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Export vino: +15,1% nei primi 9 mesi del 2021

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Export vino: +15,1% nei primi 9 mesi del 2021

Non si ferma la locomotiva del vino italiano sui mercati internazionali. L’export nei primi 9 mesi segna un +15,1% a valore sul pari periodo del 2020, per un corrispettivo di oltre 5,1 miliardi di euro. Una performance, rileva Unione italiana vini (Uiv), superiore anche al periodo pre-pandemico del 2019, con un incremento, sempre a valore, dell’11,6%.

L’ANDAMENTO DELL’EXPORT

Secondo le elaborazioni su base Istat, il vino italiano guadagna posizioni in tutti i suoi fondamentali. Oltre al valore, aumentano i volumi (+7,9%, 16,2 milioni gli ettolitri esportati) e soprattutto il prezzo medio, a +7%. Un dato importante, quest’ultimo, che però secondo Uiv va solo a parziale compensazione delle perdite che le aziende stanno subendo a causa del balzo dei costi di materie prime, di energia elettrica e trasporti.

Export vino: +15,1% nei primi 9 mesi del 2021

A trainare il mercato, l’ennesimo exploit degli sparkling che incrementano del 28,6% sia in volume che a valore. L’Asti segana +13% e il Prosecco vola a quasi +40% grazie anche all’enorme balzo della domanda statunitense. I consumi post lockdown di vino italiano nel mondo privilegiano i vini Dop imbottigliati (+18,8%), con i fermi a +15,1%. Minore è la crescita di Igp e vini comuni. Tra i formati, a conferma di una domanda che vira maggiormente verso i segmenti medio-alti, si segnalano in calo i bag in box (-11%), dopo l’exploit durante il lockdown, e lo sfuso (-5%).

I PAESI DI RIFERIMENTO

Sul fronte delle destinazioni, in grande recupero l’extra-Ue, che fa segnare, sempre a valore, un +19, mentre l’export comunitario si attesta a +9,2%. Tra i Paesi variazioni positive in tutti i principali mercati, con il boom degli ordini dagli Stati Uniti (+23,1%), che rappresentano oltre 1/4 dell’export di vino tricolore.

Performance significative sul podio della domanda anche delle altre 2 piazze: Germania a +7% e Regno Unito a +6,1%. In doppia cifra gli aumenti in Canada, Paesi Bassi, Francia, Svezia, Belgio, Russia e Cina (a +53,2%).

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Vino e Spirits italiani: 2021 in recupero del 3,5%

Il vino italiano è in recupero del 3,5% nel 2021, a fronte del calo del 4,1% registrato nel 2020. Il risultato grazie alla spinta dell’export (+3,8%) che vede il migliore potenziale di crescita in Cina (+6,3%), Canada e Giappone (+5,9% annuo).

È quanto emerge dal primo report congiunto di Area Studi Mediobanca, Ufficio Studi di Sace e Ipsos sul settore vino & spirits italiano. Studio dedicato all’analisi dei mercati domestici e internazionali e alle dinamiche socio-culturali di consumo.

Boom dell’e-commerce (+74,9% le vendite sui siti aziendali) e degli investimenti nel digital (+55,8%) nel 2020. Crescita record per il bio (+10,8%) con un bevitore italiano su quattro si dichiara bio-fan e per i i formati alternativi al vetro (+5,8%).

Aumenta la ricerca di qualità ed esperienza insieme alla voglia degli italiani di frequentare le enoteche con i “non frequentatori” in calo dal 48% pre-pandemia al 42% post-pandemia. Spirits in calo nel 2020 dell’1,7%, ma con un rimbalzo del 5,4% atteso per il 2021.

L’ANDAMENTO 2020 E ATTESE PER IL 2021

Il 2020 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un calo di fatturato del 4,1% (-6,3% il mercato interno, -1,9% l’estero). L’ebit margin ha riportato una lieve contrazione arretrando al 5,8%, rispetto al 6,2% del 2019.

L’incidenza del risultato netto sul fatturato ha performato bene, con una leggera variazione dal 4,2% al 4,1%. I vini frizzanti hanno perso più terreno (-6,7%) dei vini fermi (-3,5%). Le cooperative hanno contenuto la flessione al 2%.

