Stavolta il contatto passa da un regalo. Una bottiglia “sconosciuta’’ acquistata in Gdo omaggiata in un cesto di benvenuto nelle Marche: Ribona Le Grane annata 2015, dell’azienda agricola Boccadigabbia.
L’idea iniziale è di recensirla nella categoria Recensioni Supermercato del sito. Contattiamo la cantina per avere informazioni sul vino, sulla vinificazione, sulla distribuzione.
Pochi giorni dopo, Elvidio Alessandri, istrionico titolare di Boccadigabbia, telefona incuriosito e ci invita direttamente in cantina per spiegarci la sua Ribona (e non solo).
Lo raggiungiamo nella sua tenuta. Siamo a Civitanova Marche, in contrada Castelletta di Fontespina, a poche centinaia di metri dal mare. Elvidio ci attende e ci apre le porte della cantina invasa dai gas di fermentazione. “Non sto a spiegarvi come funziona perché sicuramente lo sapete”, esordisce mostrando subito il suo piglio pragmatico.
Un rapido giro alla bottaia, anche per prendere un po’ di fresco. Il soffitto è tutto in rame. Elvidio ci confessa di averlo scelto come materiale per la sua bellezza. Pragmatico ed esteta. Ci piace.
LA STORIA DI BOCCADIGABBIA
Di proprietà di un discendente di Napoleone Bonaparte, Boccadigabbia è stata acquistata dal padre di Elvidio nel 1956. Per i primi anni di attività, espiantati tutti i vitigni internazionali, l’azienda si dedica a produzioni massive di uva destinata a vini da tavola, con rese per ettaro che, a detta di Elvidio, oggi non fanno la sommatoria delle rese di tutti i singoli vini.
Negli anni Ottanta lo scettro passa di padre in figlio. Elvidio decide di reimpiantare i vitigni francesi coltivati nel passato come Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Nero, Chardonnay, oltre a vitigni locali. Negli anni novanta arrivano le prime grandi soddisfazioni.
Akronte, Cabernet Sauvignon in purezza in gamma ancora oggi, tra il 1992 e il 1998 guadagna ben sei volte gli ambiti Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Le vendite decollano all’estero, dove i vini di Boccadigabbia sono presenti nei menù di grandi nomi della ristorazione newyorkese. Nel 1996 la famiglia Alessandri acquista anche la Tenuta Villamagna Floriani, vicino a Macerata, dove oggi si coltivano Montepulciano, Sangiovese e Ribona.
Un ciclo di anni positivi cui segue un capitolo discendente, per vari motivi. Un mercato dei vini “drogato” dai premi e dalle guide. A farne le spese anche aziende che, pensando di essere “arrivate” si sovraespongono in termini di investimenti.
“Del vino – continua Elvidio – si è cominciato a parlare troppo e questo è stato un fattore determinante: l’inizio della fine”. Ma nei primi anni Duemila il mercato proiettato su vini rossi strutturati, pane quotidiano di Boccadigabbia, vira improvvisamente.
“Facevo un Chardonnay barricato, il Lamperti. Allora ti picchiavano se dicevi che facevi il vino in barrique: io non bevo il vino del falegname, dicevano’’.
“C’è stato un calo clamoroso dei vini barricati, però il mio enologo Emiliano Falsini, l’anno scorso mi ha proposto di rifarlo. E così abbiamo fatto”. In legno sta tre o quattro mesi, fa tutta la fermentazione e poi rimane ad affinare per un po’ di tempo, senza assorbire troppo il sentore di legno grazie alle barrique nuove piegate a bagno in acqua calda”.
La fase calante di Boccadigabbia passa tra le nuove tendenze dei consumi e i meccanismi del nascente ‘”sistema vino”. “Ho fatto un passo indietro quando ho visto che cominciavano ad arrivare i falchi. Non mi è piaciuto più. Non ho seguito più la produzione, non avevo più un pr, non andavo più alle degustazioni. Era diventato un giro un po’ particolare. Tra il 2000 e il 2010 sono cresciute le guide, gli eno-giornalisti di tutti i tipi, ti chiedevano, ti promettevano, non si capiva…e allora mi sono scansato da una parte”, racconta Elvidio con amarezza.
