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Lavorare nel settore del vino nel 2025

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All’inizio del 2025, il settore del vino italiano evidenzia una crescente domanda di diverse figure professionali. È quanto emerge dalle offerte di lavoro pubblicate su vari portali specializzati, come Indeed. Lavorare nel mondo del vino nel 2025 non è dunque un sogno impossibile, ma richiede alcune competenze. Ecco la situazione aggiornata, sulla base dell’analisi di oltre 100 posizioni aperte.

LAVORO NEL SETTORE DEL VINO IN ITALIA nel 2025

  1. Cantiniere: Responsabile delle operazioni in cantina, dalla vinificazione all’imbottigliamento. Questa posizione richiede competenze tecniche specifiche e una profonda conoscenza dei processi produttivi del vino.
  2. Wine Specialist: Professionista dedicato alla promozione e vendita dei vini, spesso impiegato in enoteche o punti vendita specializzati. È fondamentale una solida conoscenza dei prodotti e, preferibilmente, certificazioni come sommelier o Wset.
  3. Addetto al Wine Shop: Figura che si occupa dell’accoglienza dei clienti, organizzazione di degustazioni e gestione delle vendite dirette in cantina o negozi specializzati. Richieste competenze in comunicazione e, spesso, la conoscenza di lingue straniere per interagire con una clientela internazionale.
  4. Agente di Commercio: Professionista incaricato della vendita e distribuzione dei vini in specifiche aree geografiche, con l’obiettivo di ampliare la rete commerciale dell’azienda. È preferibile un’esperienza pregressa nel settore vinicolo o nella vendita di prodotti di lusso.
  5. Hospitality Manager: Responsabile dell’organizzazione e gestione delle attività di ospitalità in cantina, inclusi tour, degustazioni ed eventi. Questo ruolo richiede eccellenti capacità organizzative e relazionali, oltre a una profonda conoscenza del settore enologico.
  6. Operaio Agricolo Specializzato: Addetto alle attività nei vigneti, come la potatura, la vendemmia e la manutenzione generale. È richiesta esperienza nelle pratiche agricole vitivinicole e, spesso, l’abilitazione alla guida di mezzi agricoli.

LE COMPETENZE RICHIESTE PER IL LAVORO NEL SETTORE DEL VINO NEL 2025

  • Competenze linguistiche: Per ruoli a contatto con il pubblico, come l’addetto al wine shop o l’hospitality manager, è spesso richiesta la conoscenza di lingue straniere, in particolare l’inglese, per interagire efficacemente con clienti internazionali.
  • Certificazioni: Possedere qualifiche riconosciute, come quelle rilasciate da Ais, Fisar, Onav o Wset, può rappresentare un vantaggio competitivo per candidati in posizioni legate alla degustazione e vendita del vino.
  • Esperienza pregressa: Molte offerte di lavoro privilegiano candidati con esperienza nel settore vinicolo o nella vendita di prodotti di lusso. Importante una conoscenza approfondita del mercato e delle sue dinamiche.

Il settore del vino italiano all’inizio del 2025 offre diverse opportunità professionali, con una particolare enfasi su ruoli tecnici e commerciali che richiedono competenze specializzate e, in molti casi, esperienza consolidata nel campo. La crescente attenzione per il biologico offre inoltre opportunità di lavoro nel mondo del vino per chiunque sia in possesso di competenze legate a precision farming e pratiche di agricoltura biologica. vino biologico italiano ed

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Lavoro stagionale 2023, 40 mila extracomunitari pronti alla vendemmia

Via libera all’ingresso di 40mila lavoratori stranieri extracomunitari interamente impegnati nel lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero. Lo rende noto la Coldiretti nell’evidenziare la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del DPCM che integra i flussi stagionali proprio in occasione dell’avvio delle importanti campagne di raccolta delle mele e della vendemmia. I lavoratori stranieri occupati in agricoltura, come evidenza il sindacato, sono per la maggior parte provenienti da Romania, Marocco, India e Albania.

«Ma ci sono rappresentanti di un po’ tutte le nazionalità – continua Coldiretti – e si tratta soprattutto di lavoratori dipendenti a tempo determinato che arrivano dall’estero. Ogni anno attraversano il confine per un lavoro stagionale per poi tornare nel proprio Paese, spesso stabilendo delle durature relazioni professionali oltre che di amicizia con gli imprenditori agricoli».

Sono molti i distretti agricoli dove i lavoratori immigrati sono una componente essenziale e bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso, della raccolta delle fragole nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte fino agli allevamenti da latte in Lombardia dove a svolgere l’attività di bergamini sono soprattutto gli indiani».