Il canale Gdo ha visto la propria incidenza salire al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del +2,3%). Quello Horeca si contrae dal 17,9% al 13,4% (-32,7%), mentre wine bar ed enoteche passano dal 7% al 6,7% (-21,5%).

L’online è esploso durante la pandemia: +74,9% le vendite sui portali web di proprietà, +435% per le piattaforme online specializzate, +747% i marketplace generalisti. Nel 2020 gli investimenti nel digital dei maggiori produttori di vino sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria.

Le imprese con fatturato 2020 in aumento hanno venduto vino base (meno di 5 euro) per il 70,8% del loro fatturato. quota che scende al 52,6% all’interno del gruppo di imprese con vendite in calo. Ma lo spostamento verso segmenti più alti appare solo rinviato a quando si assesteranno gli stili di consumo post pandemici.

Sugli scudi il bio, con vendite 2020 in aumento del 10,8%, per una quota di mercato del 2,3%. Tiene il vino vegan (+0,5%, anch’esso al 2,3% del totale). Non fanno ancora presa i vini biodinamici, in caduta del 21,9% e confinati allo 0,1% del mercato.

Infine, il 2020 ha portato uno sviluppo del 5,8% per i vini confezionati in contenitori alternativi al vetro (brick, lattine, bag in box), leggeri, ecosostenibili, adatti all’online e in linea con l’interesse per le novità delle giovani generazioni.

I maggiori produttori di vino si attendono per il 2021 una crescita del 3,5%, che arriverebbe al 4,6% per la sola componente export. Per le maggiori società di spirits, si prevede un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni.

VINO E SPIRITS: PROPENSIONE AL CONSUMO INTERNAZIONALE

La mappa mondiale della propensione al consumo di vino e di spirits rivela che il rapporto maggiormente emancipato con il rito del bere è appannaggio dei Paesi di matrice anglofona (Australia, Gran Bretagna e Usa), con sporadiche incursioni di alcuni Paesi dell’Est europeo (Serbia e Polonia, con la Russia più arretrata) e del Nord del mondo (Canada e Svezia).

La Cina emerge come un mercato aperto e tollerante. La core Europe appare ben allineata in posizione intermedia con Germania, Francia e Italia che mostrano livelli simili di accettazione. Più problematico l’atteggiamento nel Sud e Sud Est del mondo, con la sola importante eccezione del Sud Africa. In generale la propensione al consumo di vino è superiore a quello degli spirits.

L’EXPORT ITALIANO

Nel biennio 21-22 si attende un aumento dei consumi di vino del 3,8% l’anno per molti tra i principali mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua è del 2% per gli Usa e del 3,1% per la Germania. In Svizzera i consumi di vino sono attesi stabili.

Discorso a parte per il Regno Unito. Crescita del 2,4% l’anno, ma prospettive complicate dagli sviluppi post Brexit. Opportunità possono arrivare da mercati già noti al vino italiano. Canada e Giappone segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi). ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22.

Una curiosità: il Vietnam, mercato ancora molto piccolo, ma che annovera una rilevante crescita dei consumi (+9,6%), anche grazie agli accordi commerciali con l’Ue che proteggono le indicazioni geografiche e riducono le tariffe e i dazi.

Le esportazioni italiane di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine e ammontano a 7,8 miliardi di euro nel 2020. Il comparto proviene da una crescita pluriennale: +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, che sale addirittura al +9,7% per gli spirits.

Il 2020 ha segnato una frenata: l’export di vini si è contratto del 2,3%, quello di spirits del 6,8%. Nel 2020 l’export di vino italiano vale 6,3 miliardi di euro e si stappa in prevalenza sulle tavole statunitensi (23,1%), tedesche (17,1%) e britanniche (11,4%).

Il 2020 ha consegnato variazioni differenziate: le nostre vendite sono in flessione negli Stati Uniti (-5,6%) e in Uk (-6,4%), mentre si è mossa in controtendenza la Germania (+3,9%). La pandemia ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%).

Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4%). Due i mercati di sbocco preferenziali, Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale.

Nel 2020 lo sviluppo del mercato statunitense (+21,5%) ne ha fatto il primo approdo per le vendite oltreconfine di spirits italiane, scalzando dal primo gradino del podio la Germania (+3,5%).

AD OGNI REGIONE I SUOI VINI

Nel 2019 il Veneto detiene il primato di vino prodotto, sia a volume che a valore, con il 20% del totale nazionale. Segue la Puglia con il 19,6% a volume e il 13,3% a valore. Toscana e Piemonte hanno il 5% circa dei volumi, ma raddoppiano il peso se si guarda al valore.

Le caratteristiche regionali si notano anche nelle dinamiche di esportazione. La principale regione esportatrice, nel 2020, di vini è il Veneto con il 35,5% del totale delle vendite oltreconfine, più del doppio della seconda, il Piemonte con il 17,2%. La Toscana, terza regione, rappresenta il 15,5% dell’export nazionale di vino.

Nell’anno della pandemia il Veneto ha subito un calo dell’export del 3,3%, ma sono diminuite le vendite all’estero anche dei vini di Toscana e Lombardia. Fra le altre regioni il calo più consistente è dell‘Umbria (-24,2%), seguita dalla Valle d’Aosta (-21,9%), dalla Sardegna (-18,8%) e dalle Marche (-14,5%).

In controtendenza i vini del Trentino-Alto Adige, dell’Emilia-Romagna e del Piemonte con aumento delle vendite al di fuori del territorio nazionale. Anche sui conti delle aziende i tratti regionali lasciano la propria impronta.

Il maggior Roi tocca agli abruzzesi (9,7%), piemontesi (8,6%) e veneti (7,8%). Best in class per solidità finanziaria i produttori toscani, con debiti finanziari pari ad appena il 26,8% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (66,9%) e toscani (61,7%) che superano il 60% di export sul fatturato.

L’EVOLUZIONE DEI CONSUMI POST-PANDEMIA

La pandemia ha inciso su alcune abitudini di consumo, anche in maniera sorprendente. La propensione dei consumatori ad acquistare bottiglie di vino nei supermercati è calata di 6 punti. Il 58% degli italiani che in epoca pre-Covid si approvvigionava nella Gdo si è ridotto al 52%.

La Gdo rimane il canale preferito per l’acquisto di vino, ma mostra dinamiche in evoluzione con una sempre maggiore ricerca di qualità, specificità e unicità. Un trend confermato dalla percentuale di persone che ha iniziato a frequentare enoteche, cantine e negozi specializzati.

Gli italiani che non si sono mai rivolti a un’enoteca per comprare una bottiglia di vino è in calo dal 48% prepandemico, al 42% attuale. L’aumento degli acquisti in enoteca ha coinvolto, in primis, l’universo femminile con un decremento delle non frequentatrici dell’8% (dal 52% ante Covid al 44% del 2021), ed ha toccato tutti i segmenti della società.

Si ha infatti una riduzione del 5% tra i Millennials, del 6% nella Generazione X e tra i Baby Boomers. Sono in aumento anche gli acquirenti di vino nelle cantine dei produttori: nel periodo pre-Covid gli italiani che non si erano mai recati in una cantina di un produttore erano il 46%, oggi scesi al 39%.

L’acquisto online è la stella dell’ultimo anno con l’e-commerce di proprietà consente alle persone di accedere direttamente al viticoltore. Prima del lockdown il 71% degli italiani non aveva mai fatto un acquisto online dai siti di una cantina, quota scesa oggi di sette punti (64%).

Inoltre, la percentuale di persone che prima del Covid non aveva mai fatto ricorso al sito e-commerce o all’offerta online di una enoteca era del 74%, oggi la percentuale è scesa al 69%. Alcuni tratti accomunano i nuovi comportamenti di acquisto dei consumatori come la ricerca di qualità e il valore del locale, dei suoi prodotti e delle imprese.

