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Vino, Amarone: parlano gli esperti dell’export

VERONA. In Germania i consumi sono trainati principalmente dalle donne, da sempre target fedele all’Amarone. Negli Stati Uniti, al netto dello spauracchio dei dazi aggiuntivi si andranno sempre più affermando i vini strutturati e premium. In Canada i consumi non tengono i ritmi delle importazioni ma l’Amarone resta a segno più. Nel Regno Unito si dovrà fare attenzione ai rossi della Napa Valley, agli Shiraz australiani e si dovrà lavorare più online sui privati di alta fascia.

È il quadro illustrato da importatori e distributori oggi a Verona al convegno internazionale dedicato ai principali mercati di sbocco organizzato dal Consorzio tutela vini Valpolicella in vista dell’Anteprima Amarone 2016, al via domani.

Sotto la lente, presente e futuro di 4 top mercati (Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Canada) che insieme sommano quasi il 50% sul totale export del Re della Valpolicella. I trend dei consumi forniscono un quadro in chiaroscuro su presente e futuro del vino italiano, più confortante invece quello della Valpolicella.

È il caso del Canada, Paese con monopolio, dove – per Serge Lévêque, distributore di vini premium per Longo Since 1961 – a fronte di una crescita delle importazioni dal Belpaese (+6%, fonte dogane), nel 2019 si è riscontrato un gap del 5,2% sui volumi richiesti dalla distribuzione. Va meglio però con l’Amarone, che tiene a +0,5% grazie a un confortante +5,4% in Quebec.

Nel Regno Unito – rileva Troy Christensen, ceo del distributore inglese Enotria&Coe – calano i volumi consumati ma aumenta il valore, sia dell’off che dell’on-trade, per una spesa complessiva che sfiora gli 11 miliardi di sterline. Anche qui le difficoltà non mancano, a partire dalla disaffezione dei giovani per il vino fino alla concorrenza low cost del Nuovo Mondo produttivo, cui contrapporre la forza del brand, l’alta ristorazione e il commercio on-line con big spender privati.

Nel mercato tedesco, il principale per l’Amarone, secondo il direttore dell’importatore Jacques’ Wein-Depot GmbH Kathy Feron, a guidare i consumi sono le donne (il 62% beve vino) contro i maschi (56%). Il consumo pro-capite, in particolare di vini stranieri (55%), è di 38 litri l’anno contro i 34 degli uomini.

Infine gli Stati Uniti, al secondo posto tra i top buyer del grande rosso. Qui per Derek Blackburn, direttore marketing dell’azienda di importazione e distribuzione Frederick Wildman & Sons, la crescita dei consumi, al netto dei dazi, si prospetta bassa per l’anno in corso (fino all’1%). Ma il principale mercato al mondo per import di vino registrerà in futuro un aumento della domanda di vini strutturati, rossi e di fascia alta: una richiesta che somiglia molto al profilo dell’Amarone.

Ad Anteprima Amarone (1-2 febbraio Palazzo della Gran Guardia) in primo piano l’annata 2016 presentata dal ricercatore del Crea-Ve Diego Tomasi e lo stato di salute delle grandi denominazioni con il convegno “Dal vigneto al mercato: l’Amarone e l’identità del vino italiano” (ore 11).

Tra i relatori, dopo i saluti del Sindaco di Verona, Federico Sboarina, gli interventi del presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella, Andrea Sartori; il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, il videocollegamento con coordinatore S&D alla commissione Agricoltura dell’Europarlamento, Paolo de Castro e il videomessaggio del ministro alle Politiche agricole, alimentari e forestali, Teresa Bellanova. Le conclusioni saranno affidate all’assessore all’Agricoltura, Giuseppe Pan.

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Hans Terzer e il Pinot Grigio italiano: “Rese esagerate, in certe zone non si fa qualità”


Per Hans Terzer, le rese del Pinot Grigio italiano “sono troppo alte per garantire la qualità”. L’enologo altoatesino di Cantina San Michele Appiano, a Milano per la presentazione di Appius 2015, introduce l’argomento mentre ai commensali di palazzo Bovara viene servito il Pinot Grigio 2015 di St. Michael-Eppan.

In Italia ci siamo impegnati a far morire questo vitigno. Spero che i miei amici e colleghi di qualche altra zona in Italia non si incazzino, ma purtroppo questo vino molte volte viene discriminato. Il Pinot Grigio è il vino bianco italiano forse più conosciuto al mondo, ma tante volte registra una qualità che mi fa quasi piangere.

