Categorie
Food Lifestyle & Travel

Cosa sappiamo dell’olio di oliva italiano? Ce lo spiega uno svedese: Mattias Bråhammar

FacebookLinkedInWhatsAppCopy LinkEmailXShare

Olio di oliva italiano. Si fa presto a dirlo, ma la tematica è vasta e necessita approfondimenti. Negli ultimi anni, anche in seguito a scandali e frodi balzate agli onori delle cronache, si parla sempre più di tutela del consumatore e attenzione alla qualità dell’olio alimentare. Molti aspetti restano tuttavia oscuri.

Già a fine 2019, Coldiretti denunciava la presenza di ingenti quantitativi di olio straniero in Italia con un aumento del 29% rispetto al dicembre dell’anno precedente.  Un’invasione dettata da quotazioni poco superiori ai 2 euro al chilo, capaci di trascinare verso il basso gli oli di alta qualità italiani (- 40% rispetto al 2018).

Ancora oggi, gli scaffali sono pieni di prodotti ottenuti dalla miscelazione di oli stranieri e nostrani, con etichette che alludono all’italianità e rischiano di trarre in inganno il consumatore meno attento, convinto di acquistare olio Made in Italy.

Più recentemente, al termine della fase 1, Coldiretti ha denunciato anche un crollo dell’80% della richiesta di olio Dop e Igp in Sicilia, con aumento della domanda di oli comunitari o extracomunitari dovuto anche alle minori disponibilità economiche e dall’incertezza generata dal lockdown. Tutti segnali che sulla conoscenza dell’olio c’è ancora molto da fare.

Lo sa bene Mattias Bråhammar (nella foto, sotto), svedese naturalizzato italiano, imprenditore e manager con lunga esperienza internazionale nei campi Media & Retail che si è talmente appassionato all’olio da diventare assaggiatore certificato e proprietario di un “micro-uliveto” alle Cinque Terre.

Una passione che dopo il corso si è tramutata anche in collaborazione con l’Associazione Internazionale Ristoranti dell’Olio (Airo) che sta affiancando sul fronte del business development e della strategia digitale. Il suo “pane” da sempre.

Airo è nata nel 2013 per proseguire il percorso avviato da Marco Mugelli, uno dei più grandi esperti di olio, scomparso nel 2011. La didattica di Airo è stata avviata a San Casciano nel 2015.

Tra il 2017 ed il 2019 è approdata anche in altre città come Firenze, Grosseto, Milano e Venezia, diventando una delle attività principali dell’associazione con oltre 500 corsisti e 150 degustatori ufficiali iscritti all’albo. Punto cardine dei corsi, gli assaggi e lo sviluppo di tecniche di abbinamento in cucina.

Mattias Bråhammar, a che livello è in Italia la conoscenza e cultura dell’olio, intesa come capacità di riconoscere le differenze tra le varie tipologie e le caratteristiche delle varie cultivar?

Detto da uno svedese forse suona presuntuoso, ma trovo che in Italia, per quanto l’olio d’oliva sia un elemento fondamentale ed irrinunciabile in cucina e a tavola, manchi spesso un approccio più analitico e oggettivo.

Sento spesso dire “Ah sì, che bello l’olio! I miei zii lo fanno tutti gli anni a casa loro insieme agli amici di uliveto e noi prendiamo solo il loro olio!”, mentre a parte la qualità effettiva (o persino in sua mancanza) con questo ragionamento si perde proprio l’enorme varietà e moltitudine di oli fantastici che le varie regioni Italiane hanno da offrire.

Quanto sappiamo di ciò che portiamo sulle nostre tavole o utilizziamo in cucina, basandoci esclusivamente su quanto riportato in etichetta? Trova l’etichettatura dell’olio migliorabile?

Purtroppo l’olio al supermercato è un tema sia triste che confuso. L’etichetta spesso ci dice poco o nulla della reale qualità dell’olio che c’è nella bottiglia. Per esempio il livello di acidità di cui si sente spesso parlare, è di fatto un parametro che praticamente tutti gli oli ormai riescono a rispettare.

La cosa che a mio parere spesso manca, o viene descritta in modo poco chiaro sulle etichette, è la vera origine delle olive: ci sono oli “imbottigliati” in Italia ma prodotti con olive extracomunitarie, frante in un altro paese Ue.

