Premio Vivi la Valpolicella intitolato alla memoria di Marco Accordini morto incidente trattore figlio dg cantina negrar
La XXI edizione del Premio “Vivi la Valpolicella” sarà intitolata alla memoria di Marco Accordini, figlio di Daniele Accordini, dg ed enologo di Cantina Valpolicella Negrar morto nel giugno del 2022 a causa di un incidente sul trattore. «Era doveroso dedicare questo importante riconoscimento territoriale al ricordo di un giovane valpolicellese che ha applicato la sua formazione universitaria nel suo territorio d’origine, la Valpolicella, per promuoverla e valorizzarla, come tanti imprenditori hanno fatto nella storia e stanno ora facendo. La sua prematura scomparsa nel 2022 a 26 anni ha interrotto il suo operato, ma con questo intitolazione vogliamo ricordare Marco Accordini ancora tra noi».
Queste le parole degli organizzatori del Premio “Vivi la Valpolicella”, promosso dall’omonima associazione in collaborazione con la presidenza di Cantina Valpolicella Negrar e Valpolicella Benaco Banca. Dopo una pausa forzata a causa pandemia, giovedì 8 giugno, a partire dalle ore 17.30, nella sala convegni della cantina a Negrar di Valpolicella (via Ca’ Salgari 2), si svolgerà la XXI edizione della manifestazione, aperta al pubblico, con la premiazione delle migliore tesi di laurea nazionali sul fronte della ricerca scientifica.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Morto Marco Accordini figlio del direttore generale di Cantina di Negrar
Marco Accordini, 26 anni, figlio del direttore generale ed enologo di Cantina Valpolicella Negrar, Daniele Accordini, è morto questa mattina in occasione di un incidente con il trattore. Il giovane stava lavorando in campagna, nell’agriturismo di famiglia a Mazzurega, nella valle di Fumane, in località la Cà.
Laureato in Viticoltura ed Enologia, corso interateneo con l’Università di Trento presso il Centro Agricoltura Alimenti e Ambiente, che ha sede in Fondazione Edmund Mach (Fem) a San Michele all’Adige, Marco Accordini era un giovane molto appassionato del suo lavoro.
Chi lo conosceva lo descrive come «sempre pronto a far propri gli aspetti più innovativi dell’accoglienza alberghiera, che metteva in pratica nel wine relais di famiglia».
CANTINA DI NEGRAR CONVOCA IL CDA
«Al di là dell’attaccamento paterno, Daniele era molto fiero di suo figlio, una stima reciproca, visto che con la scelta degli studi Marco aveva deciso di seguire le orme del padre», dichiara affranto Renzo Bighignoli, presidente di Cantina Valpolicella Negrar, che insieme al vice presidente Gianmichele Giacopuzzi, ha convocato un Cda stasera per ufficializzare a tutta l’azienda la triste notizia.
«La presidenza, il Cda, la direzione, i dipendenti e i soci della Cantina – aggiunge Bighignoli – si stringono con tanto affetto a Daniele e alla moglie Eleonora in questo momento di grande dolore». In occasione dei funerali, che si svolgeranno venerdì 24 giugno, all ore 10, nella chiesa di Pedemonte, cantina, wine shop e osteria rimarranno chiusi per tutto il giorno.
IL CORDOGLIO DI ASSOENOLOGI PER LA MORTE DI MARCO ACCORDINI
Tra i primi a commentare l’accaduto c’è il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, che ha indirizzato una lettera agli associati. «Sono sgomento e pieno di dolore per la tragedia che ci ha portato via il nostro giovane collega Marco Accordini, figlio di Daniele», si legge.
