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Valoritalia festeggia i 50 anni della Doc Cirò


La Doc Cirò, ha compiuto 50 anni. Un traguardo importante per la denominazione riconosciuta nel 1969 per volere dei capostipiti delle famiglie viticultrici della zona, che decisero di ottenere il giusto riconoscimento per il vino simbolo di Enotria, nome con il quale i greci ribattezzarono la Calabria.

Considerata dai massimi esperti a livello internazionale la promessa del vino italiano, la Doc Cirò  pare destinata ad esplodere sul panorama internazionale.

Valoritalia, ha scelto di celebrare insieme al Consorzio di Tutela dei Vini DOC Cirò e Melissa e ai rappresentanti del mondo politico e imprenditoriale della regione Calabria questa data importante, intervenendo durante il grande evento – Cirò, 50 anni di denominazione di origine controllata: scenari opportunità in un mercato globale tra storia, cultura e tradizione –svoltosi gli scorsi 27 e 28 giugno 2019 a Cirò Marina.

Due giornate celebrative ricche di appuntamenti, degustazioni di annate storiche e conferenze sull’evoluzione dei gusti dei consumatori, su nuove sfide e sugli strumenti adatti per accoglierle.

LA MISSION DI VALORITALIA
Gli interventi del Presidente di Valoritalia, Francesco Liantonio e del suo Direttore Generale, Giuseppe Liberatore, hanno entrambi sottolineato il ruolo e l’importanza che un accurato processo di certificazione svolge nell’assicurare una crescita equilibrata e duratura di una denominazione, perché fornisce al consumatore le necessarie garanzie di qualità e tracciabilità per ogni bottiglia immessa sul mercato.

Negli ultimi anni, il mondo del vino, e dei prodotti agroalimentari in generale, ha subito un profondo cambiamento. E’ chiaro a tutti, a consumatori e produttori, che per produrre, vendere, acquistare e consumare un prodotto d’eccellenza, sia imprescindibile identificarne territorio d’origine, filiera e metodologie produttive.

In Italia, Valoritalia è leader indiscusso degli organismi di controllo che operano nel settore vitivinicolo, certificando 220 denominazioni di origine che rappresentano il 49% dei volumi di tutta la produzione DOC, DOCG e IGT. La metà della viticultura italiana di qualità.

10 anni fa Federdoc e CSQA hanno costituito Valoritalia, contribuendo in tal modo a dar vita ad un sistema di supporto al comparto vitivinicolo italiano basato sul concetto di “rete”.

UNA GARANZIA DI ECCELLENZA
“Abbiamo costruito un meccanismo rigoroso – ha affermato Liantonio – che garantisce l’eccellenza dei vini DOC, DOCG, BIO e da agricoltura integrata, prodotti e commercializzati da aziende che contano sulla serietà e sulla competenza delle nostre verifiche, che hanno deciso di fare sistema, di essere una squadra; aziende che rappresentano l’eccellenza italiana”.

“La qualità rappresenta la nostra tradizione e cultura. Dobbiamo tutelarle attraverso la rigorosa verifica dell’applicazione dei disciplinari di produzione, facendo del vino il principale ambasciatore della nostra credibilità”, ha concluso il presidente di Valoritalia.

D’altronde a Cirò, nel 1967, come ha raccontato il Presidente del Consorzio di Tutela Vini DOC Cirò e Melissa, Raffele Librandi “fu proprio Veronelli che fece grande la storia di questa denominazione, caldeggiando la creazione della DOC Cirò appunto, ponendo le fondamenta per il successo di un territorio, di una regione e soprattutto del nettare tanto amato dai greci”.

Le nostre Denominazioni di Origine – ha aggiunto Riccardo Ricci Curbastro, Presidente di Federdoc, intervenuto durante il convegno a Borgo Saverona – sono apprezzate in tutto il mondo e riconosciute come segni distintivi del nostro Paese, della nostra cultura enologica e del nostro territorio”.

“Il loro valore aggiunto ha permesso una graduale acquisizione di posizioni vincenti sul mercato: dal 2009 al 2018 l’export vitivinicolo è cresciuto del 76%, raggiungendo i 6,2 miliardi di euro in valore e i 19, 8 milioni di ettolitri in volume nel 2018, e facendo conquistare all’Italia il ruolo di secondo paese esportatore mondiale”.