Stiamo però parlando di un grandissimo vitigno che dà grandissimi risultati, soprattutto se viene messo nelle zone vocate, collinari e ventilate, con una produzione naturalmente mirata. Negli anni Ottanta e Novanta c’erano pochissimi ettari di Pinot grigio italiano, perché era temuto dai nostri viticoltori.

“Soffre infatti del gravissimo problema del marciume. Da quando abbiamo tolto il Pinot Grigio dalla pergola, mettendolo più al sole e più al vento, abbiamo toccato con mano le punte di qualità che è possibile ottenere.

Stiamo parlando di un vitigno che richiede sì un bel po’ di impegno in vigneto, ma che dà delle soddisfazioni immense. Un vitigno, tra l’altro che può essere vinificato in acciaio, ma che si trova molto bene anche nel legno”.

Da una parte il calice del proprio Pinot Grigio. Dall’altra il microfono e il cuore. Solo qualche pausa per Hans Terzer, durante l’accorato discorso. La voce ferma di chi vuol cogliere la palla al balzo, per parlare alla platea di giornalisti di qualcosa che ha nel petto, più che nello stomaco. Molto più di un sassolino nella scarpa. Ben oltre la banale polemica.

E allora eccoci, a fine serata. Ad approfondire il tema a tu per tu con il noto winemaker. “La mia ricetta per sollevare il Pinot Grigio in Italia? Dobbiamo innanzitutto migliorare in termini di qualità, abbassando le rese”.

“Non voglio criticare certe zone – commenta l’enologo, in esclusiva a WineMag.it – ma rese che si avvicinano ai 150 quintali per ettaro sono esagerate per un Pinot Grigio, se si punta a ottenere qualità anche solo discrete”.

Dunque, che fare? “Con rese attorno ai 100 quintali per ettaro – replica Hans Terzer – si riuscirebbe ad ottenere produzioni molto interessanti. La mia impressione è che in certe zone si esagera, perché si fa troppo poco lavoro in vigna e si lascia su tutto quello che nasce e cresce, per poi lavorarlo in cantina. Non è la via giusta, secondo me”.

Come spiegarlo ai grandi gruppi? “Devono riuscire a far capire alla Grande distribuzione che per un vino di qualità ci vuole una resa più bassa e, di pari passo, un certo prezzo minimo”, risponde il winemaker altoatesino.

“Bisogna insomma intervenire con una modifica del disciplinare – continua Hans Terzer nell’intervista rilasciata a WineMag.it – ma sopratutto bisogna smettere di prendersi per il naso e dire: ‘Ragazzi, non ci siamo’. Basta assaggiare il Pinot Grigio internazionale per rendersi conto che certi Pinot Grigi italiani non sono all’altezza, anche se costano poco”.

L’enologo di Cantina San Michele Appiano sa cosa bere, anche fuori dall’Alto Adige. “Abbiamo delle belle etichette di Pinot Grigio in Friuli, ma anche in Trentino e forse in qualche zona collinare del Veneto, nell’Alto Veronese”.

Qualche nome? “Se puntiamo in alto, trovo molto buono il Pinot Grigio di Vie di Romans. In Trentino, qualche cantina cooperativa fa del Pinot Grigio di una certa cilindrata. Ho visto che anche le grandi aziende trentine si danno da fare e programmano la produzione attraverso buoni progetti di qualità”.

Hans Terzer si tiene alla larga (volutamente) dal Veneto. Ma poi precisa: “Non lo conosco tanto bene, non conosco Pinot grigi veneti di alta qualità. Ma sono convinto che se si lavora bene, in zone collinari come i Colli Euganei, si possano tirar fuori dei bei prodotti”.

A VENEZIA LO “STILE ITALIANO” DEL PINOT GRIGIO

Intanto a Venezia, lunedì 14 ottobre, si è svolto il primo convegno internazionale sul Pinot grigio. “Un’occasione – come ha spiegato il Consorzio Doc delle Venezie – per mettere a fuoco le possibili tendenze del Pinot grigio italiano e il grande potenziale rappresentato da una denominazione che ha posto al centro della propria filosofia lo Stile Italiano“, inteso come “garanzia di origine e qualità, in una identità territoriale attorno alla quale costruire il percorso di valorizzazione del Pinot grigio”.

