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Il mio Dry January? Ho assaggiato i Feral Drinks (barbabietola fermentata) e…

feral drinks assaggio fermentati barbabietola bianca e barbabietola rossa mezzolombardo trentino (1)

EDITORIALE – Nella terra delle mele, il Trentino, prende sempre più largo il progetto Feral Drinks. Vi racconto così il mio “Dry January” – in realtà durato un solo pomeriggio, ma non ditelo al mio nutrizionista – scusa perfetta per assaggiare queste bevande dal packaging giovane e accattivante. Si tratta di due fermentati di barbabietola bianca e due fermentati di barbabietola rossa. Zero alcol, zero bollicine. Feral N° 1, Feral N° 2, Feral N° 3 e Feral N° 4 sono veri e propri “succhi di ortaggio”, nella cui ricetta compaiono a vario titolo diverse piante e spezie. Rispettivamente luppolo e pepe di Szechuan. Zenzero, pimento e bacche di ginepro. Mirtilli selvatici, rovere, pepe nero e timo. Mirtilli selvatici, lavanda e bacche di ginepro. L’azienda ha sede a Mezzolombardo, terra del Teroldego Rotaliano e del Trento Doc. Feral

COSA SONO I FERMENTATI DI BARBABIETOLA E PERCHÉ FANNO BENE

Spulciando sul web, ho scoperto che l’idea Feral può andare ben oltre il Dry January. I fermentati di barbabietola, sia bianca che rossa, sono un alimento salutare e interessante per arricchire la dieta. Grazie alla fermentazione, diventano una fonte naturale di probiotici, che favoriscono la salute intestinale e rafforzano il sistema immunitario. Questo processo aumenta anche la biodisponibilità dei nutrienti, come ferro e magnesio, e riduce i composti antinutrizionali presenti naturalmente nelle barbabietole. La barbabietola rossa, ricca di betalaine, offre potenti proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, oltre a supportare la salute cardiovascolare grazie ai nitrati naturali che aiutano a ridurre la pressione sanguigna. Dry January

La barbabietola bianca, invece, ha un gusto più delicato ma mantiene le stesse proprietà nutritive e probiotiche, rendendola un’alternativa versatile. Preparare i fermentati è semplice e si può fare anche a casa. Basta tagliare le barbabietole, immergerle in una salamoia di acqua e sale e lasciarle fermentare per circa una settimana. Possono essere personalizzate con spezie o erbe per dar loro un tocco di sapore in più. Senza processarle ulteriormente a bevande, sono perfette da consumare come snack, in insalate o come contorno. Ma i medici consigliano di iniziare con piccole quantità, per abituare l’organismo.

FERAL DRINKS: INTERVISTA ALLA FONDATRICE MADDALENA ZANONI

La chiacchierata con la fondatrice di Feral Drinks, Maddalena Zanoni, è servita ad inquadrare ulteriormente un progetto che si è rivelato interessantissimo, dentro e fuori dal calice.

Maddalena Zanoni, sei la fondatrice Feral Drinks. Qual è il tuo percorso?

Sono trentina d’origine, per l’esattezza della Val di Non, ma super esterofila. Dopo un periodo di studi e lavoro a Milano ho lavorato per una grande azienda in Belgio, per poi tornare in Trentino, in mezzo alle montagne. Qui ho fatto un periodo di “stop” in una malga, ritrovando me stessa e le mie passioni, tra cui la cucina, il mondo dei fermentati, ma soprattutto la natura e l’esplorazione! Feral infatti è un prodotto molto esplorativo, sia a livello di concetto sia per i gusti e le ricette che siamo riusciti a creare. Ed anche il nostro target solitamente lo è: gente a cui piace esplorare nuovi orizzonti di gusto, nuove esperienze diverse dall’ordinario, dando valore a un prodotto no alcol ma comunque perfetto per gli abbinamenti gastronomici senza alcun pregiudizio.

Come è nata l’idea Feral Drinks?

L’idea è nata circa due anni e mezzo fa, quando ancora non esisteva una sede, ma solo una storia da raccontare e realizzare. Si è concretizzata poi, mettendo insieme più teste, tra cui botanici, start-up enthusiast e sommelier.

