E’ una salita fra gli alti cipressi, tanto ripida quanto romantica, a condurre all’azienda agricola Col di Bacche. Siamo a Magliano in Toscana, piccolo comune in provincia di Grosseto. E quell’irto, faticoso cammino, che conduce al punto più alto di strada di Cupi, nella piccola frazione di Montiano, è il simbolo più fulgido dell’avventura di Alberto Carnasciali e Franca Buzzegoli. Marito e moglie, uniti anche nella cantina fondata nel 1998. Anno in cui Alberto Carnasciali si sfila di dosso l’abito da imprenditore edile e decide di sognare ad occhi aperti. Dando vita a Col di Bacche. La prima vendemmia, nel cuore delle terre del Morellino di Scansano, risale al 2001. Sono passati 15 anni, ormai. Quindici anni che hanno incoronato Col di Bacche tra le cantine dell’Olimpo Toscano del vino. Ne è consapevole Franca Buzzegoli, che ci accoglie in cantina con la fierezza di chi sa d’aver svoltato. Non solo nella vita. “Noi siamo di origine chiantigiana – spiega – nati e vissuti nel Chianti fino alla fine degli anni Novanta, quando abbiamo deciso di cominciare questa avventura in Maremma. Mio marito era titolare di un’impresa edile e, anche per questo, sapevamo che intraprendere un’attività nel settore vitivinicolo nella nostra zona era molto complicato. Ma abbiamo sempre bazzicato in Maremma. Quando siamo arrivati qui, non c’era niente. O meglio: c’era un poggio vuoto, che faceva parte di un podere. Ci piacque tantissimo questa location e così l’acquistammo. Nel ’98 impiantammo i primi vigneti. Poi – prosegue Franca Buzzegoli – costruimmo l’annesso agricolo che oggi ospita la prima cantina. Nel 2001 gli ultimi vigneti, che hanno subito reso troppo piccoli i locali per la vinificazione. Diciamo che ci siamo fatti prendere un po’ la mano! E così, tra il 2004 e il 2005, abbiamo realizzato la cantina attuale, trasformando la prima cantina in sala per le degustazioni e adattandola ad altre funzioni”. Sessantanni lui, cinquantadue lei. L’età giusta per sognare, ancora. Sin dagli albori, Col di Bacche si avvale dell’esperienza dell’enologo Lorenzo Landi, che assieme ad Alberto Carnasciali, sommelier Ais, impianta ad uno ad uno quattordici ettari totali di terreno. Si tratta principalmente di Sangiovese. Ma anche di Syrah e Cabernet Sauvignon. Nella parte bassa dell’azienda, dove il Sangiovese non maturerebbe bene, i coniugi Carnasciali decidono di allevare Merlot. Una scelta più che mai azzeccata. Il riscontro di critica e mercato di Cupinero, Merlot Igt Maremma Toscana, è sin da subito eccezionale. Il vero e proprio fiore all’occhiello dell’azienda agricola Col di Bacche. Un Merlot impiantato a cordone speronato alto, con sistema fogliario libero di crescere sulla ‘testa’ del grappolo. Accorgimenti che evitano a un vitigno precoce nella maturazione di assumere sentori di confettura che poco avrebbero a che fare con la ricerca di eleganza e finezza di Cupinero. Ma il vero segreto della ‘chicca’ di casa Col di Bacche è il ruscello che scorre a pochi metri dal Merlot. Garantendo un’efficace e benevola escursione termica.