«La vita ancora una volta ci mette a dura prova e purtroppo il destino talvolta ci travolge e ci annulla. Sappiamo che non ci sono parole o gesti che possano colmare un così grande vuoto e un così immenso dolore. Lasciamo che Marco viva nei nostri cuori per la sua inaspettata scomparsa. Non possiamo che stringerci attorno al cordoglio della famiglia», conclude Cotarella.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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Pietro Nera, uomo simbolo dei vini della Valtellina grazie all’omonima cantina di Chiuro (SO), è scomparso all’età di 84 anni. Fatale l’incidente stradale avvenuto questa mattina lungo della Statale dello Stelvio. A dare la notizia è la famiglia, attraverso l’ufficio stampa della casa vinicola lombarda: “Pietro Nera è stato coinvolto in un incidente sulla strada statale 38, all’altezza della Fiorenza, che si è rivelato fatale per l’imprenditore chiurese classe 1935, ma che fortunatamente non ha coinvolto nessun altro”.
Le indagini per stabilire l’esatta dinamica dell’incidente che è costato la vita al titolare della Casa Vinicola Pietro Nera sono tuttora in corso. Secondo le prime informazioni, l’84enne viaggiava in direzione Tirano.
Era a bordo della propria Daewoo Matiz, quando ha perso il controllo del volante. Inutile l’intervento immediato di ambulanza elisoccorso e vigili del fuoco. La famiglia Nera è ben nota nella zona.
L’attività nel campo della viticoltura ha inizio nel 1940, con Guido Nera. Alla fine degli anni Cinquanta gli succede il figlio Pietro. A lui il merito di essere riuscito ad accorpare diversi ettari di vigneti, ora di proprietà dell’Azienda Agricola Caven, fondata nel 1982 e gestita dai fratelli Stefano e Simone Nera.
Pietro Nero è stato uno dei punti di riferimento nel panorama vitivinicolo della provincia di Sondrio, promuovendo la conoscenza del Nebbiolo delle Alpi all’estero. Per due mandati sindaco di Chiuro, l’84enne è stato insignito, tra gli altri, del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana, oltre ad avere ricevuto la Gran Medaglia di Cangrande da parte di Veronafiere, attribuito agli imprenditori che si sono distinti nel campo vitivinicolo.
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Tragedia a Massenzatico operaio muore schiacciato in una cisterna di Lambrusco sandro santini
MASSENZATICO – Tragedia giovedì sera alla Cantina sociale di Massenzatico, in provincia di Reggio Emilia. Un operaio di 52 anni, Sandro Santini, è morto schiacciato in una cisterna utilizzata per la fermentazione del vino Lambrusco.
Erano le 19 nello stabilimento produttivo di via Beethoven, 109/a. Inutili i tentativi di soccorso da parte dei medici del 118, giunti sul posto assieme ai vigili del fuoco. Per l’uomo non c’è stato nulla da fare. Lascia la moglie e tre figli.
Sul luogo dell’accaduto anche le forze dell’ordine, che hanno aperto le indagini per appurare la dinamica e le responsabilità dell’incidente sul lavoro. Secondo le prime ricostruzioni, la cisterna era vuota al momento della caduta del 52enne.
La Cantina Sociale del “Centro” di Massenzatico è una Società Cooperativa costituita nel 1938 da trentadue produttori. Aderisce all’Unione Cooperative e può contare oggi su 180 viticoltori associati.
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FIRENZE – Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta inviata da Giovanni Busi, Presidente del Consorzio Vino Chianti, all’Onorevole Danilo Toninelli.
La lettera è in risposta all’intervento del Ministro del 4 Gennaio scorso nel quale Toninelli di fatto relegava la questione ad un “mero” problema di recinzioni.
Egr.
On.le Danilo Toninelli
Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti
“Non è accettabile dover veder morire un ragazzo di 28 anni sull’autostrada perché si è trovato davanti all’improvviso un cinghiale. Tanto meno è accettabile la sottovalutazione di un problema che oramai ha assunto i tratti di una vera e propria emergenza nazionale.
La tragedia avvenuta nei giorni scorsi in A1 dove, a causa di un improvviso attraversamento di cinghiali, ha perso la vita un uomo di 28 anni e sono rimaste ferite altre 10 persone, infatti è solo il triste epilogo di una emergenza ormai nota a livello nazione e che nessun Governo ha voluto mai affrontare con decisione: gli ungulati.