LAVORATORI STAGIONALI IN AGRICOLTURA: IL DPCM IN GAZZETTA UFFICIALE

Per accelerare le procedure, il DPCM riserva alle Associazioni datoriali 15 mila quote sulle 40 mila previste, che saranno utilizzate a scorrimento rispetto alle domande già presentate alla data di pubblicazione del DPCM. Le quote previste dal DPCM integrativo, precisa la Coldiretti, sono state già ripartite, con apposita circolare tra gli Ispettorati territoriali del lavoro, le Regioni e le Province autonome dalla DG-Immigrazione del Ministero del Lavoro.

Il tutto sulla base delle effettive domande pervenute agli Sportelli Unici per l’immigrazione e del fabbisogno segnalato a livello territoriale. In Italia, sottolinea ancora Coldiretti, un prodotto agricolo su quattro viene raccolto da mani straniere con 358 mila lavoratori regolari provenienti da ben 164 Paesi diversi, impegnati nei campi e nelle stalle. Secondo il Dossier Idos, i 40 mila stranieri pronti anche quest’anno a offrire le loro prestazioni nei campi forniscono più del 30% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore.

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Lavoro in nero in vigna a Montebello Vicentino: scoperti 8 braccianti indiani irregolari

Otto lavoratori in nero intenti ad effettuare la vendemmia, di cui uno sprovvisto di permesso di soggiorno. È quanto ha scoperto la Guardia di Finanza a Montebello Vicentino, nelle scorse ore. Tra i braccianti agricoli scovati dagli uomini della Compagnia di Arzignano, tutti di nazionalità indiana, uno è risultato essere “richiedente asilo“.

L’uomo era stato impiegato dal titolare dell’azienda vinicola dopo soli 36 giorni dalla presentazione dell’istanza di protezione internazionale alla Questura di Verona, invece dei 60 giorni previsti dalla legge.

L’imprenditore è stato denunciato per aver violato la disciplina in materia di “lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato” contenuta nel Testo Unico sull’Immigrazione.

VENDEMMIA IN NERO A MONTEBELLO VICENTINO

Nei suoi confronti è stata elevata una maxi sanzione per lavoro nero che, nel caso specifico, va da un minimo di 12.600 euro fino ad un massimo di 75.600 euro. Le cifre tengono conto delle singole sanzioni per i sette braccianti agricoli impiegati nella vendemmia, senza un regolare contratto di lavoro.

Nel conteggio anche la sanzione amministrativa che va da un minimo di 4.320 euro ad un massimo di 12.960 euro, «per essersi avvalso dell’opera di un richiedente asilo, senza rispettare i termini previsti dalla normativa sull’immigrazione».

Non solo. I funzionari dell’Ispettorato del Lavoro di Vicenza hanno emesso il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale. Una misura che è stata subito revocata, dal momento che l’imprenditore ha regolarizzato 7 degli otto braccianti agricoli, impegnati nella vendemmia.

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Omicron, aziende del vino in ginocchio: «Dipendenti a casa in malattia, produzione in stallo»

Aziende del vino in ginocchio al cospetto della variante Omicron. Oltre all’aumento dei costi delle materie prime, le cantine stanno facendo i conti con una drastica riduzione del personale. Con i dipendenti a casa in malattia, a rischio c’è la produzione.

L’allarme vale per tutto il Paese, ma a parlare è il titolare di una delle aziende della zona del Prosecco. «Il virus e il sistema delle quarantene – sottolinea l’imprenditore – mette in malattia, a rotazione, dal 10 al 20% del personale di tutte le aziende, con gli ovvi problemi di produzione collegati».

«TRA I RISCHI, LA PERDITA DELLA CLIENTELA»

Questi non comportano solo un danno economico diretto come la mancanza delle consegne, ma in alcuni casi si presentano danni ben più gravi come il deterioramento delle materie prime fresche o la perdita della clientela.

Come le mucche devono essere munte ogni giorno, anche il vino quando è pronto deve essere imbottigliato. E le vigne devono essere potate. Al tempo stesso, se la grande distribuzione si trova con gli scaffali vuoti si rivolge a un altro fornitore».

CAPITOLO REDDITO DI CITTADINANZA

«Non va dimenticato – continua l’imprenditore veneto – che fino al 2021 i costi di queste assenze sono stati a carico delle imprese. Nel 2022 ancora non si sa. Per esempio, per ciò che riguarda la nostra azienda si tratta di circa 6/7.000 ore all’anno, di cui una parte importante nell’ultimo mese dopo l’esplosione della variante Omicron».

A peggiorare la situazione è anche la mancanza di manodopera. «Non si riesce a trovare sostituti perché il reddito di cittadinanza, pur encomiabile nello spirito, disincentiva molte persone ad accettare un lavoro», denuncia il produttore.

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Emilia, ragazzi Down in vigna: «Imparare un mestiere aiuta a conoscersi meglio»

Accompagnare adolescenti e adulti con disabilità intellettive in un percorso di autonomia, facendo svolgere loro attività con una sperimentazione manuale in vigna, in previsione di un possibile svolgimento di attività lavorative. È l’obiettivo di “Mettiamoci alla prova – Percorsi abilitanti per ragazzi disabili“, progetto curato dall’Associazione Grd Genitori Ragazzi Down Bologna.

