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Ami il Riesling? Devi scoprire l’Imereti: il volto fresco dei vini georgiani

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Al mercato centrale della città vecchia, in Shota Rustaveli Ave, i colori dei foulard delle donne si confondono con quelli delle spezie, dei formaggi e delle strisce di Churchkhela, dolce tradizionale georgiano a base di succo d’uva, frutta secca e farina. C’è anche qualche bottiglia di vino dell’Imereti, conservata chissà come. Camminare per Kutaisi, terza città del Paese, 220 chilometri a ovest della capitale Tbilisi, è come immergersi in un barattolo di vernice. Ne esci colorato, felice. Stordito.
Inebriato da profumi e istantanee di storia, cultura. Orgoglio. Mito. È la terra degli Argonauti, della caccia al Vello d’Oro. Del fiume Rioni e del Ponte Bianco. Del Monastero Motsameta, immerso nel silenzio della natura incontaminata e selvaggia di una regione vinicola che vuole farsi largo, sulla scena internazionale. Levandosi di dosso l’ombra, pesante, del più noto Kakheti, con circa 5 milioni di bottiglie prodotte su una superficie di circa 2.350 ettari.

I VINI DELL’IMERETI: GRANDE FRESCHEZZA E ALCOL MODERATO

I vini dell’Imereti somigliano un po’ a quel mercato centrale. Alla città caoticamente ordinata che lo ospita. Colori intensi, quasi fluorescenti. Proprio come quelli delle spezie. Ogni bottiglia, una sorpresa. Si passa dal giallo paglierino all’ambra luminosa, o dal rosso rubino al viola impenetrabile, con la stessa facilità con la quale la scritta “Ti amo” compare su un muro di Kutaisi, riprodotta un centinaio di volte nelle tre lingue parlate dagli abitanti del posto. Espressioni diverse, per esprimere lo stesso concetto. Così come diverse sono le coniugazioni delle uve, in vinificazione: con o senza utilizzo di qvevri o legno e ricorrendo, o meno, a macerazioni sulle bucce più o meno prolungate.

Ma per capire i vini dell’Imereti, occorre innanzitutto partire dalla conformazione del territorio. L’Imereti ha un clima più umido e mite, influenzato dalla vicinanza al Mar Nero e da una viticoltura che si sviluppa fino a oltre 500 metri sul livello del mare, in ambienti di alta collina. I suoli sono prevalentemente argillosi-pietrosi e bianchi, calcarei; ricchi di carbonato di calcio e dotati di una buona capacità di trattenere l’umidità. Giusto, dunque, aspettarsi vini più freschi, con maggiore acidità rispetto a quelli del Kakheti. Lì, il clima più caldo e secco dà vini più potenti e, soprattutto, più alcolici. Il suolo, nel Kakheti, è molto più vario di quello dell’Imereti, con presenza di argille, rocce e terreni alluvionali che contribuiscono a restituire vini complessi, strutturati, dalle spalle larghe.

I VITIGNI DELL’IMERETI E LE LORO CHANCE INTERNAZIONALI

Differenze sostanziali, che trovano conferme anche nella base ampelografica della regione. I vitigni dell’Imereti, infatti, sono diversi da quelli del Kakheti. In quest’angolo di Georgia si trovano varietà autoctone poco conosciute, come Tsolikouri, Krakhuna, Tsitska e Kvishkhuri (a bacca bianca) e Otskhanuri Sapere, Aladasturi e Ojaleshi (a bacca rossa). Cosa aspettarsi dai vini prodotti con questi vitigni? Gran acidità, e dunque freschezza, soprattutto dai vini bianchi “in purezza”, ovvero da singole uve. Una caratteristica che risulta più attenuata nei blend, con il terzetto Tsolikouri-Krakhuna-Tsitska che può infatti fregiarsi dell’unica Doc dell’Imereti: Sviri Pdo (Protected Denomination of Origin).

Ogni uva apporta benefici al blend: Tsolikouri e Tsitska per la vibrante acidità; Krakhuna per la componente aromatica e per il corpo. Interessante, anche dal punto di vista agronomico, il Kvishkhuri: con la sua buccia spessa e l’ottima resistenza alle temperature più rigide, ha un ruolo di prim’ordine nell’Alto Imereti, la fascia più settentrionale della regione. I vini bianchi dell’Imereti, generalmente, ricordano al naso e al palato agrumi come l’arancia e il mandarino, le nespole. Evidenziano accenni di frutta tropicale, frutta bianca come la pera e tinte erbacee e talcate, soprattutto in presenza della varietà Krakhuna. Curioso invece come la Tsitska riporti spesso alla mente il Sauvignon Blanc, specie se non sottoposta a macerazione.

IMERETI: VINI BIANCHI (MEGLIO) IN CUVÉE. ROSSI IN PUREZZA

Quanto ai vini rossi, l’Otskhanuri Sapere è considerabile l’alter ego del Saperavi kakhetiano. Il “Colorato di Otskhana”, questa la traduzione letterale del nome, in onore della città d’origine del vitigno, ha un’acidità generalmente alta, una struttura armonica e un corpo più che dignitoso: caratteristiche che portano i vini ad affinare bene, nel tempo, muovendosi su note terziarie rispetto ai primari di ciliegia, bacche rosse e nere di bosco e prugna matura.

L’Aladasturi convince per la capacità di saper leggere i suoli, ricordando talvolta certe espressioni rare del Syrah sul granito. Generalmente dà invece vini freschi e beverini, dal corpo leggero, in cui la maturità dei tannini gioca un ruolo fondamentale nell’equilibrio del calice. La vera sorpresa è l’Ojaleshi, che riporta alla mente una buona parte del profilo maturo del Refosco dal Peduncolo Rosso e delle espressioni giovanili dello Schioppettino di Prepotto. Una varietà sempre più riscoperta e vinificata dalla settantina di cantine dell’Imereti.

