A picture shows a dried branch of olive tree in the Pantaleo Piccinnino's grove partly infected by the bacteria "Xylella Fastidiosa" on February 10, 2016 in Caprarica near Lecce in the Puglia region.
/ AFP / TIZIANA FABI (Photo credit should read TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)
ROMA – Indennizzi, investimenti, ricerca. Sono le parole chiave del post Xylella – la rigenerazione olivicola della Puglia – che la Ministra alle Politiche agricole, alimentari e forestali Teresa Bellanova ha voluto ribadire ancora una volta ieri, aprendo l’incontro convocato con istituzioni e associazioni per l’illustrazione del Piano straordinario.
Nessuna modifica, tranne nell’aumento delle risorse sugli indennizzi ad agricoltori e frantoiani. È stata proprio Bellanova a spiegare la strategia: “A chi chiede che le risorse vadano solo a questa misura – ha detto – ricordo che la norma impone una scelta diversa. Questo non è possibile”.
Capitolo investimenti. “Per rigenerare l’olivicoltura e l’agricoltura servono imprese agricole che investano – ha proseguito Bellanova – che possano fare i reimpianti, piantare altre colture, lavorare in ottica di territorio con imprese di trasformazione e commercializzazione”.
Per questo sono previste misure specifiche. E anche la parte sui contratti di distretto, per favorire la progettazione territoriale. Serve o no riprogettare un territorio dove prima c’era una coltura identitaria e adesso il deserto? Io rispondo sì. E’ necessario capire dove, cosa e quali procedure gli agricoltori devono affrontare per fare il loro mestiere”.
“Ho chiesto al mio ufficio legislativo di lavorare con Beni culturali, Ambiente e Regione – ha aggiunto la ministra Bellanova – per chiarire definitivamente cosa è consentito e cosa no. Abbiamo fatto un protocollo che ha sbloccato i reimpianti di ulivi con le 2 specie resistenti. Credo si debba ripartire dall’ulivo ma che gli agricoltori devono essere liberi di fare impresa, rispettando le norme”.
Quindi la ricerca, vera e propria chiave di volta: “E’ essenziale”, ha concluso la Ministra Bellanova, “nel dare prospettiva alla rigenerazione agricola. Servono risorse adeguate ma soprattutto dobbiamo trovare un coordinamento”,
Con un obiettivo chiaro: “La ricerca – ha spiegato Bellanova – deve aiutare gli agricoltori. Non essere fine a sé stessa, non essere scoordinata, non essere in competizione. È indispensabile. Se oggi si può sperare nella tenuta di due specie individuate come resistenti è perché si è fatta ricerca”.
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Bologna – E’ stata presentata Palazzo di Varignana all’interno del convegno “Opportunità e vincoli nell’applicazione del 4.0 nella filiera agroalimentare italiana” la survey realizzata da Nomisma e CRIF che ha analizzato i vantaggi e i limiti dell’adozione del 4.0 nella filiera agroalimentare italiana.
Il convegno – che si inserisce nell’ambito del ”Progetto Industria 2030′ promosso da Nomisma con Crif, fa parte di percorso pluriennale che intende essere punto di riferimento periodico per analizzare le dinamiche del sistema industriale italiano.
I RISULTATI DEL SONDAGGIO L’indagine, che ha coinvolto 1.034 aziende agricole italiane e 55 contoterzisti, analizza da una parte la percezione e conoscenza dell’innovazione e degli strumenti di agricoltura 4.0, dall’altra gli investimenti effettuati dalle aziende in questo senso.
All’interno del campione il 42% degli intervistati rientra nella categoria dei “realisti” i quali appaiono curiosi e interessati al tema, ma non hanno le risorse e le competenze per potere investire in strumenti innovativi.
Al contempo il 27% si dichiara scettico poiché ritiene che i vantaggi dell’innovazione siano sovrastimati e che si tratti soltanto di una questione legata a una moda temporanea. Il 18% – “i futuristi teorici” – pensa che l’innovazione sia essenziale per la crescita economica e sono disposti anche ad indebitarsi pur di introdurre un’innovazione. Infine la categoria degli “sperimentatori” – pari al 13% del campione – crede nell’innovazione e la applica quotidianamente sperimentando investimenti in innovazione per migliorare la gestione aziendale.