È vero che la normativa impone l’indicazione dell’origine del contenuto come ad esempio “Prodotto con olive di paesi Ue”, ma per via di come viene poi sepolta tra altri elementi più in evidenza sull’etichetta, spesso sfugge al consumatore meno attento.

Inoltre, in quanto l’olio d’oliva è un prodotto con un tempo di scadenza piuttosto breve, 12/18 mesi al massimo, per mantenere la qualità originale è sempre fondamentale sapere da quale stagione deriva l’olio. Servirebbero indicazioni come ad esempio “franto a Novembre 2019“.

Quasi sempre, invece, viene solo indicata l’ultima data consigliata di consumazione, che però è completamente a discrezione del produttore. Quindi sì, l’etichetta è decisamente migliorabile. E bisognerebbe aggiungere anche un ampio ventaglio di aspetti qualitativi olfattivi e degustativi, nonché suggerimenti di abbinamento per l’ottimale godimento del piatto cucinato, la parte che sta più a cuore a noi di Airo.

Olio, oggigiorno: prodotto utilitaristico, edonistico o entrambi?

In Italia l’olio d’oliva è senz’altro un prodotto utilitaristico, prima di tutto. Ma sta nascendo un nuovo interesse più approfondito e analitico, un poco come la nuova era di interesse per i vini di qualità vera. Notiamo un interesse crescente, anche da parte di persone non addette del settore.

I nostri corsi per assaggiatori dell’olio si stanno sempre più riempiendo con persone “normali” che, al fianco dei produttori, frantoiani e ristoratori, vogliono scoprire ed imparare ad apprezzare questo curioso e gratificante mondo.

Per quale motivo una persona dovrebbe saper scegliere bene anche l’olio, oltre agli altri alimenti-condimenti?

Un olio scelto ed abbinato correttamente al piatto cucinato può davvero aumentare ed esaltarne la qualità e la percezione degustativa. L’olio d’oliva, oltre ad aggiungere i suoi intrinsechi attributi olfattivi, ha anche la peculiare capacità di assimilare il gusto del cibo con cui viene abbinato, ed aumentarne la percezione. Provare per credere!

Le normative che regolano la produzione dell’olio di oliva a livello europeo, sono relativamente recenti. Sono complete e tutelano realmente il consumatore?

Tutelano il consumatore da un punto di vista della “non pericolosità alimentare” del contenuto, ma purtroppo è praticamente assente, o perlomeno quasi non regolamentato, un approccio oggettivo e trasparente per quanto riguarda la qualità, unicità e tipologia olfattiva e degustativa.

Airo ha creato un metodo didattico e degustativo chiaro e comprensibile per poter imparare ad identificare le varie qualità e attributi singolari di uno specifico olio, il che rende il successivo abbinamento molto più facile, divertente e appagante.

Quali sono i segreti per scegliere un buon olio?

Bisogna cercare di comprendere la reale ed intera filiera produttiva: dove sono cresciute le olive? Dov’è stata fatta la frangitura? E infine dov’è stato fatto l’imbottigliamento ed eventuale blend-miscela, nel caso non si trattasse di una monocultivar.

Molto spesso pensiamo di comprare un “olio extra vergine Italiano”, ma in realtà le olive sono un misto dalla Grecia, Spagna e Nord Africa, frante magari in Spagna e miscelata ed imbottigliata in periferia di Firenze.

Addirittura spesso vengono usati oli chimicamente raffinati, che altrimenti non avrebbero passato il semplice test dell’extra vergine, poi successivamente diluiti e miscelati con poco olio di alta qualità per dare una sensazione di “gusto vero“. Questi oli non possono essere dichiarati “extra vergine” ma solo “olio d’oliva”.

Inoltre, personalmente, guardo anche sempre l’anno di produzione e non la scadenza e scelgo spesso un Dop che, per com’è creato il regolamento, lascia molto meno margine alle furbizie.

C’è una stretta correlazione tra prezzo e qualità?

Assolutamente sì. Produrre un olio di qualità in Italia, rispettando adeguate proporzioni per ottenere un olio di elevato livello, è impossibile se poi viene venduto a 5-6 euro al litro. Semplicemente non ci si sta dentro con i costi di produzione. Quindi, se cerchiamo un olio di qualità, qualche domanda bisogna sempre farsela quando abbiamo in mano una bottiglia di basso prezzo.

Ci sono cultivar più pregiate?

