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Pantelleria, lo Zibibbo, il sindaco 5 Stelle e gli esperti mondiali di Consorzi e Denominazioni

Pantelleria, lo Zibibbo, un sindaco 5 Stelle e gli esperti mondiali di Consorzi e Denominazioni pantelleriaèzibibbo
EDITORIALE –
Una conca, scavata attorno ad ogni singola pianta. Abbastanza profonda da proteggerla dalle raffiche di vento e dalla luce del sole, raccogliendo come in una piccola diga la poca pioggia concessa dal cielo, convogliandola alle radici della vite. Ha il sapore di un abbraccio materno, la viticoltura a Pantelleria. Una terra del vino che galleggia tra Sicilia e Tunisia. Come un vascello sopravvissuto, intatto, alla furia del mare. Un miracolo, anzi una casualità. Un’isola tanto bella da sembrare impossibile. Cinematografica. Le cammini sopra sprofondando in campi di sabbie mobili scure, che si sciolgono sotto ai piedi come burro. E riemergi pochi centimetri dopo su solide, rassicuranti colate nere, di pietra vulcanica.

Pantelleria è l’ossimoro, la contraddizione. È quella voglia di non svegliarsi da un bel sogno se non per riviverlo, più forte. Coltivare la vite, da queste parti, è ormai divenuto un atto di fede. Una preghiera ripetuta all’infinito, in ogni gesto utile a tenere in vita ogni singola pianta. Ci sono i ceppi, a Pantelleria. Non i “vigneti”. Così si dice sul posto, sintetizzando in un concetto, una filosofia. Il ceppo, a Pantelleria, è l’entità che rende onore al termine “vite” e alla sua accezione singolare, “vita”.

Pantelleria, il trait d’union tra la botanica e la poesia. Passando per l’archeo-viticoltura. Non produttori di vino ma custodi, coloro che – oggi, ancora – se ne occupano quotidianamente, in un mix di follia e passione sempre più raro, appannaggio di uomini e donne che sembrano provenire da altre epoche. Da un altro mondo, da un altro pianeta. Gente nata e cresciuti nella terra dell’impossibile che diventa vero. Dell’onirico che diventa tangibile.

A PANTELLERIA UNA TRE GIORNI IN DIFESA DEL VITIGNO ZIBIBBO. ANZI NO

Ecco perché si fatica a comprendere la battaglia intrapresa – piuttosto goffamente – dall’amministrazione comunale di Pantelleria guidata dal sindaco Vincenzo Campo. Con una previsione di spesa di 25 mila euro approvata dalla giunta, l’esponente del Movimento 5S ha chiamato a Pantelleria per tre giorni (da venerdì 5 a domenica 7 maggio) giornalisti (tra cui il sottoscritto), ricercatori e commentatori del settore vitivinicolo e agricolo, con lo scopo di «difendere il vitigno Zibibbo dallo scippo perpetrato dalla Doc Sicilia», ritenuta colpevole di averne approvato la produzione sull’isola madre, a dispetto della terra (pantesca) d’origine.

La (dispendiosa) tre giorni organizzata dal sindaco Campo è risultata non solo poco partecipata dai produttori di uve e di vino della Doc Pantelleria (per contare quelli presenti al dibattito bastavano meno delle dita di due mani) ma ha avuto anche aspetti fortemente contraddittori. Su tutti, lo stravolgimento del cardine su cui si basava la stessa tre giorni, intitolata “Pantelleria è Zibibbo“. La tesi iniziale di uno dei relatori, Giampietro Comolli, che nel comunicato stampa di lancio dell’evento si autopresentava come «uno dei più grandi esperti negli anni di Consorzi e vini DO, allievo di Fregoni e Scienza», è passata da «delocalizzare lo Zibibbo vuol dire incentivare un lento declino produttivo economico vitale a vantaggio di pochi imprenditori non panteschi» a, sintetizzando, «la battaglia sul vitigno Zibibbo è persa, occorre puntare su “Pantelleria”, promuovendo piuttosto un Pantelleria Docg “Zibibbo Classico”, solo Naturale Passito Dolce». Altra proposta stravagante dell’esperto di Consorzi e Denominazioni: Salvatore Murana, piccolo e appassionato produttore locale che nella sua gamma ha anche una tiratura limitatissima di Metodo classico base Zibibbo, dovrebbe puntare a vendere le sue poche bottiglie sugli scaffali di Autogrill: «C’è Ferrari, perché non dovrebbe esserci Murana?», si chiede (per davvero, non per scherzo) il relatore del convegno.