Ricci Curbastro ha poi ricordato che “il settore vino rappresenta quindi un volano fondamentale per la nostra economia, generando un fatturato complessivo di 13 miliardi, grazie all’operato di circa 310.000 imprese vitivinicole e di 46.000 aziende vinificatrici, esportatrici del nostro made in Italy nel mondo”.

“Siamo orgogliosi di certificare una denominazione con una storia come quella del Cirò DOC – ha concluso Giuseppe Liberatore, Direttore Generale di Valoritalia. – e con una prospettiva di crescita così promettente. La nostra mission è garantire l’eccellenza e certificare la qualità. La crescita e il radicamento delle denominazioni virtuose è la nostra crescita”.

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Annual Report 2018 di Valoreitalia: fotografia positiva per l’Italia

Oltre 1,5 miliardi di bottiglie certificate per un controvalore di 6,3 miliardi di euro; 220 denominazioni controllate (171 DOP e 49 IGP), pari al 42% del totale nazionale per una quota sulla produzione che sfiora il 50%; 47mila campioni analizzati per circa 12mila verifiche (30% in cantina, il 70% in campo).

E ancora: più di un miliardo di contrassegni gestiti; 330mila determinazioni chimico analitiche effettuate con 2.812 commissioni di degustazione; 2.900 non conformità rilevate, delle quali poco meno di 300 classificate come gravi e segnalate all’ICQRF; oltre 350mila movimenti di prodotto con decine di causali diverse.

Sono questi i principali numeri contenuti nell’Annual Report 2018 di Valoritalia, presentato a Roma. Una vera e propria fotografia sullo stato di salute del vino tricolore di qualità scattata dalla società leader in Italia nelle attività di controllo sui vini DOCG, DOC e IGT, che a partire dal 2017 fornisce le principali indicazioni di carattere statistico sull’universo enoico a Denominazione d’Origine e sugli andamenti di settore.

“I preziosi dati contenuti in questo studio – ha dichiarato il Presidente di Valoritalia, Francesco Liantonio – sono il risultato di una decisa crescita professionale, organizzativa e culturale che in soli 10 anni dalla sua fondazione ha consentito alla società di affermarsi come il più importante player di riferimento nelle certificazioni dei vini di qualità”.

“Un’attività, quella della certificazione – continua Liantonio – che rappresenta non solo il mezzo attraverso il quale verificare il rispetto delle norme e dei disciplinari, ma anche e soprattutto lo strumento posto a garanzia degli stessi produttori e dei consumatori”.

“Per i primi, perché sanno di muoversi all’interno di un sistema di regole comuni a tutte le imprese che utilizzano quella specifica denominazione; per i secondi perché hanno l’assoluta garanzia che il vino a Denominazione d’Origine acquistato rispetti gli standard qualitativi previsti dal disciplinare”, conclude Liantonio.

Una macchina organizzativa che, con oltre 80mila operatori accreditati, è oggi in grado di gestire 5mila tipologie di vino appartenenti a 220 denominazioni distribuite su tutto il territorio nazionale.

Senza dimenticare le oltre 2.800 aziende certificate con gli standard del Biologico e di SQNPI (1.750 aziende biologiche e 1.055 certificazioni integrate) che completano il quadro sintetico delle attività di Valoritalia. Il tutto supportato da un sistema informatizzato chiamato “Dioniso“, che rappresenta una sorta di cruscotto operativo della società.

“Sul piano generale – ha precisato il Direttore Generale di Valoritalia, Giuseppe Liberatore – l’intera viticultura italiana è stata indubbiamente condizionata da una vendemmia 2017 molto scarsa, con inevitabili riflessi sull’andamento di mercato di un consistente numero di denominazioni”.

“Tuttavia – precisa Liberatore – lo scorso anno si è verificata anche una netta inversione di tendenza, con un incremento di produzione sul 2017 pari a circa il 32%, ma con punte che in alcune IGT hanno superato il 50%. Più stabile è invece l’andamento riferito all’imbottigliato, che ha mostrato nel complesso un incremento medio dell’1,5%”.

“In un quadro sostanzialmente positivo, quindi, mi preme sottolineare – prosegue Liberatore – alcuni dati che ben sintetizzano le tendenze di mercato. Il primo è la conferma di un trend più che positivo per i vini bianchi e per gli spumanti, cresciuti tra il 2015 e il 2018 rispettivamente del 26% e del 24%”.

