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Vino al supermercato, a Milano la rivoluzione Carrefour Market Gourmet: mille etichette in 80 metri quadrati di “enoteca”

Dimenticatevi i vini in brik, le dame da 5 litri e i bottiglioni di bianco o rosso, sulla tavola del nonno. Cliccate “reset”, insomma, sulla vostra idea di vino al supermercato. Acquistarlo, d’ora in avanti, potrà diventare sempre più un’esperienza multisensoriale. Da “bottega”. Anzi, da “enoteca”. E non è un’eresia. Si tratta piuttosto dell’obiettivo del nuovo “format” di supermercati Carrefour. I “Market Gourmet”. In viale Bezzi, a Milano, è stato inaugurato il 22 marzo scorso il supermercato ribattezzato “Re dei Gourmet” Carrefour. Un luogo dove fare la spesa diventa un viaggio tra diversi “mondi”. A proposito, non chiamateli più “reparti”. Dai banchi tradizionali dei freschi, passando all’orto verticale, dal quale è possibile scegliere la propria piantina di basilico, sino ai vini. Tutto è spettacolo. E per comprendere la trama dello show, noi di vinialsupermercato.it ci siamo fatti accompagnare da due padroni di casa d’eccezione: Gianmaria Polti, responsabile Beverage del gruppo Carrefour, e Paolo Colombo, category Vini, Spumanti e Champagne dell’insegna francese.

Vino al supermercato, a Milano la rivoluzione Carrefour Market Gourmet: mille etichette in 80 metri quadrati di “enoteca”

L’innovativo “scenario” è racchiuso nei 3.200 metri quadrati di una struttura ex Billa (gruppo Rewe) acquisita 2 anni fa da Carrefour, in una zona del capoluogo lombardo scelta per il reddito medio-alto dei residenti, oltre a un’anagrafica che premia una cospicua presenza giovanile. Al primo piano (il piano terra) la parte più “cool”, ovvero quella dei freschi (ortofrutta, macelleria, pescheria, salumeria), il banco del sushi e quello del food asiatico. Al piano -1 la Grocery, con i mondi meno “caldi” dello “Scatolame” e affini, cui dà il benvenuto uno splendido reparto vini e birre. “Il mondo del vino – spiega Gianmaria Polti – è legato profondamente all’idea di benessere e di qualità dell’alimentazione. Non potevamo dunque trascurare questo segmento, a cui abbiamo dato anzi tutto lo spazio che merita, in un’ottica di esperienza gourmet”.

Immaginate dunque una sorta di trilocale di 80 metri quadrati. Con scaffali finemente rifiniti, disposti sui perimetri. E delle isole centrali, costituite da altre scaffalature eleganti, su cui sono riposti ordinatamente i “mondi” del Franciacorta, dello Champagne, dei vini dal mondo e dell’alta gamma. Ma il vero fulcro della cantina del Market Gourmet Carrefour di viale Bezzi è l’area dedicata alle degustazioni, che ospita con cadenza mensile un sommelier. In un angolo, addirittura, un’apparecchiatura in grado di raffreddare il vino prescelto in pochi minuti. Magari un bianco fermo. O un buona bollicina. Pronta al consumo senza passare dal frigo di casa, una volta terminata la spesa. Take it cold, take it easy.

I NUMERI
Circa mille le etichette presenti in questa particolare cantina. “Sono suddivise per regioni – spiega Gianmaria Polti – in maniera verticale. Si va dal nord al sud Italia, lungo il perimetro della cantina, da destra verso sinistra per i vini rossi. Poi iniziano rosati e bianchi, senza dimenticare i grandi formati e i brik, che abbiamo deciso di collocare sul fondo, non dimenticandoci di quei clienti che, anche in negozi come questo, sono alla ricerca del basso prezzo. Una parte che tuttavia abbiamo molto ristretto rispetto agli standard degli altri negozi della catena, basandoci anche sugli ultimi trend di questo segmento di mercato, che evidenzia una battuta d’arresto”.

Salta all’occhio, in particolare, l’importanza che Carrefour ha voluto dare invece alle bollicine. E non solo a quelle francesi, che vanno da un minimo di 20 a un massimo di 200 euro. Grande spazio è stato infatti riservato al Metodo Classico italiano. Con la Franciacorta che si vede assegnata addirittura più facing di quelli necessari per alcune referenze. Anche in considerazione delle migliori previsioni di rotazione. “Crediamo molto nell’analisi dei trend di mercato – evidenzia ancora Polti – ma nel Franciacorta riponiamo grande fiducia per il futuro. E per questo sovraesponiamo il segmento, cercando col nostro credo di differenziarci da altri modelli di display, che sembrano tutti clonati. La revisione dei display avviene annualmente e, statisticamente, prevede la movimentazione di un 10% dell’assortimento. Qui in viale Bezzi è ancora troppo presto per tirare delle conclusioni a riguardo, ma sicuramente abbiamo intenzione di restare coerenti con le nostre convinzioni e previsioni”.

Vino al supermercato, a Milano la rivoluzione Carrefour Market Gourmet: mille etichette in 80 metri quadrati di “enoteca”

A guidare il cliente nell’acquisto, una chiara “segnaletica” collocata sulle singole scaffalature, a indicare la suddivisione dei prodotti reperibili. A fare chiarezza, inoltre, delle targhette che fungono da grillo parlante, sotto le singole bottiglie: provenienza e uvaggio utilizzato, temperatura di servizio, abbinamenti culinari. Un surrogato del sommelier in “corsia”, la cui presenza – per ora – non è assicurata quotidianamente. “Per ora la cadenza delle degustazioni con presenza del sommelier è mensile – spiega Gianmaria Polti – ma la presenza costante e significativa di un sommelier nelle nostre cantine è un obiettivo che ci siamo prefissati per il futuro. Mi aspetto che questo si realizzi già nei prossimi anni. La presenza di un professionista del settore potrebbe da un lato essere utile alla clientela e, dall’altro, costituire indubbiamente un veicolo di redditività dei nostri spazi enoteca”.

Il sommelier in corsia, inoltre, garantirebbe un presidio costante delle scaffalature, gestendo ordini e rotazioni delle annate. “Anche se – precisa Polti – il nostro input è quello di lavorare con poca scorta di magazzino, al di là dei prodotti in promozione per i quali non possiamo accettare rotture di stock. L’aspetto delle rotazioni, dunque, sarebbe importante ma marginale rispetto al resto delle peculiarità e dei vantaggi che potrebbe offrire la presenza continuativa di un professionista del vino”.

QUALITA’ AL SUPERMERCATO: I VINI DI CARREFOUR GOURMET

Se la parola d’ordine qui è “gourmet”, anche il vino ne trae i suoi benefici. “Abbiamo fatto grandi passi avanti in termini di innalzamento del livello della qualità del vino in vendita al supermercato. I numeri – sostiene ancora il responsabile Beverage del gruppo Carrefour  – parlano chiaro e ci regalano grandi soddisfazioni. Basti pensare che ristrutturando un punto vendita come questo abbiamo riscontrato un incremento a doppia cifra su categorie come il vino, ma anche sulle birre, altro mondo che in Italia è in grande evoluzione, con le speciali e le artigianali che stanno conquistando nuovi margini di mercato, fungendo tra l’altro da traino e da volano per la vendita dello stesso vino. Un trend positivo in tutta la catena, che si evidenzia anche in punti vendita come Carugate”.

Carrefour, vissuto in Italia come sinonimo di ‘ipermercati’, ‘prezzi bassi’, ‘vendite a grandi volumi’,  assiste oggi invece a un fenomeno in controtendenza. “Veniamo avvicinati in maniera sempre più significativa anche da piccoli produttori – rivela Gianmaria Polti – e da produttori di vini di alta gamma. Come mai? E’ ovvio: in molti si sono accorti che Carrefour non ha solamente interesse a fare volumi di vendita, ma anche a proporre nuovi modelli come questo di viale Bezzi, che permettono di non impoverire l’immagine del prodotto, bensì di valorizzarlo, fungendo da vetrina per l’eccellenza enogastronomica”. In un Carrefour Gourmet come quello di viale Bezzi, tra l’altro, la spinta delle promozioni è meno invadente, per l’assenza di una vera e propria corsia riservata ai prodotti scontati.

“Tutto ciò in favore della vendita del continuativo sul lineare”, spiega Polti. “E anche questo ci aiuta nell’upgrade qualitativo, aumentando la marginalità e rendendo l’impatto delle promozioni molto meno invasivo”. Carrefour sta cercando piuttosto di spingere all’estremo il cross-merchandising, proponendo direttamente sul lineare (e non come di consueto su stand ed espositori fuori banco) la vendita ‘abbinata’, sfruttando la complementarietà dei prodotti appartenenti a famiglie diverse. Si può così notare la presenza, nella parte riservata agli aperitivi, di diverse etichette di Prosecco e di altre bollicine. Così come viene sfruttata la mixability delle acque toniche tra gli alcolici. L’aperitivo servito nel carrello, insomma. Senza girare per mille corsie.

Vino: rivoluzione Carrefour Market Gourmet

Particolare attenzione è stata inoltre riservata a un’altra nicchia in forte crescita in Italia, anche nel mondo della grande distribuzione organizzata: il segmento del biologico e del vegano. “Sono circa 30 le etichette – spiega il category Paolo Colombo – cui è stata dedicata una testata ad hoc. Inoltre, i singoli prodotti vengono ripresi sul lineare, inseriti in base alle regioni di provenienza e alla tipologia di vino. Va ricordato, peraltro, che questi vini non sono affatto diversi da quelli ‘convenzionali’, se non per alcune tecniche di vinificazione e allevamento in vigna, e sono dunque adatti al consumo da parte di clienti che non sono vegani o che non consumano necessariamente cibi biologici. Sono vini buoni, abbinabili dunque anche a pietanze non vegane”.

Vini le cui vendite sono in forte ascesa, se si considera che lo scorso anno hanno fatto registrare un aumento del 20%, portando da soli nelle casse del gruppo Carrefour, complessivamente, 250 mila euro. “Abbiamo anche organizzato qualche degustazione con questi prodotti – aggiunge Colombo – con ottimi risultati”. Tra le bottiglie consigliate dal category, nel rapporto qualità-prezzo inferiore ai 20 euro, ci sono diverse bollicine: “Ottimo il Prosecco Col Vetoraz – suggerisce Colombo, che tra l’altro è sommelier – ma anche il Prosecco di Nino Franco. Nomi importanti. Il trend è assolutamente positivo sui vini bianchi e in particolare quelli del Trentino Alto Adige come il Gewurztraminer, che hanno una fascia prezzo medio alta, a partire dai 9 euro. Sta crescendo molto anche il Lugana: ottimo quello di un piccolo produttore, Bottarelli. Tra i rossi ruota moltissimo la Toscana, dove abbiamo una serie di etichette molto interessanti sul Chianti Classico”.

VITIGNI E DENOMINAZIONI

Per il vitigno più sottovalutato interviene il responsabile Beverage, Gianmaria Polti: “Dal mio punto di vista è il Nebbiolo d’Alba o delle Langhe – dichiara – ottenuto da un vitigno che spesso conosciamo solo per il Barolo e il Barbaresco, ma che può tuttavia dare grandi soddisfazioni anche in queste versioni”. Tra le Doc e Docg più in difficoltà, Polti cita l’Oltrepò Pavese: “E’ un po’ problematico – sottolinea – quindi in questo momento non gli assegneremo certo nuovo spazio”. “Sta perdendo negli ultimi anni anche a causa degli scandali che hanno investito alcuni produttori – aggiunge il category Colombo – e che hanno portato un po’ di cattiva pubblicità a quell’area. In controtendenza, invece, i vini bianchi abruzzesi e marchigiani, che stanno venendo fuori molto bene. Stabile, invece, la Campania”. Consigli davvero utili, specie in un reparto dove è facile – per un amante del buon vino – perdersi per ore.

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Vino, Gdo scelta vincente. Ecco i bilanci delle società vinicole: chi sale, chi sprofonda

Nel 2014, il 41,8% delle vendite nazionali delle principali società vinicole è transitato per la grande distribuzione organizzata (Gdo). L’indagine sul settore vinicolo condotta da Mediobanca su un campione di 44 società con titoli trattati in 21 Borse, non lascia spazio a interpretazioni di sorta. Si tratta della media tra il 47,2% delle cooperative e il 36,9% delle restanti società. L’incidenza della grande distribuzione è cresciuta dal 36,5% del 2002 al 51,2% del 2014. Il secondo canale per importanza è il grossista/intermediario (15,9%) seguito dall’aggregato Horeca (Hotel-Restaurant-Catering), anch’esso con incidenze differenti per cooperative (7,7%) ed altre società (21,3%). Seguono enoteche e wine bar, che coprono il 7,4% (con le cooperative al 3,6%), mentre la vendita diretta incide per poco più dell’11%, quota invariata rispetto all’anno precedente. Nell’ambito dei grandi vini, la quota più elevata è ascrivibile al canale Horeca. (40,6%), cui seguono enoteche e wine bar al 26%.

La vendita diretta sale qui al 16,6%, con la grande distribuzione a quota 3,2%. Relativamente alle esportazioni prevalgono le vendite tramite intermediari importatori (otto decimi del totale), mentre il controllo della rete di proprietà permane limitato al 9,4%. I tre maggiori produttori per fatturato nel 2014 sono stati il gruppo Cantine Riunite-Giv (536 milioni di euro, +0,3% sul 2013), Caviro (314 milioni, -2,0%) e la divisione vini del Gruppo Campari (209 milioni, in calo dell’8,3% sul 2013). Seguono Antinori, che nel 2014 ha realizzato una crescita del 4,8% portandosi a 180 milioni di euro, la cooperativa Mezzacorona a 171 milioni di euro (+5%) e appaiate a 160 milioni la Fratelli Martini (+1,8%) e la Zonin (+4%).
Solo una società ha realizzato un aumento dei ricavi superiore al 10%: è la forlivese Mgm, con vendite a 73 milioni (+10,1% sul 2013). Altre variazioni degne di nota hanno interessato la Ruffino (+8,4% a 81 milioni) e il Gruppo Santa Margherita (+7,8% a 110 milioni). Nell’insieme la graduatoria si mostra stabile, almeno nelle prime dieci posizioni. Alcune società hanno una quota di fatturato estero quasi totalitaria: la Botter al 96,8%, la Ruffino al 92,9%, la Masi Agricola al 90,5% e la Fratelli Martini con l’89,5%. Solo sei gruppi hanno una quota di export inferiore al 50% delle vendite.

I PROFILI DEI MAGGIORI PRODUTTORI

Il maggiore sviluppo delle vendite nel periodo 2009-2013 è appannaggio della Cantine Turrini di Riolo Terme (+110,2%), seguita dalla cooperativa Cevico di Lugo (+84,6%) – entrambe, dunque, della provincia di Ravenna – e dalla Botter Di Fossalta di Piave, Venezia (+84,2%). Solo due imprese hanno subito nel periodo una flessione del giro di affari: la cooperativa La Vis di Lavis, Trento (-14,7%) e la Giordano Vini di Diano D’Alba, Cuneo (-10,7%).

I margini (Margine operativo netto “Mon”/valore aggiunto), la redditività del capitale investito (roi) e quella netta (roe) collocano la Botter e la Cantine Turrini nelle posizioni di testa. Giordano Vini e La Vis hanno segnato nel 2013 una redditività netta negativa. La struttura finanziaria più solida, sempre secondo l’indagine Mediobanca, è della Banfi che ha debiti finanziari pari al 18,3% dei mezzi propri, seguita dalla Frescobaldi (20,9%) e dal Gruppo Cevico (24,7%).

E’ particolarmente elevato l’indebitamento della cooperativa La Vis (18 volte il rapporto), della Giordano Vini (487%) e della Cantine Brusa (372%). Solo due società presentano un debito finanziario prossimo al fatturato: si tratta della Antinori (99,2%), che sconta tuttavia un eccezionale sforzo in termini di investimenti nei precedenti esercizi, e della cooperativa Mezzacorona (91,5%). Gli investimenti sono rilevanti per Masi (17,6% del fatturato), Banfi (14%) e Frescobaldi (11,1%).