Tre ore a settimana, per un periodo di due mesi, i giovani disabili saranno integrati nella consueta attività vitivinicola in una cantina di Ozzano dell’Emilia. Assistiti dagli educatori, i ragazzi daranno il loro contributo alla cura delle viti, in un periodo particolarmente delicato come quello della ripresa vegetativa e della nascita dell’uva.

Aiuteranno a potare, legare, pulire le siepi e sbrigare qualche mansione in cantina, sperimentando un lavoro manuale all’aria aperta che si svolge in collaborazione con gli altri per un obiettivo comune.

LE ATTIVITÀ

«”Mettiamoci alla prova” – spiega Antonella Misuraca, presidente e responsabile Progetti dell’Associazione Grd Bologna – vuole dimostrare che, con una giusta formazione, le persone con disabilità intellettiva possono partecipare al processo produttivo, con effetti terapeutici per loro ma anche per il clima dell’intero team di lavoro delle aziende ospitanti, come ha dimostrato uno studio della McKinsey brasiliana».

Durante il periodo scolastico, i disabili usano molto il pc ma hanno poche opportunità di misurarsi e conoscere le attività manuali. «Non sanno, quindi, cosa potrebbe piacer loro, un domani, in ambito lavorativo, proprio perché non conoscono molti mestieri», avverte Misuraca.

«Scoprire queste realtà e appassionarsi – continua la presidente dell’Associazione Grd – aiuta a ritrovare equilibri con la terra, ancora più importanti quando ci sono fragilità». In fondo, non è un po’ così per tutti? [foto di archivio]

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“Italiani, volete lavorare in vigna? Avanti, c’è posto”. Parola di Simonit&Sirch

“Italiani, volete lavorare in vigna? Preparatevi, imparate, c’è lavoro per tutti!”. L’appello viene da Marco Simonit, Ceo di Simonit&Sirch Vine Master Pruners. “Il problema – evidenzia – sta emergendo in modo drammatico in questo momento di pandemia, che ha bloccato le frontiere. La natura non si ferma, le aziende hanno bisogno di manodopera preparata e specializzata nelle vigne e non la trovano in Italia, perché gli italiani snobbano questi lavori, nonostante si parli tanto di ritorno all’agricoltura, di lavoro green eccetera”.

“Voglio essere chiaro – precisa Simonit – non è solo una questione di emergenza post Covid-19, ma un discorso più generale e molto serio, che va affrontato una volta per tutte.  Per creare un vero Made in Italy del vino, bisogna ripartire da qui, riprendendo a lavorare fra i filari”.

Un lavoro sostenibile, local, senza impatto ambientale, sano perché fatto all’aria aperta e, in questi tempi, anche sicuro perché è facile mantenere il distanziamento. Non posso che ribadire: preparatevi, imparate. Nelle aziende vinicole c’è lavoro fin che ne volete!”.

“Da anni – specifica Simonit – stiamo formando squadre di manodopera specializzata per le principali aziende vinicole del mondo, che ricorrono alla nostra consulenza perché sono ben consapevoli che il lavoro nei vigneti, che sono il loro grande patrimonio, non può essere affidato a personale impreparato”.

“Si sostiene che dopo questa pandemia bisognerà ripartire dalla terra e dall’agricoltura, che torneranno centrali, e io sono pienamente d’accordo – continua Marco Simonit – ma gli italiani sono assenti. Bisogna ricreare un “saper fare in vigna” che stanno perdendo e che viene quindi necessariamente affidato a stranieri”.

“Cosa che ad esempio non succede in Francia, dove le capacità in vigna sono altrettanto importanti di quelle in cantina, e il personale addetto ai lavori agricoli è locale, ha una grande esperienza e preparazione ed è un valore aggiunto di un’azienda”, conclude il Ceo di Simonit&Sirch.

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Istituto Espresso Italiano: “Bar e posti di lavoro a rischio con la ‘Fase 2’ di Covid-19”

Preoccupazione tra gli operatori dell’ospitalità per la “Fase 2” dell’emergenza Covid-19. A lanciare l’allarme, unendosi al coro delle associazioni del settore, l’Istituto Espresso Italiano (Iei), che con il suo marchio riconoscibile in Italia e all’estero è tra i principali promotori del settore (34 aziende aderenti e un fatturato che si aggira sui 700 milioni di euro).

La preoccupazione più grande nasce dai rumors sugli indirizzi che il Governo lancerà con i prossimi decreti, la cosiddetta “Fase 2”, che potrebbero mettere in coda alla ripresa la riapertura di esercizi pubblici come bar e ristoranti.

