Categorie
news news ed eventi

Italgrob apre il primo tavolo di confronto tra le industrie delle bevande

Italgrob apre il primo tavolo di confronto tra le industrie delle bevande

Italgrob, la Federazione Italiana dei Distributori Horeca (comprensivo di tutto il circuito dei consumi “fuori casa”) promuove il primo tavolo tecnico di confronto aperto alle imprese della produzione e della distribuzione rivolte al mondo dei pubblici esercizi.

«Due le ragioni alla base di questa iniziativa – spiega il presidente di Italgrob, Antonio Portaccio – Prima ragione, la volontà di Confindustria di favorire la massima sinergia fra l’imprenditoria dei servizi e quella dell’industria di produzione. Seconda, il desiderio della Federazione dei distributori Horeca di dialogare sempre di più e meglio con le maggiori industrie di produzione. Cooperare in maniera più organizzata ed efficace nell’interesse di tutti. Il confronto, pertanto, si rende necessario per generare valore aggiunto a vantaggio di tutti gli attori della filiera».

GLI OBIETTIVI

Primo far gli obiettivi del tavolo è il confronto con l’industria per condividere le specifiche strategie da attuare nel canale Horeca. Inoltre rafforzare la cooperazione come elemento insostituibile per affrontare insieme, produttori e distributori, le complesse sfide di un mercato sempre più evoluto.

Un discussione che vuole verificare gli ostacoli che penalizzano la collaborazione e individuare strumenti e opportunità per superarli. Discutere le iniziative di canale più adeguate per valorizzare la collaborazione fra produttori, consorzi nazionali e gruppi di distributori indipendenti.

IL PRIMO CONFRONTO

Al centro del primo tavolo di concertazione stato il tema dei trasporti e della logistica. L’incontro ha visto la presenza di imprenditori, presidenti e direttori di consorzi nazionali della distribuzione insieme con i rappresentanti delle imprese di produzione di bevande. Coca Cola, Pepsico, Peroni, Heineken, San Benedetto, San Pellegrino, Ferrarelle, Campari e Conserve Italia.

Nel corso del 2021, infatti, la distribuzione ha dovuto fronteggiare una serie di difficoltà, in buona parte provocata dai cambiamenti imposti dal caos pandemico. I disservizi logistici, le rotture di stock fornitori-produttori che hanno generato sostituzioni, i nuovi ordini da riconsegnare, la frammentazione degli ordini dei clienti, l’incremento della media delle consegne per viaggio, il decremento della media del valore per consegna, le attività di riconsegna degli stralci d’ordine.

«Siamo consapevoli che non possiamo più confrontarci con il 2019 e che non tornerà tutto come prima. Il cambiamento è già in atto e proprio per questo era importante aprire uno spazio di confronto tra i protagonisti della filiera», avverte Dino Di Marino, direttore generale di Italgrob.

«Il primo appuntamento – prosegue Di Marino – è stato più che soddisfacente e ci incoraggia a proseguire. Sono emersi un metodo nuovo di relazione. Un impegno a condividere le problematiche nel rispetto dei ruoli e delle esigenze. L’importanza della programmazione e della pianificazione per migliorare l’area dei trasporti».

«Come emerge dai preziosi contributi di tutti, l’obiettivo di questo tavolo deve essere la definizione di un agreement sulla soddisfazione e la qualità del servizio logistico. È il momento opportuno per essere più consapevoli delle necessità di ciascun attore e per avvicinare le distanze tra i diversi punti della filiera», conclude Di Marino.

Categorie
birra

Heineken rivende birrificio Hibu ai soci fondatori

Heineken Italia Spa ha ceduto la proprietà del birrificio Hibu ai soci fondatori Tommaso Norsa e Raimondo Cetani. Hibu fu acquisito nel 2017 da Dibevit Improt Srl, società controllata da Heineken Italia dedita all’import di birre speciali.

A valle dell’acquisizione, Norsa e Cetani rimasero all’interno dell’azienda di Burago di Molgora (MB). A loro il compito di seguire la gestione produttiva in un’ottica di continuità, nonostante Hibu avesse perso lo status di birrificio artigianale.

L’operazione segue a stretto giro la chiusura di Dibevit Improt, avvenuta lo scorso 1 gennaio 2022 tramite fusione per incorporazione in Heineken Italia. Con le due operazioni Heineken ristruttura la propria presenza in Italia. Un segnale del cambio di strategia nei confronti delle birre speciali ed artigianali.

Categorie
birra

Distell nel mirino di Heineken: colpo in Sudafrica dopo i licenziamenti?

Heineken N.V., il secondo produttore di birra al mondo, punta ad espandersi in altre settori. Prova sarebbe la trattativa avviata per l’acquisizione di Distell, azienda sudafricana che produce anche vini e liquori.