L’Italia è il paese nel mondo con la maggiore varietà. Delle circa 1.400 cultivar esistenti, quasi 600 sono italiane. Ad esempio la Spagna, produttore decisamente più grande di Italia in termini quantitativi, ha una manciata di cultivar comunemente usate.

È impossibile dire che una cultivar sia migliore di un’altra: con metodi produttivi corretti e cura della filiera, si possono produrre degli oli straordinari sia al Nord che al Centro o al Sud. Questo è uno dei temi che viene trattato in profondità nei nostri corsi e seminari.

È possibile dire che a parità di prodotto (oliva, semi, evo) e di regione, “uno valga l’altro”, oppure si possono rilevare importanti differenze organolettiche legate a terreno, coltivazione, modalità produttive?

Ogni regione ha le sue “regine”. È una questione sia di cultivar specifiche, sia di ambiente e terreno. Spesso un olio siciliano può avere inflessioni di pomodoro, mentre l’olio toscano viene solitamente descritto con il carciofo, per fare solo due esempi.

Ci sono tipologie di olio regionali che, a prescindere, stanno beneficiando di un marketing indiretto legato ad fattori territoriali e turistici, ovvero del successo di altri prodotti tipici come il vino?

Sì, senz’altro. Ed è anche una questione legata a scelte produttive pregresse. Alcune regioni hanno in passato puntato più sulla quantità che sulla qualità, con qualche eccezione di punta. Questo ha avuto un impatto sia sui metodi di produzione che sulla cultura e la percezione di qualità tra i produttori stessi.

Come Airo stiamo lavorando attivamente con produttori ed enti locali per cambiare questo trend, virando più verso eccellenza, qualità e unicità. Pensiamo che sia la strada giusta anche per i produttori in quanto questo traguardo posiziona l’olio più in alto con conseguenti benefici in termini sia di marketing che prezzo e margine.

Esiste in Italia il turismo dell’olio di oliva?

Sta cominciando, ma sentiamo anche interesse dall’estero. Ad esempio i paesi del nord Europa hanno sempre di più un approccio orientato verso la comprensione e l’approfondimento di come viene realizzato un prodotto di punta.

È un trend che ha già coinvolto il vino nell’ultimo ventennio, ma che adesso si sta aprendo anche verso il mondo dell’olio. Quindi abbiamo il nostro compito ben inquadrato.

Categorie
a tutto volume visite in cantina

Marzadro: identità territoriale e futuro della Grappa Trentina

Trento Doc, Vermut Altolago, Amaro Marzadro. Si apre così la nostra visita alla Distilleria Marzadro, a Nogaredo (TN). Un twist sullo “Sbagliato” a base di prodotti del territorio. A proporlo è il bartender Leonardo Veronesi (del Rivabar di Riva del Garda) che collabora con Marzadro proprio per sdoganare la Grappa, prodotto regina della distilleria, in mixology.

L’approccio è chiaro: proporre la grappa in miscelazione per introdurla al consumo in purezza. Strizzare l’occhio al bere mescolato sia per volumi sia come veicolo per rendere il brand riconoscibile ed evolvere il consumatore verso il consumo in purezza.

Questo perché il competitor non è più il vicino di casa, grappaiolo pure lui. La concorrenza oggi sono gli altri grandi distillati, come Whisky, Cognac e Rum, tanto quanto i sempre più presenti Gin e Botanical Spirit.

Lavorare quindi sulle potenzialità della grappa come ingrediente, senza quindi sviluppare un prodotto apposito come invece hanno fatto altre aziende. Drink a base grappa che divengono accompagnamento a piatti gourmet. Abbinamento cibo-cocktail che trova qui un’ulteriore sdoganamento.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Alle spalle c’è la storia e la tradizione di un’azienda nata sul finire degli anni ’40 per volere dei fratelli Sabina ed Attilio Marzadro e cresciuta nel tempo fino all’avvio dell’attuale stabilimento nel 2004. Sempre sotto il segno della qualità.

Otto alambicchi a bagnomaria . Gestione separata delle vinacce e degli sgrondi. Circa 50.000 quintali di vinacce lavorate ogni anno, tutte da viticoltura trentina. Periodo di distillazione di circa 100 giorni all’anno per poter lavorare la materia prima a breve distanza di tempo da vendemmie e vinificazioni. 27 milioni di bottiglie/anno suddivise in oltre 70 etichette differenti.

Numeri di quella che è, ad oggi, “un’azienda grande fra le piccole” come sottolineano gli eredi di casa Marzadro Alessandro e Stefano.