Due drink di barbabietola bianca e due di barbabietola rossa

Esattamente. Le ricette sono tutte pubblicate sul nostro sito. Tutti i prodotti derivano da materie prime umili e sottovalutate come la barbabietola (rossa per i rossi e bianca per i bianchi). Il nostro scopo è proprio quello di nobilitarli grazie ad una fermentazione lattica, attraverso i batteri lattici, e un’infusione di spezie, erbe selvatiche e fiori. Come per esempio la lavanda, le bacche di ginepro, lo zenzero e il peperoncino. Da qui, ognuno dei nostri quattro prodotti ha sviluppato un suo carattere specifico, dedicato ad abbinamenti gastronomici diversi tra loro.

Quali mercati siete riusciti a raggiungere con Feral Drinks?

I mercati attuali sono sicuramente al primo posto l’Italia, subito seguita da tre Paesi principali dove gli acquisti risultano maggiori: Olanda, Belgio, e Germania. Dopo questi seguono Austria, Spagna, ma anche Svizzera e Danimarca. La risposta migliore l’abbiamo dal nord Europa, dove questa cultura è già ampiamente diffusa da più anni che in Italia.

Le materie prime dei drink Feral sono italiane, trentine?

Le nostre materie prime non derivano tutte dal Trentino, ma in futuro uno dei nostri focus sarà sicuramente quello di avvicinarci sempre più a produttori del territorio. Stiamo continuando a fare ricerca a riguardo. Conosciamo in ogni caso molti dei nostri produttori e agricoltori di persona. La barbabietola più vicina a noi è in Germania del sud. Si tratta dell’unico campo che già certificato biologico, reperito quando abbiamo iniziato la nostra ricerca. Lo abbiamo scelto per questo, ma anche per una serie di altri fattori. Li andiamo a trovare quando possiamo. Questo, per noi, è un valore altrettanto importante. Ci piace creare un rapporto con chi ci sta supportando in questo progetto e poterli conoscere per nome.

Da dove deriva il nome Feral?

Feral dall’inglese significa “animale che dalla cattività è tornato al suo stato selvatico, alla libertà”. In Feral, ognuno ha passato un momento che a noi piace chiamare proprio “Momento Feral”. Cambiando vita, prendendo decisioni rischiose e coraggiose, per difendere la nostra libertà e ritrovare un po’ noi stessi. Siamo tutte persone molto diverse tra noi, ma con questa cosa in comune che ci lega fortemente al significato del brand. Ci crediamo davvero molto e ci rappresenta. Io stessa ho preso la decisione di licenziarmi e trovare un’altra dimensione partendo da dove era arrivata, dalle montagne.

LA DEGUSTAZIONE

  • Feral N° 1

Barbabietola bianca fermentata con luppolo e pepe di Szechuan. Al colore, base una torbida base spumante, o uno dei rifermentati tanto in voga nell’ambiente del vini naturali. Al primo naso rivela un’intrigante speziatura, tra il piccante, l’amaro e l’agrumato – che sarebbe meglio definire luppolatura, visto l’ingrediente. Non mancano ricordi di frutta secca come nocciola, note tostate di torrefazione, foglie di tè e cioccolato bianco. Un profilo sorprendentemente complesso, specie se paragonato all’estrema linearità del palato: fresco tanto da poter essere definitivo giustamente citrico, dissetante e speziato.

All’ingresso agrumato e d’un fruttato morbido, che ricorda quasi il litchi, la mela gialla matura e la frutta esotica (note che accompagnano tutto il sorso, sino a chiusura e retro olfattivo), segue un centro bocca moderatamente pepato, avvolto da una vena vanigliata. Una speziatura stuzzicante, che gioca con le reminiscenze luppolate-agrumate, bilanciando la frutta. Bello immaginare Feral N° 1 sulla carne bianca o su un’orata al forno.

Che vino ricorda? La nota fruttata, per certi versi, conduce allo Chardonnay. La componente più dolce del frutto, l’accenno di litchi, a un Moscato più che a un Traminer. Includendo in questo gioco anche quel tocco di spezia, dato dal pepe di Szechuan, ecco che la memoria corre a certi Viognier del lago di Ginevra, in Svizzera. (Vi vedo: non ridete! È un gioco).