LA FILOSOFIA Terreni ricchi di scheletro e sabbiosi, situati dai 120 ai 230 metri sul livello del mare, sono l’habitat dei vini di quest’azienda agricola toscana che fa della riduzione delle rese del vigneto un vero dogma. “Prendiamo ad esempio il Morellino di Scansano – commenta Franca Buzzegoli -. Il disciplinare ci consentirebbe una resa di 90 quintali per ettaro, mentre noi lo produciamo a 60-70. I nostri sono vini territoriali che aspirano a dimostrare come in Maremma si possano ottenere produzioni molto interessanti, pur non essendo la zona nota al grande pubblico, come quella del Chianti. In Toscana ci sono denominazioni più prestigiose rispetto a quelle maremmane, ma non è detto che tutte le aziende che operano in contesti prestigiosi lavorino secondo il principio della qualità. Quello che noi cerchiamo invece di fare quotidianamente”. Ogni anno, Col di Bacche sforna dai suoi 14 ettari di vigneti circa 60 mila bottiglie annue. Il Morellino ‘base’ costituisce il cuore della produzione, assestandosi sul 40%. Seguono Morellino Riserva, Merlot e, da quattro anni, Vermentino di Toscana. Prodotto inizialmente acquistando uve da terzi, Col di Bacche si è resa nel tempo autosufficiente, impiantando appositi vigneti: neppure un ettaro, che garantisce una produzione di circa 5.500 bottiglie l’anno. “Un bianco che sta andando molto bene – evidenzia Franca Buzzegoli – ottenuto da due particelle che non sono esattamente adiacenti al resto dell’azienda agricola, ma che si trovano in un’ottima posizione, con un’ottima esposizione”. Il mercato di Col di Bacche si svolge per il 65% in Italia. Il business funziona, ma Franca Buzzegoli non risparmia qualche stoccata al ‘sistema’. “In questa zona – evidenzia la ‘donna del vino’ – lottiamo con il fatto che quella del Morellino di Scansano è una denominazione che si è un po’ fermata negli ultimi anni. Grandi aziende sono venute qui a investire da tutta Italia, ma gli sforzi economici compiuti non sono affatto ricaduti sul territorio, o sulla valorizzazione della denominazione di origine controllata e garantita. I prezzi, anche a causa dell’arrivo di questi colossi, sono al ribasso. E non è facile competere. Fare vino in Toscana è un privilegio, pone in una situazione di intrinseca superiorità rispetto ad altre regioni italiane – ammette Franca Buzzegoli – soprattutto quando si va a proporre i propri vini nel mondo. Ma a livello di Consorzio si potrebbe fare ancora di più, soprattutto nelle politiche che riguardano gli imbottigliatori. Così come si potrebbe fare di più a livello di promozione del territorio, che è basata principalmente su pochi eventi, tutti molto costosi per le aziende e, per questo, sempre appannaggio dei soliti pochi noti”. Il futuro di Col di Bacche è comunque luminoso, con il figlio 24enne, laureando in Storia dell’Arte, pronto a rimboccarsi le maniche in un settore diverso da quello degli studi. Eppure così affine: un buon vino, non è forse un’opera d’arte?
LA PRODUZIONE COL DI BACCHE La degustazione, guidata da Franca Buzzegoli, inizia come si consueto bianco. In questo caso con il Vermentino Igt Toscana 2015. Le uve vengono vendemmiate nel corso della prima decade del mese di settembre. La vinificazione avviene in acciaio, a temperatura controllata. Il Vermentino Col di Bacche affina per 6 mesi, sempre in acciaio. Prima della commercializzazione, un ulteriore affinamento in bottiglia. Ottimo per l’aperitivo, il Vermentino Col di Bacche si abbina a piatti di pesce e carne bianca. Franca Buzzegoli propone poi l’assaggio del Morellino di Scansano 2014. La vendemmia del Sangiovese (90%) e degli altri vitigni a bacca nera (un 10% tra Syrah, Cabernet Sauvignon e Merlot) avviene tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre: una vendemmia verde, in corrispondenza dell’invaiatura. La fermentazione si compie a temperatura controllata, per 20 giorni. L’affinamento è affidato all’acciaio per il 60% del vino; la parte restante matura in barriques di terzo e quarto anno. Un passaggio, questo, che rende il Morellino ‘base’ Col di Bacche apprezzabile con le sue caratteristiche peculiari anche a distanza di qualche anno dall’imbottigliamento. La grande centralità del frutto nella beva e la particolare attenzione alla pulizia negli esercizi di cantina sono palpabili e completano un quadro più che apprezzabile. Perfetto con i primi saporiti della cucina tradizionale toscana, si fa apprezzare a tutto pasto e con formaggi salati, di media stagionatura. Saliamo i gradini dell’eccellenza con Rovente 2012, il Morellino di Scansano Riserva Col di Bacche. Un prodotto ottenuto da un 90% di Sangiovese addizionato a un 10% di Syrah, vendemmiati tra la seconda metà di settembre e la prima settimana di ottobre da vigneti che registrano una resa di 55 