«Si informano gli azionisti che Heineken N.V. ha contattato Distell in merito alla potenziale acquisizione della maggior parte delle attività di Distell», si legge in una nota della società sudafricana.

Ricordando che non vi è alcuna certezza che verrà raggiunto un accordo – continua il gruppo leader nei settori Wines, Spirits, Ciders – si consiglia agli azionisti di prestare attenzione nel negoziare i loro titoli Distell fino ad ulteriore annuncio».

L’OPERAZIONE

L’acquisto di Distell, che vanta una capitalizzazione di borsa di circa 2,4 miliardi di dollari, rientrerebbe nel piano del nuovo Ceo di Heineken Dolf van den Brink. L’obiettivo? Migliorare i margini di profitto, dopo il taglio di 8.000 posti di lavoro al mondo (93 in Italia).

Heineken e Distell, rispettivamente il più grande e il secondo produttore di sidro al mondo, si contendono il mercato del sidro in Sud Africa dal 2016, quando Heineken ha lanciato il suo marchio Strongbow insediando il primato del sidro Savanna di Distell.

Oltre al sidro Distell produce birra, il famoso vino Nederburg, il liquore alla crema Amarula, il brandy Klipdrift, il whisky Bain’s e possiede le distillerie di whisky scozzese Bunnahabhain, Deanston e Tobermory. Non è chiaro se, a valle della potenziale acquisizione, Heineken manterrà attivi tutti i mercati o se cederà alcuni marchi non strategici.

Categorie
birra news news ed eventi

Birra Artigianale: mancano le lattine

Scarseggiano le lattine per confezionare le birre artigianali. Come evidenziato da diversi studi nel corso del 2020 sono cambiate le abitudini d’acquisto a causa dell’emergenza sanitaria e dei conseguenti lockdown. La chiusura del canale Horeca ha portato i consumatori sempre più verso gli scaffali dei supermercati, facendo aumentare la richiesta di prodotti confezionati come bibite gasate e birre in lattina.

Come conseguenza, le multinazionali del beverage – colossi come AB-Inbev, Heineken, Coca Cola o Pepsi – hanno aumentato considerevolmente i propri ordini di lattine in allumino al punto da limitare molto la disponibilità delle stesse per i piccoli birrifici.

L’allarme è partito dagli Stati Uniti lo scorso febbraio quando Robert Pease, presidente della Brewers Association (l’associazione dei birrifici artigianali americani che conta oltre 8.400 produttori che coprono circa il 13% del mercato brassicolo statunitense), ha indirizzato un lettera aperta ai produttori di lattine per segnalare il problema.

«I nostri membri – si legge nella lettera – riferiscono che le notizie sulla fornitura di lattine di alluminio stanno peggiorando, con riduzioni che in alcuni casi arrivano anche al 40%. Alcuni birrifici hanno appreso che i loro ordini per il primo trimestre sono stati cancellati mentre ad altri è stato detto che non potranno avere lattine fino al secondo trimestre del 2021. Questi birrifici non sopravviveranno così a lungo senza lattine».

Il sospetto della Brewers Association è che a fronte della situazione i produttori di lattine in allumino stiano favorendo i maxi ordini delle multinazionali a scapito dei piccoli birrifici artigianali.

In Italia la questione non sembra avere, per il momento, la stessa portata degli Usa. Ma questa settimana il Birrificio Crak di Campodarsego (Padova) ha segnalato il problema con un post sui social.

Stanno finendo le lattine. Questo lungo lockdown porta con sé una nuova sfida: lottare per non rimanere senza lattine», si legge sulla pagina Facebook del birrificio.

«In tempi di carenza, non ci sono violazioni dell’antitrust e, quindi, si privilegiano i clienti più grandi», conclude Crak avvisando i proprio clienti di esser costretto a confezionare alcune loro birre con «le lattine Guerrilla con la “vecchia grafica” che non avevamo mai utilizzato dopo “Crak the Rules”». Un problema in più per i microbirrifici già duramente colpiti dalla pandemia.

Cia e Unionbirrai: “Filiera agricola a rischio se si ferma la Birra Artigianale”

Categorie
birra

Heineken: la birra invenduta diventa energia pulita

Heineken sta trasformando la birra invenduta in energia pulita. Le pesanti ripercussioni della pandemia e la conseguente chiusura di bar, pub, ristoranti e locali di mescita hanno già spinto il colosso olandese ad una pesante ristrutturazione.

Ora, con un’idea innovativa, il team dello stabilimento Heineken di Manchester ha trovato un modo per riciclare le giacenze di birra, che rischiano di dover essere gettate via a causa della chiusura dell’Horeca, convertendole in energia verde.