Alla base della preoccupazione del sindaco 5S di Pantelleria e della sua giunta, che così scaldano i motori in vista delle elezioni del prossimo 28 e 29 maggio 2023, ci sarebbero i numeri «drammatici» della viticoltura di Pantelleria, con gli ettari vitati che risulterebbero in picchiata. In altre parole, sempre più vigne rischierebbero l’abbandono. «Il Comune di Pantelleria – spiega Campo – ha lanciato l’evento “Zibibbo è Pantelleria” partendo dallo status precario, difficile, vulnerabile dello Zibibbo di Pantelleria. La vite di Zibibbo, altrove denominato Moscato di Alessandria, è il vino principe di Pantelleria da secoli. Nessuno può e deve portarcelo via. Penso al Barolo, al Picolit, al Prosecco. Lo ho visto io: modelli come quelli fanno sì che la bottiglia di Barolo possa uscire anche a 85 euro a bottiglia e il Nebbiolo di fianco 10, 12 euro, quando va bene».

L’ATTACCO AL CONSORZIO DOC SICILIA

«Recenti decisioni del Consorzio di tutela, con la modifica e rimodifica del disciplinare Doc del 1971 – continua l’esponente del M5S – fanno intravedere e temere un abbandono e una clonazione dello Zibibbo nella Doc Sicilia e Igt Terre Siciliane. Queste decisione hanno allarmato gli ultimi 360 viticoltori puri rimasti (erano 3700, 60 anni fa), unici titolari dell’Albo Doc Pantelleria e hanno sollecitato il Comune di Pantelleria a (nel comunicato questa “a” era preceduta da una “h”, ndr) difenderli: 2500/3000 gli ettari di vigne di Zibibbo impiantate negli ultimi 10 anni sull’isola Sicilia, sono una prova».

Riecco la Pantelleria che è l’ossimoro, anche lontana dalla vigna, anzi dai ceppi. Riecco la Pantelleria che è contraddizione intrinseca tra evoluzione e commiserazione. La bellezza contrapposta alla propaganda. Le potenzialità, che solo una parte dell’isola sembra intravedere e vivere. E la freddezza dell’interpretazione di massimi sistemi e numeri, ancora più gelidi sotto elezioni, anche quando a Pantelleria non tira vento. Ma ecco soprattutto la distanza abissale che c’è tra chi, ancora, in Italia, difende il nome di un vitigno, peraltro inserito come tale nel Registro nazionale delle varietà di vite del Ministero dell’Agricoltura. E chi, invece, si rende conto che una “Docg dello Zibibbo”, fondamentalmente, già esiste e non ha tantomeno bisogno di essere definita “Classica”: Pantelleria (Doc), col suo passito, solo da raccontare (meglio) e vivere (di più). Prosit.

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Vendite spumanti italiani salde all’epoca Coronavirus: l’indagine Ovse-Ceves

Bene gli spumanti italiani nel primo semestre 2020, senza variazioni sostantive su base annua, in particolare per il Prosecco Doc e Docg e gli Charmat. Subiscono i maggiori cali (anche del 40-45%) i vini italiani riservati al settore Horeca, come vini rossi importanti, bollicine esclusive metodo tradizionale e lo Champagne (calo del 75% in Italia).

Crescono gli acquisti in Gdo (+16%), mentre l’e-commerce raddoppia i volumi ma non il fatturato. La miglior performance è quella dei vini a costo medio-basso. È quanto emerge dall’analisi Ovse-Ceves.

“Il calo di vendite-consumi di vini spumanti italiani sul mercato interno ed estero – spiega il fondatore Giampietro Comolli (nella foto) – è molto più contenuta e più differenziata rispetto alle dichiarazioni altisonanti lette tempo fa”.

Discorso totalmente diverso per vini tranquilli, seppur fortemente diversi tipologia per tipologia. Gli stessi dati della Gdp (canale nazionale che copre l’acquisto di 6 bottiglie su 10) confermano un incremento di acquisti e di atti di acquisto a livello nazionale in confronto con lo stesso periodo 2019, seppur con cali evidenti per certe tipologie, etichette, denominazioni”.