quintali per ettaro, diradati sino al 50% in corrispondenza dell’invaiatura, ovvero nel periodo in cui gli acini iniziano ad assumere il colore tipico dell’uva. La vinificazione prevede una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata, variabile tra i 28 e i 30 gradi. Continui rimontaggi e délestages precedono la macerazione sulle bucce, che si prolunga tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento del Rovente avviene in barriques di rovere francese, in parte nuove e in parte usate, per circa 12 mesi. Un ulteriore affinamento in bottiglia anticipa la commercializzazione. E sul mercato finisce un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo (13 euro all’horeca), con note fruttate fresche intense impreziosite da una delicata speziatura, un tannino elegante e rotondo e una capacità di invecchiamento medio lunga. In cucina ama piatti corposi, con cui mettere alla prova la un’ottima struttura: la cacciagione e i formaggi stagionati sono solo alcuni degli abbinamenti utili a valorizzare Rovente. Nella ‘verticale’ della produzione Col di Bacche, ecco arrivati a Cuponero, l’indicazione geografica tipica Maremma Toscana, vero fiore all’occhiello della vinicola di Magliano. La base (90%) è costituita come detto dal fortunato Merlot, cui viene aggiunto un 10% di Sauvignon: una percentuale variabile di anno in anno. La vendemmia proposta è la 2011, in grande forma già all’esame visivo col suo rosso rubino intenso. Al naso, alle note di frutta rossa fa eco un fresco sottobosco, invitante. Corrispondente al palato, regala un elegante e persistente finale. La vinificazione di Cupinero comincia dall’attenzione riservata agli acini durante il loro sviluppo. Le uve subiscono una diraspapigiatura soffice e una fermentazione alcolica in serbatoi di acciaio inox, a temperatura controllata variabile tra i 28 e i 30 gradi. Si cerca di favorire l’estrazione delle sostanze fenoliche con rimontaggi e délestages, prima di una macerazione sulle bucce della durata variabile tra i 18 e i 21 giorni. L’affinamento di Cupinero prevede l’utilizzo di barriques di rovere francese, in parte nuove ed in parte usate. Dura circa un anno. Alcuni mesi di ulteriore affinamento in bottiglia regalano agli amanti del Merlot (ma non solo) un’espressione unica del vitigno. L’espressione maremmana. Tutto da provare anche il Passito di Sangiovese Col di Bacche, ottenuto col classico metodo dell’appassimento delle uve al sole, cui viene fatto seguire l’affinamento in barrique. Ottima anche la grappa Riserva di Merlot, distillata dalle vinacce di Cupinero e affinata per 18 mesi in barrique.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“L’enoturismo è tricolore, lo si può dire con certezza. Ma è un tricolore francese, non certo il nostro”. A tuonare così è il presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino (Mtv), Carlo Pietrasanta (nella foto), a commentato delle “recenti importanti iniziative” intraprese dai “cugini” francesi “in favore dell’enoturismo”.
“Come in un film già visto – dichiara Pietrasanta – la Francia ci sovrasta in quanto a programmazione e managerialità della cosa pubblica. E quello che è successo nell’ultimo anno è sotto gli occhi di tutti: Parigi ha messo in piedi un portale che raccoglie tutta l’offerta enoturistica del Paese e che funziona benissimo, nonostante non sia costato milioni di euro come i nostri, inutili, siti vetrina. E non è un caso che il portale, che punta ad attirare 4 milioni di nuovi enoturisti stranieri entro il 2020, anche attraverso prenotazioni dirette dal sito – sia stato presentato dal ministro degli Esteri”. Pietrasanta fa riferimento all’inaugurazione, avvenuta a fine maggio a Bordeaux, de La Cité du vin, “La città del vino”.
“E non è un caso neppure che, giusto un anno fa – prosegue il presidente del Movimento del Turismo del Vino – lo stesso ministro francese Laurent Fabius abbia annunciato un piano speciale con un fondo nazionale in favore del comparto. Detto, fatto. E mentre in Italia, da Expo in poi, in tutti i grandi comizi sul vino nessun politico dimenticava di citare l’enoturismo, in Francia si stanziavano decine di milioni di euro per investire veramente”.
Per il presidente del Movimento Turismo del Vino, che conta circa mille cantine associate, gli 81 milioni di euro impiegati per costruire La Cité du vin de Bordeaux “sono la ciliegina su una torta che nella regione fattura, sotto la voce turismo, ben 4 miliardi di euro l’anno e che negli ultimi 15 anni ha triplicato i propri visitatori da 2 a 6 milioni, con 50 mila posti di lavoro diretti”. Una ciliegina che, secondo le stime, porterà altri 450 mila visitatori l’anno. “Tutto ciò – aggiunge Carlo Pietrasanta – mentre da noi non si trova nemmeno la quadra per fare un nuovo regolamento comune”.