“Questa situazione drammatica – afferma Luigi Morello, presidente dell’Istituto Espresso Italiano – riguarda tutti i lavoratori del comparto, ma noi siamo preoccupati soprattutto per i più giovani che negli ultimi anni hanno investito sempre di più energie e risorse in questo settore di tendenza”.

“Naturale che saremo tutti chiamati a rispettare le disposizioni del governo, ma i danni di una riapertura tardiva saranno pagati dalla generazione che rappresenta il futuro dell’ospitalità italiana, tra l’altro quella che ha dimostrato segni di grande vivacità e amore per il proprio lavoro”, conclude Morello.

Con oltre 149 mila bar sparsi in Italia, ogni giorno vengono serviti in media 175 caffè, cioè il 32,5% di fatturato del bar. Il mercato del caffè (bar, ristoranti e hotel) sfiora i 2 miliardi di euro all’anno.

In sei regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Campania) si concentrano i due terzi delle imprese del settore. Il 54,2% di queste imprese è una ditta individuale e la variabilità regionale intorno a questo valore è assai sostenuta.

La forbice va dal valore minimo dell’Umbria (43,1%) a quello massimo della Calabria (77,3%). Il 31,3% delle imprese sono società di persone, mentre la quota delle società di capitale è di poco al di sopra del 13%.

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Agricoltura, Coronavirus “blocca” un milione di lavoratori stagionali nell’Ue

La chiusura delle frontiere scelta per fronteggiare Coronavirus “blocca” quasi un milione di lavoratori stagionali dell’agricoltura. Lo stima Coldiretti, nel ricordare le imminenti campagne di raccolta ortofrutticola. Dalla Germania alla Francia, dalla Spagna all’Italia è allarme per l’Ue, che rischia di perdere quest’anno l’autosufficienza alimentare e il suo ruolo di principale esportatore mondiale di alimenti per un valore si 138 miliardi di euro con un surplus commerciale nell’agroalimentare di 22 miliardi.

La soluzione? “Dopo le merci – afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini – è necessario creare corsie verdi alle frontiere interne dell’Unione Europea anche per la circolazione dei lavoratori agricoli”. A livello nazionale, l’associazione degli agricoltori chiede “una radicale semplificazione del voucher ‘agricolo’“.

L’obiettivo, per Coldiretti, è “consentire da parte di cassaintegrati, studenti e pensionati italiani lo svolgimento dei lavori nelle campagne in un momento in cui scuole, università attività economiche ed aziende sono chiuse e molti lavoratori in cassa integrazione potrebbero trovare una occasione di integrazione del reddito proprio nelle attività di raccolta nelle campagne”.

I NUMERI IN EUROPA E IN ITALIA

A causa del Coronavirus, i 200 mila stagionali rumeni, polacchi, tunisini, marocchini e di molti altri Paesi che ogni anno contribuiscono ai raccolti primaverili francesi non potranno raggiungere il Paese e la Fnsea, la Coldiretti d’Oltralpe, è in allarme con il ministro dell’agricoltura Didier Guillaume che ha invitato quanti si siano ritrovati senza lavoro per via delle restrizioni imposte dal covid-19, ad “unirsi alla grande armata dell’agricoltura francese!”.

Il Ministro dell’Agricoltura tedesco Julia Kloeckner propone di impiegare come lavoratori stagionali in agricoltura i lavoratori del settore alberghiero e della ristorazione per colmare il vuoto di circa 300 mila unità lasciato dagli stagionali polacchi e rumeni.

Un buco che pesa anche sulla Spagna rimasta, ad esempio, senza i soliti 10 mila lavoratori stagionali marocchini impegnati nella raccolta fragole e  sta cercando nella popolazione nazionale come coprire questi posti vacanti e quelli delle campagne successive.

In Italia, su sollecitazione del Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, il Ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova è intervenuto per prorogare i permessi di soggiorno per lavoro stagionale in scadenza al fine di evitare agli stranieri di dover rientrare nel proprio Paese proprio con l’inizio della stagione di raccolta nelle campagne.

La proroga, secondo la circolare del Ministero degli Interni dura fino al 15 giugno e riguarda i permessi di soggiorno in scadenza dal 31 gennaio al 15 aprile ai sensi dell’articolo 103 comma 2 del D.L. 18.

“Un’esigenza che – sottolinea la Coldiretti – è stata resa più urgente dal caldo inverno che ha anticipato la maturazione delle primizie come fragole e asparagi proprio nel momento in cui la chiusura della frontiere per l’emergenza sanitaria ha fermato l’arrivo nelle campagne italiane di lavoratori dall’estero”.

IL DOSSIER IMMIGRAZIONE

Con il blocco delle frontiere alla circolazione delle persone resta però a rischio, sempre secondo le stime Coldiretti, più di ¼ del Made in Italy a tavola che viene raccolto nelle campagne da mani straniere con 370 mila lavoratori regolari che arrivano ogni anno dall’estero.