Il nostro Paese, da nord a sud, ormai è in balia di un incontrollato quanto pericoloso aumento demografico di questi animali che si rendono quotidianamente protagonisti di una migrazione verso i centri abitati che, almeno fino ad oggi, sembra non interessare nessuno.
Sono anni che chi lavora la terra, dagli imprenditori agli agricoltori, si trova costantemente a fare i conti con i danni che questi animali provocano alle varie colture, senza poter fare niente per opporsi. Un vero e proprio bollettino di guerra in cui l’uomo è spettatore inerme di un fenomeno causato da un silenzio assordante con cui la politica, ieri e oggi, ha affrontato la questione.
Lascia quindi piuttosto perplessi che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, nei giorni scorsi abbia derubricato il problema ad un mero controllo delle recinzioni, segno evidente che non ha compreso a pieno la gravità di quanto sta accadendo.
Caro ministro, le possiamo assicurare che non si tratta di un problema di reti o guardrail, ma più semplicemente di selvaggina fuori controllo che si riproduce ormai da tempo senza nessuna cura da parte del suo proprietario. Ovvero lo Stato. Il paradosso infatti sta tutto qui: gli agricoltori e i cittadini si trovano a doversi difendere da quello che è per legge considerato un bene dello Stato.
Le imprese non si dovrebbero difendere dallo Stato, ma dovrebbe essere lo Stato a difendere le imprese. E invece a causa della presenza fuori controllo degli ungulati ogni anno noi imprenditori agricoli ci troviamo a dover rivedere al ribasso le stime delle nostre produzioni con gravi ripercussioni sui mercati. Nel mondo la competizione è spietata e le aziende che rappresentano il Made in Italy dovrebbero essere considerate un patrimonio di tutta Italia e di tutti gli italiani. Invece vediamo che non solo i nostri concorrenti stranieri sono aiutati dai loro Governi, ma che noi dobbiamo pagare la tassa occulta e indiretta dei danni provocati dagli ungulati. Per questo riteniamo che sarebbe giusto prevedere una legge sulla legittima difesa degli agricoltori dagli ungulati, in maniera tale da permettere a chi fa impresa di difendere se stessi e il proprio lavoro”.
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Scricchiola, appesa ai fili tesi al cielo di Fully, canton Vallese, la teleferica di Jacques Granges e Marion Granges-Faiss. Scricchiola. Sembra arrancare, a tratti. Barcolla un poco, mentre sale. Ma non si ferma. E non si fermerà mai. E’ il cuore grande di Marion e delle sue tre figlie che la tiene in funzione. Anche ora, anche oggi. Anche se per metà, quella teleferica, non avrebbe più senso d’esistere. Di raggiungere il cielo. Almeno da quel terribile 10 giugno 2016. Quel giorno che nel Valais – e non solo – nessuno scorderà più. Jacques era solo. A 870 metri d’altezza. Tra le sue vigne. Una distrazione, tra i filari. Forse a causa della fatica, dovuta alla fortissima pendenza del terreno. Il macchinario su cui si trovava si è ribaltato. Alcuni operai hanno trovato Jacques una decina di minuti dopo. Privo di vita. Per il forte trauma subìto alla testa. Inutili i soccorsi. I disperati tentativi di rianimazione. Lo attendevano per la pausa pranzo. Erano le 12.30 passate. E Jacques era un tipo puntuale. Se n’è andato così, il padre