Il riferimento è all’annosa questione della vecchia legge sulle Strade del Vino del 1999, “che non ha mai contemplato la possibilità di fatturare visite, attività e mescita di vini in cantina, nonostante siano ormai diventate pratiche comuni e voci importanti di bilancio”.
E se Cantine Aperte spopola, con un numero di persone pari agli spettatori di 50 partite di Serie A, “noi – attacca Pietrasanta – ci sentiamo come una provinciale tra i giganti del calcio internazionale”. “Siamo in attesa, per esempio, di un testo unico sul vino – spiega il presidente del Mtv – che doveva essere presentato al Vinitaly 2015 e poi al Vinitaly 2016, dove è passata solo una bozza. E in cui, deo gratias, è inclusa una mini postilla che dovrebbe aprire almeno alle degustazioni in cantina. Ma tant’è – conclude Pietrasanta – la grandeur francese partorisce le montagne. Noi purtroppo nemmeno un topolino”.
LE CITÈ DU VIN DE BORDEAUX L’idea di rendere l’area di Bordeaux un “magnete per l’enoturismo in Francia”, come ha spiegato Philippe Massol (nella foto), direttore della Fondazione per la Cultura e civiltà del vino francese, il giorno dell’inaugurazione de La Citè du Vin, “è nata osservando i visitatori arrivati a Bordeaux, interessati al vino ma senza un posto per soddisfare le loro aspettative”.
Un discorso iniziato nel 2008, germogliato nell’ambito della campagna elettorale locale, per un progetto condiviso da entrambi gli schieramenti politici, che poi hanno finito per opporsi.
Infine, Alain Juppé (LR) ha prevalso sul socialista Alain Rousset. Pochi anni prima, un tentativo meno ambizioso ristrutturazione di una cantina sul Quai des Chartrons non aveva sollevato particolare interesse. L’incontro tra Massol e Sylvie Cazes, poi eletto a sindaco di Bordeaux, co-proprietario del Château Lynch – Bages a Pauillac e creatore dell’agenzia di turismo del vino di Bordeaux Saveurs, servì a catalizzare le energie verso il risultato finale.
Il sostegno del sindaco di Bordeaux ha fatto il resto. Un progetto, Le cité du Vin, che si basa su altri illustri esempi di enoturismo virtuoso in Europa, come il Museo Vivanco della cultura del vino in Rioja, Spagna , e l’Hameau Duboeuf di Romanèche Thorins, nel Beaujolais, in grado di attirare quasi 100 mila visitatori all’anno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4,5 / 5) Figlio di Cambio e Perfetta, lo scultore e architetto Arnolfo di Cambio è senza dubbio una delle figure centrali dell’arte Medioevale.
A lui è dedicato l’omonimo Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della società agricola Fattoria Il Palagio, proprietà dei marchesi Tortoli Matteucci acquistata nel 1979 dalla nota famiglia del vino italiano Zonin, che la converte dall’indirizzo cerealicolo e olivicolo originale all’attuale viticolo e olivicolo.
Ci troviamo appunto in località Il Palagio a Castel San Gimignano, in provincia di Siena. Un vino con una storia da raccontare, insomma, questo Sangiovese in purezza che “scomoda” un nome altisonante della scuola cistercense. E un vino che, date le premesse, non delude affatto le attese. Anzi.
LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia 2009, quella finita sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, sorprende oltre le attese. Nel calice il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio si presenta di un rosso rubino tendente al granato. Scorre mediamente denso, colorando il vetro d’una tinta poco trasparente.
Al naso risulta di un balsamico intrigante. Tra le note di frutti rossi e quelle floreali di viola mammola si fa largo una speziatura decisa di liquirizia dolce, che domina la scena e mitiga sentori più duri, di cuoio. L’ossigenazione del prezioso nettare nel calice regala di lì a poco l’incedere, timido e delicato, del baccello di vaniglia.
Un lampo di femminile gentilezza, prima di un assaggio che risulta di primo acchito antitetico. In bocca, il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio entra – di fatto – piuttosto austero. Per aprirsi, poi, alle note fruttate (piccole bacche rosse) e speziate (liquirizia dolce), già avvertite al naso.
Il tannino, elegante e suadente, accompagna un sorso di facilità non comune tra vini di tale alcolicità (13,5%) ed evoluzione (vendemmia 2009, ricordiamolo). Così come non risulta comune quel rincorrersi, quasi giocoso, tra un’acidità ancora viva e una spiccata sapidità, figlie di uno dei territori italiani maggiormente vocati alla viticoltura. Intenso e fine anche una volta deglutito, l’Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della Fattoria Il Palagio è un vino di assoluto livello, da degustare anche in compagnia di un buon libro.