L’UTILIZZO DELLE ANFORE IN TERRACOTTA (QVEVRI / CHURI) NELL’IMERETI

Se è ormai molto facile reperire un vino georgiano all’estero, Italia compresa, risulta invece più complicato degustare un vino prodotto nell’Imereti. Il Kakheti la fa da padrone nelle scelte dei buyer, anche perché è ormai simbolo del metodo tradizionale di vinificazione in qvevri, grandi anfore di terracotta interrate che affascinano i consumatori di tutto il mondo con la loro tradizione millenaria. Il “Metodo Kakhetiano” è, di per sé, sinonimo di “vini georgiani”. Ed è quello su cui si concentra la stragrande maggioranza del marketing nazionale, all’insegna del claim che promuove la Georgia come “The cradle of wine“: “La Culla del vino” internazionale, dove ha avuto origine la viticoltura (un primato, a onor del vero, messo in discussione dalla vicina Armenia).

Anche in Imereti si utilizzano le qvevri, localmente chiamate churi. Ma il metodo di vinificazione tradizionale differisce da quello di Kakheti. Nell’Imereti solo una parte delle bucce – molto più raramente i raspi – vengono utilizzati durante la fermentazione. Un approccio più delicato, che ben si misura con le caratteristiche delle uve e la volontà di produrre vini più leggeri e freschi, perfetti per gli amanti di varietà come il Riesling. Il “Metodo imeritiano” tende a conservare maggiormente l’acidità naturale dei vini e a dar vita a vini più freschi. Ma soprattutto meno tannici rispetto a quelli di Kakheti, dove invece il mosto fermenta e matura a lungo nelle qvevri con tutte le parti solide dell’uva (buccia, vinaccioli, raspi), restituendo tannini marcati, struttura e complessità.

IMERETIAN WINE CHALLENGE: DA QUI PASSA IL FUTURO DEI VINI GEORGIANI

Proprio per contribuire a dare un’identità precisa ai vini dell’Imereti, premiando i più elevati standard produttivi e promuovendo l’unicità della zona a livello internazionale, è nata la Imeretian Wine Challenge (IMT). Una competizione enologica ideata da Ketie Jurkhadze, direttrice dell’Imeretian Wine Association, che raggruppa una settantina di cantine della zona ed è nata nel 2022, con il supporto di Dmo Imereti (Destination Management Organisation Imereti).A inizio ottobre 2024 il concorso è giunto alla sua seconda edizione, ospitata proprio Kutaisi, terza città georgiana per numero di abitanti e capitale della regione vinicola dell’Imereti. I risultati della competizione, non ancora ufficiali, confermano l’assoluta validità del percorso intrapreso dai viticoltori, che nella Georgia occidentale possono contare anche su iniziative imprenditoriali importanti. È il caso di Labara Winery che sorge a Vartsikhe, frazione della municipalità di Baghdati.

Dodici ettari di vigneti incastonati tra il Mar Nero e il Caucaso, in una piana ricca di argilla e calcare all’esatta confluenza dei fiumi Rioni e Khanitskali. Krakhuna, Otskhanuri  Sapere, Tsolikouri, Tsitska, Ojaleshi e Aladasturi hanno trovato in Dato GaguaShalva Sikharulidze due grandi interpreti. Entrambi impegnati a livello professionale negli Stati Uniti, hanno deciso di fare ritorno in Georgia e fondare la cantina nel 2017, «per aiutare il Paese a sfruttare e sviluppare i suoi 8 mila anni di storia nel vino». Anche in chiave enoturistica. La parola “Labara”, che dà il nome alla cantina, significa infatti “Luogo soleggiato pieno di vita”. Un inno a Vartsikhe, villaggio di antica tradizione vinicola che Dato Gagua e Shalva Sikharulidze vogliono trasformare in meta turistica, oltre che areale di produzione dei migliori vini dell’Imereti.

Il Sole presente su tutte le etichette simboleggia il sogno dei due imprenditori. Circa 20 mila le bottiglie prodotte attualmente, con la vendemmia 2024 che è da considerarsi come quella del vero esordio, con i frutti dei giovani vigneti di proprietà. Lo stile e l’impronta della piccola Labara Winery è comunque già chiaro: grande cura nella selezione delle uve, vinificazione e affinamento in qvevri (o, meglio, churi) e in botti di legno usato; e desiderio di esprimere i caratteri primari di ogni singola varietà nel calice. Un faro non solo per l’Imereti ma per l’intera Georgia del vino, soprattutto con l’orange wine (macerato) 2020 “Circum Solem” da uve Tsolikouri, l’Otskhanuri  Sapere Reserve 2022 e l’Ojaleshi 2023.

LABARA WINERY, LA NOVITÀ. WINERY KHAREBA, UNA CERTEZZA

Per una cantina artigianale georgiana che nasce e che, certamente, saprà affermarsi a livello internazionale, una che è già un simbolo dei vini georgiani nel mondo. Winery Khareba è un colosso da 17 milioni di bottiglie che, sotto la direzione tecnica ed enologica del winemaker Vladimer Kublashvili, si è posta come obiettivo quello di abbracciare tutto il territorio nazionale con il proprio parco vigneti (1.500 gli ettari attualmente a disposizione). Già ben solida nell’olimpo dei big del Kakheti, Khareba sta investendo sempre più energie, negli ultimi anni, nella crescita dell’Imereti e delle sue varietà autoctone. L’approccio dell’enologo Vladimer Kublashvili è sartoriale. Millimetrico.