«Dopo tutta la cura, l’attenzione e la passione che sono state impiegate nella produzione della birra, sarebbe stato un vero peccato doverla sversare – dice Matt Callan, direttore del birrificio – nessun birraio vuole che la propria birra non venga gustata».

«Il nostro team di ingegneri e birrai a Manchester ha trovato una soluzione – prosegue Callan – utilizzando la nostra linea di infustamento per svuotare i barili di birra e trasformare la birra che sarebbe andata sprecata in energia verde per alimentare la produzione di birra fresca. Tutto pronto per quando i pub riapriranno».

Invertendo il meccanismo di riempimento dei fusti e attraverso l’impianto di trattamento delle acque reflue immessa in un digestore anaerobico che aiuta a convertire la birra in biogas utilizzato per produrre questa energia rinnovabile e sostenibile.

Heineken stima di aver convertito 83.210 fusti da cinquanta litri in energia da maggio 2020, l’equivalente di oltre sette milioni di pinte che altrimenti sarebbero andate sprecate. A febbraio la British Beer & Pub Association ha stimato che si sono sprecare circa 87 milioni di pinte da inizio pandemia, per un valore di oltre 331 milioni di sterline.

Categorie
birra

Heineken annuncia 8 mila licenziamenti al mondo

Sembra non aver fine il periodo nero di Heineken. Dopo aver annunciato lo scorso novembre 93 esuberi in Italia, la multinazionale Olandese ha annunciato il taglio di altri 8 mila posti di lavoro nei suoi stabilimenti nel mondo.

Il colosso, secondo produttore di birra al mondo dopo AB-Inbev con oltre 200 mila ettolitri di birra prodotti ogni anno suddivisi in più di 250 marchi fra cui gli italiani Birra Moretti, Ichnusa, Dreher e Birra Missina, ha visto un calo del fatturato nel 2020 pari al 16% a causa della pandemia e del crollo delle vendite del canale Horeca.

L’azienda si dichiara quindi costretta a ridurre gli attuali 85 mila dipendenti e ad attuare un piano di riorganizzazione volto a ridurre i costi di circa 350 milioni di euro l’anno. Non è ancora chiaro quali saranno i Paesi e gli stabilimenti coinvolti nella ristrutturazione.

Categorie
birra news news ed eventi

Qual è la miglior birra analcolica, nell’anno del boom delle birre zero alcol?

«Alex inutile e triste come la birra senz’alcol» scriveva Enrico Brizzi in “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, nel 1994. È passato più di un quarto di secolo e l’idea della “bionda senza alcol” non è cambiata. Si pensa alla birra analcolica come a qualcosa che vada bene giusto “in pizzeria”, con gli amici. Quando hai estratto la pagliuzza più corta e tocca a te guidare.

Perché diciamoci la verità: si compra la birra analcolica al supermercato solo se hai ospite l’amico astemio. La sollevi guardingo dallo scaffale, come un ladro. E la riponi nel carrello sperando che nessuno ti veda.

E una volta in cassa fai finta di niente, sorridi imbarazzato e cerchi di non incrociare lo sguardo della cassiera. Con l’atteggiamento dell’alunno che ha passato il weekend sui videogiochi, al posto di mettersi a studiare. Estremizziamo, ovviamente. Ma non troppo.

IL TREND
La vendita di birra a basso contenuto alcolico ha superato globalmente i 4 miliardi di dollari nel 2019 coprendo il 30% del mercato Usa e il 5% del mercato europeo. Non solo.

Da un’analisi di Global Market Insights recentemente pubblicata emerge un trend che porterà l’analcolica ad un giro d’affari di oltre 29 miliardi di dollari entro il 2026 con una produzione mondiale che supererà i 3 miliardi di litri.

Non esattamente bruscolini, tant’è che tutti i colossi mondiali della birra si stanno muovendo in questa direzione. Ultima in ordine cronologico Diageo che ha annunciato per il 2021 il lancio di Guinness 0.0, la prima Irish Stout a zero contenuto di alcol. Un settore che fa gola anche ai birrifici artigianali, alcuni dei quali l’hanno recentemente inserita in gamma.

Una crescente domanda di prodotti “low and no” alcol influenzata non solo dalle leggi sempre più restrittive in materia di consumo di alcolici, ma anche dalla volontà dei consumatori di adottare stili di vita più sani e un regime alimentare meno calorico.

Non a caso Heineken fa vanto della leggerezza della sua lager 0.0 riportando sulla confezione «69 calorie a bottiglia» e con uno spot pubblicitario ambientato in palestra. Lo abbiamo già scritto a inizio anno: le “Kcal” in etichetta saranno a nostro avviso un trend del 2021, anche nel mondo del vino.