A tavola, l’abbinamento perfetto è quello con le portate “importanti” a base di carne, dalla selvaggina alle grigliate consistenti, pur non disdegnando i formaggi di media stagionatura. La temperatura di servizio? Tra i 16 e i 18 gradi, per apprezzarlo appieno, a sorsi pazienti e rispettosi.
LA VINIFICAZIONE
Il territorio da cui prende vita il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio è quello di Castel San Gimignano, Siena: più esattamente dal Poggio di Tollena. Il mosto di uve Sangiovese (in purezza) è ricavato da vendemmia manuale, che avviene nella prima decade del mese di ottobre.
Viene posto in fermentini verticali, dove ha luogo la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni, alla temperatura di 28 gradi. Successivamente avviene la fermentazione malolattica, il processo che consente la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Il vino, dunque, viene posto in botti di rovere. Resta a maturare per i successivi 18 mesi.
Un ulteriore affinamento in bottiglia, per un periodo di circa 4 mesi, anticipa la commercializzazione. Fattoria Il Palagio, oggi proprietà di Gaetano Zonin, domina un tipico poggio toscano nella Val d’Elsa senese, nel comune di Colle di Val d’Elsa e per una piccola parte nel comune di San Gimignano. Le vigne, situate a un’altitudine di 350 metri sul livello del mare, hanno un’estensione di oltre cento ettari, di cui 95 coltivati a vite e 16 ad olivo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il livello cumulativo di sicurezza attualmente stabilito per sette solfiti utilizzati come additivi nel vino e in altri alimenti “è sufficiente a tutelare i consumatori”. Parte da questo dato di fatto l’European Food Safety Authority nell’impegnarsi a “rivedere comunque tale conclusione”. Efsa chiede le vengano forniti ulteriori “dati, provenienti da nuovi studi, per colmare le lacune nelle informazioni, ridurre le incertezze e confermarne pienamente la sicurezza per i consumatori”.
4I sette additivi alimentari – anidride solforosa E 220, solfito di sodio E 221, bisolfito di sodio E 222, sodio metabisolfito E 223, metabisolfito di potassio E 224, solfito di calcio E 226, bisolfito di calcio E 227 e potassio bisolfito E 228 – sono valutati insieme, “dal momento che si comportano in modo simile – spiega Efsa – dopo l’ingestione”.
Si tratta infatti di sostanze che si formano naturalmente durante la vinificazione e sono anche aggiunti a molti vini per bloccare la fermentazione e agire da conservanti. Il contenuto di solfiti nei vini bianchi e dolci è generalmente superiore a quello dei vini rosati, rossi e secchi. Vengono impiegati anche nel sidro, nei succhi di frutta e di verdura e nella frutta e verdure essiccate, in particolare quelle a base di ravanelli e patate.
“OCCORRONO DATI”
I dati scientifici sui solfiti e su ciò che accade loro all’interno dell’organismo sono tuttavia limitati. Se consumati negli alimenti possono innescare reazioni d’intolleranza e alcuni consumatori sono più sensibili di altri ai solfiti nel cibo.
L’attuale dose giornaliera ammissibile (Dga) si assesta sui 0,7 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo. Si applica cumulativamente a tutte le sette sostanze. Le stime dell’esposizione alimentare a queste sette sostanze per consumatori della maggior parte delle fasce d’età “sono talvolta superiori a tale quantitativo – evidenzia l’Efsa – in particolare per i forti consumatori”.
Il gruppo di esperti scientifici sugli additivi alimentari raccomanda che “la Dga temporanea di gruppo venga valutata nuovamente entro cinque anni, dopo aver effettuato nuovi studi per produrre i dati mancanti”.
Il gruppo scientifico suggerisce inoltre che “l’etichettatura riporti l’effettivo livello di solfiti o anidride solforosa nei singoli prodotti, per aiutare i consumatori sensibili o intolleranti a contenere la propria assunzione”. La legislazione dell’Unione europea impone oggi di indicare sulle etichette alimentari la dicitura “contiene solfiti”, senza tuttavia specificarne la quantità, quando eccedano i 10 milligrammi per chilogrammo o per litro.
NUOVE VALUTAZIONI I regolamenti UE richiedono che l’Efsa valuti ex novo entro il 2020 la sicurezza di tutti gli additivi alimentari autorizzati prima del gennaio 2009. Mentre l’Efsa ha completato la nuova valutazione di quasi tutti i coloranti alimentari e prevede di completare la valutazione di altri additivi alimentari in programma entro il 2016.
