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degustati da noi vini#02

Vino rosso fortificato “Merlino 16/02”, Pojer e Sandri

Merlino 16/02 è un vino rosso fortificato, nato dall’esperienza enologica di Pojer e Sandri. Viene prodotto sulla collina di Faedo (TN) da uve Lagrein parzialmente fermentate e successivamente addizionate di brandy, a sua volta ottenuto da Mario Pojer e Fiorentino Sandri da due varietà di uva locali del Trentino: la Schiava e il Lagarino. È il primo vino di questa tipologia prodotto in Italia, nel solco dei noti “vini fortificati”, come il Porto.

LA DEGUSTAZIONE
Merlino 16/02 si presenta al calice con un intenso color violaceo impenetrabile, che suggerisce una grande struttura. Il profilo aromatico è fedele alle caratteristiche del vitigno Lagrein, giocando su note di ciliegia sotto spirito, ribes e frutti di bosco, per poi proseguire su aromi vanigliati e di cioccolato.

L’ingresso in bocca è caldo, avvolgente, morbido, di grande struttura e con un’ottima corrispondenza. La componente alcolica è presente (19%), ma ben integrata e mai disturbante. Il finale è lunghissimo.

Pur avendo un residuo zuccherino abbastanza elevato (100-120 gr/l), il sorso di Merlino 16/02 non risulta stucchevole. Invoglia, anzi, al successivo e diverte nell’abbinamento. È un vino ideale come accompagnamento a dolci a base di cioccolato, ma anche “da meditazione”, in compagnia di un buon libro.

LA VINIFICAZIONE
Uve 100% Lagrein coltivate a pergoletta trentina aperta, con 6500 viti per ettaro. Una volta raccolte, vengono diraspate e lasciate in macerazione prefermentativa a freddo, con l’obiettivo di aumentare l’estrazione aromatica.

La fermentazione viene svolta parzialmente (4-5 gradi alcol svolti) e interrotta con l’aggiunta del brandy firmato da Pojer e Sandri. La gradazione alcolica è portata a quasi 20 gradi. Avviene dunque l’inattivazione di lieviti e batteri e gli zuccheri residui risultano così infermentiscibili.

L’affinamento del vino fortificato “Merlino 16/02” viene condotto negli stessi fusti utilizzati per il brandy. L’imbottigliamento in bordolese antica viene eseguito dopo 8-10 mesi, ad illimpidimento raggiunto.

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Di Uomini e di Alambicchi: i “Moschettieri” del Brandy Italiano Artigianale


MILANO –
Un’occasione, un pranzo nella Milano fin troppo intenta a correre e “laürà”, per conoscere e scoprire il Brandy Italiano Artigianale. Quattro distillatori. Ognuno con la sua idea di Brandy. Ognuno col suo prodotto.

Quattro storie e quattro caratteri diversi, accomunati dalla passione per la distillazione, dalla mentalità artigianale e, coincidenza, anche dal momento storico in cui la loro avventura è partita.

LA STORIA
Correva l’anno 1986 quando Guido Fini Zarri, Vittorio Gianni Capovilla e Mario Pojer muovono i primi passi in questo mondo. Era invece il 1984 quando Bruno Pilzer iniziava la sua esperienza in distillazione.

Oltre trent’anni di storia ed esperienza per arrivare oggi a definire il “Brandy Italiano Artiginale”, per definire le linee guida che caratterizzano i quattro prodotti, per poter finalmente dire che questi prodotti hanno una loro precisa identità e non temono confronti.

E così oggi Gianni, Guido, Bruno e Mario si ritrovano fianco a fianco con uno scopo, una missione. Non più solo “fare” artigianalità ma anche “raccontare” l’artigianalità.

Raccontare al grande pubblico il loro sistema di valori fatto di selezione della materia prima, del seguire con attenzione il processo di fermentazione, di utilizzo di alambicchi che estraggano delicatamente gli aromi, di evitare manipolazioni aggiunte di zucchero o caramello, di invecchiamenti lenti e naturali “per tutto il tempo che serve”.

L’esigenza ed il desiderio di comunicare correttamente il Brandy Italiano Artigianale nasce dalla constatazione di come l’industria abbia azzerato le differenze fra i prodotti ed allineato, omogeneizzato, la percezione degli stessi finanche a far virtualmente diventare un distillato un liquore e viceversa.