Al convegno sono intervenuti il presidente della Regione, Luca Zaia, gli assessori Giuseppe Pan per il Veneto, Stefano Zannier per la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Mario Tonina per la Provincia Autonoma di Trento. Tutti hanno espresso “sostegno per l’importante progettualità che il Consorzio sta portando avanti”.

Secondo i dati snocciolati durante l’incontro, la Doc delle Venezie rappresenta l’85% della produzione italiana di Pinot Grigio e il 42% di quella mondiale. Oltre 10 mila i viticoltori interessati, accanto a 362 imbottigliatori.

Nei loro interventi, i relatori hanno sottolineato “gli ampi margini di crescita del Pinot Grigio sui due principali mercati di riferimento, Regno Unito e Stati Uniti d’America”, che oggi rappresentano oltre il 70% dell’export.

“Abbiamo iniziato a parlare di Stile Italiano e oggi rappresentiamo qualcosa di più – ha commentato Albino Armani (nella foto sopra) presidente del Consorzio Doc delle Venezie – ovvero un sistema che comunica un territorio dalla forte identità”.

“La qualità di un vino si fonda sui valori che rappresenta: la personalità espressa dal suo profilo organolettico, la sua versatilità negli abbinamenti con il cibo, il territorio e la sua storia, il saper fare, la capacità di crescere sui mercati, i brand che lo rappresentano, la sua sostenibilità economica e ambientale”, ha concluso Armani.

Nel solco dell’intervento di Hans Terzer a Milano, che ha precisato di riferirsi “ad alcune Igt italiane dove il prodotto non viene sempre controllato a dovere”, le parole di Alberto Marchisio: “A dispetto dell’immagine di semplicità della varietà – ha sottolineato il Dg delle cantine vicentine Vitevis – il Pinot grigio è un vitigno molto difficile da coltivare al di fuori del suo optimum climatico, che richiede una cultura e una tradizione viticola da valorizzare in termini di comunicazione, come elemento di valore della Doc”. La sfida del Pinot Grigio italiano, insomma, è appena iniziata.

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Valpolicella: guerra dell’Amarone tra produttori, Regione e Consorzio

In alto i calici per la vendemmia 2016 in Valpolicella, in dirittura di partenza. Ma qualcuno storce il naso. L’ufficialità è arrivata ieri. Accogliendo le richieste del Consorzio di tutela vini Valpolicella, la Regione Veneto ha ridotto anche per l’anno in corso la percentuale della resa delle uve da mettere a riposo per la produzione del Recioto della Valpolicella e dell’Amarone. Rispetto ai disciplinari di produzione delle due Docg, che individuano nel 65% il quantitativo massimo di uva da mettere a riposo, pari a 7,8 tonnellate per ettaro, i quantitativi per l’attuale vendemmia non dovranno superare le 4,80 tonnellate per ettaro, pari a 19,20 ettolitri di vino finito per ettaro.

“Si tratta di una decisione assunta in considerazione della situazione congiunturale spiega l’assessore all’Agricoltura della Regione Veneto Giuseppe Pan (nella foto, al centro)  e tenuto conto delle disponibilità dei vini attualmente in fase maturazione. Con questa operazione di contenimento del quantitativo delle uve da destinare all’appassimento nella misura massima del 40%, si intende assicurare anche per il futuro redditività ai produttori vitivinicoli attraverso una maggiore stabilità dell’offerta delle due Docg. Nel contempo, la Regione Veneto impegna il Consorzio di tutela a predisporre con tempestività l’analisi dei meccanismi produttivi, recependo così le indicazione delle organizzazioni professionali di categoria appositamente convocate a Verona”.

Il decreto regionale affida ad Avepa, l’Agenzia veneta per i pagamenti in agricoltura, il compito di “garantire la compilazione della dichiarazione unificata e la coerenza tra il potenziale produttivo di ciascun produttore, così come risulta nello schedario viticolo veneto”. Ad assicurare che le decisioni regionali saranno puntualmente applicate “vigileranno l’Ufficio di Susegana dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) e la Società italiana per la qualità e la rintracciabilità degli alimenti spa (Siquria), oltre naturalmente al Consorzio tutela vini Valpolicella.