Restano ad oggi in lista di attesa “oltre 100 additivi alimentari”, sempre secondo i dati Efsa. “Nonostante dal 2006 siano stati pubblicati diversi bandi sia generici sia specifici per la ricerca di dati sugli additivi alimentari – conclude l’European Food Safety Authority – permane una carenza di dati sulla tossicità delle sostanze impiegate come additivi alimentari e sui loro tenori negli alimenti”.
I produttori e gli utilizzatori di additivi alimentari sono pertanto sollecitati a fornire tutte le informazioni a loro disposizione per consentire la valutazione della sicurezza degli additivi alimentari, al fine di proteggere adeguatamente i consumatori”.
Tutto ciò mentre è ormai accertato che “più del 97% dei campioni di alimenti” valutati nel 2013 dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare “contiene livelli di residui di pesticidi che rientrano nei limiti di legge”, con “poco meno del 55% dei campioni privo di tracce rilevabili di tali sostanze chimiche”.
I risultati fanno parte della relazione annuale dell’Efsa sui residui di pesticidi negli alimenti, comprendente i risultati per quasi 81 mila campioni di alimenti provenienti da 27 Stati membri dell’UE, Islanda e Norvegia.
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Nuove tecnologie e innovazioni, logistica, packaging e programmi gestionali informatici: a Vinitaly 2016, Enolitech mette in mostra tutti gli strumenti necessari alle moderne cantine e frantoi 2.0. Alla sua 19° edizione, il Salone internazionale dedicato alle tecniche per la viticoltura, l’enologia e alle tecnologie olivicole ed olearie torna a Veronafiere dal 10 al 13 aprile (www.enolitech.it), in contemporanea con Vinitaly e Sol&Agrifood. Quest’anno il salone si presenta in crescita, sia dal punto di vista espositivo, grazie a 400 metri quadrati in più, che dell’internazionalità, con oltre 200 aziende da Italia, Francia, Cina, Spagna, Germania, Repubblica Ceca, Austria, Svizzera e dell’Ucraina. Oltre a favorire l’incoming di buyer stranieri, Veronafiere ha investito anche sul miglioramento infrastrutturale di Enolitech, i cui spazi sono stati avvicinati a quelli di Vinitaly e integrati al Salone del Vino e dei Distillati con nuovi collegamenti coperti ai padiglioni 8 e 10, per aumentare l’afflusso di visitatori. Proprio nel padiglione 10, ampliato quest’anno, per la prima volta viene allestito Table&Co – Il design a tavola, trait d’union tra Enolitech e Vinitaly, dedicato ai professionisti dell’horeca e al contract. Si tratta di una mostra che propone una serie di ambientazioni di tavole apparecchiate con le porcellane, le posate e i bicchieri di aziende leader mondiali, oltre che con oggettistica e mobili di selezionate marche. Sulle tavole anche i vini vincitori del Concorso Internazionale Packaging 2016. Ad Enolitech numerose le novità esposte. Il Salone, infatti, rappresenta un’importante vetrina dove gli operatori specializzati possono trovare gli ultimi macchinari e accessori per la produzione, l’imbottigliamento, il trasporto di vino e olio. Senza dimenticare i complementi d’arredo per enoteche e wine bar e gli strumenti di lavoro destinati a sommelier e canale horeca. Una rassegna riservata al business dei professionisti e che nel 2015 ha registrato più di 42.000 presenze, di cui il 20% estere, da 68 nazioni. Si tratta di numeri che testimoniano il continuo sviluppo del salone, ribadito in questa edizione dal debutto come espositore di Amorim Cork, il più grande produttore mondiale di tappi di sughero, con un fatturato di oltre 500 milioni di euro, e dalla presenza per la prima volta di aziende leader nel campo di resine per pavimenti (Mapei) e lavabicchieri professionali (Smeg).