LA DEGUSTAZIONE
Ma come si comporta la birra analcolica alla prova del calice? Abbiamo voluto testare le birre analcoliche reperibili nelle maggiori insegne della Grande distribuzione organizzata, ovvero al supermercato. Al solito, senza pregiudizi.

Occorre innanzitutto fare una precisazione: per la legge italiana si definisce “analcolica” una birra con un tenore alcolico inferiore a 1,2% (negli Usa il limite è 0,4%, in Uk di soli 0,05%). Occorre quindi fare attenzione all’etichetta se si vuol acquistare qualcosa di totalmente privo di alcol, così come all’indicazione delle calorie se vogliamo un prodotto “dietetico”.

Bavaria 0.0 – 0,0% – 24 Kcal/100 ml
Colore dorato, schiuma scarsa e scarsamente persistente. Al naso note di camomilla ed una leggera vena di erbe aromatiche come timo. Scorrevole al sorso e poco persistente non presenta alcuna nota amara.

Clausthaler Original – 0,49% – 26 Kcal/100 ml
Dorata con schiuma bianca, soffice e poco persistente. Naso erbaceo, fresco. Sentori di erba tagliata e cereale accompagnati da un tocco di camomilla. In bocca l’amaricante del luppolo accompagna la breve persistenza.

Moretti Zero – 0,0% – 20 Kcal/100 ml
Giallo paglierino carico, schiuma scarsa. Floreale al naso invita subito al sorso ma tradisce le aspettative nella fase gustativa. In bocca si svuota completamente lasciando solo un vago ricordo.

Tourtel – 0,5% – 22 Kcal/100 ml
Colore dorato carico che strizza l’occhio all’ambrato. Anche qui la schiuma ha vita breve. Al naso è il malto che la fa da padrone, facendo pensare ad una eccessiva “dolcezza”. In bocca la vena amara riporta in ordine la degustazione.

Beck’s Blue – 0,3% – 23 Kcal/100 ml
Dorato carico. Schiuma bianca ben poco durevole. Camomilla e miele al naso. Sfuggente in bocca. Amaro non pervenuto.

Heineken 0.0 – 0,0% – 21 Kcal/100 ml
Giallo paglierino carico sormontato da un bel cappello di schiuma bianca. Naso erbaceo ma poco intenso e sorso scorrevole ma equilibrato. Brevissima la persistenza. Una birra che “sa di poco”, ma quel poco è fatto bene.

Birra Coop Italiana Analcolica – 0,5% – 19 Kcal/100 ml
La privat label di Coop è prodotta nello stabilimento Pedavena con 100% malto d’orzo italiano. Il naso gioca su note di fieno, malto e camomilla. La nota amara guida il sorso togliendo stucchevolezza. Insieme a Clausthaler e Heineken è probabilmente la migliore alternativa “da pizzeria”.

Brooklyn Special Effect Hoppy Lager – 0,4% – 29 Kcal/100 ml
Prodotta in Europa da Carlsberg si presenta di color ambrato e schiuma soffice. Naso accattivante che gioca su note floreali e fruttate figlie dell’abbondante luppolatura aromatica. Bocca ricca e profumata anche se leggermente disequilibrata. Una birra a cui piace “vincere facile” col suo stile che strizza l’occhio alle APA.

Paulaner Weissbier Non-alcoholic – 0,0% – 24 Kcal/100 ml
L’unica Weiss della degustazione e pertanto outsider in un panel di lager, si presenta leggermente torbida e con l’abbondante schiuma tipica dello stile. Al naso non si avverte la differenza rispetto alle lager. Anche qui la tipica parte erbacea del frumento “vira” in camomilla. In bocca non si distacca dalle concorrenti.

Appare chiaro come l’assenza di alcol influenzi, e non poco, il gusto della birra. Al naso le tipiche note di malto e di fieno tendono ad addolcirsi ulteriormente e a ricordare sentori di camomilla e miele appiattendo lo spettro olfattivo. In bocca, inoltre, si avverte l’assenza della sensazione di calore tipica delle bevande alcoliche, risultando zoppa. Manca, in sostanza, qualcosa che sostenga il sorso.

COME SI PRODUCE LA BIRRA ANALCOLICA?
Vi sono differenti processi per la produzione di queste tipologie di birra sostanzialmente raggruppabili in due categorie: tecniche di diluizione e tecniche sottrattive.

Le tecniche di diluizione si basano sulla preparazione di mosti in cui, per via degli ingredienti utilizzati, l’attività enzimatica porta alla formazione di destrine ottenendo così un ridotto contenuto di zuccheri fermentescibili. Questo, unito all’uso di lieviti a basso potere alcoligeno o che degradano l’alcol per via ossidativa, porta a fermentare birre a basso tenore alcolico.

