto con il governo americano. L’imposizione di un dazio anche al 25% rischierebbe di mettere fuori mercato i vini italiani con conseguenze disastrose per le imprese, i viticoltori, i territori”.

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Fivi, lettera a Centinaio per la semplificazione della burocrazia


La Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), nella persona della presidente Matilde Poggi, torna a scrivere al Ministro Gian Marco Centinaio per chiedere che l’amministrazione che raccoglie i dati attraverso il registro telematico condivida le informazioni in suo possesso con gli altri soggetti titolati ad accedervi, così che non debbano essere richieste nuovamente agli imprenditori vitivinicoli.

“Chiediamo che il Ministro – dichiara la presidente Poggi – disponga gli atti necessari affinché i Vignaioli non siano più costretti a inviare più di una volta gli stessi dati a diversi interlocutori, così come previsto dalla bozza del Decreto Registri in nostro possesso. E che questa divenga prassi obbligatoria e omogenea in tutte le regioni. I dati caricati sul Sian devono essere a disposizione di tutte le amministrazioni e di tutti gli enti certificatori”.

I Vignaioli chiedono inoltre che il Ministero vigili perché gli enti certificatori non esigano più la compilazione delle dichiarazioni cartacee oltre a quelle telematiche per la trasmissione dei dati vitivinicoli, trattandosi di fatto di un inutile duplicato.

Sono state diverse infatti le segnalazioni da parte di soci Fivi di amministrazioni ed enti certificatori che richiedono di effettuare ancora in modo cartaceo la dichiarazione di produzione e che quindi di fatto impongono ai Vignaioli un doppio e inutile lavoro. Da ormai un biennio è operativo il sistema telematico dei registri connessi all’attività vitivinicola.

Non è stato un processo di innovazione facile, in un settore frammentato e fortemente tradizionalista che ha opposto resistenza, ma che alla fine si è convertito efficacemente all’innovazione. Oggi tutto il settore vitivinicolo italiano opera fondando la propria attività sulla trasparenza che la registrazione telematica, basata sul SIAN, consente.

FIVI è convinta che “questa richiesta di una duplice compilazione che impone carichi burocratici incomprensibili e costosi per tutte le aziende, non solo per quelle medie piccole che compongono l’associazione, possa minare il rapporto tra Stato e Aziende“. I Vignaioli speravano in una semplificazione e si scontrano invece con un sistema che complica ancora il loro lavoro.

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Sicuri di volere sempre il vino bianco d’annata? La lettera di Fausto De Andreis


ALBENGA –
Incontriamo Fausto De Andreis in una mattinata uggiosa di fine gennaio. Ci accoglie a Le Rocche del Gatto col sorriso di sempre. I capelli spettinati di sempre. Lo sguardo intelligente di sempre. Ma con qualche “tubo in più”.

“Ho fatto il cambio dei tubi, sai?”. Si fa male a pensare a qualche lavoro di ammodernamento della cantina. “Stavo finendo all’altro mondo, mi hanno messo quattro bypass“. Tutto chiaro, adesso.

Fausto, a luglio, è stato operato d’urgenza al cuore, appena in tempo. A pochi giorni dall’intervento era già in “pista”. Come sempre. Tra i suoi vini. E tra i gatti (della moglie).

LA NUOVA ETICHETTA
Dopo gli assaggi dalle vasche delle nuove annate di Vermentino, Pigato e “Spigau”, Fausto De Andreis annuncia la nascita di una nuova creatura.

Una nuova etichetta, con il marchio di fabbrica di sempre: la provocazione. Si chiamerà “…..ntin Crociata”.

I puntini di sospensione nascondo le lettere “v”, “e”, “r”, “m”, “e”, di “Vermentin“. Il nuovo Vermentino anarchico di Fausto De Andreis, che sarà presto messo in commercio.

Si tratta di un vendemmia 2016 dal naso suadente, armato delle consuete durezze (spezie, zenzero candito, buccia di pompelmo). Alcol integrato, nonostante i 15% vol. Chiusura ammandorlata. Un altro capolavoro.

Ma soprattutto un vino che rispetta appieno la filosofia di questo straordinario vignaiolo ligure: produrre vini di impressionante longevità. Altro che bianchi freschi e d’annata, come vorrebbe il mercato.

Non a caso, di lì a poco, dopo aver stappato uno Spigau 1999 in stato di forma eccezionale, mostra la lettera che ha messo sul tavolo di un’osteria della zona. Un vero e proprio manifesto del vino, secondo Fausto De Andreis. Eccola pubblicata integralmente di seguito.


Caro ospite,
la mia cantina produce vino da oltre 60 anni e questa passione ritengo mi permetta di scriverti alcune note sul vino.