“Il secondo, speculare al precedente, è la flessione dei vini rossi (-6%) e dei passiti (-24%). Infine, il terzo è la riprova del grande successo del “sistema Prosecco”, cresciuto in pochi anni del 27% e superando gli oltre 565 milioni di bottiglie nel 2018. Una vera locomotiva per tutto il Made in Italy”, evidenzia ancora Liberatore.

E a proposito di numeri in positivo, ma in questo caso in un’ottica aziendale, vale la pena ricordare che sul fronte del capitale umano Valoritalia conta oggi su una struttura composta da 212 dipendenti distribuiti in 35 sedi operative (+14 dipendenti rispetto al 2017) e una rete di oltre 1.150 collaboratori esterni.

Un patrimonio di risorse che, abbinato a un programma di welfare aziendale finalizzato a promuovere il benessere dei lavoratori e ai continui investimenti in formazione e comunicazione, contribuisce a rendere quello applicato da Valoritalia un modello virtuoso e di riferimento.

“In questi anni – ha spiegato Liantonio – la nostra politica ha privilegiato l’assunzione di giovani laureati con elevata specializzazione e, allo stesso tempo, un’esatta suddivisione tra uomini e donne dal punto di vista numerico, della suddivisione delle mansioni e delle responsabilità”.

Due elementi significativi che ben riassumono la “volontà di premiare i tanti collaboratori competenti, senza i quali non sarebbe possibile gestire efficacemente il delicato e complesso lavoro della società”.

“Anche la comunicazione – ha concluso Liberatore – è parte attiva della nostra missione. Esattamente un anno fa abbiamo avviato una nuova stagione, pubblicando il primo volume del nostro Annual Report, il numero zero della nostra rivista ValoriMag e iniziato a promuovere la visibilità sui social”.

“Per il futuro – continua Liberatore – puntiamo a incrementare ulteriormente questi sforzi. Per questo motivo abbiamo deciso di affidare a Nomisma un’indagine, probabilmente la prima del suo genere in Italia, che analizzi la percezione del consumatore in merito alla certificazione dei vini. Uno studio che costituirà la base della nostra futura comunicazione”.

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Il team working del vino toscano si chiama A.vi.to


Un giro di affari di 1,1 milardi di euro realizzati per il 70% oltre confine nazionale e 5100 imprese coinvolte: questi i numeri della nascente associazione A.Vi.To mega consorzio Toscano di cui faranno parte 21 delle 28 realtà di tutela dei vini Doc e Docg. A farne parte tra gli altri, il consorzio del Brunello di Montalcino, del Nobile di Montepulciano, del Chianti Classico e del Chianti Docg, ma anche consorzi di tutela
di vini doc, come quello di Bolgheri, dei vini di Maremma o del Montecucco. Padre putativo dell’iniziativa il Consorzio del Chianti Classico che lanciò la proposta durante le difficili fasi di approvazione del Piano Integrato territoriale della Toscana del 2014. A.vi.to sarà un’associazione ”itinerante”. La sede dell’associazione sarà infatti quella del Presidente pro tempore che sarà in carica solo per un anno, pronto a lasciare il testimone, come in una staffetta, al  successore. A rompere il ghiaccio sarà Fabrizio Bindocci, attuale Presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino che, per il suo anno di presidenza, sarà affiancato da Luca Sanjust della Doc Valdarno di Sopra suo vice. ”Con il nuovo consorzio dei consorzi vogliamo riproporre un’azione unitaria per affrontare le nuove sfide sul territorio, a cominciare dalla nuova legge regionale sugli ungulati (ovvero caprioli e cinghiali, che devastano i nostri vigneti) che, approvata nelle scorse settimane, dovrà ora essere tradotta in decreti applicativi, ma soprattutto con la nuova associazione contiamo di promuovere un approccio congiunto e tutto made in Tuscany ai nuovi mercati” ha dichiarato Giuseppe Liberatore, capo del Consorzio del Chianti Classico. Il neo presidente di A.vi.to ha accettato di buon grado la sfida, convinto che l’associazione potrà recitare un ruolo determinante nell’affrontare i nuovi mercati, tra cui la difficile Cina. Per farlo si renderà necessario anche un cambio generazionale ai vertici delle aziende, del quale sono allo studio le modalità. ”I giovani, a differenza di chi li ha preceduti, sono ”nativi internazionali”, ovvero, hanno la giusta spinta ai mercati esteri. Proprio ciò che serve per dare un futuro ai nostri prodotti” ha detto Fabrizio Bindocci.
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