Nelle tecniche sottrattive si separa l’alcol normalmente presente nella birra a fine fermentazione con metodologie chimico-fisiche come l’evaporazione sottovuoto, l’osmosi inversa o la dialisi su membrana. Si tratta sostanzialmente di avanzate tecniche di filtraggio che, seppur tecnologicamente controllabili, eliminano dalla birra non solo l’alool ma anche quelle sostanze con peso molecolare simile a quello dell’etanolo.

Categorie
birra news news ed eventi

Heineken annuncia 93 esuberi in Italia

Heineken, colosso multinazionale della birra e leader di mercato in Italia con una quota intorno al 30%, ha annunciato 93 esuberi nel nostro paese. La decisone fa parte di un piano di riorganizzazione mondiale varato lo scorso 28 ottobre in occasione della rendicontazione del terzo trimestre, piano che prevede un taglio dei costi del personale del 20% a fronte del crollo delle vendite del canale Horeca.

Gli esuberi, al momento solo teorici dato il Decreto blocca licenziamenti in vigore per l’emergenza Covid, riguarderanno sia il quartier generale di Sesto San Giovanni (MI), con 46 lavoratori interessati, che i quattro stabilimenti produttivi del gruppo – Comun Nuovo (BG), Pollein (AO), Massafra (TA) e Assemini (CA) – in cui verranno avviati piani di esternalizzazione di alcune attività.

LA POSIZIONE DEI SINDACATI
Immediata la reazione delle principali sigle sindacali, che hanno incontrato il Gruppo Heineken lo scorso 24 novembre. “L’azienda – hanno dichiarato Fai-Cisl, Flai-Cgil, Uila-Uil in una nota congiunta – ci ha annunciato una riorganizzazione del gruppo a livello mondo che per l’Italia significa un piano di 93 esuberi e un progetto di terziarizzazione su tutti e quattro gli stabilimenti”.

“L’annuncio di Heineken è inaccettabile – prosegue la nota – ancor più in un momento storico e straordinario come quello che stiamo vivendo, legato ad un’emergenza sanitaria senza precedenti. Da subito abbiamo dichiarato la nostra contrarietà e stigmatizzato come un’azienda di questo livello scelga di mettere in campo come unica soluzione per essere più competitiva e per rimanere leader del settore, gli esuberi”.

“Le difficoltà e il raggiungimento degli obiettivi che si pone una grande multinazionale, ancora una volta ricadono sui lavoratori. Il confronto – conclude la nota – è stato aggiornato per il prossimo 3 dicembre con l’intento di individuare soluzioni volte a tutelare i lavoratori”.

Heineken Italia, filiale italiana del noto gruppo olandese, produce nei quattro stabilimenti oltre 5,7 milioni di ettolitri di birra all’anno, commercializzati coi vari marchi del gruppo come le note Ichnusa, Dreher, Birra Missina e Birra Moretti.

Categorie
birra

Heineken Uk lancia Green Grip, l’imballo in cartone ecostenibile

Heineken Uk ha lanciato Green Grip, il suo innovativo topper per lattine in cartone 100% plastic free in migliaia di distributori sul territorio britannico. Sarà inizialmente presente sulle confezioni multi-lattina di Heineken, Foster e Kronenbourg 1664 per poi essere applicato a tutto il suo portafoglio di birra e sidro della compagnia.

L’azienda, nonostante i notevoli ostacoli operativi causati dalla pandemia da Covid-19, ha mantenuto il suo piano di innovazione sostenibile con l’obbiettivo eliminare la plastica dagli scaffali dei supermercati entro la fine del 2021.

Il nuovo imballaggio inoltre minimizza l’uso di materiale riducendo i rifiuti. La combinazione di Green Grip e la rimozione degli imballaggi termoretraibili dalle confezioni eliminerà oltre 517 tonnellate di plastica all’anno, l’equivalente di 94 milioni di sacchetti di plastica.

L’uso di tecnologie innovative, unito al duro lavoro del nostro team di Manchester, ci ha permesso di mantenere la nostra ambizione di eliminare la plastica monouso dagli scaffali dei supermercati. Si tratta di una pietra miliare significativa nel nostro percorso, e non vediamo l’ora di lanciare Green Grip su tutto il resto del nostro portafoglio di birra e sidro nel 2021″, ha dichiarato Michael Gillane, direttore marketing di Heineken UK, con riferimento alle difficoltà conseguenti la pandemia.

Heineken Uk, nonostante le restrizioni di viaggio in tutta Europa, è riuscita a portare a termine l’istallazione delle nuove macchine d’imballaggio presso il suo birrificio di Manchester grazie anche alla tecnologia virtuale. Il team di Manchester ha infatti utilizzato degli smart glasses per collaborare con gli ingegneri italiani nel processo di installazione e per ricevere una la formazione su come far funzionare i macchinari in modo sicuro.

