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Vini al supermercato

“Non comprate vino delle cantine sociali”. I consigli shock della sommelier stellata

 

EDITORIALECome scegliere il vino giusto al supermercato? Per la sommelier Silvia Panetto il gioco è semplice: bisogna innanzitutto “escludere i vini in tetrapak, quelli in fiasco e quelli provenienti da cantine sociali, a meno che non le si conosca”. Si tratta di una delle frasi shock proferite dalla head sommelier del ristorante stellato La Bottega del Buon Caffè di Firenze, nell’intervista pubblicata sabato 6 giugno 2020 da Linkiesta.

Panetto, dalla sua Toscana (mica dal Piemonte!), aggiunge: “Meglio non puntare sulle Igt perché in quelle bottiglie ci può essere qualunque cosa, a meno che non si conosca l’azienda che produce quel vino”. Tradotto: Sassicaia buono solo da quando è diventato Doc, prima era un vino da lavandino.

Nella stessa intervista, dal mirabile intento di “non toppare la scelta di una buona bottiglia fuori dall’enoteca”, Silvia Panetto sostiene di aver “imparato che la differenza sta tutta nella propensione all’acquisto: se sto per partire in vacanza, entro in un duty free rilassato, con l’idea di spendere meno e compro con più facilità, di fatto spendendo di più. L’approccio cambia se entro in un supermercato, dove starò più attento“.

Insomma, dopo le cooperative del vino italiano – leggi “cantine sociali”, non ultima Caviro che produce l’altra categoria di vini sconsigliati, ovvero quelli in brik – la sommelier fa fuori in poche mosse tutta la “letteratura” sui cosiddetti “acquisti di impulso” nella Grande distribuzione, nonché le strategie di cross marketing e i display (ovvero la disposizione dei prodotti sugli scaffali) studiati appositamente per indurre il consumatore all’acquisto di determinati prodotti piuttosto che altri, meno costosi.

Non finisce qui. La sommelier Silvia Panetto liquida anche i buyer della Gdo e il loro ruolo di selezionatori, sentenziando che sono “i produttori (di vino, ndr) che inviano verso la Gdo vini di cui hanno più bottiglie, non certo referenze di cui si fanno piccole produzioni. Vengono scelte le etichette più vendute e anche i vini più noti, ma alla portata di tutti”.

Ce n’è pure per “il magazzino”, entità che prende magicamente vita nell’intervista “condizionando le quantità e la selezione delle referenze”. Really?! L’esperta di vino (forse un po’ meno di Gdo) si esprime anche sulle etichette in promozione al supermercato: “Se c’è un vino in offerta, non bisogna diffidare: può essere una tecnica per svuotare il magazzino“. Semplice, no?

La consueta banalizzazione della leva promozionale della Gdo prosegue con una sconcertante dissertazione di marketing: “Se sono un piccolo produttore e non ho la forza per fare pubblicità, il mio potere di vendita sarà più basso e lo sarà anche il prezzo del mio vino. Inoltre, il quantitativo che posso mettere in commercio è più basso, altro fattore che mi penalizzerà“. What?!

Altra perla: “Comprare una bottiglia di Ferrari al supermercato non significa scegliere un prodotto di qualità inferiore. Berremo sempre la stessa bollicina che rende l’Italia dello spumante famosa in tutto il mondo”. Come dire: “Riserva del Fondatore Giulio Ferrarilevate, che stasera apro il Brut con l’etichetta bianconera, in vendita a 12 euro al super: tanto è “la stessa bollicina”. Magari!

C’è del “perlage” anche in chiusura d’intervista. La sommelier chiarisce infatti cosa ci si possa aspettare genericamente da una bottiglia di vino comprata al supermercato: “Potrebbero non esserci grandi complessità, sentori particolari, lunghe persistenze. Sarà un vino però onesto, senza difetti, anche se per questo un ruolo importante potrebbero giocarlo le condizioni di conservazione“.

Poteva mancare, nel consueto festival di chi la spara più grossa sul vino in Gdo, un riferimento “alla luce, alle temperature degli ambienti, al trasporto, alla conservazione a monte e a quella durante la giacenza temporanea, fra un passaggio e l’altro di consegna”? Certo che no!

La sommelier però va oltre, sostenendo in sostanza che è colpa del buco dell’Ozono e dei cambiamenti climatici: “Negli ultimi anni – sostiene Silvia Panetto – con l’innalzamento delle temperature esterne è difficile gestire il flusso“. Gestire. Il. Flusso. Avete letto bene.

“Ma in un supermercato – ricorda con lucidità la sommelier – acquistiamo anche olio e mozzarella di qualità. Perché non fare lo stesso con i vini? Soprattutto con quelli non destinati a invecchiamento come un Vermentino o un Soave. Tendenzialmente, io mi fido”. Noi un po’ meno (ma non della Gdo). Per chi vuole approfondire il tema, c’è un articolo qui sotto. Cin, cin.

https://www.vinialsupermercato.it/il-vino-al-supermercato-su-l-assaggiatore-onav-intervista-davide-bortone/

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Salone del Gusto 2016, la Chiocciola inciampa a Torino. Mercato confuso, enoteca poco “Slow”

Volevamo sorvolare, sornioni. Ma l’amore per la verità, che è l’unico vero caposaldo di questo portale del vino e dell’enogastronomia italiana, ha avuto la meglio. Anche oggi. E allora non possiamo che commentare, anche noi di vinialsupermercato.it, l’edizione 2016 del Salone del Gusto di Torino. Partecipazione è in primis sinonimo di “acceso”, per tutti. Ci spiace dirlo, ma l’edizione 2016 del Salone del Gusto di Torino è parsa più una riedizione allargata di Cheese di Bra: mal venuta, confusa. Per carità, ottimo livello degli espositori confermata rispetto alle edizioni precedenti. Ma, per dovere di cronaca, il Mercato Slow al Parco del Valentino è parso un’accozzaglia di piccoli produttori (affiancati per la verità da marchi ultranoti) sotto gazebo tutti uguali, che poco potevano valorizzare l’esposizione e la spettacolarizzazione dei presidi Slow, apprezzata al Lingotto nelle precedenti edizioni.

Anche Slow Food cade, insomma, nell’errore della standardizzazione, tipica della più becera Gdo. Per non parlare dell’enoteca self service ‘meccanizzata’ a Palazzo Reale: quattro sommelier Fisar non fanno il ‘monaco’ davanti a una muraglia di sterili dispenser di vino, tristi e anonimi. Neppure se a pagargli lo ‘stipendio’ sono i soliti soloni di Slow Wine, la cui opera migliore, ultimamente, sembra la critica ai vini Lidl. In sintesi: che delusione, Slowfood. L’ennesima occasione persa da questo “movimento” che, negli anni, sta venendo meno in quanto a credibilità. Anche nella sua Torino.

Di fronte alle pompose dichiarazioni di Carlo Petrini, soddisfatto dalla riuscita dell’evento fuori dalle porte del Lingotto, rimaniamo perplessi. E con tante domande. Ma forse, nell’era 2.0 della comunicazione e del fast food, anche chi cammina Slow si accontenta di code chilometriche ai food track che sfornano comunissime piadine (ma Slow), comunissimi panini (ma gourmet), e comunissime birre (ma “artigianali”). L’ennesima dimostrazione che, a parole, son bravi tutti. L’insegna, che vale più dell’assortimento. Addio, Slow life.

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