Sempre secondo i dati Ovse-Ceves, “fino al 10 marzo tutte le spedizioni programmate dalle cantine sono arrivate a destinazione, in pieno lockdown è scattata la corsa all’acquisto online e con il delivery conseguente, poi si sono riaperte le cantini per gli acquisti diretti diventando una fuga o scusa di riscatto dalle chiusure domestiche”.

Un altro dato interessante valutato da Ovse sono i metodi produttivi e i rispettivi volumi delle bollicine italiane pronte per il consumo durante i 100 giorni delle limitazioni degli spostamenti e della gestione d’impresa.

“Nei primi mesi dell’anno i vini spumanti ottenuti con il metodo italiano (Prosecco, Valdobbiadene, Lambrusco, Durello, Malvasia, Ortrugo, Muller, Pinot) sono già in spedizione – evidenzia Comolli – e per questo non hanno risentito del calo dei consumi, anzi”.

Viceversa i vini ottenuti con il metodo tradizionale classico (Franciacorta, Alta Langa, Trento, Monti Lessini, ecc..), fatto eccezione per i millesimi riserva e selezioni disponibili in cantina oppure già presso i distributori o clienti, solitamente vengono imbottigliati a primavera e le massicce spedizioni iniziano da maggio-giugno (bolle e dogana)”.

Un segnale positivo arriva dai primi Paesi importatori di vini spumanti: Usa, Uk e Giappone segnano una crescita in volumi (+2,5% sul 2019), a valori stabili. Un segnale reale e allarmante arriva dalla Francia per lo Champagne, che registra, sempre nei primi 100 giorni di emergenza Coronavirus, un calo dei consumi sul mercato interno pari a circa l’55% rispetto allo stesso semestre del 2019 e un calo del 45% per le spedizioni all’estero.

Su base annua le Case di Champagne stimano una perdita del 27-28% dei volumi e un danno economico di circa 1,7 mld/euro

In sintesi la ricerca di Ovse-Ceves (luglio 2020) sul comportamento degli italiani in generale rispetto all’acquisto e consumo di vino in periodo Covid (100 giorni, dal 9 marzo al 30 giugno) evidenzia:

  • Meno consumo di vini sostenibili e quelli più cari in senso generale
  • Più consumo di vini locali facili da trovare, più pubblicizzati e anche autoctoni
  • Più bottiglie a prezzo contenuto (limite sono i 10-11 euro a bottiglia su scaffale o in cantina)
  • Più vini di cantine grandi, note, diffuse che danno garanzie
  • Più acquisti online e eno-commerce
  • Meno acquisti diretti in cantina soprattutto nei territori e grandi DO dove avvenivano eventi, fiere, degustazioni, primeur
  • Più delivery
  • Meno acquisto di Champagne
  • Più acquisto di Prosecco Superiore Docg e Prosecco Doc (molti in abbinamento con Aperol o Campari)
  • Più vini bianchi tranquilli noti e di annata recente
  • Meno vini rossi tranquilli top selezionati riserve e più noti dell’alta gamma
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Dal 25 al 28 Aprile torna l’Orcia Wine Festival

Si definisce il vino “più bello del mondo” l’Orcia Doc, denominazione di origine controllata che rappresenta i produttori del territorio della Val d’Orcia, patrimonio Unesco dal 2004, proprio per la sua bellezza unica.

Queste terre saranno nuovamente  protagoniste, dal 25 al 28 aprile ,dell’Orcia Wine Festival, giunto ormai alla sua decima edizione.

La manifestazione, destinata a winelovers,  famiglie anche con bambini piccoli al seguito, amanti dei viaggi e del buon vivere  avrà come leit motiv la “Francigena di Vino”, il pellegrinaggio per antonomasia di questi territori, meta da sempre di molti turisti ed enoturisti.

IL PROGRAMMA
In programma il  25 aprile una conferenza a cura di Giampietro Comolli, fondatore dell’Osservatorio Vini Spumanti Effervescenti, in cui si parlerà di come è cambiato il mondo degli spumanti in crescita vertiginosa, anche in vista del cambiamento di disciplinare dell’Orcia Doc.

Il 26 Aprile sarà la volta del campione italiano dei sommelier Ais, Simone Loguercio che guiderà una degustazione sull’eleganza del Sangiovese nel territorio dell’Orcia Doc.