Ne è una riprova l’ultimo progetto della cantina, denominato K’Avshiri, კავშირი, che in georgiano significa “alleanza”, “unione”. Si tratta infatti del progetto comune del winemaker di Winery Kareba e del consulente e wine critic britannico Robert Joseph. Un vino bianco e un vino rosso ottenuti – guarda caso – da un blend. K’Avshiri White è una miscela di otto vitigni georgiani con Moscato e l’Aligoté. K’Avshiri Red racchiude invece nove varietà, tra cui due uve bianche georgiane co-fermentate con Saperavi e Aladasturi, lasciate appassire per 10 giorni prima della fermentazione. Entrambi i vini sono ottenuti da vinificazione parziale in qvevri e acciaio, con l’utilizzo del legno per il solo uvaggio rosso.

K’AVSHIRI: MOLTO PIÙ DI UN SEMPLICE VINO

«Pur volendo creare un vino decisamente “georgiano” – spiegano Kublashvili e Joseph – non ci scusiamo per aver incluso un po’ di Aligoté e Moscato nella miscela bianca. Produrre il miglior vino possibile era molto più importante che rispettare qualsiasi tipo di regola che imponesse la “purezza” regionale. Allo stesso modo, i rossi assemblaggi 2022 e 2023 contengono sfacciatamente un po’ di Merlot (5%). Molti produttori in Paesi con varietà autoctone interessanti oggi hanno una visione simile, ma preferiscono non menzionare il loro utilizzo di piccole quantità di varietà “internazionali”, seppellendole nel 15% di “altre uve” legalmente consentite. Abbiamo preferito essere aperti su ciò che accade esattamente in K’Avshiri».

Una visione, quella di questo insolito duo, che si confà al clima di un Paese a caccia d’identità e che, anzi, in quella ricerca s’inserisce in punta di piedi, con due vini di grande spessore enologico e di grande provocazione intellettuale. E non succede a caso in Georgia, nazione che diverte – e che sembra essa stessa, forse inconsapevolmente, divertirsi – nello sfoggio di logiche e interpretazioni tra loro contrastanti, capaci di convivere in un clima di ordinato caos, sul confine geografico esatto col paradosso e con l’ossimoro. Come i foulard di quelle donne, che si mescolano ai mille colori delle spezie, al mercato centrale della città vecchia di Kutaisi. O quella scritta “Ti amo”, in tre lingue diverse su un muro, poco lontano dalle bancarelle. Imereti, Georgia, mondo. Tutto sommato, confine.

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Vini bianchi con macerazione, ok dell’Oiv. Perché le qvevri dovrebbero farci paura

EDITORIALE – I Vini bianchi con macerazione, noti anche come “Orange wine“, hanno pari dignità dei “vini di ghiaccio” – gli Ice Wine cari a Paesi come Canada e Germania – e dei vini liquorosi come Marsala, Sherry e Porto. A stabilirlo è l’Oiv, l’Organizzazione internazionale della Vigna e del Vino, che li ha inseriti nella lista dei “Vini speciali“.

Un provvedimento che tiene conto – con qualche anno di ritardo – dell’iscrizione del metodo georgiano di vinificazione in qvevri, le anfore interrate utilizzate dalla notte dei tempi in Georgia, nella Lista dei Patrimoni culturali immateriali dell’Umanità dell’Unesco, avvenuta nel 2013.

L’Assemblea generale dell’Oiv ha adottato la decisione attraverso risoluzione 647-2020, con il conseguente inserimento della tipologia di produzione nel “Codice internazionale delle pratiche enologiche” riconosciute.

La definizione dei nuovi “Vini speciali” è precisa: “I vini bianchi con macerazione sono ottenuti dalla fermentazione alcolica di un mosto a contatto prolungato con le vinacce, compresi bucce, polpa, vinaccioli ed eventualmente raspi”.

Diverse le prescrizioni: “Si elaborano esclusivamente a partire da varietà di uva a bacca bianca; la macerazione viene condotta a contatto con le vinacce; la durata minima della fase di macerazione è di un mese; il ‘vino bianco con macerazione’ può essere caratterizzato da un colore arancione-ambrato e da un gusto tannico“.

La definizione della una nuova categoria di prodotti – dichiara l’Oiv – permetterà di far conoscere i vini in qvevri / kwevri a professionisti e consumatori, affinché vengano giudicati e apprezzati tenendo conto delle loro modalità di produzione e particolarità organolettiche“.

“Il gusto tannico e il colore arancione-ambrato – continua l’Oiv – potranno pertanto essere spiegati meglio ai consumatori e ai professionisti. Altrettanto possibile sarà la distinzione nei concorsi di vini quale categoria a sé stante”.

Dichiarazioni che arrivano, forse non a caso, dopo la bufera scatenata dalle parole del professor Luigi Moio sui “vini naturali” e la (s)connessione tra terroir e ossidazione. Di certo, la risoluzione dell’Oiv sui “Vini bianchi con macerazione” non gioca solo a favore dei vignaioli e delle piccole realtà artigianali sparse per il mondo.

Sono infatti numerose le cantine di stampo “industriale” che, in Georgia, accostano il “Metodo tradizionale” di vinificazione in qvevri alle pratiche enologiche tipiche del metodo europeo e internazionale, come l’utilizzo di serbatoi di acciaio e botti di legno.

Si tratta di realtà come Ktw, acronimo dietro al quale si cela il colosso “Kakhetian Traditional Winemaking Group”: solo una delle cantine capaci di  di produrre milioni di bottiglie ogni anno, tra l’altro con l’utilizzo di chips (legali in Georgia) in fase di affinamento.