LA DISTILLERIA
Entrare nella distilleria significa entrare in un edificio appositamente pensato e realizzato per fare la grappa e comunicarla al consumatore. Un edifico che punta all’ecosostenibilità ed all’integrazione col territorio finanche al tetto, ricoperto da un manto vegetale.

Già dall’esterno si ha un immediato senso di accoglienza dato dall’assenza di una recinzione che divida dalla strada antistante. Colori tenui e le grandi vetrate del punto vendita che invitano a fermarsi anche solo per curiosare.

All’interno risulta chiaro come la parte operativa-produttiva e la parte da “enoturismo” condividano gli spazi senza intralciarsi vicendevolmente.

La sala di distillazione, il sancta sanctorum dell’impianto, è attorniata da un corridoio che permette ad eventuali visitatori di osservare le varie fasi senza disturbare.

Ma dietro a questo studio estetico-funzionale c’è tutta l’esperienza e la ricerca della qualità delle generazioni della famiglia Marzadro. Alambicchi in rame “a bagnomaria” per ottenere distillazioni più pulite rispetto ai tradizionali “cestelli”. Due batterie di sistema alambicco-colonna che convergono su due contatori piombati per ragioni fiscali (l’equivalente dei “spirit safe” scozzesi). Oltre 2400 sigilli daziali a garantire l’incolumità della produzione.

Ma nonostante la tecnologia e gli automatismi la distillazione è ancora, in parte, un gioco di sensibilità. Il sapere si tramanda ancora oggi con la nuova generazione che lavora a fianco della precedente.

LA BOTTAIA
1000 Kg di vinaccia, lavorati per circa 4 ore, danno origine a circa 60 litri di grappa. Grappa bianca che in alcuni casi verrà invecchiata. La bottaia trasmette lo stesso “concept” architettonico della produzione: convivenza fra lavoro e visita, fra esigenze tecniche e turismo.

Se le botti sono custodite in depositi sotto sigillo della Guardia di Finanza per ragioni fiscali per il visitatore è comunque possibile osservarle grazie ad un camminamento sopraelevato.

Oltre 3000 botti fra Ciliegio, Acacia, Frassino. Legni di diversa grana e diversa tostatura. Botti ex Porto. Anfore di terracotta. Tutti ingredienti della formula alchemica dell’invecchiamento. Elementi dello stile della Casa.

Materiale e tempo che creano la gamma dei prodotti invecchiati Marzadro, dall’iconica “18 Lune” alla linea “Giare“, finanche alla grappa affinata in anfora.

MADONNA DELLE VITTORIE
Marzadro però non è solo grappa. Da tre anni è stata infatti acquisita Madonna delle Vittorie, una realtà fatta di una cantina ed un frantoio. Siamo ad Arco (TN), punta nord del Lago di Garda.

Lavorazione artigianale delle olive (anche conto terzi, vista la scarsità di frantoi nell’areale), 50% varietà nere 50% varietà verdi, per produrre un olio Garda Dop fragrante, dal colore brillante che alterna dolcezze a note amaricanti e ad una leggere piccantezza.

Teroldego, Rebo, Nosiola, Gewurtraminer, Pinot Bianco, Chardonnay. Filari stretti per creare competizione fra le viti. Circa 40 ettari in conduzione di cui 8 di proprietà. Produzione annua di 150.000 bottiglie. Un Trento Doc fragrante e fruttato ed una linea di vini fermi che, così come l’olio, sembrano cercare una proprio specifica identità.

L’areale del nord Garda è una sottozona molto particolare. Una zona che attutisce le annate molto umide anche grazie ai due venti che soffiano regolari, il Pelér al mattino e l’Ora al pomeriggio. Zona di sbalzi termici. Quasi una goccia di mediterraneo nel nord Italia.

Ma se questa parte di mondo da vita ad un olio la cui qualità è conosciuta e rinomata per i vini l’identità è ancora tutta da scoprire. La Nosiola, unico vitigno autoctono trentino a bacca bianca, da vini ancora sconosciuti ai più così come il Gewurztraminer che qui ha una declinazione differente, meno aromatica e più elegante, rispetto all’areale altoatesino.

Un angolo di Trentino ad oggi forse più noto come località da turismo sportivo (vela, arrampicata e bici le attività principali) che però nasconde in se un piccolo cuore enogastronomico da scoprire.

[URIS id=41032]

Exit mobile version