  • Feral N° 2

Barbabietola bianca fermentata con zenzero, pimento e bacche di ginepro. Giallo oro, quasi fluorescente. Nessuna bollicina. Al primo naso ricorda insistentemente la noce moscata e i chiodi di garofano, con un tocco dolce di cannella a rendere il tutto più caldo e avvolgente. L’ingresso di bocca è di fatto piuttosto morbido, setoso. Dal centro bocca alla chiusura è però la componente speziata “piccante” a prendere il largo, ricordando più il ginger fresco (zenzero) che il pepe. Il risultato, nel complesso, è a dir poco dissetante. Da immaginare su piatti della cucina indiana, su una zuppa vietnamita o thailandese al curry e latte di cocco, così come sul cioccolato, non troppo amaro.

Che vino ricorda? Nel complesso ha la vena speziata e tendente al dolce di certi Gewurztraminer. Al naso ricorda, per certi versi, alcune componenti verdi del Sauvignon Blanc. Ma bisogna proprio sforzarsi.

  • Feral N° 3

Barbabietola rossa fermentata con mirtilli selvatici, rovere, pepe nero e timo. Alla vista si presenta del tipico colore della barbabietola rossa, frullata. Un rosso sanguigno, impenetrabile alla vista. Al naso ricorda proprio la barbabietola rossa. Cambiano completamente i toni della speziatura, che a differenza di Feral N°1 e Feral N°2 qui risulta mentolata, balsamica, per la presenza del timo (e del rovere). Il sorso non è semplice lettura. Ingresso sul sapore della barbabietola e chiusura su una piccantezza che diventa ancora più evidente nel retro olfattivo. Nulla di insostenibile, sia chiaro.

Ma questo tratto rende Feral N°3 non proprio per tutti i palati. Interessante il fronte dell’abbinamento, dove proprio questa piccantezza gioca un ruolo determinante nella scelta della pietanza. Il consiglio, nel pairing, è quello di scegliere piatti molto saporiti, succulenti, come insaccati affumicati, carni alla brace, ricchi ragù di selvaggina e formaggi di buona stagionatura, sapidi e saporiti. C’è da scommettere sulla buona riuscita dell’abbinamento di N°3 con delle costine alla salsa barbecue.

Che vino ricorda? Nessuno. Neppure a sforzarsi!

  • Feral N° 4

Barbabietola rossa fermentata con mirtilli selvatici, lavanda e bacche di ginepro. Al naso risulta ormai chiaro come la barbabietola rossa dia bevande di più difficile “lettura” e “comprensione”, rispetto alla barbabietola bianca (ovvero quella comunemente definita “da zucchero”). Il profumo della pianta, o meglio dell’ortaggio, è netto anche nel calice di Feral N° 4, ben avvolto dai ricordi floreali di lavanda e dalla profondità del ginepro. Attenzione però al sorso: molto più slanciato rispetto a quello di Feral N° 3. Più sull’acidità e, dunque, su una freschezza che ricorda quella degli agrumi.

Pare quasi esserci, in chiusura, un tocco appena percettibile di tannino. Il risultato è un drink che si può apprezzare con pietanze grasse, che hanno bisogno di una bevanda capace di “pulire”, o meglio “resettare” il palato, dopo ogni boccone. Feral N° 4 può funzionare su salumi mediamente stagionati e poco affumicati, così come su una pasta al ragù o un cremoso risotto. Ci si può scommettere su una zuppa di pesce di fiume.

Che vino ricorda? Non tanto per profilo organolettico, ma più per doti d’abbinamento, può essere accomunato a un rosato di sostanza – come un Cerasuolo -. Uno di quei vini che, a dispetto dei luoghi comuni sul colore “rosa”, sanno reggere bene un piatto e accompagnarlo con estrema dignità. La leggera speziatura finale e la nota floreale potrebbe poi far pensare a un Verduno Pelaverga. Ma ancora una volta: è solo un gioco.

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