Confermata la presenza di storiche aziende, quali Della Toffola, Italesse, Albrigi e Rastal. Ampliato il settore dei macchinari, con nuove aziende come Ghidi Metalli, Clean Pack, Italdbpack, insieme a quello legato alla logistica e alle necessità di trasportare bottiglie di vino e olio in sicurezza, anche con imballaggi eco-sostenibili in carta riciclata, come quelli proposti da Lci e Huhtamaki La Rochelle. Gold Plast Group porta i suoi calici soffiati e i bicchieri infrangibili in copolimero, mentre contro le frodi Axatel propone Vintag, il chip che applicato sotto l’etichetta della bottiglia consente al cliente di accertarsi dell’autenticità del prodotto, oltre che di informarsi sulle caratteristiche del vino. Spazio anche ai big-data, con i più avanzati software di gestione degli ordini e del magazzino studiati da Kiratech, e ai nuovi domini per siti internet .wine e .vin, proposti da Register e illustrati nel corso di un convegno dedicato. Tra le curiosità di Enolitech, l’innovativo sistema Coravin che con un ago e una capsula di gas argon è in grado di mescere il vino senza stappare la bottiglia e i dispositivi ad ultrasuoni per allontanare cinghiali e caprioli dai vigneti di Natech. Dal Carcere di Monza arrivano invece le cassette in legno per vini e regalistica della linea “Xdono” proposti a Verona da Silboard. Fertilizzanti e fitofortificanti, induttori della resistenza, biopromotori di origine vegetale, microelementi e concimi fogliari di ultima generazione con Fertenia, dinamica industria attenta alle esigenze di chi fa viticoltura convenzionale che biologica e biodinamica.
Tra gli sponsor ufficiali, l’azienda Bormioli Luigi, fornitrice di tutti i calici per ristoranti e degustazioni, “L’officina delle idee 2.0” per gli arredi della Locanda Enolitech e Scotton per le sedute di Vinitalybio. Inoltre attivato anche quest’anno da Veronafiere il Desk Anticontraffazione, dove avvocati e consulenti specializzati in diritto industriale danno gratuitamente agli espositori sia assistenza sul campo durante la manifestazione in caso di violazione dei diritti della proprietà intellettuale e della concorrenza sleale, sia informazioni su come tutelare marchi, brevetti e segni distintivi. Per la pausa pranzo di espositori e buyer torna, infine, Locanda Enolitech – Terre di Maremma: un’area all’interno del padiglione per un pasto veloce e di qualità a base di spianate e prodotti tipici maremmani.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Per le feste correnti in Italia si stima che salteranno circa 52 milioni di tappi di spumante Made in Italy con consumi in ripresa del 4% per cento. E’ quanto stima la Coldiretti nel sottolineare che è record storico per lo spumante italiano con 242 milioni di bottiglie stappate tra Italia ed estero per le feste di fine anno. Se all’estero salgono a 190 milioni le bottiglie di spumante italiano stappate, con un balzo del 13 per cento nelle bottiglie esportate, in Italia si è di fronte ad una storica inversione di tendenza dopo sette anni di progressive riduzioni. L’ottantasei per cento degli italiani non rinuncia allo spumante, mentre appena il 14 per cento sceglie lo Champagne. A prevalere tra le bollicine italiane sono quelle ottenute con il metodo Charmat che rappresentano circa il 95 per cento della produzione.Il resto con il metodo classico (Champenoise), che prevede la fermentazione in bottiglia con l’introduzione del liqueur de tirage e comporta una lavorazione che può durare fino a tre anni, con un prezzo finale più elevato.
IL PROSECCO Nella classifica delle bollicine italiane piu’ consumate nel mondo ci sono il Prosecco, l’Asti, il Trento Doc e il Franciacorta che ormai sfidano alla pari il prestigioso Champagne francese. Se lo spumante è il prodotto irrinunciabile del cenone di capodanno quest’anno molto gettonati sono tornati ad essere il cotechino o lo zampone che vengono gustati a tavola da piu’ di due italiani su tre (67 per cento) spesso in accoppiata con le lenticchie (80 per cento). Sul 59 per cento delle tavole ci sarà l’uva, ma il segno di una maggiore attenzione all’economia nazionale e alla sobrietà dei comportamenti viene anche dal fatto che le ostriche rimangono un must per appena il 13 per cento degli italiani, anche se il 58 per cento non rinuncia al salmone, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. Sulle tavole del Capodanno – conclude la Coldiretti – si prevede che saranno serviti piatti per un totale di 95 euro a famiglia, il 25 per cento in piu’ dello scorso anno anche perché gli italiani quest’anno sembrano preferire una buona cena piuttosto che uscire nelle piazze, al cinema, a teatro, nei concerti o nelle discoteche, dopo i recenti fatti di cronaca.