Si registrano infatti disdette degli impegni di lavoro da parte di decine di migliaia di lavoratori stranieri che in Italia trovano regolarmente occupazione stagionale in agricoltura. Fornendo il 27% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore, secondo l’analisi della Coldiretti.

Secondo le elaborazioni Coldiretti, che ha collaborato al Dossier statistico Immigrazione 2019 la comunità di lavoratori agricoli più presente in Italia è quella rumena con 107591 occupati, davanti a marocchini con 35013 e indiani con 34043, che precedono albanesi (32264), senegalesi (14165), polacchi (13134), tunisini (13106), bulgari (11261), macedoni (10428) e pakistani (10272).

Sono molti i “distretti agricoli” del nord dove i lavoratori immigrati rappresentano una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della raccolta delle fragole e asparagi nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva, delle mele, delle pere e dei kiwi in Piemonte, dei pomodori, dei broccoli, cavoli e finocchi in Puglia fino agli allevamenti e i caseifici della Lombardia.

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Lavoro, analisi Indeed: la Sicilia ha sete di sommelier, pasticceri e chef de rang


PALERMO –
Che la Sicilia abbia una tradizione culinaria straordinaria non è una novità. Patria del buon vino, è tra le regioni d’Italia in cui si mangia meglio. Eppure sommelier, pasticceri e chef de rang sono le figure “hard to feel” tra gli annunci di lavoro online: rimangono aperte per 60 giorni o più, senza essere coperte.

Lo dimostra l’analisi fatta da Indeed, sito numero 1 al mondo per chi cerca e offre lavoro. Con 92 mila ricerche di lavoro pubblicate ogni mese, 3,5 milioni di visitatori unici e oltre 2,4 milioni di curriculum vitae caricati, Indeed è il primo sito per la ricerca di lavoro anche in Italia.

Riuscire ad attrarre i talenti migliori e assicurarsi personale con le giuste competenze – ha commentato Dario D’odorico, Country Manager di Indeed in Italia (nella foto sotto) – non è facile per le aziende di nessun settore. A maggior ragione per un settore di altissimo profilo quale è l’industria del food & beverage siciliano. Il ruolo di portali come il nostro è proprio questo. Facilitare l’incontro tra domanda e offerta”.

L’ANALISI
Indeed ha preso in esame le categorie di annunci postati in Sicilia negli ultimi 12 mesi. Il food & beverage è secondo solo alle vendite, canalizzando più dell’8% delle offerte di lavoro di tutta la regione.

Inoltre, andando ad analizzare il “talent mismatch”, ovvero la discrepanza tra domanda e offerta, l’analisi evidenzia come in Sicilia, per questo settore, esista un surplus di domanda da parte dei datori di lavoro.

Ci sono infatti più posizioni aperte che persone in cerca di lavoro, con un tasso del 2,5. In media, il 45% degli annunci afferenti all’area food rimane scoperto per 60 giorni o più, a indicare una mancanza di risorse adatte per ricoprire queste posizioni. Ma per quali figure gli annunci rimangono scoperti così tanto?

Il pasticcere si colloca sul gradino più alto del podio con il 77% delle ricerche che rimangono scoperte per 60 gg o più. Una professione creativa, ma che al tempo stesso richiede tecnica, precisione e un’elevata specializzazione.

DALLA RISTORAZIONE ALLE ENOTECHE
Un dato leggermente inferiore si registra per gli annunci rivolti ai sommelier (65%) una professione dalle molteplici applicazioni: dalla ristorazione alle enoteche, nonché alla consulenza agli attori del mercato vinicolo.

Chef de rang: si tratta di un cameriere professionista che segue tutte le fasi del servizio, una figura centrale della brigata di sala che ha il compito di ricevere i clienti. Sono richieste capacità di coordinamento e supervisione, competenze organizzative e una spiccata sensibilità per il dettaglio.

Per questa figura rimangono scoperte il 54% delle ricerche. Rimangono scoperti a lungo anche gli annunci per camerieri (53%), barman (50%) e commis di cucina (47%).

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Cavalieri del Lavoro del vino a raccolta da Ferrari: brindisi con Riserva del Fondatore 1992

TRENTO – Ogni anno, da ormai sette anni, un appuntamento speciale e molto atteso riunisce i Cavalieri del Lavoro produttori di vino in una cantina diversa. L’edizione 2018 si è tenuto il 22 e 23 giugno a Trento, alle Cantine Ferrari.

A fare gli onori di casa il Cavalier Gino e tutta la famiglia Lunelli, che ha ha ospitato i Cavalieri per un fine settimana molto particolare.

Un’occasione unica non solo per degustare le etichette di alcune delle migliori cantine d’Italia, ma anche per confrontarsi su cosa accade nel mondo del vino a livello nazionale e internazionale.