In termini di costo della bottiglia, la tendenza, anche se con scostamenti minimi, sembra essere orientata verso due fenomeni. Da un lato una crescente polarizzazione della fascia di prezzo, con l’accentuarsi della forbice tra bottiglie di livello basso e alto. Dall’altro un conseguente indebolimento della fascia di prezzo intermedia, con uno scivolamento verso quella inferiore.

Infine, il tema bio fa registrare tre distinti livelli di interesse. I bio-attratti, altamente interessati ai vini biologici e che rappresentano il 36% dei bevitori I bio-light, caratterizzati da un approccio non convinto e un po’ modaiolo ai prodotti biologici che arrivano al 33%. Infine i bio-refrattari che formano il residuo 31%.

Tra i bio-attratti si possono trovare dei veri e propri bio-fan, che sono in parte anche high-spender, e valgono il 24% dei consumatori di vino.

LE MIGLIORI IMPRESE ITALIANE

La leadership di vendite nel 2020 è appannaggio del gruppo Cantine Riunite-Giv, con fatturato a 581 milioni di euro (-4,4% sul 2019), nettamente distanziato dalla seconda posizione ricoperta da un’altra cooperativa, la romagnola Caviro, il cui fatturato è cresciuto del 10%, avvicinandosi ai 362 milioni di euro. Completa il podio la veneta Casa Vinicola Botter (230 milioni, +6,4%).

Seguono altre cinque aziende con ricavi superiori a 200 milioni di euro: la toscana Antinori, il cui fatturato 2020 pari a 215 milioni di euro ha subito un calo del 12,5%, la trentina Cavit (fatturato 2020 pari a 210 milioni di euro, +9,6% sul 2019), le piemontesi Fratelli Martini (208 milioni di euro, +1,1% sul 2019), Iwb (204 milioni, +29,7%) e la veneta Enoitalia che ha realizzato una crescita del +0,8%, portandosi a 201 milioni di euro.

In merito ai maggiori incrementi di fatturato nel 2020, Iwb domina la scena con un +29,7% che la colloca davanti alla Contri Spumanti con un +13,8%, a Caviro e Mondodelvino, appaiate a +10%, a Cavit (+9,6%) e La Marca (+8,7%), per chiudere con il +6,4% di Botter e il +5,7% di Schenk Italia.

Osservando la redditività (rapporto tra risultato netto e fatturato), il 2020 vede in testa le società toscane e venete. Antinori (26%), Frescobaldi (24,5%) e Santa Margherita (24,2%). La recente acquisizione di Iwb su Enoitalia forma un player da circa 405 milioni di euro che sarebbe secondo in Italia nel 2020.

Le attività del fondo Clessidra (Botter e Mondodelvino) ammontano a circa 353 milioni e ne farebbero il quarto produttore italiano nel 2020, dietro Caviro.

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Export vino: -2,3% a valore nel 2020

Tiene l’export italiano di vino nel 2020, con il Belpaese che recupera ancora nell’ultimo trimestre e riduce le perdite a valore a -2,3%, per un corrispettivo di 6,285 miliardi di euro. Molto meglio dei suoi principali competitor europei, Francia e Spagna, che chiudono l’anno del Covid rispettivamente a -10,8% (a 8,7 miliardi di euro) e a -3,2%.

Dati questi che consentono all’Italia di riprendersi la leadership mondiale di esportazioni a volume con oltre 20,8 milioni di ettolitri (-2,4%) ai danni della Spagna. Lo rilevano Ismea e Unione italiana vini (Uiv), che hanno elaborato i dati Istat relativi alle esportazioni di vino nei 12 mesi del 2020, rilasciati oggi.

Una performance superiore alle previsioni che, secondo Uiv e Ismea, permette all’Italia di guadagnare quote di mercato sui competitor in buona parte delle piazze di sbocco e di guardare al futuro nella consapevolezza che il sistema del vino tricolore ha tenuto pur nelle asimmetrie dei risultati all’interno delle imprese, con le medio-piccole maggiormente in difficoltà.

In piena emergenza, e con una contrazione complessiva delle esportazioni del made in Italy a -9,7%, il vino ha risposto con una sostanziale tenuta di volumi, valori e prezzi. Meno bene gli sparkling, che fanno segnare una contrazione tripla rispetto alla media a -6,9%, complice un calo significativo del suo prezzo medio.