E così oggi per “l’uomo della strada”, un distillato di vino (il Brandy per l’appunto) o un distillato di vinaccia (la grappa) sono concettualmente la stessa cosa di un limoncello o di un amaro (senza nulla togliere a quest’ultimi).

“L’artigiano fa il prodotto come vuole lui e spera che piaccia. L’industria fa il prodotto per il mercato.” È in queste parole di Guido Fini Zarri la spiegazione di quell’omologazione. Basti pensare che in Italia si contano 128 grappaioli e solo la metà circa possiede alambicchi da distillazione.

Ecco quindi i nostri 4 Moschettieri alla ricerca non solo della “qualità” ma anche della “particolarità” e della “peculiarità” nelle loro produzioni.

Scelta di materie prime identificative del territorio: Trebbiano Romagnolo per i Brandy di Villa Zarri, Lagarino per Pilzer, Schiava e Lagarino per Pojer e Sandri, Valpolicella per il Brandy di Capovilla.

Grande sapienza nell’utilizzo dell’alambicco, perché, come dice Bruno Pilzer, nato grappaiolo, “il distillato di vinaccia ha una grande potenza aromatica e puoi essere elegante o potente nel distillare. Il vino invece è sottile: o sei bravo o niente”.

Attenta selezione delle botti, dalle 300 litri non tostate utilizzati da Pilzer alle barique da 225 litri di Capovilla fino alle botti di secondo passaggio (il primo fatto con Chardonnay) volute da Mario Pojer. Particolarità e peculiarità che ritroviamo nel carattere di questi Brandy Italiani Artigianali.

LA DEGUSTAZIONE
Brandy Portegnac “Historie” 13 anni, Pilzer. Il nome lo prende dalla località dove ha sede la distilleria (Portegnago, in dialetto Potergnac) ma con la mente ci riporta alla Francia. E come i prestigiosi distillati d’Oltralpe “Historie” ci mette un po’ ad aprirsi ed a regalare i propri profumi. Profumi eleganti e raffinati in cui prevalgono le note fruttate di frutti freschi con una chiara vena agrumata. In continua evoluzione è facile, ma non banale, al palato.

Brandy Assemblaggio Tradizionale 10 anni, Villa Zarri. Sorprende piacevolmente per la sua complessità aromatica. Tè nero, leggero boisé, spezie morbide come cannella e pepe bianco. Sul fondo note fruttate che ricordano l’uvetta ed il dattero. Sorso pieno, di buon corpo, e dotato di una piacevole persistenza.

Brandy 1998, Capovilla. Naso pulito, immediato, aperto. Frutti bianchi e rossi che giocano con una freschezza erbacea. Gentile e morbido in bocca avvolge il sorso con pienezza quasi vellutata.

Brandy “Acquavite Divino” 2000, Pojer e Sandri. Grande freschezza olfattiva. Fiori e frutta esotica accompagnati da un piacevole nota mentolata che torna anche nelle persistenza retro olfattiva. Cremoso eppur fresco al sorso risulta pericolosamente beverino.

L’ABBINAMENTO
Qualcosa in più che “interessanti” gli abbinamenti proposti per l’occasione da Stefano Caffarri, chef e scrittore di gastronomia.

Una cucina semplice, quasi domestica, a detta di Stefano. Tre piatti in cui il Brandy diventa un ingrediente ogni volta declinato in modo diverso.

Entrata: Capasanta brasata nel grasso del bue grasso, maionese di coralli, crema di latte di soja (Brandy svaporato).

Minestra: Cappellotti di sfoglia di zucca, ripieno di grana stravecchio, consumato di pollo, polvere di zucca (Brandy crudo a gocce nel brodo).
Piatto di mezzo: Cappello del prete a bassa temperatura (20 ore), fondo bruno al Brandy, pere leggermente marinate (Brandy cotto).
Dessert: selezione di 4 ciccolati selezionati e lavorati da Passion Cocoa, Rho (MI).

Piena libertà di abbinare i quattro Brandy ai piatti per una sperimentazione che lascia sorpresi. Ognuno dei quattro distillati lavora molto bene con ognuno dei quattro piatti ma ognuno lo fa a suo modo, regalando sensazioni diverse. Facendo emergere così la singolarità di ogni Brandy.

L’abbinamento Cibo-Brandy si rivela essere un mondo ancora tutto da esplorare, così come in generale il mondo Cibo-Distillato che ha dato solo qualche piccola dimostrazione. Mondo che che qui ha già dato ottima prova di sé.

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