La competitività, misurata dal rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto, appare molto soddisfacente per le Cantine Turrini (16,9%), la Masi (26,2%) e la Botter (28,5%). Livelli meno favorevoli sono riferiti alla Cevico (81,7%), Schenk Italia (69,9%) e Giordano Vini (69,4%). Le tre aziende meglio posizionate sono risultate, in ordine decrescente: Botter, Cantine Turrini e Masi. La graduatoria è chiusa, sempre in ordine decrescente, da Mezzacorona, Giordano Vini, e La Vis.

L’ASSETTO PROPRIETARIO

Al controllo familiare è riconducibile il 53,9% del patrimonio netto complessivo dell’aggregato oggetto dello studio Mediobanca. Tale quota si ripartisce tra controllo esercitato in modo diretto da persone fisiche (33,9%) e tramite persone giuridiche (20%). Ove si assimilino alla forma familiare le cooperative, le quali raccolgono circa 33.400 soci, si aggiunge un’ulteriore quota del 22,8% che porta il totale del patrimonio netto familiare al 76,7%. Il restante 23,3% dei mezzi propri è riferibile per il 14,1% a investitori finanziari (ed altre tipologie residuali) e per il 9,2% a società straniere.

In termini assoluti, alle famiglie in senso stretto sono riconducibili mezzi propri per 1,74 miliardi di euro (1,1 miliardi in capo a persone fisiche e 0,64 miliardi a persone giuridiche), 16 alle coop per circa 0,74 miliardi di euro. I soci esteri detengono un portafoglio con valore di libro pari a 0,3 miliardi di euro. I principali soci finanziari sono così assortiti: banche ed assicurazioni con 347 milioni di euro, fondi con 38 milioni, fondazioni e trust rispettivamente con 28 e 33 milioni, fiduciarie con 11 milioni.

Il rapporto con i mercati finanziari è tradizionalmente trascurabile in Italia. Solo quattro delle società considerate sono interessate alla Borsa, ma in modo indiretto, attraverso la quotazione della società controllante, che in un solo caso assume lo status di socio industriale (Davide Campari) e nei restanti quello di investitore finanziario (si tratta dei gruppi assicurativi Allianz, Generali e UnipolSai). Le banche, dopo il 17 disimpegno del Monte dei Paschi di Siena, sono assenti. Ma dal 29 gennaio 2015 è quotata all’Aim la Italian Wine Brands, controllante la Giordano Vini.

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Vini al supermercato

Peperosso Calabria Igp 2014, Cantine Spadafora

(3 / 5) Grafica accattivante, così come il nome di fantasia. Peperosso Calabria Igp Cantine Spadafora, blend tra Magliocco di Donnici e Merlot, fa bella mostra di sé nel ‘fuori banco’ di un noto ipermercato milanese, nel reparto macelleria. Sull’etichetta, uno dei simboli della Calabria: il peperoncino, raffigurato a ventaglio. Potevamo non cadere in tentazione? Eccoci dunque a degustare Peperosso, con il consueto scetticismo col quale ci accostiamo a vini che sembrano strizzare un po’ troppo l’occhio a un marketing accattivante. E, soprattutto, un prezzo che rasenta il sottocosto. Nel calice, Peperosso Calabria Igp 2014 Spadafora si presenta di un rosso rubino con unghia violacea poco trasparente, intenso, scorrevole. Al naso sentori mediamente fini di frutta rossa: ribes, lampone, ciliegia sotto spirito.

Peperosso Calabria Igp 2014, Cantine Spadafora

Eppure in bocca il corpo è leggero, così come l’alcolicità. Rotonda la morbidezza, scarna l’acidità e la sapidità. Anche il tannino è soffuso, contribuendo a un quadro di sostanziale equilibrio, che si gioca tutto sulla semplicità e facilità della beva. La corrispondenza olfatto-gusto è evidente e si basa sulle note fruttate già avvertite al naso. Retro olfattivo invece sorprendente per la sufficiente persistenza (fino a 8 secondi, per intenderci), nuovamente giocata sui frutti rossi.

L’abbinamento consigliato da Spadafora per Peperosso Calabria Igt è quello con i piatti e i salumi piccanti della tradizione calabrese: il Morzello catanzarese o la Nduja di Spilinga, gli insaccati saporiti come la Sopressata del Cosentino. Ecco dunque spiegato il gioco grafico (e commerciale) del mazzo di peperoncini a ventaglio. In realtà, questo vino può facilmente travalicare i confini della cucina regionale di Calabria, giungendo sulle tavole di tutta Italia come vino rosso pulito, sano (alcolicità e solfiti ben dosati) e di facile beva, da consumare decisamente a tutto pasto, certamente non nelle grandi occasioni.

LA VINIFICAZIONE

Di Peperosso Calabria Igp sono state prodotte 30 mila bottiglie, in occasione della vendemmia 2014. Il territorio d’origine delle uve Magliocco e Merlot è quello di Donnici, con selezionate e raccolta a mano. Le vigne vengono allevate ad alberello, con resa media ridotta volutamente a 80 quintali di uva per ettaro. La vendemmia ha luogo da fine settembre a metà ottobre. La vinificazione prevede pressatura soffice, successiva macerazione prefermentativa a freddo, tale da estrarre gli aromi verietali, il colore e le componenti polifenoliche più morbide. La fermentazione ha luogo in acciaio, con temperature controllate, così come l’affinamento iniziale, per una durata di 6 mesi. Segue poi un ulteriore periodo di affinamento in bottiglia, che precede la commercializzazione.

Le Cantine Spadafora, che si occupano anche dell’imbottigliamento di Peperosso, hanno sede dal 1991 nella zona industriale di Piano Lago, frazione del Comune di Mangone, provincia di Cosenza. Nasce in realtà a Donnici, un paesino sulle colline a sud di Cosenza, nel 1915. In questa piccola struttura il capostipite dell’azienda, Ippolito Spadafora, commercializzava i vini sfusi prodotti dagli agricoltori della zona. Oggi, le uve conferite si aggiungono a quelle prodotte nei 40 ettari di proprietà dell’azienda, collocata su un’area complessiva di 20 mila metri quadrati, di cui 3 mila sono coperti.

Prezzo pieno: 3,95 euro
Acquistato presso: Iper la Grande I (Finiper)

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Vini al supermercato

Trebbiano d’Abruzzo Doc 2013, Masciarelli Tenute Agricole

(5 / 5) Un nome, una garanzia. Masciarelli Tenute Agricole si conferma al top della produzione e commercializzazione del Trebbiano d’Abruzzo anche con i prodotti “base”, destinati alla grande distribuzione organizzata. Si tratta della prima linea creata da Gianni Masciarelli, diventata negli anni “un punto di riferimento per l’azienda e i suoi clienti, oltre ad essere la produzione numericamente più consistente e conosciuta, in Italia come all’estero”.

Trebbiano d’Abruzzo Doc 2013, Masciarelli Tenute Agricole

Peschiamo dagli scaffali del supermercato, appositamente, una vendemmia 2013. Con l’obiettivo di testarne la tenuta e la longevità. Prova, ve lo anticipiamo subito, che il Trebbiano d’Abruzzo Masciarelli supera con buoni voti. Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino chiaro. Al naso note di fresco biancospino, fiori di campo e di magnolia. Non manca la frutta, vicina ai sentori esotici di ananas, melone giallo e mela. Un olfatto intenso, fine, complesso: arricchito da leggere ‘ventate’ di pepe bianco.

Al palato – secco, di corpo, caldo – sfodera ottimo equilibrio tra acidità e sapidità, pur non regalando la complessità precedentemente offerta al naso. Lo spettro gustativo va dai sentori di mela a quelli della pesca bianca, sino a quelli più maturi (secchi) di mandorla. Un vino, il Trebbiano d’Abruzzo Masciarelli vendemmia 2013, che collochiamo in una fase matura, ancora più che mai apprezzabile. L’abbinamento perfetto, a una temperatura di servizio di 12 gradi, è quello con i piatti di pesce, a partire dagli antipasti. Ottimo anche con l’insalata di mare e con le verdure cotte.

LA VINIFICAZIONE
E’ dal 1981 che Gianni Masciarelli produce la linea “classica”. Del Trebbiano d’Abruzzo vengono sfornate circa 250 mila bottiglie l’anno. Le vigne, di età che non supera i 40 anni, si trovano in quattro diversi Comuni della provincia di Chieti, tutte situate a diverse altezze rispetto al livello del mare: San Martino sulla Marrucina (400 metri), Loreto Aprutino (350 metri), Ripa Teatina (250 metri) e Bucchianico (250 metri). Il terroir è simile: argilloso mediamente calcareo, medio impasto, sciolto. Il sistema di allevamento è quello della Pergola abruzzese (Guyot Semplice), che assicura una resa di 100 quintali per ettaro, con una densità d’impianto che varia dalle 1.600 a 6.500 piante per ettaro. Le uve vengono vendemmiate fra il 25 e il 30 settembre.

Trebbiano d’Abruzzo Doc 2013, Masciarelli Tenute Agricole

La fermentazione avviene in vasche in acciaio inox a temperatura controllata, preceduta da una raccolta in piccole cassette, pressatura e decantazione statica del mosto. Anche l’affinamento viene effettuato in acciaio inox, prima della commercializzazione. Masciarelli Tenute Agricole nasce nel 1981 dall’intuito imprenditoriale di Gianni Masciarelli, figura simbolo del panorama enologico italiano e protagonista dell’affermazione della vitivinicultura abruzzese moderna. Cuore pulsante della cantina è San Martino sulla Marrucina, in provincia di Chieti, dove l’azienda può contare su circa 300 ettari di terreni coltivati a vigneto e uliveto, dislocati in tredici Comuni, in tutte e quattro le province abruzzesi. La produzione annuale supera i 2,5 milioni di bottiglie.

Prezzo pieno: 5,90 euro
Acquistato presso: Iper la grande I (Finiper)
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Vini al supermercato

Lambrusco di Modena Doc FieroNero Lambrusco Scuro, Umberto Cavicchioli & Figli

(4 / 5) E’ il primo vino venduto nei supermercati italiani, un vino che incontra da sempre il gusto di molti con il suo essere semplice, schietto e sincero. Stiamo parlando del Lambrusco e, noi di vinialsupermercato, non potevamo lasciare sullo scaffale questa nuova etichetta che ci è balzata agli occhi. FieroNero Lambrusco di Modena Doc prodotto da Umberto Cavicchioli e figli, Lambrusco scuro. Scopriamo che fa parte della linea ”piacere quotidiano”, ma anche nella linea ”piaceri della festa”, se pur dedicata a malvasie e spumanti non avrebbe stonato, perché ci ha regalato davvero una gioia festosa il degustarlo.

Lambrusco Scuro a pieno titolo, dato il colore violaceo cupo con il quale si è presentato una volta che la sua schiuma effervescente e scintillante come le stelline di natale si è esaurita. Al naso un’esplosione intensa di frutti a bacca rossa: fragola, ciliegia, lampone, ribes, amarena, more, ma anche sentori floreali di rosa, praticamente come scartare una big babol. Al gusto succoso e fruttato con una vena acida dinamica e scattante che invoglia continuamente il sorso. Solo 11% di alcol in volume per un vino a tutto pasto. Ideale con la pizza, si accosta anche a primi con ragù di carne, salumi, bolliti, servito freddo è perfetto con tutta la cucina del barbecue, eccellente con formaggi stagionati come parmigiano reggiano o grana padano.

Lambrusco di Modena Doc FieroNero Lambrusco Scuro, Umberto Cavicchioli & Figli

Prodotto con uve Lambrusco Salamino provenienti da vigne selezionate del modenese allevate a doppia cortina, a spalliera con potatura a cordone speronato su terreni fertili di medio impasto. Il Lambrusco Salamino è una varietà tipica dell’ Emilia Romagna. Deriva probabilmente da viti selvatiche che crescevano abbondanti sull’Appennino e che erano chiamate dai latini ”lambrusca vitis” o ”oseline” visto che gli uccelli se ne cibavano golosi. La vendemmia viene effettuata intorno alla seconda metà di settembre. Le uve vengono diraspate e vinificate in rosso con le vinacce. A metà della fermentazione alcolica il mosto fiore viene travasato in autoclave, dove prosegue la fermentazione di tipo charmat per circa 3 settimane a temperatura controllata di 15-18°C.

Umberto Cavicchioli e figli nasce a San Prospero, un paesino vicino a Modena nel 1928, fondata proprio da Umberto Cavicchioli. Un uomo con la passione per la sua terra che ha trasformato il laboratorio dietro casa in una cantina di successo che oggi fa parte a pieno titolo della cultura italiana. Pioniere del lambrusco e dell’imbottigliamento quando la luna ”era buona”, la stessa luna che è rimasta propizia per l’azienda in tutti questi anni, attraverso le nuove generazioni che hanno saputo rivestire di tecnica raffinata un modo antico di fare vino.

Prezzo pieno: 4,98 euro
Acquistato presso : Unes / U2
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Bardolino Dop Classico 2015, azienda agricola Conti Guerrieri Rizzardi

(4 / 5) Si è tenuta il 6 e 7 marzo scorsi, nella splendida cornice di Colà di Lazise, sul Lago di Garda, l’anteprima dell’annata 2015 del Bardolino. Ed è proprio della vendemmia 2015 il Bardolino Dop Classico dell’azienda agricola Conti Guerrieri-Rizzardi che finisce oggi sotto la nostra lente di ingrandimento. Versato nel calice si presenta limpido, del tipico rosso rubino trasparente. Al naso lo spettro olfattivo richiama intensamente i frutti di bosco a bacca rossa, con le fragoline a dominare la scena, oltre a note floreali fresche.

Un vino schietto, mediamente fine, di complessità sottile. La natura fruttata dei profumi trova corrispondenza al palato, dove ritroviamo fragoline, marasca, lamponi e una punta di ribes. Ma anche note speziate di pepe bianco, eleganti e soffuse. Vino caldo, rotondo e di corpo leggero nonostante i 13% (che dunque non infastidiscono affatto la beva), il Bardolino Dop Classico 2015 dell’azienda agricola Conti Guerrieri Rizzardi sfodera un’ottima acidità e sapidità: esattamente quello che ci si deve aspettare da una vendemmia appena immessa in commercio. Ed esattamente quello che deve esprimere un Bardolino classico. Poco tannico, per l’equilibrio mostrato si presta ad accompagnare i primi di pasta o risotto, le carni bianche e i formaggi freschi. In definitiva un buon prodotto, soprattutto nel rapporto qualità prezzo.

LA VINIFICAZIONE
I vigneti da cui l’azienda agricola Guerrieri Rizzardi ottiene il Bardolino in questione trovano collocazione nei Comuni di Bardolino e Cavaion Veronese, in provincia di Verona. I terreni, di origine morenico glaciale, si presentano ciottolosi, calcarei e argillosi. Il vino è ottenuto dal blend tra Corvina (65%), Rondinella (15%), Merlot (10%), Molinara, Ancellotta e Sangiovese (10%). La vinificazione prevede diraspatura e pigiatura delle uve, seguite dalla fermentazione alcolica e malolattica. La maturazione in cantina è di durata variabile fra i 3 e i 12 mesi, in vasche di acciaio inox a temperatura controllata. Il primo imbottigliamento avviene attorno al 10 febbraio dell’anno successivo alla vendemmia. L’azienda agricola Guerrieri Rizzardi si sviluppò fin dal XII secolo sotto la guida della famiglia Rambaldi. Nel XVI secolo, la famiglia Guerrieri, originaria di Fermo, nelle Marche, si stabilì nel veronese. Nella seconda parte del XVIII secolo, Agostino Guerrieri (1749 – 1833), sposò Maria Teresa Rambaldi, ultima discendente dei Rambaldi e dunque le proprietà passarono ai Guerrieri. I vigneti cominciano a svilupparsi sin dagli inizi dell’Ottocento. E dal 1913 il Conte Carlo Rizzardi costruì nuovi edifici e rese più moderne le secolari cantine, situate nel centro del paese di Bardolino.