Molto meglio i fermi in bottiglia (-1,5%) con un controvalore di 3,9 miliardi di euro. Tra i prodotti a marchio, i Dop perdono il 2,9% confermandosi il segmento più esportato con oltre 4 miliardi di euro e un trend particolarmente positivo in Germania. Ottima la performance degli Igp (+1,2%), a 1,5 miliardi di euro. Soffrono maggiormente i vini comuni (-5,3%).

Tra i Paesi clienti, l’Italia, risparmiata dai dazi, riduce le perdite negli Stati Uniti (-5,6%, a 1,45 miliardi di euro, con il Lambrusco a +19%) e fa addirittura segnare luce verde in Germania (+3,9, a 1,1 miliardi di euro), mentre subisce la contrazione della domanda della Gran Bretagna, a -6,4% (714 milioni di euro).

In terreno positivo anche Svizzera, Canada, Paesi Bassi e Svezia, mentre scendono le esportazioni a Est: -15,5% la domanda giapponese e -26,5 quella cinese, con la Russia a -3,6%. Complessivamente, meglio l’Ue (+0,7%) dei Paesi terzi (-4,1%).

Tra le regioni, il Veneto si conferma leader nell’export con 2,2 miliardi di euro (-3,3% a valore), seguito dal Piemonte (+2,6%) che allunga sulla Toscana (-3,2%). Segni positivi per Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna, seguiti dalla Lombardia, in calo in doppia cifra.

LE GIACENZE INVENDUTE
Il calo dell’export unito alla chiusura di ristoranti, bar ed enoteche in Italia con il conseguente crollo dei consumi fuori casa ha fatto si che oltre 150 milioni di litri di vino in più rispetto allo scorso anno giacciono invenduti nelle cantine italiane.

La conseguenza è la presenza in cantina al 31 gennaio 2021 di 6,9 miliardi di litri di vino secondo l’analisi Coldiretti sull’ultimo aggiornamento reso disponibile dal Ministero delle Politiche Agricole.

“Non bisogna perdere tempo è ed necessario intervenire con una distillazione di emergenza – afferma Coldiretti – rivolta ai vini a Do e Ig con l’obiettivo di togliere dal consumo alimentare almeno 200 milioni di litri di vini e mosti a valori paragonabili a quelli di mercato per garantire la sopravvivenza delle aziende”.

Coldiretti chiede al Governo di intervenire con almeno 150 milioni di euro (valore medio 75 euro/ettolitro) attraverso aiuti nazionali vista la mancanza di disponibilità di risorse aggiuntive garantite per la situazione di emergenza da parte della Ue. Una misura che peraltro consentirebbe di produrre 25.000 litri alcol e gel disinfettanti 100% italiani che oggi vengono in larghissima parte approvvigionati sui mercati internazionali.

In gioco c’è il futuro del primo settore dell’export agroalimentare Made in Italy che sviluppa un fatturato da 11 miliardi di euro e genera opportunità di lavoro per 1,3 milioni di persone impegnate direttamente in campi, cantine e nella distribuzione commerciale.

A questi si aggiungono attività connesse e di servizio e nell’indotto che si sono estese negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle bioenergie, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dall’enoturismo alla cosmetica fino al mercato del benessere.

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Wine2Wine 2019: quattro strade per l’export del vino italiano

VERONA – Aumento di valore dell’export, diversificazione degli sbocchi, spinta sull’internazionalizzazione e promozione dell’enoturismo. Queste, secondo Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Vini, le quattro strade da perseguire “per dare forza e sostegno al sistema Italia”. Se ne è discusso ieri all’evento di inaugurazione di Wine2Wine 2019 a Verona, nel panel “wine2export: overview 2019 per le sette sorelle del vino”.

Un’occasione utile, per Uiv, per chiedere al ministro Bellanova di “accelerare sui cinque decreti attuativi del Testo Unico relativi ai vigneti storici o eroici, al riconoscimento o modifica dei vini Do e Ig, ai contrassegni, allo schedario viticolo e all’etichettatura dei vini”.

