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Usiglian del Vescovo: mille anni di vino sul “mare” di Pisa, da assaggiare a piedi nudi

PALAIA – Se non fosse per quella “a” di troppo in “Palaia” e per un altro paio di dettagli non trascurabili, Usiglian del Vescovo sarebbe lo stabilimento balneare perfetto. Invece è una cantina millenaria. Fra il Mar Tirreno e Firenze.

A richiamare la “plaia” il suolo sabbioso, in cui affondano le radici 25 ettari di ombrelloni mancati, che d’estate si colorano di rosso e di oro: Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah, Petit Verdot, Chardonnay e Viognier, ormai abituati a convivere, spalla a spalla, con migliaia di conchiglie e fossili di epoca Pliocenica.

La boutique winery di proprietà di Luisa Angelini, esponente della nota famiglia di imprenditori del ramo farmaceutico, nel mare invisibile di Usiglian del Vescovo crede al punto da organizzare tasting in vigna, a piedi nudi.

“È così che facciamo comprendere agli ospiti le caratteristiche dei nostri vini”, chiarisce direttore di produzione Francesco Lomi. Da un terreno così povero, non possono nascere vini potenti e tannici.

Usiglian del Vescovo è il volto leggiadro e sornione di una Toscana fine ed elegante, che non rinuncia tuttavia al carattere e alla verve pisana, ben riconoscibile nei tratti salini dei bianchi e dei rossi della gamma. Calici che trasudano storia, tradizione e rispetto del terroir delle dolci colline della Valdera.

A dominare il borgo agricolo, un castello di cui si hanno notizie sin dal 1078. Fu Matilde di Canossa a donare l’allora Curtes altomedievale al Vescovo di Lucca. Tutt’attorno, 160 ettari di terreni, oggi suddivisi tra vigna, uliveto, prati e boschi. Una zona ancora selvaggia e incontaminata, coltivata secondo i dettami biologici.

“L’obiettivo – spiega ancora Francesco Lomi – è assecondare la finezza della nostra terra, regalando vini che parlino della zona da cui provengono. Un puzzle di vigneti molto frammentato, i cui pezzi si distinguono ancora oggi grazie al nome rinvenuto su una mappa dell’anno 1083″.

Rese bassissime per le uve che crescono nei piccoli “cru”: attorno ai 60 quintali per ettaro. L’esposizione e il microclima aiutano la vendemmia, con piogge regolari ed escursioni termiche che rinvigoriscono gli aromi.

LA DEGUSTAZIONE

Spumante Metodo classico Brut Rosé “Il Bruvé”: 85/100
Un Sangiovese spumantizzato col Metodo classico, non millesimato, che si rivela fresco, beverino, salino. Uno sparkling che ben si adatta all’aperitivo o ai momenti conviviali.

Igt Toscana Bianco 2018 “Il Ginestraio”: 88/100
Chardonnay e Viognier, raccolti assieme e affinati per 4 mesi in barrique. Un bianco tendenzialmente morbido, ma dotato ancora una volta di una beva agilissima e fresca. Il Centro bocca e la chiusura salina compensano i sentori di legno e la componente glicerica, facendo risultare il vino equilibrato e asciutto.

Igt Costa Toscana Bianco 2017 “MilleEsettantotto”: 92/100
Chardonnay e Viognier lavorati in barrique e tonneau, per il 70% nuovi. Il vino viene quindi affinato in giare di coccio pesto. Si tratta della prima annata di questa etichetta, presentata a Vinitaly 2019: un vino che guarda ai bianchi francesi, strizzando l’occhio a mostri sacri come il Cervaro della Sala, a un prezzo più vantaggioso.

Il legno, in evidenza sia al naso sia al palato, rivela la gioventù del nettare. Le uve, vendemmiate tre giorni dopo quelle de “Il Ginestraio”, evidenziano tutta la maturità, oltre alla maggiore concentrazione degli zuccheri.

Gran bella pienezza al palato: la componente fruttata è compensata da un’ottima freschezza, rinvigorita nel finale da accenni di pepe bianco. Un bianco di assoluta gastronomicità, capace di dare grandi soddisfazioni a tavola.

Igt Costa Toscana Rosso 2016 “Il Grullaio”: 90/100
Prodotto sin dal 2009, è uno dei vini simbolo di Usiglian del Vescovo, ottenuto da Merlot e Cabernet Sauvignon. Poco contatto con le bucce e vinificazione in acciaio per questo rosso tutto frutto, freschezza e mineralità, con ricordi di macchia mediterranea e accenni di spezia. Buona la persistenza.

Igt Toscana Rosso 2017 “Mora del Roveto”: 87/100
Sangiovese 60%, Cabernet Sauvignon 20% e Merlot 20%, affinati in barrique di secondo passaggio. Al naso incantano le note floreali di viola e di rosa, sul frutto pieno. In bocca, al netto di una temperatura di servizio non proprio ideale, il nettare si rivela un po’ troppo potente sull’alcol. Il tannino è elegante e ben integrato e gioca bene con la freschezza, al sorso. Ottimo il rapporto qualità prezzo.