Prezzo pieno: 4,89 euro

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Vini al supermercato

Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc Borgo San Michele, C.p.t. Cons. Prod. Tipici Srl

(3,5 / 5) Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce oggi un altro vino campano. E’ il turno dell’affascinante Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc 2012 della linea Borgo San Michele, prodotto e imbottigliato dalla cantina C.p.t. Cons. Prod. Tipici Srl di Montefusco, Avellino. Una selezione di vini campani curata dall’enologo Antonio Pesce, che finisce sugli scaffali di diverse catene della grande distribuzione organizzata italiana.

Nel calice, Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc 2012 Borgo San Michele si presenta limpido e trasparente, di un rosso rubino accesso, sgargiante. Intenso al naso e di complessità sottile, regala note floreali di viola mammola e frutta matura a bacca rossa. Lo spettro olfattivo si allarga anche a terziari speziati di liquirizia, in un sottofondo minerale. Al palato, Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc 2012 Borgo San Michele colpisce per l’ottima sapidità, che rende i ritrovati sentori fruttati e speziati ancora più affascinanti.

Manca forse solo un po’ di corpo per poter considerare più che equilibrata la beva, ma l’alcolicità calda e la piacevole avvolgenza regalano comunque un palato di tutto rispetto per la fascia prezzo del prodotto. Intenso anche il retro olfattivo: una volta deglutito il vino lascia una scia mediamente fine, sufficientemente persistente (verso la sapidità). Maturo lo stato evolutivo della vendemmia 2012, che abbineremmo a piatti elaborati di carne (primi e secondi, senza tuttavia spingersi nel campo minato della selvaggina) e a formaggi stagionati, saporiti.

LA VINIFICAZIONE
Come da disciplinare della Doc, il Lacryma Cristi del Vesuvio Rosso 2012 Borgo San Michele è ottenuto dalla vinificazione in purezza di uve Piedirosso, note anche col nome di Palombina o Palummina e localmente chiamate “Per’ e Palummo”. I vigneti di provenienza sono quelli dell’area della Doc, alle pendici del Vesuvio, in provincia di Napoli. Terreni di chiara origine vulcanica quelli dove affondano le vigne, allevate a cordone speronato con una resa di 90 quintali per ettaro. La raccolta avviene in maniera manuale, nella seconda decade di ottobre.

Per evitare fermentazioni indesiderate, i grappoli vengono riposti in cassette di peso non superiore ai 20 chilogrammi. Giunta in cantina, l’uva che darà vita al Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc Borgo San Michele viene macerata a freddo e sottoposta a una pressatura soffice. La fermentazione avviene a temperatura controllata e il mosto riposa in botti di rovere per 6 mesi. Il vino viene dunque commercializzato, dopo un ulteriore maturazione in serbatoi di acciaio inox e 3 mesi di affinamento in bottiglia.

Prezzo pieno: 8,94
Acquistato presso: Carrefour

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Gdo, La Scolca ed Esselunga: da Gavi parte la rivoluzione “Cortese” del vino al supermercato

Nella sala del biliardo trasformato in tavolo per gli incontri formali, si respira aria di cinema e teatralità. Una serie di lastre di vetro consentono di poggiare registratore, taccuino e penna a pochi centimetri dal tappeto verde. Oggetti che paiono così come sospesi. In una stanza che trasuda storia, dignità, orgoglio. Corrado Cavallo, direttore dell’azienda agricola La Scolca, ci accoglie volentieri, senza appuntamento. E non si risparmia, in una chiacchierata in cui i minuti scorrono e scorrono le ore. Senza che neppure ci si accorga. Siamo a Gavi, in provincia di Alessandria, Piemonte. Negli uffici di un’azienda che dell’omonimo vino bianco, il Gavi Docg, ottenuto dall’autoctono vitigno Cortese, è stata ed è portabandiera nel mondo. Un riferimento globale di un uvaggio sottovalutato, bistrattato e poco conosciuto – almeno dal grande pubblico – in Italia. Ma che nel mondo gode di grande considerazione. Quarantasei ettari di vigneti per La Scolca, che salgono a 52 totali, se si considerano quelli dei fornitori d’uva esterni. Sempre gli stessi, da quattro generazioni. E una Tenuta dominata da una Torre antica, che ricorda a tutti il significato del toponimo Sfurca: “Guardare lontano”. Su quella che un tempo era la collocazione ideale per una vedetta militare, in cima a una collinetta che domina una vallata in cui l’orizzonte è dipinto ad olio dai vigneti, tra il 1917 e il 1919 Giovambattista Parodi pose le basi dell’azienda agricola attuale, oggi guidata da Giorgio Soldati, dalla moglie Luisa e dalla figlia Chiara. Parenti lontani del grande scrittore, regista e giornalista piemontese Mario Soldati, che ancora oggi dimostrano al mondo come il nome La Scolca fu più che mai azzeccato.

Tra un calice di fresco Gavi di Gavi 2015 e un maestoso Soldati La Scolca d’Antan, Brut millesimato 2003, il direttore Corrado Cavallo disegna il profilo di un’azienda dinamica, al passo coi tempi, eppure così profondamente e inscindibilmente legata al territorio d’origine. Una produzione media annuale che si aggira attorno alle 520 mila bottiglie, di cui 8 mila (ed è proprio su queste che si concentra la nostra attenzione) finiscono sugli scaffali della grande distribuzione organizzata italiana. Fieramente. Già, perché in questo regno del vino di qualità le parole “supermercato” e “Gdo” non fanno paura. Anzi. “Siamo presenti dal 2008 costantemente in Esselunga – evidenzia Corrado Cavallo – all’interno dei punti vendita che hanno una cantina con vetrina per i vini di fascia superiore. Collaboriamo anche con l’Iper locale e con altre catene come Unes e Il Gigante”. Con la Gdo, in particolare, La Scolca sta lavorando a un progetto di valorizzazione del proprio marchio all’interno del reparto vini. “Nella maggior parte dei supermercati – spiega Cavallo – gli angoli riservati all’enoteca sono un po’ trascurati. Ma ultimamente sembra accresciuta la sensibilità nei confronti delle aree vini ‘premium’, dove vengono esposti vini di qualità superiore: zone dedicate in cui viene gestita con attenzione l’offerta al pubblico ma anche la rotazione dei prodotti, che non vengono più dimenticati lì, come abbandonati. E’ nel nostro interesse consentire alle catene della Gdo, come per esempio Esselunga, con la quale stiamo affrontando seriamente il discorso, il reso di questi prodotti eventualmente rimasti invenduti e ormai ‘vecchi’: siamo noi i primi a cui importa offrire il vino migliore ai clienti, più che la catena stessa. E’ dunque interesse mio portare via dallo scaffale un vino invenduto, fermo lì, continuamente esposto alla luce. Per la Gdo invece è una rogna organizzare il reso. Ma vista la sensibilità dimostrata, certamente arriveremo a un compromesso che vede al centro dell’interesse comune il cliente finale”. Il progetto che La Scolca sta elaborando con la catena di Caprotti ha tutte le caratteristiche per costituire una rivoluzione nell’intero segmento. Oggi il reso del vino al produttore da parte della Gdo non è contemplato nel 90 per cento dei casi, a meno che non si verifichino problemi legati alla qualità. Il vino “vecchio”, come è sotto agli occhi dei più esperti, viene posto in promozione a prezzi stracciati. L’ultimo esempio? Nelle scorse settimane, nel milanese, un noto gruppo della grande distribuzione ha stracciato il prezzo di un Vermentino (annata 2013) già di per sé di bassa qualità, sino a portarlo a un costo finale di 1,99 euro al consumatore.

E L’HORECA?
Ma il supermercato non finisce per svalutare il nome del produttore? E’ un’idea sbagliata ormai, al giorno d’oggi ancora troppo diffusa: horeca prodotti di qualità, Gdo prodotti ‘industriali’. Un assioma più che mai superato. “Il problema è la comunicazione esatta del posizionamento del prodotto – dichiara deciso il direttore Corrado Cavallo – e va detto che, sull’altro fronte, l’Horeca non aiuta certo noi produttori ad arrivare vicino al consumatore. Il nostro interesse è il consumatore, ricordiamolo! Alcuni vini di nicchia, paradossalmente, riscontrano sul mercato maggiore difficoltà rispetto a quelli di largo consumo. Il Gavi dei Gavi etichetta nera, prodotto simbolo de La Scolca, in realtà è sufficientemente diffuso in tutte le enoteche di medio alto livello. I nostri Riserva D’Antan, in un posizionamento del Metodo Classico che si assesta sui 35-40 euro a bottiglia, soffrono da un lato la limitatezza intrinseca della tiratura e, dall’altro, il fatto che per ovvi motivi sono destinati a un pubblico non vasto”. Ecco dunque la Gdo. E il suo ruolo centrale anche per i produttori di grandi vini. “Abbiamo consumatori in tutta Italia – evidenzia Cavallo – che avrebbero piacere di comprarsi una o due bottiglie di prodotti come i D’Antan. Ma la spedizione ha un costo non irrilevante. E allora perché non venire incontro al consumatore, mettendo a disposizione tali etichette nei supermercati, che hanno una grande capillarità sul territorio? Il canale Horeca deve farsene una ragione: la verità sta in mezzo, i produttori sostengono dei costi e tenere la merce ferma in magazzino costa”. Corrado Cavallo è un vulcano sull’argomento. E va ben oltre. “La Gdo – afferma – sarà il veicolo migliore per distribuire i vini anche alla ristorazione. La vera sfida per i produttori di vino sarà quella di dare valore al proprio prodotto, lavorando assieme alla grande distribuzione affinché la comunicazione del posizionamento sia corretta”.

LA SCOLCA, IN ITALIA E NEL MONDO
idee chiare, dunque, per questa cantina piemontese che esporta qualità Made in Italy nel mondo. Si parla di cifre importanti, come il milione di euro di giro d’affari nei soli Stati Uniti d’America, il mercato più forte per La Scolca. “Il più disposto a comprare vini importanti”, per dirla con le parole del direttore Corrado Cavallo. Seguono la Germania, “Paese con un ottimo livello di cultura del vino”, poi Russia, Inghilterra e Ucraina. E a catena un’altra quarantina di nazioni, in cui La Scolca si presenta sempre con una personalizzazione diversa, curata da Chiara Soldati. E in Italia? “In Italia fatichiamo più che all’estero – spiega Cavallo – perché siamo più costosi. Il 70% della nostra produzione finisce fuori dai confini nazionali, dove siamo molto valorizzati. A listino, il Gavi di Gavi si posiziona sui 15,10 euro e interessa il 25% totale delle nostre vendite. Ma all’estero una bottiglia viene venduta tra i 30 e i 40 euro”. Un successo che si raggiunge solo grazie a solide basi. “Dire che è più importante la vigna che la cantina – sostiene il direttore Cavallo – sembra una frase fatta, ma è tuttavia il nostro credo. Un credo che ha dei costi. L’autodeterminazione è fondamentale per noi: essere cioè sia produttori sia vinificatori ci offre un vantaggio in partenza, in termini soprattutto di qualità”. Le uve, provenienti dai vigneti di proprietà de La Scolca, vengono raccolte in cassoni della capacità di 15 quintali e trasportate da mezzi agricoli che compiono viaggi ripetuti dai terreni vitati alla cantina. I grappoli provenienti da diversi appezzamenti non vengono vinificati tutti assieme. Si cerca la perfezione e l’uniformità del prodotto finale, suddividendo il raccolto in differenti vasche. “Questo perché il vino è come i bambini – commenta Cavallo -. Non tutti crescono allo stesso ritmo. Ci sono bambini molto più alti di altri all’asilo, ma da adulti, poi, finiscono per essere grandi uguali. Le dinamiche di crescita dell’uva sono concettualmente le stesse e tendono a uniformarsi nel vino col passare del tempo. Pertanto lavoriamo innanzitutto sull’epoca di vendemmia delle varie vigne, cercando l’uniformità nella maturazione. E, in cantina, dopo l’assaggio, gli assegniamo delle etichette differenti”. Un principio, questo, che è insito nella filosofia degli avi de La Scolca. Lo stesso Mario Soldati, sulle pagine di Vino al Vino, scriveva che “il fascino del vino” sta “nella sua vitalità irrazionale e sempre mutevole, non troppo diversa da quella di un organismo umano”.

LA COMUNICAZIONE CORTESE
Nella chiacchierata fiume con il direttore Corrado Cavallo, non poteva mancare un focus sul vitigno Cortese. Un autoctono poco valorizzato nel Belpaese, forse anche per l’impostazione di una comunicazione del vino che, in Italia, è sempre più affidata a organismi quali i Consorzi. “Crediamo molto nel consumo privato del vino – dichiara Cavallo – che non sempre si riesce a spingere e favorire in maniera efficace. In Italia oggi assistiamo al fallimento del tentativo di creare domanda collettiva attraverso l’offerta. E’ questo quello che stanno facendo i vari Consorzi: organizzare grandi eventi, in cui viene offerta una vasta gamma di prodotti. Così facendo non si stimola alcuna domanda e le varie manifestazioni organizzate rischiano di diventare fini a se stesse. Se i fondi necessari alla promozione del territorio fossero elargiti direttamente ai produttori – continua Cavallo – certamente assisteremmo al meccanismo inverso, ovvero a quello più diretto ed efficace per creare benessere sul territorio: la libertà d’iniziativa di cui godrebbe ogni singolo produttore porterebbe certamente a centrare l’obiettivo, ovvero il raggiungimento del consumatore finale, stimolando direttamente la domanda, senza più ricorrere a una sterile offerta collettiva”. Ma non è tutto. “In questo Paese – conclude Cavallo – occorre ridare centralità al ruolo del contadino. Finché nella filiera che va dal produttore al consumatore gli sforzi e le rinunce saranno sempre e solo del contadino, che vede anno dopo anno risicato il proprio guadagno, il sistema sarà sempre squilibrato. E a perderci sarà sempre e solo la qualità finale del prodotto, in un pericoloso gioco al ribasso che, alla fine, non gioverà a nessuno”.

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Vini al supermercato, crescono le vendite nella Gdo italiana: Nero d’Avola, Vermentino e Trebbiano al top

Torna a crescere il volume e il valore delle vendite di vino nei supermercati italiani. Aumentano anche i prezzi medi, mentre la pressione promozionale rimane invariata. Sono queste le prime anticipazioni dell’istituto di ricerca Iri, in vista di Vinitaly 2016. Tra i vini più venduti d’Italia crescono Nero d’Avola, Vermentino e Trebbiano. Passerina, Valpolicella Ripasso e Nebbiolo sono gli outsider. Bene anche gli spumanti e il vino biologico. Dopo anni di stasi, insomma, si registra una crescita più decisa delle vendite di vino italiano sugli scaffali della grande distribuzione organizzata (Gdo), sia in volume che a valore.

In attesa della 50° edizione di Vinitaly, che si terrà a Verona dal 10 al 13 aprile, Iri ha elaborato in esclusiva per Veronafiere i dati sull’andamento di mercato nel 2015. Le vendite delle bottiglie da 75cl aumentano del 2,8% a volume rispetto al 2014, e le bottiglie da 75cl a denominazione d’origine (Doc, Docg, Igt) del 1,9%. Rispettivamente le vendite a valore crescono del 4,0% e del 3,8%. “Una crescita doppiamente positiva – ha commentato Virgilio Romano, Client Solutions Director di Iri – perché non è stata stimolata né dalla crescita promozionale né da prezzi in calo.

La pressione promozionale, infatti, rimane su livelli alti ma inalterati rispetto all’anno precedente, mentre i prezzi sono in aumento: i vini a denominazione di origine, ad esempio, hanno prezzi medi in crescita dell’1,9%. Dopo un lustro di assenza, la crescita contemporanea di volumi e valori ci lascia ben sperare per gli anni futuri”. Risultati positivi anche per gli spumanti venduti in Gdo: + 7,8% a volume e +7,5% a valore, anche se il prezzo medio è leggermente ridimensionato rispetto al 2014. I vini biologici crescono a volume del 13,2% (a valore del 23%), ma i litri venduti sono ancora limitati: un milione e 630 mila.