Dietro (o dentro) le qvevri, la Georgia sarà sempre più in grado di dare ulteriore spinta a produzioni industriali firmate anche da enologi di fama europea ed internazionale, un po’ come sta avvenendo per il vino della Cina.

Tra i professionisti impegnati nel Caucaso anche l’italiano Donato Lanati, che ha all’attivo una collaborazione con Badagoni Wine Factory proprio nel Kakheti, patria delle anfore georgiane: 4 milioni di bottiglie l’anno per la cantina di Akhmeta. Un dettaglio che non sarà certo sfuggito al dogmatico bureau dell’Oiv.

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Dal Collio alla Georgia e ritorno: Joško Gravner ospite del Trento Film Festival

La Georgia, repubblica caucasica dalle imponenti catene montuose, crocevia di culture e depositaria di un’antichissima tradizione vitivinicola, è l’anello di congiunzione tra Joško Gravner e la 68a edizione del Trento Film Festival, in programma dal 27 agosto al 2 settembre 2020.

Il vignaiolo di Oslavia sarà protagonista dell’incontro “Joško Gravner il contadino. Dal Collio alla Georgia e ritorno: riflessioni su vino e territorio”, che avrà luogo sabato 29 agosto dalle ore 11.00 alla Cantina Martinelli di Mezzocorona (prenotazioni info@vignaiolideltrentino.it).

L’appuntamento è organizzato dal Trento Film Festival con il Consorzio Vignaioli del Trentino, che tornano a collaborare dopo il successo ottenuto dagli eventi Vignaioli di Montagna a Trento e Bologna.

Gravner ripercorrerà il percorso che lo portò ad abbandonare la viticoltura convenzionale e a disfarsi della tecnologia, per abbracciare la fermentazione con lunga macerazione e l’antico metodo della vinificazione in anfora, proprio della tradizione caucasica.

Dall’esordio negli anni Settanta alla prima importante svolta con la macerazione in grandi tini di legno fino al viaggio, dal Collio goriziano alla Georgia, intrapreso nel 2000 per approfondire l’utilizzo dei qvevri (nella foto sopra) le grandi anfore in terracotta interrate tipiche della zona dei Kakheti che Gravner aveva iniziato ad usare già nel 1997.

Questi i temi al centro dell’incontro che i presenti potranno ascoltare sorseggiando un bicchiere di quella Ribolla vinificata in una delle 47 anfore importate dal paese caucasico e lasciate a dimora nella terra della cantina di Oslavia.

La Georgia sarà il Paese ospite di questa edizione del Trento Film Festival, che ogni anno accoglie una nazione capace di unire patrimonio naturale e una solida produzione cinematografica.

La manifestazione porterà in scena 97 pellicole e un ricco programma di appuntamenti collaterali nel pieno rispetto delle disposizioni normative. Sarà un Festival diffuso, con eventi che si svolgeranno in tutto il Trentino e la possibilità di vedere i film selezionati anche online. Tutti gli eventi sono gratuiti e a prenotazione obbligatoria.

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La Georgia vuol fare vino su Marte: sarà un bianco da uve Rkatsiteli


Non basta alla Georgia il primato sulle prime tracce storiche di viticoltura al mondo. I ricercatori dell’ex Repubblica Sovietica stanno studiando il modo di produrre il primo vino sul pianeta Marte. E’ il “IX Millennium project“. La notizia rimbalza in Italia dal quotidiano inglese Telegraph.

Le uve Rkatsiteli, autoctone della Georgia, sarebbero particolarmente resistenti ai raggi ultravioletti. Da qui l’idea del rettore dell’Università dell’Economia e della Tecnologia, Nino Enukidze, di portarle su Marte per verificarne la risposta. “IX Millennium” si è consultato con l’Agenzia spaziale europea e spera di lavorare anche con la Nasa, che ha promesso di portare gli uomini su Marte entro i prossimi 10 anni.

LO STUDIO

Per ora Enukidze sta portando avanti il progetto in collaborazione con l’Agenzia di Ricerca Spaziale georgiana e la startup “Space Farms“, ovvero “Fattorie dello Spazio”. Si comincia dall’uva per arrivare poi ad altri tipi di frutta e verdura.

Abbiamo in programma di ricercare tutte le possibilità che consentano agli astronauti di sedersi comodamente su Marte e bere vino georgiano“, spiega senza giri di parole Nino Enukidze.

Come riferisce sempre il Telegraph, la Business and Technology University della Georgia aprirà entro fine anno un laboratorio che simula le condizioni del pianeta Marte, quarto Pianeta del Sistema Solare, ricco di ossidi di ferro che ne determinano il tipico colore rosso. Un po’ come certe terre della nostra viticoltura.

Un ricercatore del progetto sta già allevando batteri partendo da microbi raccolti dalle sorgenti calde solforose della Georgia e da altri ambienti estremi, che potrebbero potenzialmente aiutare le piante a fissare l’azoto nel terreno marziano.

Al contempo, la startup “Space Farms” sta sviluppando dei semi per l’agricoltura verticale in grado di crescere con l’ausilio di luci idroponiche. Gli astronauti sarebbero così in grado di coltivare uva e altri alimenti “in biodiversità ristretta”, su Marte.

“Oltre all’esplorazione delle condizioni di coltivazione su Marte – evidenzia ancora Nino Enukidze – il progetto ‘IX Millennium’ andrà a beneficio dei produttori di uva e dell’economia locale georgiana, mostrando che le uve sono resistenti agli effetti dei cambiamenti climatici”.