Momento clou della due giorni trentina è stata la degustazione, presso le Cantine Ferrari, dei vini di ciascun Cavaliere, guidata dal giornalista Luciano Ferraro e dal sommelier Mariano Francesconi.

Un viaggio in Italia attraverso i suoi grandi vini, dal Piemonte alla Sicilia, presentati dai produttori stessi con passione e ricchezza di aneddoti. Unico vino estero in programma, il sudafricano Riserva Morgenster, che avrebbe dovuto essere presentato dal Cav. Giulio Bertrand, mancato però un mese fa e ricordato in occasione dell’assaggio del suo vino.

La degustazione della splendida sequenza è terminata con fuoriprogramma, ossia un magnum di Giulio Ferrari Riserva del Fondatore dell’annata 1992 proposto da Gino Lunelli per un brindisi conclusivo.

La giornata è poi continuata poco lontano, a Villa Margon, la cinquecentesca sede di rappresentanza del Gruppo Lunelli nel cuore dei vigneti Ferrari, che nei suoi affreschi racconta le gesta dell’Imperatore Carlo V ma anche la lunga tradizione vitivinicola della zona.

Qui si è conclusa con una cena di gala, a cura dello chef stellato di casa Ferrari Alfio Ghezzi, la settima edizione dell’incontro, che ha permesso di mettere a confronto le storie di grandi famiglie del vino e di territori straordinari, esattamente ciò che ha permesso, negli anni, di rendere il vino italiano unico e amato in tutto il mondo (foto Antonio Benanti, ospite della cerimonia)

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Approfondimenti news

L’8 Marzo della vignaiola Marilena Barbera: “Le Donne del Vino meritano rispetto”

Otto Marzo, Festa della Donna. Un paio di tette con una bella etichetta di vino in secondo piano, da pubblicizzare ben bene, avrebbe fatto contenti in molti. Ma noi siamo differenti. E chi ci segue lo sa.

Oggi, 8 Marzo, Festa della Donna, vogliamo raccontarvi il ruolo della Donna nel mondo del vino moderno.

E quando pensiamo a “donna” e “vino”, ci viene in mente un nome su tutti: Marilena Barbera. Per i pochi che non la conoscessero, Marilena è una donna del vino che ha saputo imporsi, come poche, nel panorama della viticoltura italiana di qualità.

Lo ha fatto senza scendere mai a compromessi. Con nessuno. Per di più in una regione difficile come la Sicilia. Marilena Barbera è una di quelle che si fanno fotografare in vigna, in canottiera. Senza trucco. Con in mano una cesoia. Mica l’ombretto.

Non produce vini per i supermercati, ma fa vini da Gdo: che – almeno per oggi, consentitecelo – sta per Grande Donna Orgogliosa. Della sua Sicilia. Dei suoi vini e dei suoi vigneti. Della sua Terra, nelle sue mille sfumature. E – lo diciamo noi –  anche di sé stessa. Auguri a tutte le Donne del Vino come Marilena.


Non è semplice parlare del ruolo della donna nel mondo del vino di oggi. Almeno, non è semplice senza cadere nei clichés che accompagnano [quasi] ogni tentativo di analizzare le questioni di genere.

Chiedo venia per le generalizzazioni che sarò costretta a fare, ché sarebbero necessari volumi per affrontare un tema così delicato, e certamente sarebbero necessarie competenze in ambiti in cui non sono ferrata: sociologia, psicologia, macroeconomia ed altro ancora.

Vi offrirò, dunque, un punto di vista parziale ma sincero: quello di vignaiola, e di vignaiola del Sud.

Il mondo del vino è un settore economico e sociale in evoluzione continua, e probabilmente è anche uno di quelli che negli ultimi vent’anni ha vissuto cambiamenti epocali grazie all’ingresso di generazioni nuove che hanno profondamente trasformato il modo di produrre e di comunicare.

Guardiamo, ad esempio, all’impatto che i “nuovi” media (social, blog, le dinamiche della rete nel loro complesso) hanno avuto – e sicuramente continueranno ad avere – sulle abitudini di consumo del vino, al loro ruolo fondamentale nell’azzeramento della distanza fra i produttori, vignaioli o grandi aziende che siano, e le persone che il vino lo acquistano (mescitori, ristoratori e consumatori).

Una vera rivoluzione che si è consumata in pochissimi anni e che ha generato la necessità di profonde mutazioni nelle professioni che ruotano intorno al vino e nelle relazioni fra gli attori di questo mondo.

Le donne, di sicuro, questa trasformazione la stanno cavalcando: vedo intorno a me colleghe vignaiole che senza paura mostrano le mani segnate dal lavoro.

Vi sembra una trovata di marketing? Nemmeno per sogno: se pensate a come veniva dipinta la classica rassicurante “donna del vino” vent’anni fa, con il rossetto in ordine e la messimpiega fresca di parrucchiere, siamo ad anni luce di distanza.