AZIENDE ITALIANE VS AGRICOLTURA 4.0 Il 64% degli intervistati ha sentito almeno una volta parlare di agricoltura 4.0 e il 90% di agricoltura di precisione, e più della metà del campione – il 52% – ha dichiarato di ritenersi abbastanza informato in relazione al tema. Internet si rivela il luogo più accessibile per reperire informazioni: il 31% degli intervistati è venuto a conoscenza della possibilità di introdurre questo strumento in azienda tramite web, il 13% alle fiere di settore, l’11% direttamente dal rivenditore dello strumento e della tecnologia, il 9% tramite rivista o giornale specializzato.
Negli ultimi 3 anni il 22% delle aziende ha investito in strumenti per l’agricoltura 4.0. La propensione all’investimento è maggiore nelle aziende con sede al Nord che operano nei settori dell’allevamento, cerealicolo e delle colture industriali aventi con una classe di fatturato di oltre 50.000 Euro e un organico composto prevalentemente da Millennials (18-35 anni).
Tra le principali motivazioni che hanno portato il 78% delle aziende italiane a non investire nelle tecnologie di agricoltura 4.0 vi sono il tema economico (35,8% dei casi), e le piccole dimensioni dell’azienda (31,9%). Per il 6,9% degli intervistati invece, non appaiono chiari i vantaggi derivanti dall’adozione di questi strumenti, mentre per il 6,4% non apporterebbero alcun beneficio utile all’azienda.
Tra gli strumenti 4.0 più efficaci e che hanno portato maggiori benefici alle aziende vi sono: macchine operatrici a dosaggio variabile 33%, trattrice con guida assistita o semi automatica e GPS integrato (27,5%), software di gestione aziendale e altri software 9%, centraline meteo 6,3%.
Considerando il fronte degli investimenti le risorse utilizzate per l’acquisto della strumentazione derivano per il 69% dal loro capitale, per l’11% dal finanziamento dell’istituto di credito, per il 9% dal Finanziamento del PSR, per il 7% da leasing. Nella maggior parte dei casi (il 45%) le aziende hanno speso una cifra al di sotto di 5.000 Euro per strumenti come software, centraline, mappe e sensori; solo il 9% delle aziende ha investito una cifra superiore a 100.000 Euro.
Per le parti hardware e le trattrici gli investimenti sono stati maggiori: l’8% delle aziende ha investito oltre 100.000 Euro, il 12% ha speso una cifra compresa tra 50.000 e 100.000 euro e il 20% tra 20.000 e 50.000 Euro. Solo il 15% ha investito meno di 5.000 Euro.
Tra i benefici portati dall’adozione di tecnologie 4.0 vi è al primo posto la riduzione delle quantità di fitofarmaci, concimi e acqua distribuiti per ettaro (31%), la riduzione dell’impatto ambientale e un miglioramento della qualità del prodotto (24%), seguita dall’abbattimento dei costi di produzione e dall’incremento delle rese per ettaro/capo (20%) e una riduzione dei tempi di lavoro (16%).
LE ESPERIENZE DELLE AZIENDE ITALIANE Durante i lavori diverse aziende italiane hanno raccontato con esempi concreti i benefici dell’utilizzo del 4.0 nella gestione dei processi. E’ il caso di Fileni – che nel 2015 – a causa dell’aumento dei volumi di produzione ha dovuto rivedere completamente l’intero processo logistico sviluppando un simulatore ad hoc per tornare a garantire spedizioni on time.
L’investimento – prima tecnologico e a seguire la re-ingegnerizzazione dell’intero processo di spedizione – ha portato al 45% del recupero di tempo lavoro, alla riduzione dell’indice di errore e al miglioramento della qualità.
Agrisfera, invece, ha ricordato come il proprio investimento in agricoltura 4.0 sia stato avviato a partire dal 2006 attraverso la georeferenziazione, la quale ha permesso una mappatura completa dei propri appezzamenti. Ulteriore investimento è stato condotto in strumenti di guida assistita con l’obiettivo di ridurre i costi e aumentare la produttività. Attraverso questo sistema di controllo si sono ridotti del 18% i margini di sovrapposizione con una riduzione dei costi di 199.160.000 Euro all’anno.