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Tutti in Georgia, ma perché? Pregi e falsi miti del vino georgiano


TBILISI –
Alzi la mano chi ha un amico che è stato in Georgia, o che sta progettando un viaggio alla scoperta dei vini georgiani. La percentuale è alta se si considera che il vino, in Georgia, è una questione tutto sommato recente. Intendiamoci.

Se da un lato è vero che l’ex colonia zarista e sovietica ha avviato da tempo una massiccia operazione di comunicazione internazionale, dall’altro va considerato che non esiste ancora una mappa catastale completa del “vigneto Georgia“. La National Wine Agency ha iniziato questo lungo lavoro solamente nel 2014.

Il riconoscimento come patrimonio Unesco del metodo tradizionale di produzione del vino in anfore Qvevri e il ritrovamento delle più antiche tracce di viticoltura al mondo – risalenti a 8 mila anni fa – aiutano. Ma non bastano.

Il governo di Tbilisi si sta dando un gran da fare per non perdere il treno del vino e dell’enoturismo. E la Georgia sarà certamente uno dei Paesi emergenti che farà sentire la loro voce sul mercato internazionale, nei prossimi decenni.

Ad attirare tanti curiosi ed esperti in questo magnifico Paese del Caucaso – tutto da scoprire anche dal punto di vista naturalistico – è l’immagine da “Culla del vino” ormai legata alla Georgia, a livello internazionale.

GEORGIA, THE CRADLE OF WINE

Non a caso, il nome prescelto dall’agenzia nazionale del vino georgiano lo scorso anno, per l’allestimento di 4 mesi alla Cité Du Vin de Bordeaux, è stato “The cradle of wine“. Una metafora che rafforza ulteriormente l’altro caposaldo della comunicazione governativa: la grande varietà di vitigni autoctoni presenti sul territorio georgiano. Oltre 500.

Ma c’è addirittura chi parla di 800. Tra il 5 e l’8% dei vitigni mappati al mondo, circa 10 mila in totale, sarebbero dunque originari della Georgia. Meno di 400 quelli mappati in Italia. Il grande errore, a differenza di quanto capita nel nostro Paese, è aspettarsi di poterli trovare tutti, una volta sbarcati ai piedi del Caucaso. E magari degustarli. Quello che non si dice, infatti, è che di questa grande varietà di vitigni è rimasto ben poco.

La Georgia, negli anni del colonialismo russo, è stata letteralmente depredata dei suoi tesori enologici. La maggior parte degli autoctoni sono stati espiantati in favore delle varietà più vigorose e produttive. Per decenni, di fatto, la Georgia ha funto da “cantina” dei russi. O, meglio, da serbatoio. Il vino georgiano, sotto controllo della Russia, non godeva certo di buona fama. Si trattava di vino spesso adulterato, carico di pesticidi o “allungato” con acqua, in mano a poche compagnie controllate da uomini d’affari senza scrupoli.

LA SVOLTA

Le cose hanno iniziato a cambiare in seguito all’indipendenza della Georgia, ottenuta nel 1991. Ma a dare la vera e propria sferzata al settore è stato l’embargo operato dai russi nel 2006. Fino a quell’anno, Mosca ha continuato a servirsi della produzione vitivinicola georgiana, senza farsi troppe domande.
L’export verso la Russia, di fatto, si assestava su cifre imponenti, tra l’80 e il 90%. L’improvvisa attenzione dei russi per il mercato armeno – l’unico in zona in grado di supportare le richieste – in sfavore di quello georgiano e moldavo ha avuto effetti immediati devastanti per l’economia locale.

Sette compagnie nazionali hanno chiuso i battenti, accusate dal Cremlino di esportare in Russia vini adulterati e tossici. Ma, alla lunga, l’embargo è stato la vera chiave di volta per l’enologia della Georgia. Le grandi compagnie nazionali, sopravvissute alla ritorsione, hanno cominciato a rivolgersi a mercati più maturi di quello russo.

Finendo per confrontarsi con Paesi ben più alfabetizzati e, soprattutto, produttori di vino. In Georgia si comincia così a parlare di qualità. Fondamentale l’attività di scouting da parte delle più grandi aziende del Paese, a caccia di consensi anche nei Concorsi internazionali.

Diversi enologi di fama, tra cui molti italiani e francesi, finiscono per dare il loro contributo alla crescita qualitativa del settore. E ancora oggi sono molte le “firme” italiane presenti addirittura sulle etichette del vino Made in Georgia. Quasi come marchi di garanzia. Ma non è (ancora) tutto oro quel che luccica.

Tra le pratiche enologiche consentite c’è, per esempio, l’aggiunta di trucioli di legno nel vino in fermentazione o in affinamento in acciaio. Si tratta delle cosiddette “chips”, che consentono di dare al vino un “effetto legno” pressoché immediato, senza attendere i tempi di naturale estrazione in botte. Una pratica (purtroppo) legale in molti Paesi, ma non in Italia (almeno per i vini Doc).

Ad ammettere senza problemi l’utilizzo delle “pastiglie” di tannini sono grandi gruppi che operano a livello industriale. Come KTV (Kakhetian Traditional Winemaking), che di “traditional” – in verità – non ha più moltissimo. La compagnia è una delle più visitate dagli enocuriosi a caccia di chicche in Georgia e la qualità dei vini prodotti è alta, nonostante si tratti di una realtà da 600 ettari complessivi (di proprietà) distribuiti tra Askana ad Akhasheni, da ovest a est del Paese.