Ma l’Orcia Wine Festival è anche mostra mercato promossa dal Comune di San Quirico d’Orcia, in collaborazione con il Consorzio del Vino Orcia e Onav Siena. Quest’ultima curerà le degustazioni guidate nelle suggestive sale seicentesche di Palazzo Chigi Zondadari, con i vini di oltre 20 aziende del territorio ai banchi di assaggio.

Tra gli eventi collaterali cene tematiche nei ristoranti del territorio, trekking urbano sulla Francigena, cortometraggi,  laboratori culinari per i più piccoli e l’esposizione di auto d’epoca lungo la Francigena.

Naturalmente saranno anche possibili visite in cantina in bici ed anche in treno a vapore in partenza da Siena verso San Quirico.

ORCIA DOC E VAL D’ORCIA
Le uve che danno i vini della denominazione sono in gran parte coltivate in Val d’Orcia, zona che registra mediamente ogni anno 1,4 milioni di presenze turistiche, con un milione di escursionisti.

Non a caso il 65% delle aziende vitivinicole dell’Orcia Doc è impegnata  nell’ospitalità con agriturismi o servizi di ristorazione.

I NUMERI DELLA DOC
Nata nel febbraio del 2000, l’Orcia Doc raccoglie nella sua area di produzione dodici comuni a sud di Siena (Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, Trequanda, parte dei territori di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena).

Il disciplinare di produzione prevede la tipologia Orcia (uve rosse con almeno il 60% di Sangiovese), l’Orcia Sangiovese (con almeno il 90% di Sangiovese) entrambe anche con la menzione Riserva  per prolungato invecchiamento (rispettivamente 24 e 30 mesi tra botte di legno e bottiglia). Fanno inoltre parte della Doc anche il bianco, il rosato e il Vin Santo.

Sono 153 gli ettari di vigneti dichiarati su un totale potenziale di 400 ettari. La produzione media annua si attesta intorno alle 240 mila bottiglie realizzate dalle circa 60 cantine nel territorio di cui oltre 40 socie del Consorzio di tutela che dal 2014 ha l’incarico di vigilanza e promozione Erga Omnes nei confronti di tutti i produttori della denominazione.

Il Consorzio di tutela si occupa di promuovere la denominazione attraverso varie azioni, tra cui anche eventi territoriali come l’Orcia Wine Festival.

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Ovse, Italia forte nell’export “grazie alle bollicine”. Africa nuova frontiera, già scoperta dalla Francia

A far da locomotiva ai numeri del vino italiano all’estero, soprattutto i vini spumanti. Nel 2015 la produzione nazionale è stata di 520 milioni di bottiglie, per un valore-origine di 1,352 mld/euro (euro 2,60 a bottiglia in cantina). Sul totale prodotto, 373 milioni di bottiglie (pari al 72%) sono state spedite in 90 Paesi nell’arco dell’anno per un valore pari a 1,327 mld/euro (per euro 3,56 a bottiglia) e un giro d’affari nel mondo di 2,573 mld/euro (per euro 6,9 a bottiglia). Rispetto al 2014, Ovse, l’Osservatorio economico dei vini effervescenti, fondato nel 1991 da Giampietro Comolli (nella foto), registra un +17% dei volumi e un +14% in valore all’origine. Il 2015 è un altro anno che cancella i record precedenti degli ultimi 10 anni, come produzione e esportazione: “Bene i volumi – commenta Giampietro Comolli – ma da anni sollecitiamo a fare più attenzione al valore di vendita cogliendo anche il sentimento tricolore favorevole. Il gap da colmare è ancora eccessivo, perché nella cultura globale il prezzo è anche sinonimo di qualità. Non corrisponde alla realtà qualitativa il divario di 4,66 euro per una bottiglia italiana con i 12,10 euro delle bollicine francesi, con una media di 22,49 euro al vertice per una bottiglia di Champagne”. Ovse constata anche un ulteriore calo nelle vendite delle etichette varietali, degli spumanti comuni e dell’Asti con alcuni ritocchi al ribasso di prezzo all’esportazione, mentre al consumo tutte le etichette made in Italy registrano un forte incremento di prezzo. Comolli rileva: “Negli Stati Uniti un calice di bollicine tricolori viaggia da 6 a 10 dollari, al ristorante non meno di 12 dollari”. L’escalation dei volumi esportati è stata molto forte negli ultimi 4 anni con un raddoppio anche delle destinazioni, tranne qualche paese in cui dazi e accise, embarghi, svalutazione e leggi sui consumi hanno bloccato l’importazione di tanti prodotti, in India, Cina, Russia, Brasile, Argentina. Molto bene soprattutto nel vecchio continente a 28 paesi che assorbe il 65% di tutto l’export. Usa e Uk hanno registrato crescite nel medio periodo del 150-200%. Altri paesi come Giappone, Messico, Canada, Germania, sono più oscillanti con continui sali-scendi. Ottimi risultati export si sono registrati in Francia, Austria, Svizzera e Svezia. Calo degli spumantini anonimi dolci e secchi, tengono alcuni mercati nell’Europa orientale per spumanti di vitigno (Moscato, Malvasia, Trebbiano, Soave). Per la ‘piramide’ Prosecco Docg-Doc ancora record: sul totale sono 275 milioni sono le bottiglie veneto-friulane consumate (3 su 4) per un valore in cantina di 700 mil/euro che si triplica con il giro di affari nel mondo a oltre 2 mld/euro. Le spedizioni in dogana registrano per il Prosecco docg (Conegliano, Valdobbiadene, Asolo, Cartizze) 38 mil/bott e per il Prosecco doc 237 mil/bottiglie.