LE PROTESTE NELLA CLASSICA
E’ vinialsupermercato.it a raccogliere, in Veneto, le proteste dei piccoli viticoltori della Valpolicella Classica. “Le cantine della Valpolicella Classica registrano il problema inverso rispetto a quello addotto dal Consorzio per giustificare l’ennesima riduzione delle quantità di uve da mettere a riposo per Recioto e Amarone. Praticamente nessuno di noi ha dell’Amarone invenduto e dunque non si capisce perché dobbiamo sottostare a questa misura, che taglierà ulteriormente le gambe all’economia dei piccoli produttori, per difendere gli interessi dei grandi gruppi e delle cantine sociali della zona allargata. Di certo sappiamo che neppure la cantina sociale della zona Classica (Negrar) ha dell’Amarone invenduto. E i prezzi, qui da noi, non sono certo al ribasso”. “Il problema di fondo – continuano i viticoltori – è far capire ai consumatori finali che esistono diversi tipi di Amarone: nella zona classica abbiamo da sempre valori aggiunti in termini di stile e qualità. Nonostante ciò, non siamo abbastanza rappresentati numericamente nel Consorzio per far valere le nostre ragioni”.

LA PROPOSTA SHOCK
La soluzione proposta dai viticoltori è shock. “Sta diventando sempre più concreta la volontà di una scissione dei produttori della Classica dal Consorzio della Valpolicella, con la creazione di un altro ente che si prenda cura, alla stessa maniera, di tutti: piccoli e grandi”. Il nuovo Consorzio, o distretto, sull’esempio di quanto avvenuto in Oltrepò Pavese con la creazione del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, guarderebbe gli interessi delle aziende dei Comuni di Fumane, Marano di Valpolicella, Negrar, San Pietro in Cariano e Sant’Ambrogio di Valpolicella, che producono Valpolicella classico, Valpolicella classico superiore, Valpolicella Ripasso classico, Valpolicella Ripasso classico superiore, Amarone della Valpolicella classico e Recioto della Valpolicella classico.

PAROLA AL CONSORZIO
“La richiesta della riduzione della percentuale di cernita delle uve da mettere a riposo dal 65% al 40%, condivisa con le associazioni di categoria – sottolinea Christian Marchesini, presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella – è stata una scelta dolorosa, ma necessaria per evitare l’inflazione dell’offerta di Amarone e salvaguardare il Valpolicella che è il vino che più racconta il territorio”. La richiesta, “basata sui numeri della denominazione e sulla congiuntura di mercato”, ha terminato il suo iter ed è stata definitivamente approvata dalla Regione Veneto con il Decreto n. 18 del 14 settembre 2016 pubblicato sul sito della Regione Veneto. “Per il 2016 sono attesi 140 mila ettolitri di Amarone – conclude Marchesini – contro i 100 mila venduti in media negli ultimi 5 anni e, inoltre, si registra un aumento dell’imbottigliato del 5%, mentre il Ripasso sta subendo una flessione sui mercati in particolare del Nord Europa per la concorrenza di altri vini da appassimento”.

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Veneto shock: Valpolicella Classica pronta alla scissione dal Consorzio. A Soave prezzi del vino al ribasso

Davide contro Golia, “ciak si gira”. In Veneto. Alle porte della vendemmia 2016, la regione vinicola più produttiva d’Italia è in subbuglio. L’ennesima riduzione della percentuale delle uve da mettere a riposo per Amarone e Recioto, paventata dal Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella e ormai in via di ufficializzazione, rischia di generare una scissione da parte dei produttori della zona Classica.

E a Verona, in occasione dell’evento clou del programma di Soave Versus, andato in scena ieri al Palazzo del Gran Guardia, serpeggia il malumore tra i piccoli produttori. Costretti “a mantenere bassi i prezzi dei loro vini per l’esistenza di un ‘cartello’ che limita, di fatto, la concorrenza leale”.

Parole forti quelle che volano in Valpolicella e a Soave. Confermate da diversi produttori, che preferiscono mantenere l’anonimato. Ma andiamo con ordine. “Con un’annata come questa che si preannuncia eccezionale – evidenziano alcuni vignaioli della Valpolicella, sentiti in esclusiva da vinialsupermercato.it – la riduzione delle rese delle uve ci colpisce ancora di più. Tutti si aspettavano dal Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella un aumento della percentuale di uve da mettere a riposo per Amarone e Recioto, proprio per l’abbondanza e la qualità che registreremo in vendemmia. Invece ci ritroveremo con l’ennesima diminuzione. E alla domanda: perché? Ci hanno risposto che ci sono numerose cantine con Amarone in abbondanza, invenduto. Una decisione presa dunque per mantenere in equilibrio il rapporto tra domanda e offerta in Valpolicella”.