Giusto visitare KTV per comprendere le punte tecnologiche raggiunte dalla Georgia nel winemaking process. Non a caso, Kakhetian Traditional Winemaking non manca da diversi anni al Prowein Trade Fair. Ed è una delle flag company che stanno contribuendo maggiormente all’accrescimento della notorietà del vino georgiano nel mondo. Tra le aziende visitate durante il nostro tour ce ne solo altre da visitare a tutti i costi:

  1. Mildiani Winery
  2. Zangaura Georgian Wines
  3. Lapati Wines
  4. Winery Chelti
  5. Ruispiri Biodynamic Vineyard
  6. Iago’s Wine – Iago Bitarishvili
  7. Khareba Winery
  8. Vellino – Beka Jimsheladze
  9. Nika Vacheishvili’s Marani and Wine Guest House

LE DEGUSTAZIONI

Cantine, quelle citate sopra, di dimensioni diverse. Ma tutte reali interpreti dei valori del vino, considerato “sacro” in Georgia.
Tra queste, la più nota tra gli amanti degli “orange wine”, anche in Italia, è la cantina di Iago Bitarishvili (nella foto), vero e proprio interprete assoluto del Chinuri, il vitigno a bacca bianca più diffuso della regione del Kartli.

Meritevole di essere scoperta Lapati Wines, l’avventura georgiana di due giovani francesi che hanno iniziato a produrre spumanti metodo ancestrale con le uve locali Rkatsiteli, Chinuri, Avkveri e Gorula (linea Kidev Erti), oltre a un potente Saperavi.

Ottimo il lavoro che sta portando avanti, sempre nella nicchia dei Raw Wines, anche Beka Jimsheladze. La sua cantina è stata ultimata da poco e il brand Vellino inizia a imporsi sul mercato: già un anno fa i suoi vini ci sono sembrati pronti per poter affrontare le sfide internazionali, pur senza perdere il marchio di fabbrica territoriale.

LE CANTINE DA NON PERDERE IN GEORGIA

Vale lo stesso discorso per Ruispiri Biodynamic Vineyard, il gioiello biodinamico di Giorgi Aladashvili. Uno capace di dormire (letteralmente) accanto alle qvevri durante la fase di realizzazione del nuovo Marani, nel Kakheti. Menzione particolare, tra le cantine visitate, anche per il “giocattolino” dell’ex ministro della Cultura della Georgia, NikolozNika” Vacheishvili.

Nei suoi vini, in particolar modo i bianchi, tutti i profumi delle vallate che circondano il “Marani and Wine Guest House”, a Didi Ateni. Splendidi. E tra i locali da non perdere, nella capitale Tbilisi c’è il Bina N37: un vero e proprio appartamento in cima a un palazzo di 8 piani, dove poter ammirare le 43 qvevri in produzione sul terrazzo e gustare i piatti della tradizione georgiana.

Cosa aspettarsi, in generale, dal vino georgiano? Grandi profumi e complessità, anche per i bianchi. Una beva non banale, dovuta alla vinificazione e macerazione in qvevri. Nonché ossidazioni più o meno marcate che, se ben controllate dal produttore, regalano vini unici. Quel che è certo è che la Georgia non è il paradiso degli enofighetti, intesi come amanti dei vini “per forza” limpidi, “per forza” organoletticamente “puliti” e di immediata comprensione. Tutt’altro.

Così come non è stato da “fighetti” il nostro soggiorno di una settimana: ospiti del giovane Shotiko (futuro produttore di vino) e della sua famiglia a Kakabeti, un villaggio sperduto a 70 chilometri a est di Tbilisi. E’ lui che ci ha condotto in un viaggio di una settimana, a bordo di una Mercedes rossa del 2001. Ricordi indelebili di persone indelebili in un Paese indelebile. Come i sapori dei vini georgiani.

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Approfondimenti

Enovitis in campo CAMPO 2018: la fiera si conferma punto di riferimento per la viticoltura italiana

Verona – “Siamo davvero entusiasti per questa tredicesima edizione di Enovitis in campo, che ha superato i 6500 visitatori. Ad inorgoglirci ancora di più è stata la forte presenza di stranieri, con le due delegazioni bulgara e slovena e altri ospiti intervenuti in particolare da Algeria, Grecia, Romania, che conferma l’importanza di questa manifestazione per tutto il settore vitivinicolo tanto a livello italiano quanto internazionale. Grande successo hanno riscosso anche gli argomenti trattati nei workshop e nel convegno dedicato ai vitigni resistenti, al quale hanno partecipato importanti autorità scientifiche e politiche che hanno discusso e proposto soluzioni per il futuro del comparto.”

Con queste parole Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione Italiana Vini, commenta i numeri raggiunti durante la 13° edizione di Enovitis in campo, manifestazione organizzata di UIV e Veronafiere, conclusasi tra i filari della Società agricola “Il Naviglio” di Fabbrico (Re) il 22 giugno.

“Anche quest’anno Enovitis in campo si è confermato un evento in grado di rappresentare in modo trasversale e completo l’innovazione applicata alle tecnologie dedicate al vigneto – spiega Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere – Si tratta di settore altamente specializzato che è un altro vanto della meccanica made in Italy e costituisce un driver di sviluppo sempre più necessario per il futuro del comparto vitivinicolo, in ottica di sostenibilità ambientale ed economica. L’edizione di quest’anno si è chiusa all’insegna della crescita sia dal punto di vista della qualità e dell’internazionalità dei buyer presenti, sia a livello di offerta espositiva e contenuti dei workshop: segno che la collaborazione tra Veronafiere-Fieragricola e UIV continua dare i suoi frutti all’insegna della concretezza”.

I visitatori sono arrivati da tutte le Regioni d’Italia, comprese le regioni del sud: a fare da capofila è stata l’Emilia Romagna con Reggio Emilia in testa, Modena e Ravenna, Bologna. Molte presenze dal Veneto – Verona, Treviso, Padova – e anche dalla Lombardia, in particolare da Brescia, Mantova, Pavia. Massiccia anche la compagine estera, soprattutto da Algeria, Grecia, Romania, Paesi Bassi e Serbia, Francia, Spagna e Ungheria, Pakistan e Turchia, oltre a Bangladesh, Georgia, Germania e Russia.