Le prime frenate degli spumanti, locomotiva del nostro export, in Gran Bretagna e Germania – ha sottolineato Abbona – rendono urgente un’azione immediata. Non si recupera valore dell’export semplicemente tentando aumenti dei prezzi che, da soli e slegati da una strategia, rischiano di far perdere quote di mercato”.

“L’aumento di valore – sempre secondo il presidente di Uiv – si consegue con politiche rigorose e coerenti di qualità, strategie di marketing, a livello di Paese, DO e imprese, pensate sul lungo periodo per costruire e rafforzare la reputazione e il posizionamento e valorizzare le identità territoriali dei vini collegate all’incoming turistico“.

Il 65% del valore dell’export del vino italiano è concentrato in soli in 5 mercati (di cui 3 europei) e quando questi subiscono flessioni, ne risente tutto il sistema.

Dobbiamo quindi spronare i produttori e orientare le azioni di promozione – ha suggerito Ernesto Abbona – per favorire la diversificazione degli sbocchi commerciali, tema urgente in un quadro internazionale di instabilità geopolitica dominato del persistere di logiche protezionistiche”.

“Abbiamo bisogno di aumentare il valore delle nostre produzioni e le iniziative di promozione istituzionale come il ‘Piano straordinario del Made in Italy’ – ha aggiunto Abbona – ma si deve anche promuovere una distensione delle relazioni transatlantiche ed evitare un inasprimento della guerra commerciale con gli Stati Uniti.

Tra le altre opzioni indicate da Unione italiana Vini, l’accelerazione delle trattative per chiudere gli Accordi di libero scambio ancora in discussione e infine e l’intensificazione della lotta all’italian sounding, che colpisce molti grandi vini italiani in diversi mercati.

“In questo senso – ha aggiunto Abbona – l’azione di Ice diventa strategica e con l’agenzia dovremo definire le priorità e i Paesi-obiettivo circa le attività di promozione. Accogliamo con soddisfazione la convocazione del “tavolo vino”, al quale intendiamo dare un serio e fattivo contributo”.

Da qui, l’impegno dell’Associazione “a portare il nostro contributo fattivo – ha promesso il presidente Abbona -. È necessario lavorare come ‘sistema Paese’ per orientare gli investimenti all’estero, difendere il vino in tutte le sedi europee e internazionali in quanto prodotto integrante della dieta mediterranea”.

Per Abbona occorre inoltre “valorizzare il sistema ‘vino-territorio-turismo-produzioni agroalimentari’ e difendere il vino dagli attacchi di organizzazioni internazionali e Ong che lo considerano alla stregua delle altre bevande alcoliche, demonizzando il consumo, indipendentemente dai modi e dalle quantità”.

Il problema, come ha voluto ricordare il presidente di Uiv  “non è il consumo ma l’abuso di alcol, tema che invece ci preoccupa e per il quale il settore è impegnato concretamente con i consumatori e le istituzioni, attraverso la formazione e l’educazione al bere responsabile”.

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Crescono le vendite del Vigneto Marche

VERONA – “Ogni milione di euro investito dalle Marche in promozione ha generato un ritorno nell’export di vino verso i Paesi terzi per 7,5 milioni di euro”.

È la sintesi del responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini, oggi a Vinitaly al convegno della Regione Marche Mercato e promozione a confronto.

L’analisi, realizzata dall’istituto di ricerca bolognese per i due consorzi marchigiani (Istituto marchigiano di tutela vini e Consorzio vini piceni), fa il punto sul trend export del prodotto enologico regionale a fronte degli investimenti realizzati negli ultimi anni.

IL RISULTATO DELLE ANALISI
E la verifica dei risultati dà ragione alla gestione virtuosa dei fondi comunitari Ocm Promozione (Organizzazione comune di mercato) e Psr (Programma di sviluppo rurale). L’export del vigneto Marche è infatti cresciuto del 56% nell’ultimo decennio, in particolare nell’extraUe, che vola a +75%, con la Cina che segna un incremento di quasi il 450% e con Norvegia, Svizzera e Russia anch’esse in tripla cifra.