“IL CONSUMATORE E’ PIU’ MATURO”
“A poco più di un mese dal via del 50° Vinitaly  – spiega Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere – si tratta di anticipazioni che fanno ben sperare in una crescita più strutturale del mercato interno del vino. Da sottolineare il continuo aumento delle vendite a valore, segno che il consumatore è più maturo: ricerca e sceglie la qualità. Si tratta di una strada che con Vinitaly abbiamo sempre sostenuto e promosso a livello commerciale e culturale, nelle nostre iniziative e negli incontri b2b tra Gdo, aziende e buyer”.

Il vino più venduto in assoluto nei supermercati italiani rimane il Lambrusco con 12 milioni e 771 mila litri venduti, sempre tallonato dal Chianti, che vince però la classifica a valore. Al terzo posto sale lo Chardonnay, un bianco di vitigno internazionale, che cresce del 9% a volume. Si fanno notare le performance del Nero d’Avola (+4,6%), del Vermentino che cresce dell’8,5% e del Trebbiano (+5,6%).

Tra i vini “emergenti”, cioè quelli che hanno fatto registrare nel 2015 un maggior tasso di crescita, il primo posto va alla Passerina marchigiana, con una progressione del 34,2% che va a bissare il successo registrato negli anni scorsi dal Pecorino (Marche e Abruzzo), classificatosi stavolta 3°. Due bianchi con prezzi medi a bottiglia di circa 4 euro. Da notare la seconda posizione del veneto Valpolicella Ripasso e la quarta posizione del piemontese Nebbiolo, che costano mediamente 7,69 euro il primo e 5,91 euro il secondo, a conferma che le crescite si leggono anche su vini importanti in termini di prezzo e di complessità. La ricerca completa verrà presentata nel corso della tavola rotonda su vino e grande distribuzione che si terrà a Vinitaly lunedì 11 aprile, alle ore 10.30 nella sala Vivaldi del PalaExpo, con la partecipazione di produttori e distributori.

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Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj 2015, Le Carline

(3 / 5) Vino ”eticamente corretto” il Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj prodotto dall’azienda agricola Le Carline di Pramaggiore presente con due rossi e due bianchi sullo scaffale del supermercato. Biologico, vegano e senza solfiti il tris di aggettivi a corredo del prodotto. Tipologia di vino che risponde ad una richiesta di mercato, che seppur ancora di nicchia, si sta facendo sempre più strada nella nostra cultura e nella grande distribuzione. La menzione “vegano”, non passa inosservata in un supermercato ”generico” e non specializzato, ragion per cui finisce sotto la nostra lente di ingrandimento.
LA DEGUSTAZIONE
Appena aperto sembra avere un sentore acre,  quasi ”acetico”, che sparisce con una adeguata ossigenazione. Dopo un’oretta dall’apertura, il Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj prodotto dall’azienda agricola Le Carline prende vita e si rivela un vino totalmente diverso. Finalmente lo spettro olfattivo si delinea anche se resta pressoché semplice: vinoso con leggeri sentori fruttati ed erbacei.
Al gusto è di corpo medio, caldo ”meno”: sembra leggermente vivace, rotondo e secco. Un vino fresco, leggermente sapido e giustamente tannico. Leggero con una gradazione del 12% di alcol in volume è un vino tranquillo da tutto pasto che si fa bere comunque con piacevolezza. Impiega un po’ a carburare il che potrebbe essere di difficile interpretazione per i consumatori più impazienti.  Non è il classico vino chiavi in mano o da ”colpo di fulmine”, richiede una “conoscenza” primaria minima prima di rendersi più interessante.
Sicuramente di ottimo rapporto qualità prezzo in un segmento di mercato che risulta quasi sempre poco accessibile è adatto ad arrosti, fritti ed umidi, carni bianche e rosse oppure da abbinare a salumi e da giovanissimo anche alla frittura di pesce, per buona pace dei vegani.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Merlot nella zona Lison Pramaggiore secondo le regole del reg.UE 203/2012 per il vino biologico e con il disciplinare per la certificazione dei prodotti destinati ai consumatori vegetariani e vegani. Il prodotto è quindi frutto della sola fermentazione del succo di uva senza aggiunta di alcun additivo. Dopo il raccolto le uve vengono pulite e raffreddate e le bucce macerate in via dinamica con follatura tradizionale. La fermentazione avviene a temperatura controllata. Dopo la malolattica e il contatto per alcuni mesi con la propria feccia fine, il vino viene illimpidito e conservato a temperatura controllata in acciao prima di essere imbottigliato.
La linea di prodotti a marchio ”Tenuta del Giaj” raggruppa i vini destinati ai negozi della Grande Distribuzione Organizzata. Giai è una frazione di Annone Veneto, una delle Città del Vino facenti parte dell’area Doc Lison Pramaggiore insieme alla stessa Pramaggiore, San Stino di Livenza e Portogruaro, dalla quale provengono  parte delle uve biologiche utilizzate. Dal 1988 l’azienda agricola Le Carline di Pramaggiore produce vini biologici e dal 2010, per seguire la crescente richiesta  di consumo di alimenti senza sostanze chimiche, ha investito anche nella linea senza solfiti aggiunti.
Prezzo pieno: 5.90 euro
Acquistato presso: U2/Unes
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Barbera d’Alba Doc 2012 Egidio, Bosio Vini

(4 / 5) E’ un vino che cambia e si evolve col passare dei minuti nel calice il Barbera d’Alba Doc 2012 Egidio dell’azienda agricola Bosio. Nome importante per questo vino fermo, che richiama il fondatore Egidio Bosio, padre dell’attuale conduttore dell’impresa di Santo Stefano Belbo, Valter Bosio. Lo notiamo a prezzo stracciato in un ipermercato Finiper (Iper la Grande I) e fiutiamo l’affare: trattasi, come spiega un commesso, di una “promozione smaltimento”. Tutta la giacenza al 50%, per intenderci. Lo conserviamo qualche giorno in cantina, prima di dedicarci alla degustazione. La capsula si presenta in ottimo stato e dal collo della bottiglia comincia già a sprigionarsi una ventata di frutta.

Lo versiamo. Il calice si tinge di un rosso rubino intenso, con riflessi granati: limpido, poco trasparente, indice di ottima presenza polifenolica. L’unghia granata è la firma degli anni ormai trascorsi dalla vendemmia 2012, ma anche la conferma che il vino è stato affinato a lungo in barrique, come indica la scritta sotto al nome stilizzato “Egidio”. Al naso si libera la frutta rossa già percepita pochi secondi prima: ribes, lampone. Ma ecco anche percezioni speziate, di cuoio, liquirizia, tabacco e vaniglia. Un olfatto decisamente complesso. Al palato, il Barbera d’Alba Egidio Bosio si conferma vino di corpo, di alcolicità calda, ben calibrata con una sapidità non certo consueta, che sorprende a differenza di un’acidità che si conferma fresca, come richiede qualsiasi buon Barbera. I frutti rossi, come evidenzia la stessa etichetta descrittiva, “danzano” veramente in bocca assieme alle spezie e a chiari sentori di tostatura conferiti dal legno delle barriques. Poggiamo il calice, soddisfatti. E quando lo rialziamo per un altro sorso, ecco che ci troviamo al cospetto di nuove evoluzioni olfattive. Quelle vegetali. Al naso giungono sentori di alloro e rosmarino che si aggiungono a quelli fruttati e speziati già evidenziati in precedenza. Anche il palato si evolve e dà vita a una l’eccezione Intensa, tattile, di zafferano. L’ossigenazione, insomma, corona il buon affare compiuto da Iper. E il retro olfattivo intenso, mediamente fine e decisamente persistente dimostra ancora una volta (ce n’è davvero ancora bisogno?) che bere bene al supermercato si può, senza spendere cifre da capogiro. Il Barbera d’Alba Egidio Bosio si sposa alla perfezione col brasato, con formaggi a pasta molle (da provare con la Toma), ma anche con primi grassi ed elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Si tratta non a caso del vino “top di gamma” dell’azienda agricola Bosio. Dalle vigne, tutte situate nell’area di Alba, giungono in cantina solo i migliori grappoli. Dopo la pigiatura e la prima fermentazione, il mosto viene sottoposto a fermentazione malolattica, in modo da ingentilire le spigolosità del vitigno favorendo la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Il vino riposa dunque in barriques di rovere francese per 18 mesi. Un anno e mezzo, dunque, prima di finire in commercio. Per acidità e tannino, il Barbera d’Alba Bosio si presta a un buon invecchiamento, anche se riteniamo vada consumato entro 4-5 anni dall’anno di vendemmia. Bosio Vini è una realtà ben consolidata del panorama piemontese, che dal suo quartier generale della frazione Valdivilla, strada Borelli 10, a Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo, distribuisce il proprio nettare in Europa e nel mondo, dal Canada all’Asia.

Prezzo pieno: 9,40 euro
Acquistato presso: Iper la Grande I (Finiper)

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Brut fermentazione in bottiglia, Catturich Ducco

(4,5 / 5)Nasce dall’assemblaggio dei vini provenienti dai 28 cru di proprietà della Catturich Ducco lo spumante Brut fermentato in bottiglia.

Presente in diverse catene della gdo, come Ipercoop e Il Gigante, è il frutto dell’assemblaggio dello Chardonnay allevato nei comuni di Passirano, Monticelli Brusati e Provaglio d’Iseo, nel cuore della Franciacorta bresciana. Sotto esame la sboccatura 2015.

Già in bottiglia, completamente trasparente, si rivela di colore giallo paglierino. Una volta versato sfoggia un perlage mediamente fine e persistente.

La carica olfattiva è intensa, di sottile complessità. Si evidenziano note floreali fresche e fruttate di mela, pera e pesca, oltre a sentori di burro e latte di mandorle.

Una percezione, quella che richiama il latte, che si ripresenta al palato: marcatamente burroso e vellutato, con note persistenti di crosta di pane tipiche dei lieviti della zona. Di buon corpo e calda alcolicità, il Catturich Ducco Brut fermentazione in bottiglia si scopre piacevolmente rotondo, secco e fresco. Sapido ed equilibrato.

Buona anche l’intensità retro olfattiva, di qualità fine e persistenza sufficiente, sui sentori della crosta di pane. Decisamente matura la sboccatura 2015, nella sua fase migliore per essere consumata come aperitivo o con antipasti a base di pesce.

LA VINIFICAZIONE
L’allevamento dello Chardonnay viene condotto a cordone speronato, con una resa media di 100 quintali per ettaro. La raccolta viene effettuata nelle vigne Catturich Ducco in maniera manuale, con successiva pressatura soffice delle uve intere. Il mosto fermenta in vasche di acciaio inox.

L’assemblaggio avviene in primavera e, dopo il tiraggio, si lascia spazio a una rifermentazione in bottiglia a sovrapressione ridotta di un’atomosfera. Un’elaborazione di 9 mesi per questo Brut di casa Ducco, che procede alla sboccatura su piccole quantità, in base alle ordinazioni richieste.

Prezzo pieno: 6,59 euro
Acquistato presso: Ipercoop / Il Gigante

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Natale Verga entra nel mercato del vino biologico. In Nord Europa è già un successo


Un Nero D’Avola-Cabernet e un Grillo-Cataratto. Il colosso Natale Verga sceglie l’Indicazione geografica tipica Sicilia per sfondare nel mercato del vino biologico. Un bianco e un rosso allo stesso prezzo, inferiore ai 6 euro, che costituiscono assieme una vera e propria entrata a gamba tesa in un segmento che si assesta sui 7-8 euro, nella maggior parte delle catene “di peso” della grande distribuzione organizzata italiana. Del resto, la politica dell’azienda di via Europa Unita 13 a Cermenate, è chiara: offrire ai consumatori un vino buono, sano. E a prezzo contenuto.

“Per me il vino non è uno status symbol –  spiega Natale Verga dal suo quartier generale comense – va venduto a un prezzo corretto. Noi, chiaramente, facendo prodotti di largo consumo, abbiamo bisogno di venire incontro al portafoglio di tutti. Una politica, questa, che abbiamo deciso di adottare anche per la nostra nuova linea di vini biologici. Siamo riusciti a contenere il prezzo applicando gli stessi costi di imbottigliamento che registra il resto della produzione: il segmento più basso. Anche perché il concetto di base è che imbottigliare vino da 5 o da 10 euro costa uguale: a fare la differenza è il prodotto, non il contenitore”. Limitando i costi di imbottigliamento, Natale Verga riesce a presentare sul mercato “un vino biologico a un prezzo alla portata di tutti i consumatori interessati a questa tipologia”.

LA BUROCRAZIA
“Un prezzo molto accattivante per un prodotto buono – continua – che va a coprire un segmento sin ora rimasto scoperto”. Del resto, all’estero Natale Verga ha già avuto riscontri molto importanti sulla linea di vini bio. Il sell out del biologico è infatti iniziato a gennaio, fuori dai confini nazionali italiani. “Abbiamo cominciato con i Paesi del Nord Europa – spiega Verga – dove stiamo andando decisamente bene. E di recente abbiamo trovato un accordo con una catena americana che tratta solo prodotti bio. L’unico problema è la certificazione”.

Già, la burocrazia. Quel mostro che schiaccia il mondo del vino italiano. Dai piccoli produttori, che attraverso la Fivi si stanno battendo in sede europea per un e-commerce più agile e snello, ai giganti come la Casa Vinicola Verga. “In America – spiega Natale Verga – ci sono problemi per la certificazione di un vino prodotto mediante il blend di uvaggi differenti. E anche sul discorso ‘bio’ loro sono un po’ più restrittivi”. Avesse scritto “ogm” al posto che “bio”, scherziamo noi, Natale Verga sarebbe già su tutti gli scaffali dei mall a stelle e strisce. Per quanto riguarda l’Italia, la prima catena dove abbiamo scovato i vini bio di Verga è Il Gigante, diffusa soprattutto in Lombardia, ma anche in Piemonte ed Emilia Romagna.

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Erbaluce di Caluso Docg Valgera 2014, Terredavino

(2,5 / 5) Un Erbaluce di Caluso Docg base, quello imbottigliato da Terredavino che abbiamo pescato come novità sullo scaffale del supermercato. Un prodotto che non rende giustizia ad un vino che può esprimere molto di più, ad un vitigno che dà anche vita ad eccellenti passiti e più recentemente a spumanti metodo classico meritevoli. L’Erbaluce di Caluso Docg Valgera 2014 di Terredavino nel calice si presenta giallo paglierino chiaro con riflessi verdolini. Al naso non comunica molto, accenni di note agrumate e qualche sentore erbaceo poco intenso, misti ad unsentore chimico che lo rende poco schietto. Spesso però olfatto e gusto non parlano la stessa lingua, allora lo degustiamo sperando nella sorpresa che non arriva.

Poco denso, poco caldo, 12% di alcol. Rotondo, secco, comunque fresco e sapido, ma non emoziona ed è anche corto nel finale. Un Erbaluce di Caluso Docg anonimo. Lo ricompreremmo? Lo consiglieremmo ad un amico o ai nostri followers? Onestamente no. L’Erbaluce di Caluso Docg Valgera 2014 imbottigliato da Terredavino è adatto a chi non ha particolari esigenze, offre solo freschezza nella beva.

Sicuramente ha a sua discolpa un’annata poco favorevole, ma in gdo e tra le pagine di vinialsupermercato, nella stessa fascia prezzo,  si possono trovare vini bianchi più gradevoli e più memorabili. L’Erbaluce di Caluso Docg Valgera è un vino da aperitivo o da abbinare a risotti di pesce, calamari fritti, funghi, verdure grigliate e creme di verdure.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Erbaluce 100%  varietà a bacca bianca che viene coltivata in un’area vocata a nord della provincia di Torino, in alcuni comuni del vercellese e del biellese. Zone distanti dalla provincia di Cuneo dove invece si trova Terredavino. Nel cuore delle Langhe a Barolo, Terredavino è una realtà produttiva vasta, senza confronti che produce ed imbottiglia una vasta gamma di prodotti, tutti rigorosamente made in Piemonte.