della viticoltura biodinamica svizzera. All’età di 70 anni. Se n’è andato tra le sue vigne. Tra le sue “figlie”. Tra le piante di Fendant, Riesling Sylvaner, Gamay e Pinot Nero. Se n’è andato lasciando Domaine de Beudon nelle sapienti mani della moglie Marion, che da una vita gli era accanto, anche in vigna. Per cercare di trarre il meglio, seguendo i principi della biodinamica (no diserbi, no concimi: in due parole “no chimica”) dallo splendido terroir di “loess”, come chiamano da queste parti l’argilla mista a sabbia e detriti morenici. Combattendo quotidianamente con le insidie del meteo e, in generale, con Madre Natura. Un’amica nemica da rispettare, quassù. Anche quando decide di fare la stronza. “Science, Coscience et Amour. Lo diceva sempre, Jacques. Aggiungendo subito dopo, ‘Tant Amour. Mi faceva sempre tanto ridere!'”. E’ con le parole del marito che Marion Granges-Faiss ci accoglie nella sua casa sulla montagna. Di nome e di fatto. Ci siamo fatti caricare sulla teleferica da Laura, l’impiegata storica del Domaine de Beudon. E abbiamo raggiunto l’abitazione, costruita proprio lassù. Tra le vigne eroiche. Cinque minuti di pura adrenalina, per arrivare a quasi 900 metri d’altezza. Sul cielo di Fully. Sul cielo di una Svizzera che piange ancora oggi, per la scomparsa di un grande uomo. Un rivoluzionario del vino. E della vita. Prende per mano il nipotino, Marion. Tra le dita sporche di terra il piccolo di 4 anni tiene una mela succulenta. Che sgranocchia goloso, durante il nostro tour delle vigne. Niente snack da queste parti: solo cibo genuino. La vista, tra i filari, è di quelle che mozzano il fiato. Ma è Marion che riesce a toglierti il respiro. Per davvero. Ancora più delle vertigini. E a farti lacrimare il cuore.
Cammina come un gatto tra le sue piante, Marion. Sinuosa, esperta. Delicata, decisa. E’ l’ossimoro fatto donna. Ogni tanto, tra una parola e l’altra in inglese, francese e italiano, si ferma. Si piega, sciolta. Strappa da terra un po’ di verbena e te la mette sotto il naso. “Quassù è pieno di piante officinali”, fa notare. “Ci facciamo delle buonissime tisane”. Profumi che ritroveremo nei vini del Domaine de Beudon. Chiari, netti, fini, in ognuna delle 25-30 mila bottiglie prodotte in media ogni anno dalle uve del Domaine, lavorate a Saillon nella cantina di Pierre Antoine Crettenand. “Perché noi non abbiamo mai avuto una cantina tutta nostra”, spiega Marion. Del resto di lavoro ce n’è sempre stato abbastanza tra i 7,5 ettari di proprietà della famiglia. Vigne che il 1 luglio hanno compiuto i 45 anni dal loro acquisto. Un traguardo che Jacques Granges ha solo sfiorato. “Negli anni ’70 l’acquisizione dei terreni – spiega la Signora del vino svizzero – e dal 1992 la certificazione del biodinamico, anche se fin dall’inizio ne abbiamo rispettato i princìpi. Come mai questa decisione? Perché noi siamo esseri umani e dobbiamo rispettare il nostro prossimo, ma anche l’ambiente. Il vino che produciamo, del resto, è per la gente. La biodinamica, per noi, è sempre stata più che una scelta una necessità morale: per noi, per i nostri cari, per il prossimo. Per la Terra”. Non a caso Domaine de Beudon aderisce al circuito di viticoltori Triple A – Agricoltori, Artigiani, Artisti: unica casa vinicola dell’intera Svizzera.