L’indagine, svolta direttamente sulle principali aziende della regione, evidenzia nel complesso un settore che negli anni è riuscito a diversificare sempre più il proprio mercato della domanda. I dati espressi dalle interviste ai produttori confermano in larga parte quelli di Istat (che evidenziano una crescita del 9,5% nell’ultimo anno, il triplo rispetto alla media nazionale) che annoverano tra i top buyer in testa gli Usa (16,2% di market share), seguiti da Svezia (11,3%), Benelux (9,8%), Germania (8,8%), Giappone (7,1%), Regno Unito (6,5%) e Cina (5,7%).

VERDICCHIO E ROSSO PICENO BALUARDI REGIONALI
A farla da padroni, i 2 prodotti di punta, il Verdicchio dei Castelli di Jesi e di Matelica, che a valore rappresenta la fetta maggiore dell’export regionale, e il Rosso Piceno, che mette a segno un’importante progressione nelle vendite estere. Complessivamente, nel triennio 2015 2018, l’indagine fissa la crescita dell’imbottigliato regionale a +39%, con un export a +31% per un campione di aziende che rappresentano 1/3 della produzione totale marchigiana.

I fondi europei per la promozione sono un privilegio indispensabile per il settore del vino, un unicum, rispetto ad altri comparti, che dobbiamo essere in grado di sfruttare al meglio. Le Marche grazie anche alla collaborazione con la Regione si sono dimostrate una best practice, riuscendo negli anni a incrementare il coinvolgimento delle aziende del 115%. Rispetto a 3 anni fa, registriamo finalmente un aumento del 6% del prezzo medio del Verdicchio, sia in Italia che all’estero, ma non è ancora abbastanza rispetto alla qualità espressa” – ha dichiarato il direttore dell’Istituto marchigiano di tutela vini, Alberto Mazzoni.

Il direttore del Consorzio vini piceni, Armando Falcioni si è così espresso: “Per tipologia e caratteristiche il nostro rosso si presta anche a mercati più esotici: è il caso di Cina e Giappone, che secondo il campione rappresentano quote sempre più decisive per il nostro export, con il Paese del Dragone che nell’ultimo anno è cresciuto in maniera vertiginosa. Si tratta di mercati emergenti da sviluppare anche con azioni promozionali dedicate, che devono necessariamente essere diverse rispetto ad altri Paesi culturalmente più vicini a noi. Possiamo lavorare sul posizionamento dei vini marchigiani attraverso un’azione strutturata e sinergica di tutta la filiera, ma non solo: attraverso i fondi e il lavoro delle nostre istituzioni, a partire dalla Regione, anche le aziende più piccole possono pianificare e razionalizzare le risorse per la promozione”.

Secondo i produttori, infine, sono di gran lunga gli Stati Uniti il Paese da presidiare con maggior attenzione nel futuro; a seguire, Canada, Cina, Germania, Giappone e Regno Unito. Ma non basta: sul fronte delle strategie da implementare la risposta quasi unanime è individuare nuovi mercati di sbocco. Tra i valori da comunicare, prevalgono l’abbinata vino e turismo, la zona di produzione e le produzioni biologiche/sostenibili.

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Italia: record storico di esportazioni in Cina nel 2017

Le esportazioni di vino italiano Cina hanno raggiunto il massimo storico di oltre 130 milioni di euro grazie all’aumento del 29% del 2017. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat divulgata in occasione della presentazione della edizione 2018 del Vinitaly che ha evidenziato lo spostamento ad est della mappa dei consumi di vino. L’Italia tuttavia – sottolinea la Coldiretti – resta al quinto posto nella lista dei principali esportatori di vino in Cina guidata dalla Francia con un valore di circa un miliardo di euro.

Per effetto di una crescita ininterrotta nei consumi la Cina – precisa la Coldiretti – è entrata nella lista dei cinque Paesi che consumano più vino nel mondo ma è in testa alla classifica se si considerano solo i rossi. Si tratta dunque di un mercato strategico per l’Italia che nel 2017, per effetto di un aumento del 6%,  ha raggiunto il record di circa 6 miliardi nelle esportazioni di vino, che tuttavia restano concentrate – conclude la Coldiretti – per oltre il 90% sui mercati dell’Europa e del Nord America.