Igt Toscana Rosso 2015 “Il Barbiglione”: 89/100
La base è costituita dal Syrah, unito a piccole “dosi” di Merlot e Cabernet Sauvignon. Ancora una volta freschezza ed alcol risultano determinanti al sorso, oltre alla spezia e a una buona componente minerale, salina. Un vino che può tranquillamente affinare ancora in cantina.

Igt Toscana Rosso 2015 “MilleEottantatre”: 93/100
Petit Vedot in purezza, affinato due anni in tonneau nuovi. La migliore espressione dei rossi di casa Usiglian del Vescovo. Naso elegante e complesso, finissimo. Al palato gran pienezza, verticalità e gastronomicità, decisa anche da un tocco di radice di rabarbaro sul frutto, in chiusura.

Vin Santo del Chianti Doc 2011 Occhio di Pernice: 91/100
Vigna del 1984 per il 70% di Sangiovese, unito a un 30% di Malvasia bianca e Trebbiano. Tipico sin dal colore, ambrato. Al naso note di frutta secca, come arachidi e noci, unite ad albicocca disidratata. Buona corrispondenza al palato, in cui la vena aromatica viene sferzata da note di arancia cantina e spezia. Ottima la persistenza.

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***DISCLAIMER*** L’articolo è frutto di un pranzo-degustazione organizzato per la stampa dalla cantina e dal relativo ufficio stampa. I commenti espressi sono comunque frutto della completa autonomia di giudizio della nostra testata, nel rispetto assoluto dei nostri lettori

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Analisi e Tendenze Vino news

Igt del vino italiano: che confusione! Sarà perché ti (bevi)amo

Si scrive “Indicazione geografica tipica“, si legge “fate un po’ quello che ve pare”. A tuffarsi nel mondo delle “Igt” del vino italiano (oggi “Igp”) si scoprono più cose che sfogliando Men’s Health.

Quello che potrebbe essere lo scrigno delle “tipicità” enologiche regionali, sembra in realtà il quadro di tanti improvvisati Miró.

Non si spiega altrimenti la presenza di vitigni come il Refosco dal Peduncolo Rosso, allevato in Friuli (dove è pure “Doc”), in un paio di Igt del Centro e Sud Italia, tra cui quella della Valle d’Itria, in Puglia.

Per non parlare della Glera, divenuta ormai il vitigno non autoctono più coltivato in Sicilia, soprattutto nella zona di Palermo, dove è stata introdotta in Igt nel 2009. Che dire, poi, del Primitivo? Un altro vitigno che i comuni mortali accosterebbero alla Puglia.

E invece è presente in alcune Igt del centro Italia (in Basilicata, per esempio), così come il Nebbiolo e la Freisa. Per non allontanarsi idealmente dal Piemonte, ecco la Barbera: in Igt in Campania, Puglia e Calabria.

Non manca neppure il Lambrusco. Scordatevi l’Emilia e la Romagna, pensando che la coltivazione di questa varietà a bacca rossa è ammessa in regioni come la Puglia, nelle Igt Daunia e (ancora lei) Valle D’Itria. Per regolamento del Mipaaf, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

Che dire del Teroldego in Toscana? L’ammissione alla coltivazione l’ha voluta tanti anni fa un dirigente originario del Trentino, appassionato di quest’uva. E lo ritroviamo, infatti, anche nella Igt Costa Toscana, di recentissima costituzione.

PAESE CHE VAI…
Stranezze, stravaganze, o colpi di genio che voler si dica, che non possono trovare una reale giustificazione nella tradizione ampelografica di alcuni areali.

Diciamoci, allora, che le Igt – fin troppo spesso – rischiano di sembrare riuscitissime trovate commerciali.

Tutto tranne che strumenti utili a veicolare la tipicità (e la varietà) del Made in Italy nel mondo, al di là del “lavoro” delle Denominazioni d’origine.

Un campo, quello delle Indicazioni geografiche del vino, che deve aver impegnato tante capocce. Lo si capisce dal numero. Sono ben 181, da Nord a Sud Italia. Veri e propri agglomerati di regolamentazioni e burocrazia, utili più ad occupare cassetti che a favorire la promozione “global” delle eccellenze “local” (ci si accontenterebbe anche del “national”).

Per citarne alcune delle più curiose, in ordine alfabetico: Igt Alto Livenza, Igt Benaco Bresciano, Igt Bettona, Igt Catalanesca del Monte Somma, Igt Colline del Genovesato, Igt del Vastese o Historium, Igt Epomeo.

E andiamo avanti: Igt Fontanarossa di Cerda, Igt Marmilla, Igt Pareolla, Igt Planargia, Igt Quistello, Igt Rotae, Igt Terre del Valeja, Igt Tharros, Igt Valdamato. L’elenco è lunghissimo. Cui prodest?

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