E’ ormai prassi talmente comune sedersi a tavola in un locale e chiedere un vino bianco che sia dell’anno prima, da destare stupore e meraviglia quando ti senti proporre un vino bianco più vecchio, tanto che alcuni addirittura storicono il naso credendo di essere imbrogliati da un ristoratore che cerca di “sbolognare” un vino “rimasto lì”.

Nulla di più errato: dovresti sapere alcune cose sulla produzione del voino che sono note solo agli appassionati e totalmente sconosciute alla massa dei “bevitori”.

Sul consumo del vino oggi siamo a degli assurdi, dettati da convenienze di mercato e produttive che soprattutto nei vini bianchi recano danno alla qualità del bere stesso.

Così il vino non è più espressione di un territorio, di una tradizione, del metodo del cantiniere, ma è diventato una bevanda fresca, da bere subito, banale come una bibita.

Grazie a queste convenienze, i vini bianchi sono diventati molto simili, indifferentemente dalla loro varietà, dalle varie località geografiche di produzione e dall’andamento climatico…

L’etica professionale ricevuta in eredità e maturata in decenni di vendemmie mi impedisce di proporre e di realizzare questo tipo di vini, banali e senza carattere.

Trovo scorretto fare le corse per immettere sul mercato ai primi di gennaio il vino vendemmiato pochi mesi prima, per accaparrarsi il maggior numero di clienti, vantandosi di avere il vino nuovo e giovane quando di giovane, quel vino, non ha nulla perché è già vecchio, dal momento che la sua vita ben difficilmente supererà l’anno o due.

Trovo più corretto che i vini siano prodotti nell’ottica di una loro potenziale evoluzione positiva, che possa durare tranquillamente oltre i 10 anni.

I vini della mia cantina che vi sono serviti in questo locale sono stati prodotti in questo modo, ecco perché ad oggi non è stato ancora imbottigliato nessun nostro vino della vendemmia dell’anno scorso, che vedrete su questa tavola solo in autunno.

Se fosse possibile assaggiare assieme il vino dell’anno scorso e quello dei due anni precedenti, molto probabilmente vi rendereste conto che il primo avrebbe bisogno di tempo per raggiungere le qualità degli altri due.

Infine, un piccolo consiglio: per assaporare al meglio la qualità, il vino va bevuto ad una temperatura non inferiore ai 15 gradi, perché il freddo taglia e nasconde mentre un buon vino non ha nulla da nascondere, anzi!!!!!!

Fausto De Andreis, Le Rocche del Gatto


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Dazi sul vino in Sudamerica: lettera Uiv ai Commissari europei

In vista dell’imminente e decisivo ciclo di negoziati dell’accordo di libero scambio Unione Europea – Mercosur, che avrà luogo dal 4 all’8 giugno 2018, Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Vini, ha indirizzato una lettera ai Commissari Europei al Commercio Malmstrom e all’Agricoltura Hogan, al fine di reiterare alcune strategiche priorità per il settore vitivinicolo italiano.

Affari che riguardano il Mercado Común del Sur, ovvero il mercato comune dell’America meridionale. Ne fanno parte in qualità di Stati membri: Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela. Ruolo chiave, tra l’altro, quello del Paese carioca, dove si appresta a sbarcare Vinitaly, con Wine South America.

“Il Mercosur – spiega Ernesto Abbona – rappresenta una priorità per le aziende vinicole italiane, in particolare il Brasile, uno dei mercati cosiddetti ‘emergenti’ più dinamico e promettente in chiave di potenziale aumento di consumi pro capite di vino”.

“In questa fase strategica dei negoziati UE-Mercosur riteniamo indispensabile che, mediante l’approvazione dell’accordo, l’Unione Europea risolva alcune questioni prioritarie per il settore del vitivinicolo, peraltro già rappresentate ai servizi della Commissione Europea dal Comité Vins, alla quale Uiv aderisce”.

Le richieste sono ferme. “Chiediamo in particolare un’eliminazione completa dei dazi sul vino – evidenzia Abbona – fin dall’entrata in vigore del trattato, dando priorità ai vini maggiormente esportati nei Paesi Mercosur, i vini imbottigliati e vini spumanti, che attualmente rappresentano oltre il 90%, in volume e in valore, dei vini importati dal Brasile”.

“Dagli sviluppi degli ultimi cicli di negoziati – continua Abbona – abbiamo appreso che le proposte di concessioni in materia tariffaria per il settore del vino sono estremamente penalizzanti, in quanto il Mercosur propone un’eliminazione delle barriere tariffarie dopo 15 anni dall’entrata in vigore dell’accordo”.

Una proposta che Abbona definisce “inaccettabile”. “Il vino italiano – spiega il presidente Uiv – non trarrebbe alcun beneficio a breve e medio termine dalla conclusione dell’accordo e i vini argentini e cileni continuerebbero a rafforzare le loro quote di mercato in Brasile”.

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