LA DEGUSTAZIONE Una scelta radicale. Compiuta con la consapevolezza dell’amore per la propria terra. Ma anche una decisione preziosa, dal punto di vista enologico. I vini biodinamici non filtrati di Jacques e Marion Granges-Faiss sono ormai riconosciuti internazionalmente come straordinari. Oltre il pionierismo. Oltre certe leggi non scritte del vino svizzero, secondo le quali – per esempio – un Fendant “va bevuto giovane”. Nel calice la vendemmia 2004 Beudon si presenta ancora d’un bel giallo paglia, con riflessi verdolini. Al naso l’impagabile freschezza delle note fruttate (albicocca) e uno spunto vegetale che costituirà il fil rouge, preziosissimo, di tutta la produzione del Domaine de Beudon. Un contrasto solo apparente, in quadro in cui anche la mineralità gioca un ruolo fondamentale. Vini d’agricoltura, d’artigianato. Vini d’arte. Vini di fatica. Vini folli. Basti pensare che in occasione della vendemmia, per i bianchi è prevista una prima pressatura in “alta quota”. Il mosto scorre dunque verso il basso mediante una canalina, costruita appositamente. Una volta a “terra”, il prezioso nettare finisce nelle vasche inox per la chiarifica (dèbourbage), poi condotte alla cantina di Pierre Antoine Crettenand per la lavorazione. Per i rossi il discorso è diverso. Ancora più folle, se possibile. Le uve, raccolte in piccole cassette, vengono condotte dai 600-900 metri d’altezza delle vigne sino a terra (a 450 metri slm) mediante ripetuti viaggi in teleferica. Immaginate un ‘ascensore’ pieno di cassette d’uva appena colta a grappoli, che scende dai monti come un dono del cielo. Viticoltura eroica dal campo alla bottiglia, insomma. Ed eroico è pure il Riesling Sylvaner 2004 del Domaine de Beudon. Ottenuto da un appezzamento di 1,6 ettari situato interamente a 800 metri d’altezza, risulta aromatico come un giovane moscato al naso, nonostante i 12 anni, con un tocco di miele delicato e fine. Lunghissimo in bocca, chiude su note amarognole che ricordano vagamente il rabarbaro. La degustazione prosegue con un Johnannisberg 2013 di grandissima intensità olfattiva. Miele, erbe d’alpeggio. Si passa ai rossi, con il Gamay 2009 (13%). Un assemblaggio tra uve provenienti da diversi appezzamenti del vigneto. Splendido tannino, gran frutto. Un marchio di fabbrica garantito dalle lunghe e lente macerazioni in acciaio. “Per garantire la tipicità del vitigno”, spiega Marion. Constellation 2007 (12,5%) è invece il riuscitissimo blend tra Pinot Noir, Gamay e Diolinoir, varietà autoctona del Vallese. “Con la biodinamica riusciamo a ottenere più ‘estratto’ di tutto”, commenta ancora la viticoltrice, sorseggiando il rosso. E in effetti siamo di fronte a un vino sensualissimo. Dai profumi vellutati di frutta (piccole bacche rosse) al riconoscibilissimo sentore di rosa. Un vino sinuoso, del fascino della discretezza. Anche al palato. Dove chiude con le canoniche note di erbe officinali, persistenti, lunghe. Chiudiamo con il Petite Arvine 2014, premiato come miglior vino bianco bio della Svizzera. Lo degustiamo leggermente fuori temperatura. Ma ne apprezziamo comunque la freschezza. Bel naso, a cui risponde in bocca una portentosa struttura e calore: verbena, timo, limone. La sensazione è quasi balsamica. “Adesso le tocca raccontare che i vini svizzeri ottenuti dalla viticoltura biodinamica sono longevi”, scherza Marion. Ci “tocca”? Dobbiamo. Chapeau.
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Aprire la gabbietta mantenendo rigorosamente il pollice sul tappo. Inclinare la bottiglia per facilitarne la stappatura evitando che la spuma finisca addosso ad un commensale. Togliere il tappo con un movimento rotatorio ed evitare assolutamente il botto, molto scenografico, ma poco da etichetta. Ecco alcuni passaggi della modalità adottata dai sommelier per aprire correttamente una bottiglia di spumante. Protocollo che applicato evita anche una denuncia per lesioni colpose. Chi infatti, nello stappare una bottiglia di bollicine colpisce qualcuno anche involontariamente con il tappo, è passibile di accusa di reato di lesioni colpose con risarcimento del danno arrecato sia fisico che morale. A stabilirlo è una sentenza della Cassazione emessa a seguito della denuncia di una donna, colpita gravemente all’occhio da un tappo, stappato impropriamente dal proprietario di un locale. Un gesto involontario che da oggi, in caso di incidente, può far incorrere in una denuncia con buona pace della voglia di festeggiare.
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