“Continuiamo – aggiunge Matt Callan, Green Grip line Brewing & Operations Director – a cercare altre opzioni per eliminare la plastica monouso, anche nella nostra rete logistica e distributiva, e rimaniamo impegnati ad eliminare la plastica non necessaria nella nostra catena di fornitura totale”.

Dopo la sperimentazione presso il birrificio Heineken Uk di Manchester, l’adozione di Green Grip è prevista anche negli stabilimenti del gruppo di Tadcaster e Hereford nel marzo 2021.

Categorie
birra

Ichnusa lancia Non Filtrata “Taglia giusta”

Ichnusa, marchio sardo del gruppo Heineken, lancia “Taglia giusta“, un nuovo packaging in bottiglia da 20 cl per la sua Non Filtrata. La nuova referenza, dimensionata esattamente come il bicchiere da “birra piccola” al pub, ha lo scopo di garantire la corretta temperatura di servizio ed un consumo più semplice e veloce.

Distribuita in confezioni da 4 bottiglie è a scaffale in Sardegna da fine marzo e disponibile sul mercato nazionale a partire dallo scorso mese di giugno. Nata nel 2017, in meno di tre anni Ichnusa Non Filtrata per la sua produzione si avvale al 100% di malto d’orzo e malto d’orzo caramello, una miscela che le conferisce un gusto rotondo.

A fine processo, invece di essere filtrata viene lasciata decantare naturalmente nei tini di fermentazione. In questo modo conserva i lieviti in sospensione, conservando un aspetto velato.

Categorie
birra

Birra Pedavena

È uno di quei marchi commerciali che riscuote molto seguito. Che sia per la storia travagliata del birrificio, che sia per la sua posizione geografica a ridosso delle Dolomiti e per una qualche forma di legame territoriale o che sia per una presunta qualità di prodotto fatto sta che non è raro sentirsi dire “a me piace la Pedavena“. Ma come si comporta la famosa Birra Pedavena al calice? Abbiamo assaggiato per voi la versione Pedavena Speciale.

LA DEGUSTAZIONE
Un bel dorato carico con schiuma candida e piuttosto compatta. Naso piuttosto intenso in relazione alla categoria (tipologia-prezzo) che apre sui sentori aromatici del luppulo. Note agrumate ed erbacee seguite poi dalla dolcezza del malto. Piena al sorso risulta piuttosto avvolgente e poco amaricante. Dominano in bocca le note maltate e morbide che lasciano spazio all’amaro del luppolo solo delicatamente sul finale. Una birra fresca e dalla bevuta rotonda e piacevole.

BIRRA PEDAVENA
Storia travagliata, dicevamo, quella del Birrificio di Pedavena. Fondato nel 1897 dai fratelli Luciani che, originari di Canale d’Agordo, scelsero il comune di Pedavena (BL) per la qualità dell’acqua e cresciuto negli anni vide requisire i propri impianti dall’esercito Austro-ungarico dopo la battaglia di Caporetto. Tornato in mano ai proprietari nel dopoguerra riparte la crescita che porta Pedavena ad acquisire Dreher nel 1928 non che ulteriori stabilimenti nel secondo dopoguerra.

Con l’apertura di un nuovo impianto nel 1965  a Massafra (provincia di Taranto. L’attuale impianto Heineken da cui provengono le birre Dreher e Birra Messina) la crescita continua fino alle prime avvisaglie di crisi concretizzatasi nel 1974 con l’acquisizione da parte di Heineken. Proprio Heineken decide, nel 2004, la chiusura dello stabilimento di Pedavena.

Grazie alla mobilitazione dei dipendenti, dei sindacati, delle autorità locali, della popolazione (oltre 44.000 le firme raccolte), e all’interessamento di imprenditori della zona nel 2006 l’impianto ed il marchio vengono rilevati da Birra Castello. Ripresa la produzione, dallo stabilimento bellunese escono oggi le bottiglie a marchio Pedavena, Birra Dolomiti ed alcune private label della Gdo.

Categorie
birra

Ichnusa: le diverse sfumature dell’anima sarda

Se sul mercato italiano Asahi Breweries, Carlsberg e Forst si giocano la pseudo-artigianalità con Peroni Cruda, Poretti 3 Luppoli Non Filtrata e Felsenkeller Bier, Gruppo Heineken lo fa sfoggiando il marchio Ichnusa. “Anima sarda” come da anni recitano non solo le campagne pubblicitarie ma anche l’etichetta stessa, Ichnusa (acquista da Heineken nel 1986) è effettivamente prodotta ancora oggi nell’impianto di Assemini-Macchiareddu (area metropolitana di Cagliari).

Forse uno dei primi marchi “italiani” ad arricchire la propria gamma affiancando alla tradizionale lager Ichnusa Cruda nel 2012 (in occasione del centenario dalla fondazione) e Ichnusa Non Filtrata nel 2017 (per i 50 anni dello stabilimento di Assemini).