La esportazione si concentra con il 30% nel Regno Unito, il 20% negli Stati Uniti e il 9% in Germania. Per entrare in dettaglio nel 2015 la Gran Bretagna conferma la leadership con oltre 96 mln di bottiglie, per 220 mln/€ (+26%). Non più solo Gdo e spumanti generici, ma il Prosecco entra in pub, circoli privati e ristoranti, non solo italiani. Enorme mercato con l’e-commerce, ma 9 su 10 siti sono gestiti da importatori/distributori e non da aziende. Prezzi al consumo in crescita del 8%: a Londra ci vogliono 12,25 sterline (pari a 15,52 euro) in media per una bottiglia di Prosecco sullo scaffale, grazie anche al cambio monetario e senza patire le accise messe dal governo Cameron solo sul vino (pari a 2 sterline il tappo), esentato invece il wisky. Al secondo posto troviamo gli Stati Uniti, sempre più costa occidentale oriented, volumi in crescita grazie all’euro svalutato e un prezzo alla dogana ritoccato al ribasso, con un +17,3% sul 2014 a quota 64,9 milioni di bottiglie, portando a +7,3% il fatturato al consumo per 305 mln/euro. Grandi guadagni per gli importatori/distributori. Una bottiglia di Prosecco che entra a 4,90 dollari (pari a 4,38 euro) sullo scaffale va a 21,3 dollari (circa 19 euro). Addirittura un calice di Prosecco nei ristoranti di New York si posiziona fra 12 e 19 dollari (circa 10,8-17,1 euro). Terzo paese torna a essere la Germania, dopo alcuni anni di cali, spostando in modo significativo il tiro sugli spumanti Dop rispetto a generici per un volume di 29 milioni di bottiglie pari a 90 mln/euro di valore alla dogana. Buono il recupero sul valore a bottiglia. Conferma al quarto posto per la Russia, seppur con tutte le problematiche della valuta e della crisi, con volumi a 18,8 mln/bott e 45 mln/euro di plv, concentrati in 4-5 marchi e dove l’Asti rappresenta ancora l’emblema delle bollicine italiane con oltre 7 milioni di bottiglie. Seguono, nell’ordine, la Svizzera con 15,3 mln/bott e un prezzo fuori dogana fra i più alti con 5,96 euro alla bottiglia; il Belgio con 11,7 mln/bott, l’Austria con 10 mln/bott, Giappone, Svezia, Francia a 9,5 mln/bott per paese. Canada e Paesi Bassi confermano il record di maggiori estimatori delle bollicine italiane, con un valore unitario da 6,37 e a 6,80 euro/bott franco distributore/importatore per una quota di mercato rispettiva a 5,6 mln/bott e 3,5 mln/bott. In poco più di 3 anni, la Francia conferma la scoperta del Prosecco superando 1,1 mln/bott. In Cina ancora qualche difficoltà per il sistema-mercato interno e l’inserimento nei diversi canali: bene nelle enoteche, ma si registra il record del più basso valore alla dogana con 3,20 euro/bottiglie.