Vedo enologhe che affermano con forza le proprie capacità direzionali in squadre di cantina composte da decine di uomini, vedo giornaliste che si infilano gli scarponi e vanno a raccontare il vino dove il vino si fa, in vigna.

Eppure, di fronte a questa radicale (e necessaria) trasformazione della professionalità femminile, che sempre più donne rivendicano con orgoglio e senza vezzi, il mondo del vino reagisce, spesso, come sempre ha fatto: con malcelata diffidenza, con sufficienza, con un atteggiamento (a volte insopportabile) di mera tolleranza.

I motivi sono tanti e – credo – siano per la maggior parte culturali. Perché questa rivoluzione di cui vi ho parlato poco fa è, in effetti, una rivoluzione incompleta. Non è solo il mondo del vino ad essere stato prevalentemente “maschile” fino a qualche anno fa, ma la gran parte del mondo del lavoro in Italia. E vorrei utilizzare, perché ritengo sia più appropriato, il termine “maschilista” o, ancor meglio, “sessista”.

Il mondo del lavoro in Italia è sessista, e il mondo del vino non fa eccezione.

Fatte salve alcune professioni che per tradizione sono state riservate alle donne da quando le donne sono entrate nel mondo del lavoro – pensiamo alla maestra dell’asilo o delle elementari, la commessa del negozio di articoli femminili, l’aiuto domestico, l’ostetrica, la baby sitter e poche altre – in nessuna professione le donne vengono trattate alla pari dei colleghi uomini: né per quanto riguarda le opportunità di accesso, né in relazione alla retribuzione, né per le reali possibilità di carriera. Questa condizione è comune alla maggior parte delle professioni e, dunque, esiste anche nel mondo del vino.

Nel mio caso specifico – perché un punto di vista parziale vi sto offrendo, e mi scuserete – le problematiche maggiori hanno riguardato il riconoscimento del mio potere decisionale nel settore della produzione.

Non sono entrata in questo mondo per scelta, ci sono entrata per necessità, alla morte di mio padre. La scelta è arrivata dopo, quando mi sono innamorata di questo lavoro.

Dunque, morto mio padre, ho ereditato una vigna, un mutuo, e una squadra di persone che faceva il vino. Riuscire a trasformare tutto questo in un’azienda che oggi riconosce, apprezza e trova [finalmente!] fondamentale il mio apporto è stato un percorso a ostacoli.

Per trasformare la vigna da convenzionale a biologica, e certificarla, ci sono voluti 10 anni; per utilizzare un sesto di impianto differente da quello che l’agronomo titolare aveva deliberato essere necessario ce ne sono voluti altrettanti; per smetterla con i lieviti selezionati in vinificazione ci sono voluti 4 anni, per abbandonare le chiarifiche 5, gli enzimi 7.

In tutti questi anni ho dovuto svolgere un lavoro di coinvolgimento, convincimento, blandimento (si dice? Beh, quello), dimostrazione dei risultati anno dopo anno. Non me ne pento affatto, ma nessuno mi toglie dalla testa che se fossi stata uomo ci avrei messo molto, ma molto di meno.

Non starò qui ad elencarvi tutte le alzate di sopracciglia durante le presentazioni commerciali, quando si tratta di firmare i contratti. Vi prego di credermi, in fiducia: nel mondo del vino per una donna è ancora molto difficile veder riconosciuti i propri meriti quale lavoratrice e professionista.

Vi faccio solo un ultimo esempio, per me illuminante: qualche tempo fa leggevo l’intervista di una enologa che lavora presso un’azienda toscana, che raccontava di come il titolare (uomo) fosse molto felice del fatto di averla assunta perché “l’ambiente si è ingentilito: in sala degustazione c’è sempre un fiore“. Ecco, questa è la forma mentis che le donne subiscono ancora oggi, e non è accettabile, non più.

Ci sono, per fortuna, fulgidi esempi del contrario, e ciascuna di noi – vignaiola, enologa, giornalista, sommelier, ricercatrice eccetera – ne può raccontare, ci mancherebbe. C’è la solidarietà di tanti colleghi uomini, l’apprezzamento dei clienti, la considerazione di molti, moltissimi professionisti che lavorano nel mondo del vino a diverso titolo.

Ma io sogno un mondo in cui le persone vengano apprezzate per il lavoro che svolgono, per i risultati che conseguono, per l’intelligenza, la flessibilità, la creatività, la visione, l’umanità, la generosità, al di là del genere che la natura, casualmente, ha loro assegnato.

Sogno un mondo che non abbia bisogno delle quote rosa. Oggi, festa della donna, brinderò a questo.