ICHNUSA ANIMA SARDA
Da sempre bandiera del birrificio è una lager della cui ricetta fa parte, a fianco del malto, anche del granturco. Ingrediente che dona maggiore rotondità alla birra. Limpida e dal colore dorato scarico è sormontata da un bel cappello di schiuma bianca, soffice e mediamente persistente. Al naso, non molto intenso, si percepisce bene la nota aromatica di luppolo. In bocca, pur se di corpo leggero, riempie bene il sorso risultando scorrevole e, per l’appunto, rotonda. Poco amara e poco persistente è molto beverina e dissetante. Ben fatta nella sua semplicità.

ICHNUSA NON FILTRATA
Colore dorato pieno e piacevolmente velato. Schiuma persistente. Alle note del luppolo si affiancano sentori fruttati di frutta bianca e leggera nota fresca del lievito. In bocca è decisamente più corposa e strutturata della sorella filtrata. Al tocco amaricante del lievito in sospensione fa da contraltare la dolcezza del malto ed un aroma del luppolo non eccessivamente marcato. Più persistente della precedente ne mantiene comunque la facilità di beva ed un sorso pieno ed appagante.

ICHNUSA CRUDA
Non pastorizzata e sottoposta ad un processo di microfiltrazione si presenta limpida, di colore dorato e schiuma bianca di media persistenza. Naso delicato con sentori erbacei di luppolo e fieno. In bocca ricorda da vicino la sorella filtrata anche risulta più intensa e ricca. Breve persistenza in cui prevale la leggera nota amaricante.

Categorie
birra

Birra Messina cristalli di sale

Uno spot pubblicitario, in onda dallo scorso 16 giugno, che scomoda una delle più emozionanti colonne sonore del maestro Morricone, mostra la dura bellezza della Sicilia e la racconta attraverso una poesia in dialetto siciliano. Dietro lo spot non solo un nuovo prodotto, Birra Messina cristalli di sale, ma anche un vero e proprio progetto industriale.

LA STORIA DI BIRRIFICIO MESSINA
Nata a Messina nel 1923, come “Birra Trinacria“, Birra Messina ha visto crescere la propria produzione soddisfando la domanda del sud Italia fino agli anni ’80 quando, a causa della concorrenza di marchi stranieri, si ebbero le prime avvisaglie di crisi. Nel 1988 marchio e stabilimento vengono acquistati da Dreher, gruppo Heineken. La produzione venne progressivamente spostata sull’impianto Dreher-Heineken di Massafra (Taranto) fino a giungere nel 2007 alla dismissione dell’impianto messinese.

Vicende alterne e vari tentativi di recupero fra il 2007 ed il 2011, anno delle definitiva chiusura. Nel 2013 15 ex operai decidono di investire il loro TFR per rilevare il birrificio fondando la “Cooperativa Birrificio Messina” per far riprendere la produzione di marchi locali.

Nel 2016 un nuovo impianto ed a gennaio 2019 la svolta: un accordo quinquennale con Heineken per produrre 25 mila ettolitri anno (la restante quota continuerà ad essere prodotta a Massafra) della nuova Birra Messina cristalli di sale.

Una bella storia di coraggio ed imprenditoria locale per la salvaguardia del lavoro, del territorio, dell’identità culturale. Ma dietro al progetto industriale, dietro alla nuova etichetta luminosa nel suo giocare col bianco e l’azzurro, coi decori tipici del barocco siciliano e con la nave simbolo di un luogo fulcro della comunicazione, com’è questa nuova birra? Winemag l’ha assaggiata per voi.

LA DEGUSTAZIONE
Birra di malto a bassa fermentazione stile Lager la Cristalli di sale vede nella propria ricetta proprio l’utilizzo di sale marino delle saline di Trapani. Piccole quantità aggiunte col luppolo a fine bollitura per esaltare i sapori senza rendere la birra “salata”.

Colore dorato, leggermente opaco ma al contempo luminoso. Schiuma bianca, soffice e compatta. Non particolarmente intesa al naso ha profumi freschi, agrumati e floreali. In bocca si comporta meglio che al naso regalando un sorso morbido e vellutato.

Piuttosto pieno il corpo se paragonato ad altri marchi industriali dello stesso gruppo. Piacevole e delicata lascia la bocca pulita con una punta di salinità (chissà, forse data proprio da quel pizzico di sale in ricetta) che invita al sorso successivo.

Categorie
birra news

Hibu e Dibevit (Heineken), c’è l’accordo: l’industria punta sulla birra artigianale

Ieri, 2 ottbre 2017, Hibu Società Agricola Srl, dal 2007 produttore artigianale di birra e Dibevit Import Srl, società del Gruppo Heineken dedicata all’importazione di birre premium e speciali, hanno firmato l’accordo di acquisizione.