Prezzo pieno: 4,69 euro
Acquistato presso: Bennet / Pam / Panorama

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Vini al supermercato

Vallée d’Aoste Doc Torrette 2014, Cave des Onze Communes


E’ il vino rosso valdostano prodotto in maggiori quantità il Vallee D’Aoste Doc Torrette, eppure in molte parti di Italia è introvabile e sconosciuto. Noi di vinialsupermercato non abbiamo creduto ai nostri occhi quando ne abbiamo visto una fila sullo scaffale del reparto. A dispetto del nome del vitigno con il quale viene vinificato, Petit rouge, che ha un nomignolo delicato, il vino Torrette Doc 2014 prodotto da Cave des Onze Communes di Aymavilles in Val D’Aosta si presenta con un carattere imponente, tutt’altro che petit. Mai consiglio fu più apprezzato in etichetta di aprirlo almeno un’ora prima di servirlo, perché i sentori inizialmente sono soprattutto alcolici e vinosi.

Vallée d’Aoste Doc Torrette 2014, Cave des Onze Communes

E’ giovane, rosso porpora che sporca il bicchiere. Dopo un po’ si apre, ma non troppo, lasciando spazio anche alla frutta rossa e a note erbacee di fieno, ma l’alcol è preponderante. La caratteristica principale del Torrette Doc è certamente il suo retrogusto amarognolo. Ha una bella acidità, sembra vivace ed è al limite del brusco: fa quasi strizzare gli occhi mentre si beve. Non è un vino leggero,  13% di alcol in volume, secco, nel complesso armonico nonostante un tannino verde che non può maturare.

Per apprezzarlo l’abbinamento è fondamentale: un vino che sembra proprio l’espressione del territorio dal quale proviene, aspro come le vette valdostane, sicuramente un gusto particolare che non può piacere a tutti. Si abbina a salumi tipici, carni bianche e rosse, formaggi locali di media stagionatura come toma e fontina e alla cottura in civet, come indicato in etichetta, che abbiamo scoperto è una cottura stufata tipica della Valle D’Aosta e del Piemonte.

LA VINIFICAZIONE

Prodotto con uve Petit rouge 75%, Vien de Nus, Cornalin, Premetta 25%. Sono tutti vitigni tradizionali valdostani. Il Torrette Doc fermenta e riposa per circa 6 mesi in acciaio, viene imbottigliato nella tarda primavera successiva alla vendemmia. Nelle fasi di preimbottigliamento vengono effettuati dei piccoli tagli (5/10%) con partite dello stesso Torrette affìnate in legno per esaltarne i sentori.

La Cave des Onze Communes, è una cantina che raccoglie e trasforma uve provenienti da vigneti di undici comuni del centro Valle d’Aosta, situati sulla destra e sulla sinistra orografica della Dora Baltea: Quart, Saint-Christophe, Aosta, Sarre, Saint-Pierre, Villeneuve, Introd, Aymavilles, Jovençan, Gressan, Charvensod, compresi tra i 550 ed 900 metri sul livello del mare. Nata nel 1990 oggi vanta ben 220 soci, una viticultura eroica condotta da artigiani della terra che lavorano manualmente e con passione una sessantina di ettari disposti su pendii difficili da meccanizzare.

 

Prezzo pieno: 7,90 euro
Acquistato presso: U2

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Vini al supermercato

Soave Doc Classico Terre del Vulcano, Corte Allodola Cantina Lidl

(4,5 / 5) Eccolo qui – ma non ditelo a Slow Food & Co. – un altro valido prodotto della cantina vini Lidl. Parliamo del Soave Doc Classico Terre del Vulcano, prodotto e imbottigliato all’origine dalla società agricola Corte Allodola di Monteforte d’Alpone, in provincia di Verona. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2014.

LA DEGUSTAZIONE
Il Soave Doc Classico Terre del Vulcano Corte Allodola si presenta nel calice di un giallo paglierino con lievi riflessi verdognoli. Limpido, trasparente e intenso il colore che espirme. Come intenso risulta al naso: pulito, esente da anomalie, nonché elegante. La natura dei profumi va dal florale al fruttato.

Chiari i richiami a un delicato e fresco biancospino, ma anche alla margherita. Presenti anche note agrumate di limone, in uno sfondo minerale che sfocia – a vino ormai ben ‘aperto’ nel calice – in un punte speziate di zenzero che ci portano a definire l’olfatto complesso.

Ottime premesse, dunque, quelle che conducono all’esame gustativo. Al palato il corpo è buono, l’alcolicità calda. Il Soave Doc Classico Terre del Vulcano Corte Allodola risulta morbido, secco, leggermente più sapido che fresco: aspetto che ci porta a definire comunque la beva equilibrata, considerato che siamo di fronte a una tipologia di vino che fa della mineralità un’arma vincente.

In bocca troviamo mela, Pera Kaiser, mandorla. Ma a incuriosire è una curiosa nota di liquirizia dolce, che ci conduce verso un finale nuovamente fresco e sapido, di sufficiente persistenza. Fine e intenso anche il retro olfattivo. Maturo lo stato evolutivo per la vendemmia 2014. L’abbinamento in cucina? Ottimo come aperitivo, può essere servito in accompagnamento a piatti a base di pesce e verdura.

LA VINIFICAZIONE
La zona di origine di produzione del Soave Doc Classico Terre del Vulcano è quella del Comune di Monteforte D’Alpone e Soave, dove si trovano parte dei 40 ettari totali in conduzione dell’azienda agricola Corte Allodola.

Il suolo è di origine vulcanica, così come suggerisce lo stesso nome di fantasia assegnato a questo Soave Doc Classico realizzato in esclusiva per la catena di supermercati Lidl. La forma di allevamento prevalente è la tradizionale Pergoletta Veronese.

Le uve utilizzate, come da disciplinare, sono la Garganega e il Trebbiano di Soave, quest’ultimo addizionato con una percentuale del 15% rispetto all’uvaggio principe della zona. Corte Allodola, per i curiosi, è una società commerciale fondata nel 2013, cui rispondono due società agricole a conduzione famigliare, giunte alla quarta generazione.

Dai 40 ettari vitati, collocati interamente sul territorio del Veneto, provengono le uve che finiscono poi trasformate in un volume d’affari che si aggira sulle 600 mila bottiglie l’anno. Per Lidl, Corte Allodola non realizza solo il Soave ma anche il Pinot Grigio Veneto, il Rosso Veneto Igt, l’Amarone e il Ripasso.

Prezzo pieno: 3,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Vini al supermercato

Ribolla Gialla Doc Collio, Cantina Produttori Cormòns

(3 / 5) Sono forse un po’ troppi 13 euro per le emozioni che è in grado di regalare la Ribolla Gialla Doc Collio Cantina Produttori Cormòns. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2014. Non certo un’annata felicissima, ma non per questo il vino in questione ha subito un deprezzamento sugli scaffali dei supermercati italiani, che lo espongono in sell out tra i 12 e i 14 euro.

Di colore giallo paglierino intenso, con riflessi verdognoli, la Ribolla Gialla Doc Collio Cantina Produttori Cormòns si presenta limpida e trasparente. All’esame olfattivo risulta intensa, di carica “normale”.

Al palato prevale su tutto una buona sapidità, ben calibrata con le note agrumate. Di fresca acidità, si fa desiderare in quanto a corpo e alcolicità. Aspetti che ci condono a giudicare “debole”, complessivamente, la beva: sufficientemente equilibrata.

Il retro olfattivo si conferma leggero, mediamente fine. Poco persistente, per una vendemmia 2014 che speriamo di poter definire pronta, anche se i margini di miglioramento non sembrano poi così evidenti, visti i presupposti. Un vino, la Ribolla Gialla Doc Collio 2014 della Cantina Produttori Cormòns, che suggeriamo di abbinare ad antipasti leggeri e delicati. Oppure a primi come la zuppa di pesce e a secondi semplici (filetto di salmone o di trota salmonata), nonché alle carni bianche. Va prestata particolare attenzione alla temperatura di servizio: in inverno tra i 12 e i 14 gradi, mentre in estate non deve superare gli 8-10 gradi.

LA VINIFICAZIONE
La Ribolla Gialla Doc della Cantina Produttori Cormòns è ottenuta mediante vinificazione in purezza delle uve Ribolla gialla, la cui vendemmia inizia nelle prime settimane di settembre. Le uve vengono diraspate e macerate a freddo, al fine di conservare gli aromi. Segue poi la fermentazione a una temperatura controllata di 16 gradi, della durata di 15-20 giorni. Il vino viene quindi lasciato riposare per alcuni mesi, microfiltrato e dunque imbottigliato. L’affinamento avviene in gradi botti di acciaio. Nata sul finire degli anni Settanta, la Cantina Produttori Cormons è oggi costituita da oltre centocinquanta viticoltori che operano in una delle zone vitivinicole più vocate al mondo, il Friuli Venezia Giulia dalle zone vitivinicole più pregiate del mondo.

Prezzo pieno: 13,49
Acquistato presso: Iper

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news ed eventi

Unione italiana vini a Poderi del Nespoli, Zonin: “La qualità non basta più per competere”

“Dobbiamo fare più sistema con tutti i soggetti del territorio: aziende, ristoranti, enoteche, sommelier, distribuzione organizzata, per condividere e promuovere un processo culturale univoco che premi sia il mondo del vino sia i consumatori. Il consumo di vino al ristorante nei prossimi due anni è stimato possa crescere di oltre 8% con una predilezione verso i vini locali o regionali (94,5% degli intervistati), a suffragare il concetto dell’importanza del territorio, e con una forte tendenza a consumare vini al bicchiere (94% degli intervistati), indice del fatto che la modalità di consumo è cambiata e che dobbiamo muoverci per trovare le formule opportune per essere al passo col tempo. La cultura della qualità e del territorio, anche per la distribuzione moderna, saranno il focus su cui concentrare gli sforzi nei prossimi anni”.

Con queste parole Domenico Zonin, Presidente Unione Italiana Vini, ha chiuso oggi i lavori della Tavola Rotonda dal titolo “Mercato interno del vino: quali le prospettive del 2016?”, organizzata presso Poderi dal Nespoli (Nespoli, FC) da Unione Italiana Vini, in collaborazione con Foragri, con l’obiettivo di fornire una panoramica complessiva sullo status e sulle prospettive del comparto vitivinicolo per il 2016, dialogando con le istituzioni e con i più autorevoli esponenti del mondo vitivinicolo nazionale, i rappresentanti della Gdo, della ristorazione, delle enoteche, con il supporto dei dati forniti dall’Osservatorio del Vino.

“La reputazione dei nostri prodotti – precisa Simona Caselli, assessore Agricoltura Regione Emilia Romagna – si fa qui, sul territorio. Sono la qualità prodotto, il luogo di produzione, la relazione con la gente, che ti fanno riconoscere. La nostra gastronomia sta ottenendo risultati straordinari, costruendo attenzione sui nostri prodotti e trainando il turismo. Però dovrà sempre più essere unita al mondo del vino, dovranno viaggiare insieme per portare soddisfazione maggiore per tutti. Il lavoro sulla qualità va spiegato e serve attenzione complessiva affinché non diventi fuori portata per i consumatori. Serve equilibrio e la ristorazione in questo è molto importante. Di deve ragionare, in sintesi, in termini di sistema”.

“LA QUALITA’ NON BASTA PER COMPETERE”
“La cosa certa, almeno così i dati di Fipe ci dicono – spiega Zonin – è che dobbiamo insistere sul tema della cultura perché, se ben l’85% dei consumatori intervistati ritiene di non conoscere il vino, significa che da qui dobbiamo partire per promuoverlo attraverso un marketing della conoscenza, per il quale siamo disposti ad investire”. “La qualità non basta più per essere competitivi – conclude il presidente Zonin – ma deve essere supportata da un processo di crescita culturale da parte sia delle aziende sia del consumatore. Il territorio e la tradizione sono fattori prioritari per raccontare il nostro vino e sempre più dobbiamo imparare ad insistervi per far capire la complessità e l’unicità che siamo capaci di esprimere attraverso i nostri prodotti. Aiuteremo così anche il consumatore a recepire il vino non come semplice bevanda ma come il prodotto finale di un sistema responsabile, appassionato e ricco di professionalità. Questo farà la differenza per crescere in primis sul mercato interno e poi sul mercato estero, grazie a una migliorata percezione che deriverà proprio da questa nuova cultura”.

PODERI DEL NESPOLI

L’importante conferenza si è tenuta ieri proprio a Poderi del Nespoli, cantina romagnola che dal 1929 produce vino di qualità, tra l’alto già finito anche sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it: qui le nostre recensioni del Rosso Poderi del Nespoli e del Bianco Poderi del Nespoli, in vendita sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Una realtà di riferimento nel panorama enologico della Romagna, grazie all’impegno della famiglia Ravaioli, che piantò i filari del primo podere acquistato nel borgo di Nespoli, a cui negli anni si è affiancata la concezione imprenditoriale della famiglia Martini, che ha saputo guardare lontano e portare il nome di Poderi dal Nespoli e della Romagna nel mondo. Oggi, infatti, Poderi dal Nespoli unisce la storia e la tradizione con le tecnologie all’avanguardia, il rispetto per l’ambiente con la promozione dell’enoturismo come efficace modo di avvicinare il pubblico al vino. Sistemi di produzione moderna, sperimentazioni e ricerca, infatti, si accompagnano a un modello di imprenditorialità basato sull’esperienza diretta da parte del consumatore, che qui può scoprire e conoscere l’intera filiera produttiva, dal vigneto alla cantina, dall’imbottigliamento alla commercializzazione, fino al calice.

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Vini al supermercato

Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri, cantina Lidl

(4 / 5) Lidl conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno (e ce n’è), che nulla è casuale nelle scelte compiute per la cantina vini. Come? Affidando a un’azienda di tutto rispetto, la società agricola Catturich Ducco di Passirano, Brescia, la realizzazione in esclusiva di un Franciacorta “every day low price”.

Parliamo del Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri, finito sotto la nostra lente di ingrandimento con la dovuta curiosità del caso. Non aspettatevi troppo e riuscirete pure a farvi piacere questo prodotto, tenendo sempre a mente l’obiettivo della catena tedesca è quello di offrire prodotti qualitativamente buoni, a prezzo contenuto.

E non si può certo dire che 7,49 euro siano soldi spesi “male” per il Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri, sboccatura autunno 2015. Passiamo dunque questo prodotto sotto setaccio.

LA DEGUSTAZIONE
All’esame visivo, lo spumante prodotto in esclusiva dalla Catturich Ducco per Lidl si presenta vestito d’un giallo paglierino limpido, trasparente, piuttosto chiaro. La grana del perlage è mediamente fine, la persistenza così come discreta risulta l’effervescenza e la persistenza del perlage.

Un po’ disordinate, tuttavia, le “bolle”. All’olfatto, il Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri non risulta leggero, schietto e mediamente fine. Semplice la complessità olfattiva, con i classici richiami alla crosta di pane e al burro, con quest’ultimo predominante.

All’esame gustativo risulta di corpo e caldo, anche in virtù dei 13 gradi di alcol in volume che fa registrare la bottiglia. Rotondo, secco, fresco e sapido. Uno spumante sufficientemente equilibrato, insomma, che si rivela intenso, mediamente fine, ma poco persistente nel retro olfattivo.

Il Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri accompagna aperitivi, pizza, primi e secondi piatti di pesce o di carne bianca, non troppo elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Per quanto riguarda la tecnica di vinificazione, Catturich Ducco precisa che si tratta di un Blanc de Blancs, ovvero Chardonnay in purezza, con affinamento in bottiglia per 24 mesi circa. Con i suoi 125 ettari, Catturich Ducco è una delle società agricola che posseggono maggiori terreni nella Docg Franciacorta, potendo così sviluppare al meglio le caratteristiche peculiari di un terroir dalle mille sfaccettature.