Peccato che, come sottolinea ancora il gruppo di produttori, “le cantine della Valpolicella Classica registrano il problema inverso”. “Praticamente nessuno di noi ha dell’Amarone invenduto e dunque non si capisce perché dobbiamo sottostare a questa misura, che taglierà ulteriormente le gambe all’economia dei piccoli produttori, per difendere gli interessi dei grandi gruppi e delle cantine sociali della zona allargata. Di certo sappiamo che neppure la cantina sociale della zona Classica (Negrar) ha dell’Amarone invenduto: figurarsi i piccoli produttori. E i prezzi, qui da noi, non sono certo al ribasso”.

“Il problema di fondo – continuano i viticoltori – è far capire ai consumatori finali che esistono diversi tipi di Amarone: nella zona classica abbiamo da sempre valori aggiunti in termini di stile e qualità. Nonostante ciò, non siamo abbastanza rappresentati numericamente nel Consorzio per far valere le nostre ragioni. L’unica soluzione, dunque, sarebbe quella di una scissione dal Consorzio della Valpolicella, con la creazione di un altro ente che si prenda cura, alla stessa maniera, di tutti: piccoli e grandi”.

Il nuovo Consorzio, o distretto, sull’esempio di quanto avvenuto in Oltrepò Pavese con la creazione del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, guarderebbe gli interessi delle aziende dei Comuni di Fumane, Marano di Valpolicella, Negrar, San Pietro in Cariano e Sant’Ambrogio di Valpolicella, che producono Valpolicella classico, Valpolicella classico superiore, Valpolicella Ripasso classico, Valpolicella Ripasso classico superiore, Amarone della Valpolicella classico e Recioto della Valpolicella classico.

PIU’ QUALITA’ CHE PREZZO A SOAVE

Non si parla di secessione, invece, tra i produttori di Soave intervenuti al grande evento al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Ma monta il malumore. A far traboccare il vaso, di stand in stand, è la nostra domanda sul prezzo delle singole bottiglie presentate in degustazione. Costi davvero irrisori per la qualità espressa da alcuni Soave Classico o Superiore. Una situazione invitante per la grande distribuzione organizzata (Gdo), che arriva a proporre ai vignaioli una media di 1,30 euro a bottiglia. Prezzo che sullo scaffale, a margini e Iva applicati, lieviterebbe comunque a soli 3,50 euro, per il cliente finale.

Davvero troppo poco per dei Soave che prevedono raccolte vendemmiali tardive, appassimenti in cassetta di percentuali d’uva e, in alcuni casi, anche brevi passaggi in legno. “Il perché è semplice – spiegano uno dopo l’altro i vignaioli intervistati – e va ricercato nel fatto che a comandare sui prezzi nella zona del Soave sono poche cantine, che dettano legge per tutti. Bisogna essere abbastanza potenti per poter contrastare queste aziende e provare, per esempio, a proporre sul mercato vini innovativi, diversi: perché in quel caso, qualcuno si sentirebbe scavalcato, vedendosi ‘derubato’ di fette di mercato. Il Soave, nel mondo, è stato bistrattato e proposto all’estero con prezzi assurdi, anche inferiori all’euro, nei supermercati. La crisi non basta a giustificare tutto ciò”.

I produttori di Soave interpellati denunciano poi la sussistenza di un “conflitto d’interessi nelle alte leve del vino di Soave”. Il presidente del Consorzio, Arturo Stocchetti, è anche il presidente dell’Unione Consorzi Vini Veneti Doc e Docg (U.Vi.Ve, che sul proprio sito web omette l’organigramma). Arturo Stocchetti, inoltre, è presidente di Cantina Castello (eccolo, questa volta, in foto in home page assieme alla famiglia). Uno dei soci di Stocchetti in Cantina Castello ricoprirebbe infine un ruolo di primo piano nella cantina sociale di Soave.

Una stoccata all’assessore all’Agricoltura della Regione Veneto, Giuseppe Pan, arriva invece – sempre in occasione di Soave Versus 2016 – da parte di Paolo Menapace, presidente della Strada del Vino Soave: “Benissimo promuovere il territorio di Soave, ma la Regione dovrebbe elargire contributi speciali a chi reimpianta la pergola, vero e proprio simbolo della viticoltura tradizionale locale, rinunciando alla spalliera”.

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