Altro caso è quello di Wenda Food Integrity Tracking, start up nata nel 2015 la quale ha sviluppato una piattaforma digitale che rende tracciabile l’integrità del cibo con lo scopo di ridurne gli sprechi. Attraverso un dispositivo da inserire nella spedizione è possibile controllarne la temperatura, l’umidità, gli urti, la sicurezza e la posizione ricevendo notifiche in diretta su un dispositivo mobile. Un’innovazione, rispetto alla tracciabilità garantita per legge.
TRA CAMBIAMENTO ED INNOVAZIONE VERSO IL FUTURO Il cambiamento però passa anche da processi di sostegno all’innovazione. E’ questo l’obiettivo di Agrofood, acceleratore bolognese per il business dell’agritech, che vuole essere un polo di innovazione aperta multiazienda a sostegno delle startup specializzate nei settori dell’healty food, packaging sostenibile, e l’agricoltura di precisione.
”Si sente un gran parlare di agricoltura 4.0, di smart farming e di riforma PAC, ma presentare casi concreti – come in questo caso- è meritevole perché fa realmente apprezzare il significato di queste tecnologie e i vantaggi competitivi in termini di costi e sostenibilità ambientale” – ha ricordato Paolo De Castro, Primo Vicepresidente Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo. “La discussione sulla riforma PAC post 2020 contiene un capitolo sull’agricoltura di precisione soprattutto a sostegno dei temi legati alla sostenibilità e che saranno sempre più importanti per il futuro”
”Il tema della formazione sull’agricoltura 4.0 è cruciale”– ha dichiarato Patrizio Bianchi, Assessore alle Politiche Europee Formazione Professionale. ‘‘Formazione che va fatta a tutti i livelli dagli operatori agricoli, fino a coloro che si occupano di salute e stili di vita. Bisogna esplorare di più, andare al di là dell’ottimizzazione dell’esistente”.
‘‘Seppure agli inizi, la rivoluzione digitale è un processo inesorabile capace di promuovere effetti in grado di cambiare la fisionomia di un settore all’apparenza immutabile come quello agricolo italiano. Gli impatti derivanti dall’adozione delle nuove tecnologie digitali non sono infatti esclusivamente economici, ma interessano anche ambiti sociali e ambientali”– ha sottolineato Denis Pantini, Responsabile Area Agroalimentare di Nomisma.
”Il 4.0 è in una fase iniziale e i cambiamenti strutturali che queste tecnologie porteranno alle filiera produttiva sono ancora agli inizi. La filiera agroindustriale per come si caratterizza avrà qualche difficoltà in più ad adeguarsi al nuovo contesto anche se ci sono contro esempi interessanti. Le sfide per le imprese sono molteplici e la principale è legata al capitale umano. E’ necessario investire in nuove risorse che siano in grado di gestire le nuove tecnologie ma che conoscano anche le logiche della filiera. C’è, inoltre, un problema di regole: il cuore delle tecnologie 4.0 sta nella condivisione di dati e informazioni. La protezione, la proprietà dei dati e il loro uso diventa fondamentale. Infine c’è un problema dimensionale. Per le imprese più piccole alcune delle tecnologie in fase di sviluppo hanno costi che non giustificano l’investimento; per le grandi la vera sfida sarà gestire il rapporto con i grandi colossi mondiali (da Amazon, a Alphabet, da IBM ad Alibaba) che gestiscono, tra le altre cose, i flussi di dati e che hanno un fortissimo potere di mercato”– ha ricordato Giorgio Prodi, Segretario Comitato Scientifico di Nomisma.
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Assoenologi e Federvini, nell’ambito dell’accordo “Vino Patrimonio Comune”, danno vita a VINTEGRA, un sistema specializzato e garantito di servizi integrati basato sui principi dell’economia della condivisione e dell’accesso anziché della proprietà, con l’obiettivo di ottimizzare gli investimenti delle imprese per le loro necessità tecniche.
“Vogliamo applicare i principi della sharing economy all’interno della filiera vitivinicola – afferma Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi – mettendo a sistema la professionalità dell’Enologo. Questo vuol dire avere la possibilità di portare a fattor comune competenze e tecniche per parlare al mondo con un’unica voce di eccellenza e qualità”.
