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Prosecco rosé? Amen!

EDITORIALE – Per cause di forza maggiore, legate a Covid-19, mi trovo in uno sperduto ma accogliente paesino dell’Ungheria, ormai dal 7 marzo 2020. Da qui mi tengo in contatto con l’Italia tra mail, telefonate e degustazioni di vini che stanno arrivando dal Bel paese, complice il lockdown che ha stroncato fiere, viaggi stampa e appuntamenti in agenda. Che c’entra tutto questo con un editoriale che s’intitola “Prosecco rosé? Amen!“? Ve lo spiego subito.

Proprio ieri, a poche ore dalla pubblicazione della notizia del via libera alla modifica al disciplinare che autorizza la versione “rosa” dello spumante veneto-friulano, sono andato a fare la spesa. Nella corsia dei dolci, ho notato qualcosa di mai visto prima: quei geni della Ferrero si sono inventati il Kinder Bueno Coconut, ovvero al cocco!

Dirà qualcuno, di nuovo: che c’entra il Bueno col Prosecco? Mica parliamo di Asti Secco: quello sì, almeno, è piemontese come Ferrero (NB Si informa il Consorzio dell’Asti che nessun testimonial del Moscato d’Asti è stato maltrattato “in anticipo” per la realizzazione di questo editoriale). A mio avviso, tornando al punto, c’è invece una forte correlazione tra il Prosecco e un prodotto come il Kinder Bueno.

Dal momento che il Prosecco – a tasche piene di tutti, anche quelle dei detrattori – si è trasformato da semplice “spumante” a “fenomeno” e poi da “fenomeno” a “sinonimo” di qualsiasi cosa sia “vino con le bollicine“, la nascita della versione rosé sarebbe da considerare un’opportunità ulteriore, più che uno scempio della tradizione.

Restando nel campo largo della semantica, vi invito a porvi una domanda: “Prosecco”, nell’immaginario comune – non in quello dei professoroni del vino – è ormai più sinonimo di “industria” o di “territorio” del vino?

Secondo me, della prima. Un’industria che muove quasi mezzo miliardo di bottiglie all’anno – grazie anche ad investitori esteri, giunti in Veneto dalla Spagna del Cava (leggi Freixenet) non del Corpinnat – ha bisogno di diversificare, specie in un momento di crisi in cui l’avallo della versione rosé cade come manna dal cielo.

Del “fenomeno” Prosecco hanno giovato, giovano e gioveranno tutti. Basti osservare l’esplosione delle “bolle” prodotte con vitigni poco vocati agli sparkling e alla più recente mania dei “col fondo”, anche fuori dagli areali tradizionalmente inclini al pétillant.

Per di più, a giustificare l’istituzionalizzazione del Prosecco rosé all’interno di un contesto industriale, c’è anche la considerazione di tutti i fake che circolano da anni con questo nome in tutto il mondo, o che comunque lo ricordano. Persino Bastianich, testimonial del Made in Italy nel mondo, aveva in carta del “Prosecco Rosé” nel suo ristorante di Milano e come tale ne spingeva le vendite negli Usa.

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Sono dell’idea che regolarizzare la produzione di questa versione e incanalarla nei dettami di una Doc non possa che fare bene a tutti, anche in un’ottica di elevazione della qualità complessiva dei 20 milioni di bottiglie previsti dal Consorzio, se non del prezzo.

La nascita della versione rosé, inoltre, offre una carta vantaggiosissima ai produttori delle Docg, suggellando ancor più le differenze coi cugini di campagna, pardon “di pianura”. Il rosato Doc, da solo, è una carta eccezionale – a livello di comunicazione – per spiegare l’unicità di Conegliano, Valdobbiadene e Asolo. Un po’ come quelle ragazzine che si scelgono l’amica “brutta”, per sembrare (loro) più belle agli occhi dei ragazzi.

Ma il nodo che più fa incazzare chi non ama l’idea del Prosecco Rosé è forse un altro: quello del mancato via libera all’utilizzo del Raboso o del Refosco, come uve a bacca rossa utili a colorare di “rosa” la Glera, in alternativa al Pinot Nero (varietà, non va dimenticato, già a disciplinare con la condizione della vinificazione in bianco).

Torno allora di nuovo al Kinder Bueno, immaginando che Ferrero, al posto dell’internazionalmente riconosciuto “cocco”, avesse deciso di utilizzare – all’interno di una dinamica industriale ed industrializzata che, va ricordato, non riguarda solo la produzione, ma anche la commercializzazione, il marketing e la comunicazione – che so? Dell’ottimo, tradizionalissimo e piemontesissimo Ramassin, il Susino Damaschino del Saluzzese. Mai sentito? Appunto.

Dal momento che “Rabosoir” e “Refoscoir“, che io sappia, non stanno al “Raboso” e al “Refosco” come il “Pinot Nero” sta invece – internazionalmente – al “Pinot Noir“, bene hanno fatto Stefano Zanette & Compagnia Bella a pensare a quel vitigno piuttosto che ad altri, per colorare di rosé il futuro internazionale dell’industria del Prosecco.