Prezzo pieno: 7,49 euro
Acquistato presso: Lidl

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Vini al supermercato

Sudtirol Alto Adige Gewurztraminer Doc Cornaianum, Girlan

[Usr 4] Immaginate una rosa gialla che sbocciando, oltre al profumo dei suoi petali, rilascia un bouquet di zenzero candito, litchis, melone, pesca matura e aromi di uve moscato. Sapori che esplodono al gusto come se avessimo mangiato una caramella ripiena di frutta. Aromi marcati, ma che non annoiano e che invogliano continuamente il sorso. Se completiamo il tutto con una bella acidità il binomio è perfetto. ”Tutti sanno dire ti amo, ma non tutti sanno dire Gewurztraminer”, un tormentone social degli ultimi tempi. La cantina Girlan, il Gewurztraminer lo sa dire e lo sa fare. La vendemmia finita sotto la nostra lente di ingrandimento è la neonata 2015.

Per dovere di cronaca nel calice c’è rimasta ben poco, ma come diceva Moliere ”Beviamo amici miei, il tempo che fugge c’invita, godiamo della vita quanto per noi si può”. Che altro aggiungere di questo vino? Che è sostenuto da una bella acidità, data la sua giovinezza. Nei primi due anni, il Gewurztraminer riesce a conservare un’ottima acidità pur essendo un prodotto che ha una longevità di tre/cinque anni. E’ un vino di buon corpo , morbido, equilibrato e dotato di una buona persistenza retrolfattiva. L’annata 2015 è la prima che possiamo trovare al supermercato, una delle prime forniture di questa etichetta realizzata da Girlan per la gdo. Un vino prelibato che si abbina a crostacei, pesce, preparazioni a base di carne e paté de foie.

Sudtirol Alto Adige Gewurztraminer Doc Cornaianum, Girlan

La Cantina Girlan si conferma una cantina d’eccellenza. Nella nostra recensione del loro  Lagrein abbiamo cercato di sintetizzare il nostro giudizio positivo utilizzando un famoso claim pubblicitario ”un Lagrein Girlan è per sempre”, aggiungiamo che il Gewurztraminer Girlan lo è altrettanto. Segnatelo tra le cose da portare con voi su isola deserta. La cantina Girlan si trova a Cornaiano, borgo vinicolo ormai famoso.

I vigneti si estendono ad un’altitudine fra i 250 e i 550 m sul livello del mare, su dei terreni diversi nella loro composizione che costituiscono un ambiente ideale per la coltivazione di numerose varietà autoctone ed internazionali. Dal 1923, la Cantina Girlan ha sede in questo maso tipico dell’Oltradige: accanto al terreno, un fattore molto importante è quello umano, quello del vignaiolo ed enologo Gerhard Kofler, che mantiene uno stretto rapporto con i soci conferitori, scambiando esperienze da cui nascono le basi per ambizioni di qualità.

Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Famila

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Vini al supermercato

Maremma Toscana Rosso Doc Tesan, La Biagiola

(4 / 5) Un grande blend di Sangiovese, Alicante e Canaiolo il Maremma Toscana Doc Tesan vendemmia 2013 prodotto dall’azienda vitivinicola La Biagiola di Sovana di Sorano in provincia di Grosseto. Di colore rosso rubino profondo si presenta subito come un’esplosione vulcanica di profumi, d’altronde le sue uve provengono da terreni fatti di cenere e lapilli. Intensi sentori speziati di pepe, note balsamiche e di macchia mediterranea evolvono verso la frutta rossa matura, lasciando anche spazio alla foglia di tabacco.
Davvero complesso. E anche al gusto non delude: corposo, caldo, ben 14% di alcol in volume, rotondo, sapido e gradevole. Una vena acida viva accompagnata da un tannino elegante e da un finale persistente con note di liquirizia. Nessuna nota stonata: un’eleganza anticipata da un’etichetta distintiva, legata alla civiltà etrusca che si è affermata proprio in quei luoghi. Il nome Tesan deriva dall’etrusco e significa “aurora”, il motivo a scacchiera presente in etichetta è un disegno ricorrente di questa affascinante civiltà e sta a simboleggiare il rapporto tra terra e cielo. Si abbina  con primi piatti con salse a base di carne e secondi di carne rossa.

LA VINIFICAZIONE
Il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan prodotto da La Biagiola è un blend di uve Sangiovese per il 70%, Alicante 25% e Canaiolo nero 5%. Tutte le operazioni, a partire dalla raccolta sono effettuate a mano. Dopo la fermentazione, il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan viene affinato per otto mesi in acciaio. I vigneti si trovano in un’area deindustrializzata, priva di inquinamento e urbanizzazione massiva. I terreni sono di origine vulcanica: l’alta mineralità del terroir dona sapidità ai vini bianchi e complessità organolettica ai vini rossi. L’azienda vitivinicola la Biagiola è una realtà giovane, a conduzione familiare, nata proprio con l’intento di produrre vini di qualità, equilibrati ed armonici nei gusti e nei sapori. Le viti sono coltivate con grande rispetto, nel loro habitat, su un terreno generoso destinato sin dai tempi antichi ai vigneti. La Biagiola si trova su un giacimento archeologico di estrema rilevanza  con un archeoparco visitabile dal 2011. Quando entusiasmo, capacità, terroir e storia si combinano non possono che uscire prodotti di estrema qualità come il Maremma Toscana Rosso Doc Tesan. Potere della grande distribuzione organizzata,   possiamo portarci un pezzo di poesia e di Toscana nel nostro focolare: emozioni uniche che solo il vino sa trasmettere.

Prezzo pieno: 6,50 euro
Acquistato presso: Famila

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Cantine degustati da noi vini#02

Teo Costa Selezione Giobbe, viaggio tra i vini senza solfiti

Fontina valdostana e salame di maiale razza Cavour tagliato a fette spesse, come si faceva una volta. E tra un boccone e l’altro, pillole di vino. Anzi, di vita. Entrare in casa dei Costa è un po’ come aprire un varco spaziotemporale sui tempi che furono. Sulle famiglie di una volta. Quelle che oggi sembrano non esistere più. Una famiglia del vino, per l’esattezza. Che “mastica” mosto da quattro generazioni.

Viviana, la figlia ventenne di Roberto Costa, attuale “reggente” dell’Azienda Agricola Teo Costa assieme al fratello Marco, ci accoglie nella casa-cantina di via San Salvario 1, a Castellinaldo d’Alba, Cuneo, in un sabato mattina uggioso. Fuori la nebbia, ma dentro casa è subito chiara l’impressione di trovarsi al cospetto di persone profondamente legate al proprio lavoro e alla terra in cui sono nate.

“Nonno Antonio (nella foto, sotto) è la nostra guida e la nostra forza ancora oggi – ammette la giovane con gli occhi che sorridono, parlando del capostipite di una generazione di vignaioli – è del ’39 e si occupa ancora della parte agricola della nostra azienda, in vigna. Ora capirete perché è soprannominato Giobbe! Un nome che in paese hanno finito per accostare, poi, a tutta la nostra famiglia”.

Ci vuole testardaggine, pazienza e soprattutto passione per portare avanti generazione dopo generazione un’azienda vitivinicola fiorita grazie all’impegno di nonno Antonio “Giobbe”, e cresciuta negli anni grazie ai suoi figli.

Cinquecentomila bottiglie l’anno prodotte, di cui 180 mila circa finiscono sugli scaffali delle maggiori catene della grande distribuzione organizzata in Italia, ormai da una decina d’anni: da Coop a Esselunga, da Bennet a Carrefour, per citarne solo alcune. E una filosofia ben precisa, riscontrabile in ogni singola goccia a marchio Teo Costa: la centralità dell’uva.

IL PROTOCOLLO PRODUTTIVO
“Facciamo vini con le uve”, è la definizione di Viviana che sembra scontata, banale. Ma per capirla fino in fondo basta assaggiare i vini più complessi e strutturati della Teo Costa, come il Barolo Monroj, il Barbaresco Lancaia, o il Barbera d’Alba Castellinaldo.

Vini in cui il frutto, pur affinando in legno come da disciplinare, è al centro del naso e del palato. E ci rimane, dal primo sorso all’ultimo. E’ il trionfo della morbidezza e di un bere capace di accontentare, trasversalmente, tanto gli amanti del nettare di Bacco più esigenti, quanto i neofiti.

“Partiamo con un’uva pulita in vigna – spiega Roberto Costa – perché l’abbiamo fortemente voluta produrre così, rispettandola per quello che è. E in cantina proseguiamo con questa filosofia. Pochi solfiti, nessuna chiarifica animale, nessuna concentrazione, nessuna pastorizzazione. Andiamo così a imbottigliare un prodotto che è il più vicino possibile alla natura. Un prodotto pulito, dunque, che consegniamo ai consumatori con la certificazione di Bureau Veritas, ente leader a livello mondiale nei servizi di controllo, verifica e certificazione per la Qualità, Salute e Sicurezza, Ambiente e Responsabilità Sociale”.

Una strada, quella che ha deciso di percorrere l’Azienda agricola Teo Costa, che vede protagoniste anche altre 21 realtà agricole di Castellinaldo d’Alba, pittoresco paesino che un tempo ospitava due castelli, uno dei quali fu distrutto dalla famiglia rivale.

“Come vignaioli di Castellinaldo – spiega Roberto Costa – abbiamo deciso di sottoscrivere un protocollo produttivo che ci permetta di produrre innanzitutto uve pulite e, in seguito, vini puliti. Come? No al diserbo, no al concime chimico, no ai prodotti di sintesi sulle viti che poi entrano in linfa, no ad antibotritico e dunque antimuffa che rallenta le fermentazioni”.

Si arriva così in cantina con un prodotto che ha una chimica bassissima (Rma), ridotta anche dell’80-90 per cento rispetto agli standard. E si completa il ciclo riducendo all’osso l’utilizzo di solfiti, grazie a una pratica ormai brevettata che ci consente, attraverso una selezione di un ceppo indigeno di lieviti capaci di dare luogo a una buona fermentazione, di produrre minime quantità di anidride solforosa naturale”. Un vino che, tuttavia, alla Teo Costa, non tengono affatto a definire “vegano”.

CONCRETEZZA VS MARKETING
“La tecnologia moderna – precisa Roberto Costa (nella foto a sinistra, assieme al fratello Marco)- consente a tutti di non utilizzare più chiarifiche animali, lavorando con filtri o decantazioni a freddo che sostituiscono per esempio la colla di pesce, una volta in voga. Trovo dunque che sia una scelta puramente legata al marketing quella di mettere in etichetta la dicitura ‘vegano’. E’ un po’ come dire ‘Faccio il vino e ho i capelli neri’: i tuoi capelli neri non sono un tratto distintivo! Dire che non usi solfiti è invece un messaggio forte, perché molti oggi ancora li utilizzano”.

“I vini sono quasi tutti vegani, ormai. Quando si danno messaggi veritieri – precisa Roberto Costa – si arricchisce il panorama dell’offerta alla clientela e si offrono prodotti innovativi e realmente differenti. Quando invece si cade nel banale, si finisce solo per creare confusione sul mercato”. E il mercato del vino, all’azienda agricola Teo Costa, lo conoscono bene.

“Abbiamo iniziato in Horeca – spiega Roberto Costa – per poi indirizzare una parte delle vendite alla grande distribuzione organizzata. Il concetto che non si possa trovare qualità tra i vini del supermercato è ormai ampiamente superato. Poteva andar bene fino a vent’anni fa. Oggi abbiamo catene che fanno tendenza e che hanno i sommelier in corsia, almeno nel fine settimana. Noi abbiamo creduto nella gdo più di dieci anni fa e siamo stati tra i primi che, pur avendo una grande presenza in Horeca, hanno accettato di servire anche l’altro canale. E’ stata un’intuizione fondamentale. Qualcuno rideva all’inizio, criticandoci. L’importante è differenziare”.

Come? “Lavorando sulle etichette – replica Roberto Costa – non sui prodotti, in modo da non andare ad accavallare due sistemi che hanno bisogno di marginalità differenti. I prodotti che offriamo alla gdo sono buoni come quelli che offriamo alla ristorazione: è un lavoro sulla qualità che ci sta portando a crescere sia nella gdo sia nella ristorazione. Questo significa che i due mercati possono certamente viaggiare assieme, ma non solo: si aiutano a vicenda, nel senso che la capillarità territoriale dei supermercati è tale da consentire al cliente di un ristorante di acquistare un nostro prodotto che gli è piaciuto aggiungendolo semplicemente al carrello della spesa”.

I due mercati convivono dunque alla Teo Costa, con un rapporto di 7 a 3 appannaggio dell’Horeca sulla gdo. “Lavoriamo in maniera straordinaria con la gdo – commenta Roberto Costa – sono stati tutti dei grandi signori con noi. D’altro canto per loro avere sullo scaffale, direttamente dal produttore, senza giri di distribuzione, un prodotto già affermato come il nostro, è anche un motivo di lustro”.

IL FUTURO E LE SPERIMENTAZIONI
Tutto, però, prende forma dalla base. Cinquanta gli ettari in produzione di proprietà della Teo Costa, che acquista una piccola parte delle uve “da aziende agricole storiche e fidate della zona di Castellinaldo d’Alba”. Un apporto che sarà fondamentale anche nei prossimi anni. Il cinquantenne Roberto Costa, infatti, sogna in grande per la quarta generazione.

“L’obiettivo – ammette – è quello di arrivare a un milione di bottiglie l’anno, nei prossimi 20 anni”. Un disegno che, probabilmente, passerà anche dal successo di alcune sperimentazioni in corso tra i vigneti della Selezione Teo Costa, che riguardano uve autoctone e non solo. Esperimenti per ora top-secret, che non mancheremo di svelare non appena possibile ai nostri lettori.

“Il sabato – sorride Roberto Costa – è il giorno che dedichiamo al giardinaggio, per così dire. Ci stiamo divertendo un po’ con alcune talee, per staccare la spina da quello che è il lavoro settimanale”. Del resto, dopo una vendemmia soddisfacente come quella dello scorso anno, è giusto cercare un po’ di relax, almeno un giorno a settimana.

“La vendemmia 2015 è stata straordinaria – ammette Roberto Costa -. Ho cinquant’anni e da trenta vendemmio. Di grandi come questa forse non è mai viste. Secondo me è quasi unica. Già in vigna ci siamo accorti che stavamo partendo con un cavallo di razza: quando pigi delle uve che fanno mediamente 21-22 di Babo, a volte anche a 23-23,5 per i nostri Barolo, Barbaresco e grandi Barbera, perfette, sane, di colore e di struttura…finisci con lo sperare che di vendemmie così ce ne siano almeno due ogni 10 anni!”.

“Vasche che hanno fermentato 40-45 giorni, perché c’erano concentrazioni zuccherine enormi… Questa non è una grande annata, questa è una grandissima annata! Chi sostiene altro vuole solo differenziarsi”, conclude Roberto Costa. Un’impresa che riesce comunque benissimo, quella di differenziarsi, anche alla Teo Costa di Castellinaldo d’Alba.

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Colline Novaresi Doc Spanna Santo Stefano, Zanetta

(3 / 5) Varchiamo appena i confini della Lombardia ed entriamo nella provincia piemontese di Novara con il Colline Novaresi Doc Spanna Santo Stefano prodotto dall’azienda vinicola Zanetta di Sizzano, vendemmia 2013. Nel calice si presenta color rosso rubino con riflessi granati, trasparente e luminoso, ma ha una fluidità che fa presagire una leggera carenza di corpo. Al naso è inizialmente timido con sentori pungenti e vinosi che però evolvono, lasciandolo respirare, verso la viola, la ciliegia, l’erba tagliata e sentori eterei. Il gusto è fruttato e rotondo, la ciliegia sotto spirito fa da padrona.

La vena fresca ed acida è bilanciata, giustamente tannico ed elegante. L’unico difetto è che lo troviamo leggermente sotto corpo, in bocca scivola un po’ via anche se la persistenza è buona, ma con 12,5% di alcol se lo può permettere. Un vino comunque interessante e gradevole, con un buon rapporto qualità prezzo. Si abbina a primi conditi, selvaggina, carni rosse, ma anche salumi e formaggi stagionati, insomma un vino a tutto pasto che vi consigliamo di degustare stappando la bottiglia almeno mezz’oretta prima.