“L’esigenza di un coordinamento è sempre più urgente – dichiara Sandro Boscaini, presidente di Federvini – partendo dalla necessità di avere una qualità reale e percepita sempre più alta ed uniforme: ogni singolo prodotto è oggi ambasciatore del ‘saper fare’ italiano e quindi deve poter attingere da una rete di competenze tecniche, culturali e promozionali che devono diventare patrimonio comune”.
Si partirà, quindi, nel 2018 con la individuazione di laboratori qualificati da Assoenologi e Federvini, “dotati di strutture di alto livello per collaborare al miglioramento dei prodotti e dei processi”.
“La variazione in atto nelle condizioni climatiche e la velocità con cui cambiano gli stili di vita e gli approcci al consumo – evidenzia Assoenologi – oltre alla maggiore importanza che acquisiscono i nuovi mercati, rendono necessario e urgente il contributo della ricerca e la conseguente implementazione sia in vigneto sia in cantina che nella comunicazione nei mercati”. Con questi temi si confronterà nell’immediato e a medio termine il progetto VINTEGRA.
Federvini – Federazione Italiana Industriali Produttori, Esportatori ed Importatori di Vini, Vini Spumanti, Aperitivi, Acquaviti, Liquori, Sciroppi, Aceti ed Affini – nasce nel 1917, aderisce a Federalimentare e Confindustria, ha un’ampissima rappresentanza dei produttori di vini, liquori, acquaviti e aceti e di Aceto Balsamico di Modena IGP. Scopi della Federazione sono la tutela degli interessi e l’assistenza della categoria in tutte le sedi istituzionali, nazionali, comunitarie ed internazionali.
Assoenologi – Associazione Enologi Enotecnici Italiani, organizzazione nazionale di categoria dei tecnici vitivinicoli, è stata fondata nel 1891, ed è stata riconosciuta dall’Union Inter-nationale des Oenologues l’Associazione di categoria più antica, più numerosa e meglio organizzata a livello mondiale. Scopi dell’Associazione la tutela professionale dell’enologo e dell’enotecnico sotto il profilo etico, giuridico ed economico, nonché promuovere l’aggiornamento tecnico e culturale dei propri associati.
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Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali comunica che in merito al Programma nazionale di sostegno per il settore vitivinicolo sono stati erogati per l’annualità 2017 quasi 337 milioni di euro, corrispondenti alla totalità dei fondi assegnati all’Italia dalla Ue per l’esercizio finanziario 2017, conclusosi per il fondo Feaga il 15 ottobre scorso.
I dati resi noti da Agea confermano il grande interesse dei produttori vitivinicoli italiani verso le misure strutturali e di sostegno alla promozione previste dall’OCM vino ed un utilizzo efficace dei fondi comunitari disponibili, grazie alla flessibilità messa in atto dal Mipaaf attraverso tempestive rimodulazioni finanziarie tra Regioni e le misure del PNS.
MISURE UTILIZZATE Le misure maggiormente utilizzate sono state quelle relative alla ristrutturazione e riconversione dei vigneti e alla promozione dei vini sui mercati dei Paesi terzi, che hanno assorbito oltre 228 milioni di euro. Molto apprezzata anche la misura degli investimenti in cantina, che ha fatto registrare un importo pari a circa 63 milioni di euro.
La misura della vendemmia verde, prevista per prevenire eventuali crisi di mercato in alcune aree e ripristinare l’equilibrio fra domanda e offerta di vino, ha fatto registrare un utilizzo pari a poco meno di 1,2 milioni di euro, mentre alla distillazione dei sottoprodotti sono stati destinati oltre 17 milioni di euro.
Infine, attraverso l’assicurazione del raccolto sono stati erogati 26 milioni di euro di contributo, utilizzati per coprire i costi dei premi assicurativi versati a copertura delle perdite legate alle avverse condizioni climatiche e alle fitopatie o infestazioni parassitarie.
“Il sistema delle OCM – dichiara il Ministro Maurizio Martina– è uno degli strumenti indispensabili per la crescita delle nostre imprese, perché aiuta ad accrescere la competitività e serve come rete di protezione nei mercati. Per questo riteniamo importante che le OCM siano centrali anche per la prossima programmazione della PAC. In tal senso ho rappresentato di recente al Commissario Phil Hogan il ruolo importante che rivestono e la richiesta di estendere questo modello anche ad altri settori strategici”.