Come scriveva Antoine de Saint-Exupéry, per ogni fine c’è un nuovo inizio. Elvidio è il pilota e il Piccolo Principe al tempo stesso. La rosa da curare è Boccadigabbia. Elvidio capisce che inizia la riscoperta dei vitigni autoctoni. E lui i vitigni autoctoni li alleva. E’ l’incipit di un nuovo capitolo, scritto anche grazie all’ingresso di Lorenzo, suo figlio, e di nuovi preziosi collaboratori. Da qualche tempo è cominciata una nuova era.
LA DEGUSTAZIONE
Partiamo naturalmente dalla Ribona, il vino del “risorgimento” di Boccadigabbia. Precursore del Verdicchio, qualcuno la definisce la sorella maggiore. In passato veniva chiamata Verdicchio marino. Le Grane 2015, ha ricevuto i 91 punti da Ian D’Agata e le “5 Star Vinitaly”. Sul tavolo del salone degustazione però ce ne sono due diverse, entrambe annata 2016: Ribona dei Colli Maceratesi e Le Grane 2016.
La Ribona Colli Maceratesi Doc è una Ribona tout court, vinificata in acciaio con un po’ di macerazione a freddo fatta inizialmente col ghiaccio. La Ribona Le Grane, invece, proviene da uve selezionate sottoposte a doppia fermentazione per aggiungere corpo a un vitigno che non dà molta consistenza.
“Idea nata da un dialogo con un contadino, tra il 2006 ed il 2007”, spiega Elvidio Alessandri. Gli acini diraspari, leggermente surmaturi, vengono aggiunti al mosto per far rifermentare il vino. Al naso entrambi i vini hanno sentori vegetali come il Sauvignon. La salvia, su tutti. Al palato sono estremamente minerali, freschi e con una sapidità marcata. Degustati in sequenza, la differenza di corpo non è così netta.
A Elvidio Alessandri, uomo di cultura sopraffina, il bouquet della Ribona ricorda un profumo degli anni 70, di Paco Rabanne. Un profumo da donna, incredibilmente elegante, che in giro non si sente più. “Ma io lo riconoscerei tra mille”, ammette.
Il secondo assaggio è il Rosso Piceno Doc, bestseller a livello internazionale. Un blend di Montepulciano e Sangiovese in proporzione 60-40, la cui caratteristica è una fermentazione un po’ più corta, per via della delicatezza del Montepulciano che è un po’ greve.
Il Rosso Piceno Doc Boccadigabbia riposa per circa 14 mesi in barrique usate per Merlot, Sangiovese e Cabernet. Qualcuno lo chiama “il vino del furgoncino”, per la raffigurazione in etichetta. Il mezzo esiste, è di proprietà dell’azienda e orgoglio di Elvidio.
L’ultimo assaggio non può che essere l’Akronte. Un peccato non averlo aperto in tempo per dargli modo di esprimersi in tutta la sua complessità. Ma siamo fortunati: Elvidio è una persona loquace, ma anche un ottimo ascoltatore e la conversazione diventa variegata tra i suoi tantissimi aneddoti da raccontare e la sua curiosità.
Le note vegetali iniziali danno spazio a intense note di frutta matura, vaniglia, chiodi di garofano e rabarbaro. Il palato è altrettanto possente: il tannino è molto presente, ma non spigoloso. Un gran vino, una sorpresa nelle Marche. Poesia pura.
Il RAPPORTO CON LA GRANDE DISTRIBUZIONE
Boccadigabbia produce 100-150 mila bottiglie all’anno, che vengono convogliate (con la medesima etichetta) sugli scaffali dei supermercati (Do-Gdo) e nella ristorazione (Horeca).