Le birre Hibu saranno commercializzate dalla rete dei 400 distributori Ho.Re.Ca. di Dibevit che offriranno al mercato l’intera gamma Hibu.

Un portfolio di oltre 30 etichette, sia in fusti sia in bottiglia. Il birrificio Hibu, con sede a Burago di Molgora (MB), conta una decina di collaboratori e oltre 30 etichette tra Birre Perenni, Stagionali, Fugaci e Speciali.

L’OPERAZIONE
L’acquisizione da parte di Dibevit Import consentirà un quadro di sviluppo di sinergie tra le due aziende. Hibu, che sarà totalmente autonoma nella gestione delle attività, potrà avere una distribuzione capillare sul territorio nazionale grazie alla rete di distributori Dibevit che è, ad oggi, una delle più capillari in Italia. Dibevit arricchirà il proprio portfolio di birre premium e speciali con uno dei marchi più prestigiosi del panorama birrario Italiano.

“Con l’ingresso di Hibu – commenta Davide Daturi, amministratore delegato di Dibevit Import Srlinserisce – la nostra azienda aggiunge un marchio di eccellenza Made in Italy al proprio grande portfolio di brand premium e speciali. La nostra esperienza nella selezione e nella distribuzione Ho.Re.Ca di birra in Italia consentirà ai prodotti Hibu di raggiungere capillarmente tutto il mercato italiano”.

CHI E’ HIBU
Nata ufficialmente nel 2007, la storia di Hibu ha inizio dalla volontà di tre giovani amici imprenditori tra cui Raimondo Cetani, il mastro birraio che ha avviato la produzione di birra artigianale nel lontano 1999 nel garage di casa. Negli ultimi 4 anni Hibu ha sviluppato coltivazioni di orzo in circa 40 ettari in Lombardia e Basilicata.

Il fondatore e mastro birraio di Hibu, Raimondo Cetani, ha così commentato: “Era giunto il momento di crescere. L’incontro con Dibevit, realtà specializzata nella distribuzione di birre di alta qualità, ci offre l’opportunità di non rinunciare a ciò che siamo stati fino ad oggi, ingranando però una marcia in più. Non cambierà niente: andremo avanti con la stessa identità e filosofia, puntando come sempre sulla passione che ci caratterizza, in libertà, mai rinunciando alla qualità e alla creatività, verso prodotti sempre migliori”.

L’ANALISI
Alle soglie dell’estate appena trascorsa avevamo affrontato il tema: da alcuni anni i grandi gruppi industriali stanno dimostrando interesse per le birre “diverse”, artigianali, nate dallo spirito di territorialità e dalla voglia di fare di giovani mastri birrai.

E così, se prima sia assisteva ad un proliferare, sugli scaffali GdO, di birre industriali che imitano (o tentano di imitare) il gusto delle nostrane birre artigianali, ora siamo al “next level”: l’acquisizione da parte di grandi gruppi multinazionali di piccole realtà brassicole.

Nella primavera 2016 fu Birra del Borgo a capitolare sotto le lusinghe di AB Inbev (la più grande multinazionale della birra con oltre 50 miliardi di fatturato e più di 400 marchi proprietari). Ora Hibu entra nell’orbita del gruppo Heineken.

L’anno scorso non bastarono le rassicurazioni di Inbev/Birra del Borgo sul mantenimento dell’autonomia produttiva, e si ebbe una vera e propria levata di scudi dei più importanti operatori italiani ed europei della birra artigianale.

Fra essi Teo Musso (Baladin), Manuele Colonna (publican di “Ma che siete venuti a fà”), Jean Hummler (Moeder Lambic, tempio della birra artigianale di Bruxelles), Diego Vitucci (Luppolo12) e Jean Van Roy (Cantillon), compatti contro le multinazionali. Una forma di resistenza tutta europea, fatta di pub, locali e piccoli birrifici ostinatamente indipendenti “per dire no alla corsa all’acquisizione che dopo gli Stati Uniti si abbatterà presto su di noi”.

Succederà anche ora per Hibu? Come si evolverà il mercato italiano della birra? Delle 1.409 realtà artigianali della birra (dati microbirrifici.org) quante sopravviveranno al mercato ed alla “golosità” dei grandi gruppi multinazionali mantenendo un legame autentico con la propria territorialità?

Sono domande che troveranno risposta nei prossimi anni. Artefici delle risposte siamo tutti noi: birrai, publican, multinazionali e consumatori. Consumatori che, auspichiamo, siano sempre più attenti, informati e consapevoli di come anche la birra possa essere autentica espressione del territorio.

Exit mobile version