LA VINIFICAZIONE
Il vino Colline Novaresi Doc Spanna Santo Stefano è prodotto con uve Spanna per il 90% e per il restante 10% con Vespolina e Uva Rara. Le uve spanna altro non sono che uve nebbiolo. Il nome spanna, in questa zona, deriva dalla lunghezza della potatura che veniva effettuata nella zona, lunga appunto una spanna. Dopo una breve macerazione, per esaltare i profumi varietali dell’uva, il vino Colline Novaresi Doc Spanna Santo Stefano prodotto dall’azienda vinicola Zanetta viene affinato prima in grandi botti di rovere per circa un anno e quindi in bottiglia per nove mesi. L’azienda Zanetta nasce nel 1940 ed è attualmente gestita dalla seconda generazione. Si trova a Sizzano, nel cuore delle terre coltivate a Nebbiolo. Con un complesso produttivo di 4000 mq, è specializzata nella coltivazione e vinificazione di uve Nebbiolo, Vespolina, Croatina, Uva Rara.

Prezzo pieno: 5,95 euro
Acquistato presso: Famila

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Vini al supermercato

Lambrusco Rosè Lini 910, Lini Oreste e figli Srl

(5 / 5) Non può che attirare l’attenzione un’etichetta così curiosa sullo scaffale del supermercato. Obiettivo centrato nella forma e soprattutto nella sostanza quello della cantina Lini 910, con il suo Lambrusco Rosè.

Un prodotto fresco e moderno, adatto a un utilizzo quotidiano, eppure allo stesso tempo tutt’altro che convenzionale. Vino da tavola sì, insomma, ma con una marcia (o due) in più. Ottimo anche nel rapporto qualità prezzo.

LA DEGUSTAZIONE
Il Lambrusco Rosè Lini910 sorprende, di fatto, non appena versato nel calice. Prima operazione: dimenticarsi la “spuma” corposa di certi conventional Lambrusco, per fare spazio a una più volatile ed evanescente, che sparisce in fretta.

Mentre sotto prende corpo quello che pare l’incrocio, sulla tavolozza di un pittore, tra un rosa cerasuolo e le tinte tipiche del sidro di mela. Ed è proprio alla mela il richiamo più marcato che giunge al naso. Polpa di mela matura, unita a sentori di amarena e fiori di rosa. Speculare la percezione al palato, che anticipa un finale acidulo e rinfrescante.

Il Lambrusco Rosè Lini 910 accompagna la tavola di tutti i giorni e, più pretenziosamente, piatti a base di pesce o carni bianche, nonché pietanze a base di verdure cotte. Da provare con i primi della tradizione emiliana, come le lasagne alla Bolognese.

LA VINIFICAZIONE
Si tratta del blend tra uve Salamino (80%) e Sorbara (20%), vinificate mediante breve contatto con le bucce, sino a ottenere la tonalità voluta. La rifermentazione avviene in autoclave, per un periodo di 3 mesi, a temperatura controllata. Un procedimento utile a ottenere una “bollicina fine, migliorandone la digeribilità”.

Un Lambrusco, insomma, trattato alla stregua del Prosecco da una cantina, la Lini Oreste e figli Srl, sorta a Correggio (Reggio Emilia) nel 1910 e ancora oggi sulla cresta dell’onda, grazie a un profondo percorso di restyling del marchio e delle caratteristiche di un Lambrusco alla portata del consumatore moderno. Un vero e proprio unconventional Lambrusco.

Prezzo: 3,95 euro
Acquistato presso: Conad

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Analisi e Tendenze Vino

Gdo e Horeca, nemici per la pelle nel nome del vino?

Oggi vi racconto una storia, purtroppo vera. Stavo imboccando l’Autostrada, ieri mattina, dirigendomi da Milano verso il Piemonte. “Caro Bortone…”. E’ l’incipit, falsamente cordiale, di un messaggio ricevuto su Facebook da un operatore Horeca, conosciuto nei mesi scorsi in occasione di una manifestazione organizzata in un hotel milanese dall’associazione Go Wine.

“Quando pubblico (su Facebook, ndr) recensioni o fotografie di vini presso i miei clienti è pacifico che sono io che li propongo e loro ce l’hanno in carta. Ho clienti e produttori che, oltre al sottoscritto e al suo entourage, sono allergici alla Gdo. La tengo negli amici, ma cerchi di trattenersi dal proporre vini da Gdo e soprattutto in contesti legati a ristoranti citati in tag”.

Facciamo un passo indietro, sorvolando sulle infantili implicazioni del messaggio. Nei giorni scorsi, questo operatore Horeca (che, ricordiamo, è l’acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café e riguarda la distribuzione diretta di prodotti in contesti alternativi alla grande distribuzione organizzata, come hotel, ristoranti, catering e bar-caffetterie) pubblica la foto di un vino dell’Oltrepò Pavese, in un ristorante.

Oltre al “like”, decido ci commentare, suggerendo al soggetto in questione di provare il Bonarda fermo dell’Oltrepò Pavese dell’azienda agricola vitivinicola Bagnoli, una perla in un territorio pressoché vocato ai grandi numeri. Tale produttore non opera nella Gdo, bensì in contesti di alta ristorazione e gastronomia.

Volevo suggerire, in sostanza, un assaggio di qualità. Vinialsupermercato.it, del resto, si occupa anche di questo, grazie alla sezione “Vigne d’Italia”: oltre alle recensioni dei vini “da supermercato”, nostro “core business“, siamo sempre a caccia di realtà che – a prescindere dalla distribuzione o meno nei canali gdo – offrano prodotti da non perdersi.

IL BONARDA DELLA DISCORDIA

Al di là della scarsa vena social, è la “violenza” del contenuto del messaggio ricevuto dall’operatore Horeca che mi ha lasciato di stucco.  Portandomi oggi a questa riflessione: Gdo e Horeca sono davvero così lontane?

O, per lo meno: lo sono ancora? Si può davvero “essere allergici” alla Gdo, lavorando in Horeca? Il mondo del vino, fondato a nostro avviso sulla condivisione dei saperi e del gusto, può ammettere tali prese di posizione meramente fondate su un discorso commerciale e di business?

Personalmente ritengo di avere una risposta a queste domande. Se ancora oggi c’è gente “allergica” alla Gdo non è colpa degli antistaminici poco efficaci in commercio. E a proposito di farmacie, credo che certi operatori Horeca, se potessero, si batterebbero per l’eliminazione delle cantine della Gdo, un po’ come la lobby delle case farmaceutiche si sta battendo per i farmaci di fascia C nei supermercati.

Ma si tratta di una minoranza: perché chi ha polso e coscienza del proprio ruolo in Horeca sa benissimo – come ci ha confermato la totalità degli operatori sin ora intervistati – che i due “canali” operano in parallelo, come binari che non si incontrano mai, pur andando (per certi versi) nella stessa direzione: il vino. Insomma: se qualche operatore Horeca starnutisce ancora, nel 2016, al cospetto della Gdo, è un problema tutto suo. Sinceri auguri, di pronta guarigione.

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news ed eventi

Il sommelier online è già realtà in Giappone grazie ad Amazon. E la gdo italiana sta a guardare

Secondo una recente ricerca di mercato Nielsen, gli italiani acquistano su Internet soprattutto “beni durevoli”. Più bassi i livelli raggiunti dai beni di consumo: cosmetici (25%), vino e alcolici (9%), cibo da asporto (6%), prodotti per l’infanzia (6%) e cibi freschi (2%). Non sorprendiamoci, allora, se un giorno Amazon vorrà fornire anche in Italia il servizio “Sommelier on line”, già attivo in Giappone. La compagnia di Jeff Bezos si dimostra ancora una volta all’avanguardia, mettendo a disposizione un professionista del vino che, telefonicamente, supporta i clienti nipponici nella scelta fra le 8 mila bottiglie dell’assortimento virtuale delle “cantine Amazon” in Giappone.

Suggerisce abbinamenti col cibo, ma anche – per esempio – le bollicine migliori da apprezzare per brindare a un evento speciale. Insomma: il sommelier tascabile è ormai realtà. Viene allora da chiedersi come mai, in un Paese come l’Italia – che è sì di santi, poeti e navigatori, ma anche di enologi defunti compianti e giustamente celebrati addirittura da ministri – le catene della grande distribuzione organizzata investano così poco nel vino, preferendo settori come la profumeria e la cosmetica. Sono rare le eccezioni in cui è possibile incontrare un sommelier professionista tra le cantine della gdo.

CHIEDI ALLA CASSIERA
Presente in alcune catene della gdo solo in giorni e orari stabiliti (Esselunga, Carrefour) oppure sostituito da computer che suggeriscono il corretto abbinamento (Coop), una figura qualificata sul mondo del vino farebbe da traino alle vendite. E fornirebbe al Paese intero un’evoluzione della coscienza (e conoscenza) enogastronomica del cliente tipo del supermercato. Una coscienza che, certamente, non può essere retaggio di addetti generici (per non dire delle “cassiere”, pardon “hostess di cassa“) del reparto Scatolame – Grocery: quelli a cui, comunemente, si rivolge la clientela italiana della gdo per chiedere consigli sul vino, ricevendo informazioni sommarie che non invogliano certo all’acquisto.

A quando, dunque, un investimento serio sul mondo del vino da parte dei grandi gruppi di supermercati che celebrano appena possibile la propria “italianità” e l’italianità dei prodotti venduti? Fa così paura alla gdo vendere qualche bottiglia in meno di Bonarda o Nero D’Avola a 1,99 euro, in favore d’un paio di bottiglie di vini di qualità? Gli americani, come quelli di Amazon, hanno già risposto. E allora “See you soon in Italy, sommelier online”. La gdo ti aspetta, al contrario.

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news ed eventi

Toscana, il Consorzio Cortona Doc cresce e si presenta al Buy Wine

Sarà presente anche il Consorzio Vini Cortona alla quarta edizione di Buy Wine, il workshop B2B, organizzato dall’Agenzia regionale Toscana Promozione per favorire l’incontro tra la Toscana del vino e il trade internazionale, che si tiene ogni anno a febbraio. Il 13 febbraio, presso lo Star Hotel Michelangelo di Firenze, undici aziende della Cortona Doc avranno modo di incontrare da vicino i 240 buyer stranieri tra importatori, distributori, Gdo e HoReCa, provenienti da mercati storici, ma anche da piazze nuove, per un totale di 36 paesi rappresentati. Tra questi un ruolo importante è giocato da Stati Uniti (44), Canada (39), Cina (25), Brasile (12), Australia (12), Giappone (11), Danimarca (10), Germania (8), Corea del Sud (7) e Messico (7) che, complessivamente, rappresentano oltre il 72.9% dei buyer internazionali partecipanti.

Oltre agli operatori saranno presenti anche circa 150 giornalisti della stampa di settore, anche in questo caso provenienti da tutto il mondo. “Un’occasione importante per una realtà come quella di Cortona – spiega Marco Giannoni, presidente del Consorzio (nella foto sopra) – perché ci permette in una sola occasione di poter presentare la nostra denominazione e il nostro territorio a centinaia di operatori di vari mercati internazionali e proprio promuovere l’internazionalizzazione è uno degli obiettivi di questo consorzio”. A presentare i vini sarà la miglior sommelier d’Italia della Fisar, Anna Cardin, per tutto il giorno di sabato impegnata presso il desk del Consorzio.

UN WORKSHOP NEL TERRITORIO
Dalla giornata di domenica 14 febbraio, 35 operatori in rappresentanza dei principali Paesi del mondo, saranno a Cortona partendo proprio da uno dei simboli della storia del borgo toscano in provincia di Arezzo, il Museo dell’accademia etrusca e della città (Maec). Proprio qui, dopo una visita del museo, potranno degustare i prodotti tipici accompagnati dai vini del territorio nella suggestiva Sala della Roccia. Nel pomeriggio la delegazione sarà divisa in piccoli gruppi che visiteranno alcune aziende vitivinicole. La giornata si concluderà con una cena tradizionale dopo la quale gli operatori avranno modo di soggiornare in alcuni agriturismi di Cortona. Il tour proseguirà il 15 febbraio con la visita ad altre aziende del territorio.

IL NUMERI DEL CORTONA DOC
Il vino a Cortona rappresenta sempre di più un importante indotto economico. Dalla creazione della Cortona Doc le aziende si sono moltiplicate di anno in anno e il settore ha richiamato numerosi investimenti. Attualmente vengono prodotte in media oltre un milione di bottiglie all’anno, mentre il valore economico, con un fatturato medio che supera i 3 milioni di euro. Oltre 500 sono gli addetti ai lavori coinvolti, senza contare l’indotto (tra turismo e aziende artigiane) che rappresenta per questo borgo

toscano. A livello di mercati nel 2015 la bilancia è protesa verso l’estero per il 60% circa. Usa, Nord Europa sono i principali mercati, ma sono in crescita il Canada, Brasile, Cina e Giappone. La restante fetta percentuale va in Italia, Toscana, Lombardia e Lazio in particolare.

IL CONSORZIO CORTONA DOC
Costituito nella primavera del 2000, è il Consorzio che svolge la funzione di controllo e tutela dei vini a Doc Cortona e ne diffonde la conoscenza con un’efficace attività culturale, divulgativa e promozionale. Protegge l’immagine ed il prestigio della denominazione con continui controlli di qualità e intraprende iniziative di carattere culturale tendenti a far conoscere nel mondo Cortona, il suo territorio ed i suoi vini. Attualmente le aziende consociate sono ventinove e rappresentano la quasi totalità dei produttori.

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Vini al supermercato

Amante Rosso Igt Veronese: Ca’ del Sette caccia il distributore e ritira il prodotto dai supermercati Famila

(4 / 5) Avere l’amante è un rischio, si sa. Si potrebbe essere scoperti. Ed è miseramente finita la relazione tra il vino Amante Rosso Igt Veronese prodotto dalle cantine Ca’ del Sette e la grande distribuzione organizzata. Vittima di uno scellerato distributore che ha venduto alla Gdo una partita di questo vino a un prezzo “stracciato”, mettendo a rischio l’immagine di quello che non è certamente un vino da svendere. Ottimo il fiuto del buyer. E ottimo anche il nostro, che siamo riusciti ad accaparrarcelo prima che sparisca dalla vendita nel canale supermercati. La decisione della Cantina Ca’ del Sette di non commercializzare più Amante Rosso Veronese Igt è stata presa proprio a seguito di questa scoperta.

Il nome peccaminoso ed allusivo folgora come un colpo di fulmine. Se parliamo di amante le allusioni fioccano, gli scheletri nell’armadio pure, in qualche caso. Avranno voluto essere allusivi anche quelli del marketing delle Cantine Ca’ del Sette? La prima allusione riguarda tuttavia l’etichetta, che tra l’altro ricorda quella di un Amarone.

Di colore rosso con riflessi violacei, il vino Amante Rosso Veronese Igt Ca’ del Sette si presenta al naso con una complessità interessante. Inizialmente un aroma intenso di ciliegia e frutti rossi maturi, poi sentori erbacei seguiti da note speziate, un mix davvero invitante e non banale. Nel calice è corposo, denso, 13,5% di alcol in volume che potrebbero dare alla testa, come un amante di tutto rispetto. Al gusto è caldo, il tannino è calibrato ed avvolgente, vellutato e con un finale persistente. Consigliamo di aprirlo almeno mezzora prima di consumarlo, perché in grado di evolversi in positivo.

Il retrogusto di ciliegia e cioccolato indicato in etichetta è concreto, noi lo percepiamo come il sapore di ovetto al cioccolato con sorpresa, senza fare nomi. E sorpresa è stata con questo vino: sicuramente l’armonia, la dolcezza data dall’alcolicità, la morbidezza di questo vino che ricorda l’Amarone e anche un po’ il Ripasso. Si abbina a carni bianche e rosse, selvaggina e formaggi freschi e stagionati. Maliziosamente perfetto anche per il San Valentino in arrivo. Il tema della “tresca” curiosamente ritorna anche nel sistema di vinificazione. Abbiamo scoperto che è frutto di ben tre vinificazioni distinte.