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Stati Uniti: + 50%. Gran Bretagna: +32%. Francia: +19%. Le vendite dello spumante italiano all’estero aumentano del 19 per cento con le esportazioni che raggiungono per la prima volta il record storico del miliardo di euro nel 2015. E anche nel Belpaese, le bollicine nostrane segnano un + 19%. E’ quanto emerge da una stima della Coldiretti in occasione delle festività di Natale e Capodanno, dalla quale si evidenzia che mai cosi tanti brindisi come quest’anno nel mondo saranno Made in Italy. La domanda, sottolinea la Coldiretti, è cresciuta in valore del 50 per cento in Gran Bretagna e del 32 per cento negli Stati Uniti che si classificano rispettivamente come il primo ed il secondo mercato di sbocco delle bollicine italiane che però vanno forte anche in Germania, che si posiziona al terzo posto. E le richieste – precisa la Coldiretti – sono aumentate del 19 per cento anche da parte dei cugini francesi, sempre molto nazionalisti nelle scelte della tavola. Nella classifica delle bollicine italiane più consumate nel mondo ci sono nell’ordine il Prosecco, l’Asti e il Franciacorta che ormai sfidano alla pari il prestigioso Champagne francese. Quest’anno – sostiene la Coldiretti – all’estero si stapperanno più bottiglie di spumante italiani che di champagne francese. A pesare sul successo, come sottolinea la stessa Coldiretti, è il fatto che crescono anche le imitazioni in tutti i continenti, a partire dall’Europa dove sono in vendita bottiglie di Kressecco e di Meer-Secco prodotte in Germania che richiamano palesemente al nostrano Prosecco che viene peraltro copiato dalla Russia al Sudamerica.
OCCHIO ALLE IMITAZIONI
Il risultato straordinario dello spumante italiano all’estero – afferma la Coldiretti – sostiene l’intero comparto del vino che si è classificato come la principale voce dell’export agroalimentare nazionale con oltre la metà delle bottiglie prodotte in Italia che sono consumate fuori dai confini nazionali. A dare ottimismo quest’anno sono anche i buoni risultati della vendemmia con l’Italia che sorpassa la Francia è diventa il primo produttore mondiale di vini e spumanti con un quantitativo di produzione stimato a 48,9 milioni di ettolitri, sulla base dei dati della Commissione Europea che attesta un calo dell’uno per cento dei raccolti in Francia dove la produzione si dovrebbe fermare a 46,6 milioni di ettolitri mentre al terzo posto disi trova la Spagna con 36,6 milioni di ettolitri in calo del 5 per cento.
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Il Governo Giapponese ha recentemente firmato un accordo indicato come TPP (Trans Pacific Partenship) che prevede, tra l’altro, l’abolizione graduale dei dazi dei vini provenienti da Stati Uniti, Cile, Australia e Nuova Zelanda. Ciò crea delle difficoltà per i vini europei e quindi anche a quelli italiani. La denuncia arriva direttamente da Assoenologi, l’associazione Enologi ed Enotecnici italiani. Per l’Italia, infatti, il Giappone è il sesto mercato di esportazione, preceduto da Usa, Germania, Regno Unito, Svizzera e Canada. In pratica l’accordo prevede che, nell’arco di alcuni anni – anche se i bene informati sostengono tra i cinque e i sei – i firmatari potranno esportare in Giappone ad accisa zero, penalizzando i Paesi che invece devono gravare i loro costi con le tasse. La notizia è stata diramata dal Direttore Generale di Assoenologi Giuseppe Martelli, intervenuto a Tokyo nell’ambito di alcune conferenze istituzionali sul vino italiano, in apertura della “Settimana del vino italiano in Giappone” organizzata dall’Ice in collaborazione con l’Ambasciata italiana.
I dati elaborati da Assoenologi sulle vendite di vino italiano in Giappone nei primi sei mesi del 2015 risultano soddisfacenti. Segnano infatti +6,3% in valore, rispetto allo stesso periodo del 2014, + 7,1% in volume e +2,3% nel valore minino unitario che ha raggiunto 3,63 euro/litro. “In Giappone le accise variano a seconda del prezzo di vendita – spiega Giuseppe Martelli – su una bottiglia di 10 euro possono rasentare il 20% e quindi ci troveremo ad antagonizzare una concorrenza decisamente negativa”. Secondo il direttore generale di Assoenologi, “al di là delle controffensive che sicuramente i tradizionali Paesi produttori europei metteranno in atto, l’Italia dovrà sempre più puntare sulla qualità e sulla autoctonicità dei suoi prodotti, visto che il consumatore straniero, sempre di più vuole dal vino non solo sensazioni ed emozioni, ma anche riconoscere in una bottiglia il territorio, la sua cultura e le sue tradizioni”.
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