Con buona pace di chi, comunque, sarà libero di andare avanti a fare ottimi spumanti impiegando gli altri due vitigni, con lo svantaggio di non poterlo chiamare “Prosecco” (e dunque venderne di più).

Ehi, aspetta un attimo: sarà mica questo il problema, alla faccia del bla, bla, bla sulla tradizione e il territorio? Post scriptum: il Kinder Bueno al cocco è una favola a buon prezzo, al pari di quello col cuore di crema di nocciole. Cin, cin.

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Approfondimenti

Il Progetto Nocciola Italia approda in Valdichiana

AREZZO– Saranno coltivate in Valdichiana le nocciole per Ferrero. Gruppo Ferrero e la cooperativa COAGRIA, che ha sede a Cesa in Valdichiana (Arezzo), grazie alla mediazione di Confagricoltura Toscana, hanno sottoscritto un contratto di lungo periodo con il quale sviluppare una nuova filiera della nocciola su tutto il territorio regionale.

“Ci abbiamo lavorato un anno – commenta il presidente di Confagricoltura Toscana, Marco Neri – e siamo profondamente soddisfatti per la chiusura di questo accordo. Per i nostri imprenditori, che sono esposti a forti rischi, primo fra tutti quello climatico, poter contare su un accordo che garantisca, in ottica di lunga durata, un impegno all’acquisto, è fondamentale per poter programmare gli investimenti e far crescere le proprie aziende.”

“Abbiamo creduto fin da subito in questo progetto e abbiamo trovato in Ferrero, che ringraziamo profondamente, un interlocutore attento e sensibile che ha voluto scommettere sulla qualità dei nostri prodotti e sulle capacità dei nostri imprenditori” conclude Neri.

COAGRIA – che aderisce a Confagricoltura Toscana – riunisce circa 200 imprese agricole, almeno una cinquantina delle quali saranno coinvolte nel progetto con il Gruppo Ferrero. Attualmente alcune di queste hanno già aderito, mettendo a disposizione i primi ettari impiantati a nocciolo.

Gli investimenti saranno sostenuti dalle singole aziende per quanto riguarda gli impianti, mentre sarà COAGRIA a farsi carico di quelli necessari per le attrezzature (ad esempio gli essiccatoi e i mezzi per la raccolta), per lo stoccaggio, e della consulenza agronomica.

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vini#1

Rosso di Montalcino Doc 2014, Ferrero

la vendemmia sotto analisi è la 2014

Il vino oggi sotto la nostra lente di ingrandimento è il frutto dell’amore nato tra Claudia e Pablo in quel di Montalcino, sul finire degli anni 80.

Un rapporto nato tra colleghi, dipendenti di un’azienda del posto, che si è trasformato in un percorso di vita comune. Suggellato da tre figlie, dall’acquisto del podere Pascena e dalla costruzione della loro cantina, nel 2002.

Da allora hanno cominciato la loro produzione di vini di gran pregio, dalla personalità sorprendente, ma fortemente legata alla tradizione.

LA DEGUSTAZIONE
10.149 bottiglie prodotte per questo ottimo Sangiovese in purezza, che al calice esprime un bellissimo rosso rubino con un leggero riflesso violaceo.

Al naso è intenso e complesso con i caratteristici sentori di viola ed amarena cui segue un leggero richiamo morbido di camomilla e, sul finale,  un richiamo più energico di chiodi di garofano.

In bocca esprime la sua personalità: in un perfetto matrimonio tra morbidezze e durezze, la sapidità leggera si accompagna ad un tannino moderato e vellutato. La sensazione pseudocalorica è appagante assieme alla rotondità del vino.

La persistenza al palato richiama dolci ricordi di sottobosco regalando lunghi secondi di piacere prima di riappoggiare le labbra al calice per il sorso successivo. Se si accompagna il tutto con un bel tagliere di formaggi o un maialino arrosto, il quadro si completa.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Sangiovese provenienti dal  vigneto Pascena sito ad un altitudine di 250 metri sul livello del mare su  terreno collinare ricco di argilla a bassa fertilità. La vinificazione avviene in acciaio con fermentazione delle bucce per 9 giorni a temperatura controllata inferiore ai 28°, per poi procedere all’invecchiamento di 12 mesi in botte, acciaio inox e barrique usate.

L’Azienda Agricola Claudia Ferrero si trova nel Podere Pascena, tra Sant’Angelo in Colle e Sant’Angelo in Scalo. Dispone di 5,5 ha di vigneto, di cui 3 a Montalcino  metà  iscritti a Brunello e metà a Rosso di Montalcino e 2,5 a Montenero d’Orcia, a pochi km da Montalcino ma già nella Maremma Toscana nei quali si coltivano Alicante, Montepulciano, Merlot, Cabernet e Sangiovese.

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