LA VINIFICAZIONE
Il vino Amante Rosso Igt Veronese Ca’ del Sette è infatti prodotto con un blend di uve Merlot per il 60%, Cabernet Sauvignon 30% e Corvina 10 %, sottoposte prima ad appassimento in vigna. La prima vinificazione interessa il Merlot, la seconda il Cabernet Sauvignon e infine alla terza, che interessa il Corvina, viene aggiunto il vino ottenuto dalla prime due, in seguito sottoposto ad affinamento di quattro mesi in acciaio. La vinicola Ca’ del Sette si trova a Gambellara, in provincia di Vicenza. Oggi è gestita da Matteo Pontalto e da Elisa Dian, che ha ereditato dalla nonna l’amore per il vino. L’azienda, pur avendo radici nell’800, è nata negli anni 50 dalla passione di una donna, la nonna di Elisa Dian appunto.

Una enologa donna in quegli anni, quando le donne avevano da poco ottenuto il diritto di voto, si può considerare una figura all’avanguardia. Questa avanguardia è portata avanti dalla nuova generazione, che oggi gestisce una cantina moderna attrezzata con le migliori tecnologie, un laboratorio chimico interno che segue tutte le fasi di produzione e anche un’azienda proiettata al futuro e a cogliere le nuove opportunità di mercati come quello asiatico, grazie all’apertura di un punto vendita a Hebei, in Cina. “Il piacere non si può spiegare a parole, noi ci siamo riusciti con il gusto”, cita il loro claim. E siamo concordi. Non ci resta che andare alla ricerca degli altri due prodotti attualmente in vendita in  gdo, “Bacca del Merlo”, vino bianco, e “Stranero”, vino rosso prodotto col medesimo uvaggio dell’Amante. Sperando nel cosiddetto ritorno di fiamma.

Prezzo pieno: 5,99 euro
Acquistato presso: Famila

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Cantine news news ed eventi

Berlucchi e la Franciacorta: tuffo nelle bollicine di Corte Franca

Ci sono parole che raccontano da sole più di un libro intero. E altre che è meglio non usare più. Negli ultimi vent’anni, la Franciacorta sta scrivendo pagine importanti dell’enologia italiana. Un successo tanto grande da permettere a qualcuno di spingersi anche un po’ più in là del proprio “naso”. Nel territorio del lessico e della grammatica.

Dei sinonimi e dei contrari. Giovanni Felini, sommelier Ais del servizio Accoglienza e Ospitalità di Berlucchi, riceve il gruppo di visitatori del sabato mattina con la scioltezza del Cicerone navigato. A nessuno verrebbe in mente di pensare che è reduce da un concerto heavy metal. Ma a 37 anni non si dicono più bugie ed è lui stesso ad ammetterlo, per rompere il ghiaccio. In azienda dal 2005, sa come tenere gli occhi incollati a sé.

Con la gestualità tipica di chi ama quello che racconta. Perché ce l’ha dentro. Bollicine miste a sangue, nelle vene. Attenti, però, a parlare con lui di “spumante” Berlucchi. Nella casa del fondatore Guido, la parola d’ordine – ed ecco la magia del vino che scrive vocaboli nuovi sui dizionari – è “Franciacorta”.

“Un territorio – spiega Giovanni Felini (nella foto a destra) – che si sta muovendo negli ultimi 55 anni con la sicurezza della qualità. Un prodotto che non vuole essere una succursale di qualche altra zona che produce Metodo Classico, bensì un’entità propria, a sé stante. E’ un’identità vera, che dev’essere assolutamente contraddistinta. La Franciacorta sta facendo passi da gigante, passi veri. Sta portando benefici a un territorio dalla vocazione agricola in maniera sostenibile. Presto arriveremo a percentuali di vigneti a conduzione sostenibile e biologica tra le più alte d’Europa. Una grande qualità che si sta concentrando attorno a una grande personalità: quando bevete un Franciacorta non bevete un Metodo Classico o uno spumante, o qualcosa che dev’essere necessariamente paragonato a produzioni simili. Bevete Franciacorta, punto. Un prodotto di qualità certa e comprovata, fiero della propria etichetta”.ù

Dire Franciacorta significa, insomma, raccontare la storia di un territorio unico al mondo, dotato di un “terroir magico”, per dirla con le parole di Felini. “Chardonnay e Pinot Nero – spiega al principio del tour alla Berlucchi – vengono prodotti in tutto il mondo. Come in tutto il mondo esistono ottimi enologi. La vera peculiarità della Franciacorta è il terroir, ovvero quel limbo di terra, ora coltivato a vite, tra il ‘nulla’ della Pianura Padana a sud e la zona montagnosa a nord, dove un tempo esisteva un enorme ghiacciaio, poi ritiratosi, lasciando al terreno caratteristiche uniche. L’ago della bilancia in questa zona è costituito dal lago d’Iseo, che grazie a particolari correnti ascensionali provenienti dalla Valcamonica soffia su questa zona aria che regala benefici unici alla vite”.

LA STORIA DI UN MITO
In Franciacorta, territorio che comprende 19 Comuni tra cui una fetta di territorio della città di Brescia, i vigneti hanno caratteristiche ben precise. La vite viene allevata a cordone speronato o guyot. Le piante sono una accanto all’altra, in modo da costringere le radici a spingersi verso il fondo del terreno, fino a 20-25 metri di profondità, alla ricerca di nutrimento. Si chiama “competizione radicale”.

Alla Berlucchi, in particolare, le uve vengono raccolte in cassette da 18 chilogrammi, per evitare che la pressione di un grappolo sull’altro crei fermentazioni spontanee. La resa per ettaro è di circa 9.500 chilogrammi, per un sesto d’impianto di 10 mila piante per ettaro. All’avanguardia la tecnologia nelle cantine Berlucchi. Il passaggio che fa la differenza è la pressatura, eseguita con moderne presse chiamate Coquard, simili ad un “torchio ribaltato”.

“La pressione avviene da destra verso sinistra – spiega Giovanni Felini – causando la caduta per gravità del mosto. Il 35% costituirà il mosto fiore A, che andrà a costituire la base per le nostre riserve e millesimati e a discendere fino alle basi. Nel secondo frazionamento avremo un massimo del 60% per il mosto fiore B, utilizzato per millesimati e basi. Segue la fase di fermentazione, prevalentemente in acciaio e soltanto un 3-4% del totale in legno vecchio, oltre al quarto passaggio. La scelta dell’acciaio è scontata, in quanto si tratta di un materiale che lascia intatte le proprietà organolettiche, esaltando in questo modo le differenze e le sfumature tra zone diverse appartenenti allo stesso terroir Franciacorta”.

Giovanni Felini guida poi il gruppo nella “cantina vecchia”, dove viene tracciata la storia della Berlucchi. Tutto comincia negli anni Cinquanta, quando Guido Berlucchi, proprietario di 9 ettari di terreni vitati a bacca bianca, decide di chiedere la collaborazione di un giovane enologo, Franco Ziliani, per offrire maggiore stabilità alla produzione.

Il maggiordomo mi scortò nel salotto di Palazzo Lana Berlucchi. Le note di “Georgia on my mind” vibravano nell’aria: Guido Berlucchi era al pianoforte. Rimasi incantato dall’eleganza della sua figura, dalla maestria con cui le sue mani accarezzavano i tasti. Volsi lo sguardo ai muri secolari, ai ritratti di famiglia; notai gli arredi preziosi. Tutto emanava raffinatezza non ostentata. Berlucchi richiuse il piano, mi salutò con calore e iniziò a interrogare me, giovane enologo, sugli accorgimenti per migliorare quel suo vino bianco poco stabile. Risposi senza esitazione alle sue domande, e nel salutarlo osai: “E se facessimo anche uno spumante alla maniera dei francesi?”. (Franco Ziliani)

Nasce così il Pinot del Castello, poi divenuto il Pinot di Franciacorta Guido Berlucchi. Nel 1968 il riconoscimento della Doc, sostenuta da numeri che testimoniano una crescita impressionante. Nel 1961 le bottiglie prodotte in Franciacorta non superavano le 3 mila unità.

Cifra oggi lievitata a 16 milioni, su un totale di 37-38 milioni di Metodo Classico in Italia. Un cammino che porta nel 1990 alla nascita del Consorzio, che cinque anni più tardi, nel 1995, battezza la neonata Docg Franciacorta. L’espressione di questo territorio a firma di Berlucchi è legato – oltre alla sottozona del terroir – soprattutto al grado zuccherino, volutamente dosato al minimo degli standard.

“Per il Brut, per esempio – spiega Giovanni Felini – sono consentiti da 6 a 15 grammi per litro di zuccheri. Berlucchi si attesta alla base, 5,5-6 g/l. Zero grammi per i Pas Dosè, 3 per l’Extra Brut, 12 per gli Extra Dry e 40 per i Demi Sec, nonostante il limite di 50 g/l. Accompagniamo questo sciroppo con pochissime dosi di vini maturati in barrique”.

BERLUCCHI IN GDO

Un tratto distintivo che caratterizza Berlucchi anche in grande distribuzione organizzata, ovvero nella linea di prodotti acquistabili al supermercato. Una gdo di cui il colosso di Corte Franca si ‘serve’, sfruttandola come “volano” per il top di gamma. “Il rischio di lavorare con la grande distribuzione – ammette Giovanni Felini – è quello di abbassare la percezione di qualità.

L’opposto, ovvero la grande qualità della gdo, è quella di essere capillare, arrivando direttamente all’interno di una famiglia. La nostra azienda si suddivide in quattro linee di produzione. Quella ‘base’ è destinata ai supermercati ed è denominata Cuvée Imperiale: troviamo Brut, Max Rosè, Demi Sec e Vintage millesimato. Ci presentiamo dunque alla gdo con una qualità vera”.

“Immaginiamo – continua il responsabile Accoglienza e Ospitalità di Berlucchi – di andare in una cantina e di scoprire la perla rara, la grande riserva, di cui si producono solamente cento bottiglie. Ovvio che quella bottiglia sarà perfetta, ma quello che dà veramente carattere e sicuramente dà importanza a un’azienda è la base. Se noi dovessimo sbagliare una produzione come la Cuvée Imperiale, sbaglieremmo il 60% di quello che produciamo, con ricadute certe sul 60% del fatturato dell’intera azienda”.

Dare dunque il meglio nella produzione del prodotto base, destinato ai supermercati, risulta per noi il primo incentivo per arrivare in modo credibile nelle case dei consumatori, invogliandoli al contempo ad avvicinarsi al resto della gamma, verso l’alto. Se la persona si lega al prodotto base, di per sé dall’ottimo rapporto qualità prezzo, si affeziona al brand e sarà in grado, una volta sperimentati gli altri nostri prodotti, di confermare certamente la grande validità della stessa Cuvée Imperiale”.

Riguardo al prezzo, Felini ammette che “il posizionamento si sta rivalutando negli ultimi anni”, per via del successo crescente della Docg. “Ad oggi – precisa – vendiamo il Metodo Classico di riferimento al prezzo più basso, che però stiamo cercando di aumentare dal momento che siamo nati in Franciacorta e abbiamo messo la Franciacorta in etichetta. Oggi il listino della Gdo corrisponde ai volumi delle singole catene, con relativa scontistica legata al giro d’affari”.

Sono 4 milioni e 200 mila le bottiglie Berlucchi che ogni anno finiscono nei calici dei consumatori. La parte del leone spetta ovviamente alla Cuvée Imperiale, con 2 milioni e mezzo di bottiglie. Le restanti sono suddivise tra le linee ’61, Cellarius e Palazzo Lana.

Quest’ultima definita in pochissime migliaia di bottiglie e solo nelle annate eccezionali. Un giro d’affari che per il 90% resta tra i confini italiani, considerato che fuori dall’Italia non viene spedita la Cuvée imperiale.

L’ERBA DEL VICINO
Da attento osservatore delle dinamiche italiane, Giovanni Felini si spinge a fornirci la propria visione sulle dinamiche di un territorio vicino, l’Oltrepò Pavese, che a differenza della Franciacorta fatica a trovare spazio e rilevanza nazionale.

“Da consumatore – spiega – ritengo che l’Oltrepò Pavese non riesca a emergere per una questione culturale. Sono sempre stati legati a un vino di massa, o comunque a un vino di consumo di massa e di basso profilo. Per loro emergere significa spolverarsi da dosso questo aspetto. Un po’ come fare la ristrutturazione di una casa: diventa più bella, ma perde il fascino antico. Ora: meglio la funzionalità o il fascino? Sarebbe perfetto ricostruirla rendendo questo fascino più funzionale. L’Oltrepò Pavese si contraddistingue tuttavia anche per grandi produzioni di Pinot Nero in purezza. Quello che dovrebbero fare è essere un po’ meno tosti, un po’ meno cocciuti e collaborativi. Tra di loro, innanzitutto”. Un consiglio che sarà considerato dalle parti di Pavia?

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De Novo Calepino Igt Bergamasca: la triste storia del novello rimasto sugli scaffali del supermecato

Peggio del vino in brik. Peggio del vino “da discount”. Peggio che…peggio non si può. Non s’era mai visto un prezzo così, al supermercato, per un vino in bottiglia di vetro. Il “record” spetta (suo malgrado) al De Novo Calepino Igt della Bergamasca, vino novello dell’azienda vitivinicola Il Calepino di Marco Plebani. Certamente a insaputa della casa produttrice di Castelli Calepio, in provincia di Bergamo, il novello in questione è stato posto in promozione smaltimento dalla catena di supermercati Gigante al prezzo di 0,90 euro. Novanta centesimi. Il prezzo della bottiglia non varierà fino al 9 marzo 2016, quando le scorte di De Novo Calepino rimaste nei punti vendita dovrebbero essere ormai terminate, grazie alla spinta della super offerta shock. Si tratta dell’esempio lampante di come agisca la Gdo nei confronti del vino che intenda “smaltire”. Nelle scorse settimane, lo stesso novello bergamasco era in promozione al 50%, rispetto al prezzo pieno di 4,99 euro col quale è stato posizionato sugli scaffali a partire dal 30 ottobre scorso, come previsto per legge per i vini novelli 2015. Troppo poco, evidentemente, per “fare fuori” (è il caso di dirlo) il novello più costoso dell’intero assortimento.

E così, dagli uffici di Bresso dell’azienda milanese che dal 1972 opera nella grande distribuzione organizzata, si è deciso per una vera e propria “decapitazione”: 90 centesimi. L’iniezione letale, per dirla all’americana. Del resto, il novello (italiano) è un vino di pronta, prontissima beva. Da consumare in autunno. O, al massimo, nei successivi 6 mesi dall’inizio della commercializzazione. E possiamo assicurarvi che la regola vale anche per il Novo Calepio Igt Bergamasca dell’azienda vitivinicola Il Calepino, che non supera la nostra prova di degustazione per un letterale (nonché fisiologico) inasprirsi dei toni del blend tra Marzemino e Merlot, ricetta di successo che la casa di Castelli Calepio porta avanti da ormai trent’anni. Al di là dello shock emozionale, va detto che il prezzo praticato dalla catena Il Gigante per smaltire la scorta di novelli è in linea con l’andamento del mercato di questa tipologia di vini. Che nell’arco degli ultimi dieci anni risulta in vera e propria caduta libera. Così come la produzione.

Secondo i dati forniti da Assoenologi, fino al 2005 venivano prodotte in Italia 17 milioni di bottiglie di vino novello, contro i 3-4 milioni del 2015. Un dato che scende a 2 milioni, secondo il report di Coldiretti. Un vino, insomma, che non va più di moda, anche se segna tuttora un momento di festa per molte cantine, al termine della vendemmia. Ecco, dunque, perché il povero vino novello De Novo Calepino ha dovuto subito una tale onta. Lui che – siamo certi – sarebbe finito volentieri prima in un carrello della spesa. E poi sulla tavola di qualche cliente, già a ottobre dello scorso anno. Ad accompagnare, oh sì, un piatto fumante di caldarroste.

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