“C’è stata grande soddisfazione da parte delle realtà produttive locali per il risalto che questa edizione di Enovits in campo è riuscita a dare alla viticoltura emiliano-romagnola – commenta Corrado Casoli di Cantine Riunite & Civ. Moltissimi dei nostri soci iscritti hanno partecipato con entusiasmo alla manifestazione, apprezzando il livello tecnologico degli espositori e i momenti di confronto organizzati, che hanno saputo cogliere e affrontare tematiche calde per il settore”.

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Mezzacorona punta sul vino in anfora: quattro cru trentini in terracotta

TRENTO – C’erano una volta la Georgia, l’Armenia e i vignaioli controcorrente come Josko Gravner ed Elisabetta Foradori. Oggi, l’idea di produrre vini in anfora è meno “pazza” e rivoluzionaria rispetto al passato. Anzi, sembra seguire una precisa logica di mercato.

Chiedere per credere al colosso Mezzacorona, cooperativa trentina da 1600 soci a cui sono stati liquidati quasi 64 milioni di euro nel 2017, anno record per il fatturato (185 milioni di euro).

Da qualche mese, nella nuova (splendida) barricaia di Mezzacorona si possono trovare 8 anfore di terracotta, accanto alle solite piccole botti di rovere e ai tonneaux. A cullarle, una luce blu soffusa e un sottofondo di musica classica, in pieno stile biodinamico.

Pinot Grigio, Chardonnay, Traminer e Teroldego Rotaliano sono le quattro varietà su cui la cooperativa ha puntato al termine di numerosi anni di studio.

“Un elemento nuovo – spiega Davide Semenzato, brand ambassador di Mezzacorona – ancora in fase di sperimentazione. Tutto è partito da un progetto di zonazione che, tra gli altri obiettivi, si poneva quello di individuare i vigneti in grado di offrirci le uve migliori per questo tipo di vinificazione”.

A differenza di Elisabetta Foradori, che ha scelto anfore per la maggior parte spagnole, Mezzacorona ha puntato su un produttore trentino. “Si tratta di terracotta non vetrificata – precisa Semenzato – nella quale andremo a vinificare veri e propri cru di quattro uvaggi tipici trentini. Sarà una produzione di nicchia: circa 500 bottiglie riservate all’Horeca”.

Vini che, dunque, non saranno reperibili nei supermercati come gran parte delle etichette a marchio Mezzacorona. “Anche se non parliamo di macerati in stile friulano – anticipa Semenzato – quello delle anfore è un mondo molto interessante sul quale vogliamo sperimentare, per capire come poter adattare questa tecnica ai nostri prodotti”.

D’altro canto, Mezzacorona sta raccogliendo i primi risultati dei test sui Piwi (acronimo del tedesco Pilzwiderstandfähig) le varietà di vite resistenti agli attacchi fungini. In particolare, la cooperativa trentina ha puntato tutto sulla Solaris, che sta dando ottimi risultati.

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Vins Extrêmes 2017: al forte di Bard i vini da viticoltura eroica

Il meglio dei vini d’alta quota, ottenuti dalla viticoltura eroica sarà protagonista, sabato 25 e domenica 26 novembre prossimi, di Vins Extrêmes 2017, che avrà luogo nella spettacolare cornice del Forte di Bard (Aosta).

La manifestazione è organizzata dal Assessorato Agricoltura e Risorse naturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta, insieme a Vival (Associazione Viticoltori Valle d’Aosta), Associazione Forte di Bard e Cervim (Centro Ricerche, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana).

“Con grande soddisfazione” commenta Alessandro Nogara, assessore all’Agricoltura e Risorse naturali della Regione autonoma Valle d’Aosta “presentiamo questa seconda edizione della manifestazione, dedicata alla viticoltura eroica: l’obiettivo è quello di valorizzare le produzioni locali della regione inserendole in un circuito di carattere nazionale e internazionale, con un evento fortemente sostenuto dall’Amministrazione regionale, ponendo al centro del dibattito la viticoltura di montagna.

Vins Extrêmes è per noi una grande occasione” prosegue Nogara “per rinsaldare la rete instaurata, anche grazie a Vival e Cervim, con le altre realtà vitivinicole eroiche e per rilanciare il ruolo che la viticoltura e l’intero comparto hanno per la storia agricola della Valle d’Aosta, in termini di professionalità e competenze. Nei due giorni di Vins Extrêmes, il visitatore avrà modo di conoscere i vini di alta quota (che si potranno acquistare), anche attraverso momenti di approfondimento, dibattiti e degustazioni”.

“Vins Extrêmes sarà anche l’occasione per la premiazione del XXV Concorso Internazionale Mondial des Vins Extrêmes” spiega Roberto Gaudio, presidente Cervim “al quale hanno partecipato quest’anno 740 vini di 306 aziende, provenienti da 15 paesi di tutto il mondo, da Madeira alla Georgia, dalla Palestina all’Argentina. I vini premiati saranno 220 (in degustazione). Si tratta di un Concorso unico al mondo, specificamente dedicato a vini prodotti in contesti particolari, definiti per l’appunto eroici: vigneti allevati ad almeno 500 metri di altitudine, oppure situati su terreni con una pendenza pari o superiore al 30% o su terrazzamenti,  o, infine, quelli delle piccole isole.”