Per il metodo tradizionale italiano il percorso all’estero è sempre molto complicato perché ci si scontra con i colossi Champagne e Cava (rispettivamente 135 e 160 mln/bott spedite nel mondo). In ogni caso dal 2012 il trend si mantiene in crescita: l’anno scorso sono state 2,2 mln/bott esportate di cui 1,4 di Franciacorta (+7,3% rispetto al 2014), un valore medio alla dogana di 28 dollari/bott (pari a euro 31,10) e spedizioni concentrate nell’ordine in Giappone, Usa e Svizzera. Molto difficile l’export per gli altri metodo tradizionali: segnali positivi solo per Asti e Gavi. Il Trento doc cresce bene in valore all’origine rispetto agli anni passati. “Negli ultimi 5 anni – evidenzia ancora Giampietro Comolli – l’Asti ha perso il 21% del mercato, mentre il Prosecco Doc è cresciuto mediamente del 21% annuo più che raddoppiando la quota, diventando il primo landbrand al mondo per le bollicine superando anche il generico Sekt. L’Italia quindi primo paese produttore con il 20,8% del totale (2,5 mld/bottiglie) e primo paese esportatore di vini effervescenti al mondo con una quota del 33% su 1,1 mld/bottiglie. Un settore che ha bisogno di una politica unitaria globale all’estero”. Molti ancora gli spazi di crescita in volumi e in valore. “L’Italia del vino – evidenzia ancora Comolli – è assente in Africa. La Francia è prima in tutti i paesi africani più ricchi, dove ha iniziato a investire da 10 anni. Seppur con burocrazia molto elevata, Nigeria, Kenia, Angola, Tanzania, Madagascar chiedono vini di fascia alta, compreso bollicine. Inoltre occorre una strategia diversificata per paese in base alle potenzialità e stile di vita: gli spumanti sono una tipologia abbinata alla festa nel mondo. Appannaggio di un mondo con buone disponibilità di spesa. Ma anche molte regioni europee e italiane reclamano bollicine. Ovse – conclude il presidente Ovse – sollecita da anni una revisione dell’Ocm-Vino verso la promo-commercializzazione anche sui mercati interni non come aiuto di Stato, ma per favorire l’elasticità della domanda e per far crescere i consumi interni”.

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Ovse: vola l’export di Prosecco, primo landbrand mondiale delle bollicine

Calcio, belle donne. E spumante. Gli italiani della crisi economica, dopo anni di riduzioni continue dei consumi, rinunciano ad alcuni ‘pezzi’ della spesa quotidiana. Ma non allo spumante. Soprattutto in occasione delle feste, come quelle pasquali.

E anche all’estero lo spumante italiano fa segnare cifre da record: 373 milioni le bottiglie consegnate sui vari mercati e un giro d’affari al consumo nel mondo di 2,573 miliardi di euro. I dati 2015 sono stati resi noti all’Ansa da Ovse-Osservatorio economico dei vini effervescenti, guidato da Giampietro Comolli.

“Negli ultimi cinque anni – osserva il fondatore dell’Ovse – l’Asti ha perso il 21% del mercato, mentre il Prosecco Doc è cresciuto mediamente del 21% annuo, più che raddoppiando la quota e diventando il primo landbrand al mondo per le bollicine, superando anche il generico Sekt. L’Italia è quindi primo Paese produttore, con una quota del 23%, e primo Paese esportatore di vini effervescenti al mondo, per il 32%. Ma il settore ha bisogno di una attenzione politica globale all’estero”.

Sul totale esportato, 288 milioni sono le bottiglie targate Prosecco, veneto-friulane, pari ad un valore all’origine di circa 800 milioni di euro. Rispetto al 2014, l’export dei vini spumanti registra un +17% dei volumi e un +14% di valore al consumo nei 90 Paesi di destinazione.

Il vecchio continente – continua Ovse – nel suo insieme si conferma ancora il principale acquirente di spumanti italiani, con oltre il 65% dei volumi. L’ esportazione si concentra in tre paesi: il 34% nel Regno Unito, il 19% negli Stati Uniti, il 18% in Germania.

Il Regno Unito è il primo paese importatore, con circa 100 milioni di bottiglie. Non più solo Gdo e spumanti generici: il Prosecco entra a pieno titolo in pub, circoli privati e ristoranti, e non solo italiani.

Grande sviluppo per l’e-commerce – sottolinea Ovse – ma 9 su 10 siti sono gestiti da importatori o distributori e non da aziende produttrici. In poco più di tre anni, la Francia conferma la scoperta del Prosecco, superando 1,1 milioni di bottiglie nel 2015, pari al 10% di tutti gli spumanti importati.

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