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Sici Sgr Spa, attraverso il Fondo Rilancio e Sviluppo, ha annunciato di aver investito 1,05 milioni di euro in Gestioni Piccini Srl – Tenute Piccini, storica realtà del vino toscano di Castellina in Chianti (SI), attiva in diverse catene della grande distribuzione italiana. L’operazione del Fondo Rilancio e Sviluppo è avvenuta tramite la sottoscrizione di due cambiali finanziarie del valore unitario di 525 mila euro.
Gestioni Piccini Srl società attiva nella commercializzazione di prodotti vinicoli e proprietaria delle Tenute Piccini, dislocate in Toscana e Basilicata, aveva già annunciato in estate di aver “concluso con successo un’operazione di finanziamento attraverso l’emissione e la quotazione sul Segmento Professionale dell’ExtraMOT, sistema multilaterale di negoziazione organizzato e gestito da Borsa Italiana, del minibond ‘Gestioni Piccini S.r.l. – Tasso Fisso 5,5% – 2016/2022’, della durata di 6 anni e per un controvalore complessivo pari ad euro 5 milioni”.
“La nostra società – commentava Mario Piccini, amministratore delegato di Gestioni Piccini Srl – si è voluta confrontare con un mercato del credito in continua evoluzione, questo ha fatto sì che la nostra scelta si sia orientata verso l’emissione di un prestito obbligazionario, quotato sul Segmento Professionale ExtraMot di Borsa Italiana. Penso, che per la nostra realtà, questa operazione possa consentire una apertura al mercato del credito non propriamente convenzionale, stimolandoci a dare sempre il meglio con più trasparenza, per attrarre nuovi investitori che credano e ci supportino nelle nostre strategie per il raggiungimento di obbiettivi sempre più ambiziosi”.
Il prestito, costituito da cinquanta titoli di debito del valore nominale di 100 mila euro cadauno, è di tipologia senior secured, in quanto garantito da privilegio speciale sulla produzione vinicola di diverse annate e varietà, principalmente Chianti e Brunello di Montalcino. Si tratta del primo strumento di debito emesso ed ammesso a quotazione garantito da beni di derivazione vinicola.
Il Fondo comune d’investimento mobiliare chiuso “Rilancio e Sviluppo” è operativo dal 2012 ed ha come obiettivo principale quello di “realizzare plusvalenze da investimenti in società che nel medio termine possano presentarsi e strutturarsi come imprese leader sufficientemente patrimonializzate, in grado di affrontare le sfide della competitività internazionale e potenzialmente quotabili su mercati regolamentati, sia azionari che obbligazionari”.
IL NUOVO CORSO Sotto la guida di Mario Piccini, nel 2015 la società ha raggiunto un volume d’affari di 50 milioni di Euro, di cui oltre il 70% generato all’estero. “Per la nostra azienda è un grande motivo di orgoglio aver fatto sposare la filosofia aziendale e le nostre strategie al Fondo Rilancio e Sviluppo con la sottoscrizione di due strumenti finanziari innovativi che permetteranno alla nostra Società di continuare il percorso di crescita”, commenta l’ad.
“Siamo particolarmente soddisfatti di aver perfezionato questa operazione – aggiunge Daniele Taccetti, presidente del consiglio di amministrazione di Sici – che costituisce un primo intervento in un settore che rappresenta una delle eccellenze del Made in Italy. Gestioni Piccini, in particolare, è ad oggi una solida realtà che ha saputo rilanciarsi e vincere le sfide dei mercati esteri, riuscendo ad assicurare la presenza dei propri prodotti in oltre 70 Paesi”.
“Riteniamo che gli operatori di Private Equity possano dare un contributo significativo allo sviluppo delle mpi del comparto disposte ad aprirsi ad una nuova cultura manageriale e finanziaria – aggiunge Taccetti – anche attraverso l’utilizzo di strumenti di finanza innovativa quali le cambiali finanziarie. Abbiamo esteso le possibilità di intervento di Sici a nuovi strumenti di finanza come cambiali finanziarie e prestiti ‘mezzanini’, che ben si adattano alle dimensioni e caratteristiche delle imprese del nostro territorio”.
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