“Abbiamo una gamma abbastanza diversificata – spiega Elvidio Alessandri – perché come tutte le aziende piccole facciamo un sacco di vini, un po’ per divertimento, un po’ perché bisogna fare vedere cosa sappiamo fare anche su certi prodotti che internazionalmente ti qualificano. Ad esempio, trent’anni fa ho cominciato a produrre il Cabernet Sauvignon. All’estero nessuno conosceva il Rosso Piceno e dovevo far vedere cosa sapevo fare’”. Il Rosso Piceno di Boccadigabbia oggi è invece un bestseller, sia nella grande distribuzione marchigiana che all’estero: negli Stati Uniti, in Giappone, nel Nord Europa.
Distribuire i propri vini (anche) al supermercato ha creato “qualche difficoltà”, ma Elvidio è “favorevole a questo canale”. Ma gli affari non vanno benissimo. “La Gdo si è un po’ fermata, non si capisce perché, forse per via delle vendite online, ma fino un paio di anni fa era il canale distributivo migliore, ricompravano sempre. E poi hanno una grande caratteristica: pagano! A differenza della ristorazione. Anche se lavori con i grossisti – confessa – loro non riescono a prendere i soldi e devi dargli respiro”.
Le Marche sono una regione emergente nel panorama del vino. Come mai le vendite hanno una battuta di arresto? “E’ vero – replica il produttore – ma oggi è conosciuto il Verdicchio e se non hai il Verdicchio è meglio che non ti presenti. Qui siamo in una zona in cui il Verdicchio non c’è. Qui abbiamo la Ribona”.
IL PALCOSCENICO DEL VINO
Sulla tavola di Elvidio i protagonisti sono i suoi vini, ma anche quelli piemontesi, per evidenti ragioni di eleganza e finezza. Tra i suoi preferiti il Barolo Bussia 90 Riserva di Giacomo Fenocchio. Di Toscana beve poco, nonostante il suo enologo sia toscano e il fatto che si tratti di una regione storicamente piena di contadini marchigiani. Elvidio Alessandri beve anche spumanti. “Di bollicine bevo solo Champagne, al massimo Franciacorta. Posso dirlo che io non sopporto il Prosecco?”.
Elvidio va a ruota libera. “Sta diventando sinonimo di spumante – denuncia – addirittura al matrimonio di mia figlia, per il quale avevo previsto un Franciacorta importante, c’era un cameriere che andava in giro a chiedere ‘Chi vuole un prosecco?'”. Un duro colpo al suo cuore assimilare il Prosecco al Franciacorta. “Il vino italiano si sta identificando con il prosecco. Magari ti offrono una Passerina spumante dicendo ‘vuole un po’ di Prosecco?”. Abbiamo trovato casualmente un sostenitore della nostra campagna #nonsoloprosecco.
Dal Prosecco primo attore ai vini macerati, altrettanto interpreti principali degli ultimi anni, il passo è breve. Il punto di vista di Elvidio è chiarissimo. “E’ un fenomeno che passerà, ne ho visti tanti…”.
PROGETTI PER IL FUTURO
Il pentimento si riferisce non a un mutamento di opinione rispetto alla sua scelta professionale (al di là degli studi classici prima di avvicendarsi al padre) quanto a una sorta di autocondanna morale: per aver fatto parte di un sistema, un girone dell’inferno che oggi non gli appartiene più.
“Quello delle guide, dei premi, dei peana del vino”. Oggi Elvidio è guarito e il vino lo fa soprattutto per divertirsi. Non si sa se e quando sarà pubblicato il libro. Lo scrive a pezzi. Poi forse lo metterà insieme.
Il “Piccolo Principe” di Boccadigabbia ha troppe avventure cui dedicarsi. Prima di salutare gli chiediamo una foto. Si vergogna, è timido. ”Prendete quella del mio profilo Facebook tratta dal film, lì sono meglio”, ci saluta sorridente.
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