Marilena Barbera – vignaiola in Menfi (AG)

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Vino italiano, Coldiretti: nel 2016 leadership mondiale e record export

Archiviata la vendemmia e conclusi i brindisi di fine anno è tempo di bilanci per il vino Made in Italy che conquista nel 2016 la leadership mondiale nella produzione con circa 50 milioni di ettolitri e aumenta del 3% il valore dell’export che raggiunge il massimo storico di sempre a 5,2 miliardi. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che il vino è nel 2016 la prima voce dell’export agroalimentare nazionale.

Il primato produttivo davanti alla Francia nel 2016 è dovuto – sottolinea la Coldiretti – alla crescita in Veneto che si conferma la principale regione produttrice ma anche in Emilia, Romagna, Piemonte, mentre un contenimento di diversa entità si è verificato in Trentino Alto Adige, in Sicilia. In Lombardia mentre in Puglia presenta uno scenario molto variegato, con perdite pesanti su alcune varietà ed incrementi altrettanto importanti su altri secondo l’Ismea.

I NUMERI
Si stima che la produzione Made in Italy 2016 è rappresentata per oltre il 40 per cento dai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), per il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 per cento a vini da tavola.

Per quanto riguarda le esportazioni, le performance dei prodotti nei singoli Stati si scoprono aspetti sorprendenti – evidenzia Coldiretti – a partire del successo del vino tricolore in casa degli altri principali produttori, con gli acquisti che crescono in Francia (+5%), Stati Uniti (+3%), Australia (+14%) e Spagna (+1%). Ma va sottolineato che nel Paese transalpino, patria dello Champagne, lo spumante tricolore fa addirittura segnare un incremento in doppia cifra, pari al +57%.

Il risultato è che la quantità di vino Made in Italy consumato fuori dai confini nazionali è risultata addirittura superiore a quella bevuta fuori dei confini nazionali con l’Italia. Negli Stati Uniti, continua Coldiretti, sono particolarmente apprezzati il Chianti, il Brunello di Montalcino, il Pinot Grigio, il Barolo e il Prosecco che piace però molto anche in Germania insieme all’Amarone della Valpolicella e al Collio.

Il settore del vino in Italia rappresenta un motore economico che genera quasi 10 miliardi di fatturato solo dalla vendita del vino e che da opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone. La vendemmia 2016 – ricorda la Coldiretti – ha coinvolto 650 mila ettari di vigne, dei quali ben 480mila Docg, Doc e Igt e oltre 200mila aziende vitivinicole. La ricaduta occupazionale riguarda sia per le persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, sia per quelle impiegate in attività connesse e di servizio.

L’INDOTTO
Secondo una ricerca di Coldiretti, per ogni grappolo di uva raccolta si attivano ben diciotto settori di lavoro dall’industria di trasformazione al commercio, dal vetro per bicchieri e bottiglie alla lavorazione del sughero per tappi, continuando con trasporti, accessori, enoturismo, cosmetica, bioenergie e molto altro.

Il futuro del Made in Italy dipende dalla capacità di promuovere e tutelare le distintività che è stata la chiave del successo nel settore del vino dove ha trovato la massima esaltazione la valorizzazione delle specificità territoriali che rappresentano la vera ricchezza del Paese” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “il vino italiano è cresciuto scommettendo sulla sua identità con una decisa svolta verso la qualità che ha permesso di conquistare primati nel mondo dove oggi 1 bottiglia esportata su 5 è Made in Italy”.

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Bere sul posto di lavoro aumenta la produttività. Parola del Ceo della Napa Valley. E’ la “feet and wine” revolution

Divieto di bere alcolici durante l’orario di lavoro e rigoroso dress code sono alcune delle regole vigenti in diverse aziende italiane ed internazionali. Ci ha incuriosito, dunque, la notizia diffusa dal Ceo della società Fantasy, in Napa Valley, California. Da buon appassionato di vini rossi, ha deciso di mettere a disposizione dei dipendenti dell’azienda un angolo
“wine bar”, tra le mura stesse del posto di lavoro. I dipendenti sono liberi di aprire qualsiasi cosa durante la giornata, bollicine incluse. Possono degustare un calice di vino, ma anche portarsi a casa un bottiglia, per “fare serata” in famiglia, o con gli amici. Notizia davvero sorprendente, considerato il proibizionismo a stelle e strisce in materia di alcolici. Ma non poteva mancare la vena “trash“, in pieno stile americano. Oltre al vino, i dipendenti e i clienti sono liberi di togliersi le scarpe e girare scalzi per l’azienda, per “sentirsi a proprio agio”. Un po’ come a casa. Una sorta di “feet & wine”, che forse sarà preso in considerazione anche in altre parti del mondo. Chi vuole cominciare, in Italia? Fatecelo sapere. Anche perché la decisione del Ceo, seppur rivoluzionaria, affonda le radici in una ricerca scientifica. E’ stato infatti provato “l’aumento dell’efficienza dei dipendenti legato ad un piccolo consumo di alcol durante l’orario di lavoro”. Prosit!

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