“Vins Extrêmes” conclude Stefano Celi, presidente Vival “è un momento importante di promozione, confronto e incontro tra diverse realtà della viticoltura eroica italiana ed europea, espressione di territori difficili, in grado di regalarci paesaggi unici, così come i vini che vi vengono prodotti”.

Oltre che dalla Valle d’Aosta, le aziende espositrici – in totale oltre 60 – provengono da numerose regioni italiane (Abruzzo, Campania, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Trentino Alto Adige, Sardegna, Sicilia, Veneto) e da diversi paesi esteri: Francia, Germania, Spagna e Palestina.

Hanno collaborato alla organizzazione di Vins Extrêmes: Institut Agricole Régional, La Chambre Valdôtaine des Entreprises et des Activités Libérales, Onav, Fisar, Ais, Associazione Città del Vino, Slow Food, Movimento Turismo del Vino, Assessorato Regionale Turismo, Sport, Commercio e Trasporti, ADAVA (Associazione Albergatori).

L’ingresso alla manifestazione prevede l’acquisto di un bicchiere da degustazione, con pochette, disponibili esclusivamente in loco. Il costo di partecipazione è di € 20,00 (per una giornata) o € 30,00 (per le due giornate); per soci AIS, FISAR, ONAV, Slow Food è il costo sarà, rispettivamente, di € 15,00 e € 25,00 (presentando all’ingresso la tessera valida per l’anno in corso).

Il bicchiere dà diritto agli assaggi dei vini delle aziende partecipanti e dei vini vincitori del Mondial des Vins Extrêmes. Laboratori e degustazioni (a numero chiuso) costano €15,00 ciascuno e devono essere prenotati al link https://www.eventbrite.com/e/vins-extremes-tickets-39550208739.

Nella tariffa di ingresso all’evento è compreso il biglietto omaggio alla mostra “Da Raffaello a Balla” e il biglietto ridotto a tutti gli spazi espositivi del Forte di Bard. Sarà attivato un servizio navetta gratuito dalle 9.00 alle 19.00 da/per i parcheggi a Bard, lungo la statale 26: Viadotto, Centrale Cva, San Giovanni, Liéron. A Hône saranno disponibili cinque aree nel centro abitato, a distanza pedonale dal Forte di Bard.

PROGRAMMA

Sabato 25 novembre

h.10.00           Inaugurazione
h.11.00           Tavola rotonda: “La viticoltura eroica: patrimonio di terre e culture da tutelare e valorizzare come unicità nell’era della globalizzazione”
h.14.00           Degustazione guidata: “Valle d’Aosta e Vallese: approfondimento di due terroir a confronto” (AIS Valle d’Aosta)
h.15.00           Tavola rotonda: “Vini eroici e innovazione: un connubio possibile”. Interverranno: Daniele Domeneghetti, ricercatore Institut Agricole Régional “Vini integri, longevi e senza conservanti. Prime esperienze di vinificazione presso la cantina sperimentale J. Vaudan”. Sabina Valentini, ricercatrice Institut Agricole Régional. “Enoliti: il benessere del vino”, Roberto Cipresso, Winecircus: “La viticoltura estrema e l’enologia a essa applicata”. Moderatore: prof. Vincenzo Gerbi, Università di Torino
h.15.45           Laboratorio del gusto: “Tradizione e semplicità: formaggi e patate della Valle d’Aosta” (Slow Food e FISAR)
h.17.30           Degustazione guidata: “Dolci tentazioni: i vini passiti” (AIS Valle d’Aosta)
h.17.45           Presentazione Guida “Vinibuoni d’Italia”. Premiazione produttori valdostani che hanno ottenuto il riconoscimento della Corona e delle Golden Star
h.19.00           Chiusura giornata

Domenica 26 novembre
h.10.00           Apertura al pubblico della manifestazione
h.11.15           Degustazione guidata: “Paesaggi estremi: i vini delle piccole isole” (AIS Valle d’Aosta)
h.11.30           Premiazione XXV Concorso Mondial des Vins Extrêmes CERVIM
h.14.00           Laboratorio del Gusto: “Sul tagliere tradizioni antiche: salumi e insaccati valdostani” (Slow Food e FISAR)
h.15.00           Tavola rotonda: “Vino, turismo e comunicazione”
Intervengono: Carlo Pietrasanta, presidente nazionale Movimento Turismo del Vino: “Il turismo come strumento di valorizzazione dei vini, l’accoglienza in cantina come comunicazione”. Floriano Zambon, presidente nazionale Associazione Città del Vino: “Il ruolo dei Comuni nella tutela del paesaggio vitivinicolo e nelle forme di turismo a esso collegate”. Katia Laura Sidali, docente di Economia del Turismo, Libera Università di Bolzano: “Buone pratiche di marketing contro l’analfabetismo enogastronomico”. Magda Antonioli Corigliano, direttore Master in Economia del Turismo, Università Bocconi di Milano: “Enogastronomia e turismo: come si declinano oggi”. Cristina Santini, Facoltà di Agraria, Università San Raffaele Roma: “Innovazione ed educazione imprenditoriale, il progetto Wine Lab”. Svetlana Trushnikova, Blogger e Managing Director 5Sensi Consulting & Communication: “Turismo e Web, opportunità di promozione e marketing verso l’estero”. Moderatrice: Iole Piscolla responsabile Area Eenoturismo e Comunicazione Associazione Città del Vino.
h.15.45           Degustazione guidata: “Il fascino senza tempo di Porto, Madeira e Banyuls” (AIS Valle d’Aosta)
h.17.30           Laboratorio del Gusto: “Pan ner, flantse, mecoulin e micooula: la riscoperta dei prodotti da forno” (Slow Food e FISAR)
h.18.30           Chiusura della manifestazione

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