Uno dei temi che sarà affrontato dalla Coldiretti al Vinitaly dove è presente nello stand al Centro Servizi Arena – stand A, tra il padiglione 6 e 7 dal 15 al 18 aprile.

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Vino italiano, allarme export: prezzo medio bottiglia troppo basso

I dati Istat elaborati da Ismea sull’export del vino italiano nel primo trimestre 2017 riportano una crescita in volume del 7,6% per circa 5 milioni di ettolitri e in valore dell’8% per un corrispettivo di 1,3 miliardi di euro.

Dati poco entusiasmanti quelli diffusi attraverso l’Osservatorio del vino. Di fatto risulta evidente una generale situazione di stasi relativamente al valore medio della bottiglia.

Nei Paesi terzi è stato esportato il 9% in più rispetto al primo trimestre del 2016 con introiti in crescita del 10%. In termini di quote, con i dati del primo trimestre, i Paesi terzi rappresentano il 34% delle esportazioni a volume ed il 51% a valore.

È opportuno prendere questi dati con le dovute cautele. Per chiudere il 2017 con risultati incoraggianti è indispensabile che i fondi OCM promozione Paesi Terzi siano resi disponibili alle imprese da parte del Mipaaf, consentendo così investimenti per oltre 200 milioni di euro che aiuterebbero il sistema vino italiano a valorizzare i propri prodotti nei Paesi extra comunitari. Al momento, infatti, manca ancora il decreto che ne disciplina l’impiego e le tempistiche sono molto strette.

LE DENOMINAZIONI
In tema di Dop e di codici della nomenclatura combinata ci sono alcune novità: le Dop siciliane ferme e il Prosecco, sono state incluse tra le produzioni che potranno essere monitorate. “Un risultato importante – commenta l’Osservatorio del vino – reso possibile anche grazie al lavoro politico di Unione Italiana Vini con l’Agenzia delle Dogane e la Commissione Europea”.

Nel primo trimestre 2017, le Dop siciliane ferme hanno esportato 2,8 milioni di bottiglie. Sopra la media del settore le performance degli spumanti, soprattutto quelli a Denominazione che fanno registrare un +12% a volume (580mila ettolitri) e un +16% a valore (229milioni di euro). Il Prosecco da solo rappresenta il 65% delle esportazioni complessive degli spumanti Dop, con 383mila ettolitri che valgono circa 150 milioni di euro.

Da segnalare un’altra novità in merito ai codici della nomenclatura combinata, che da quest’anno permettono di distinguere il vino commercializzato in “recipienti compresi tra i 2 e i 10 litri” quindi i bag in box ed i vini “sfusi” in senso classico (cioè quelli in recipienti superiori ai 10 litri che potremmo anche definire genericamente “cisterne”).

Questi due segmenti hanno realizzato complessivamente il 17% in più a volume, per un totale di circa 1,5 milioni di ettolitri, ed il 10% in più negli introiti superando i 100 milioni di euro. In termini di volume il bag in box pesa per il 6% in quantità e il 13% a valore. Le destinazioni principali dei vini italiani in tale formato sono Germania e Paesi Scandinavi. Dopo la frenata del 2016, i primi mesi del 2017 sembrano aver portato buone notizie anche per i vini in bottiglia fermi (+3%).

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Export italiano di vino e uva: ecco la mappa

L’agroalimentare “made in Italy” nel mondo vale 38 miliardi di euro all’anno e cresce del 3,5%, secondo i dati della Camera di commercio di Milano. Ma per sapere dove va e da dove parte l’export, quali sono i maggiori mercati di sbocco e i prodotti più apprezzati arriva la mappa: “L’agroalimentare italiano nel mondo”, realizzata dalla Camera di commercio di Milano e Coldiretti, con Promos, azienda speciale della Camera di commercio per le Attività Internazionali. La mappa, disponibile in italiano e inglese, è scaricabile in Internet (http://www.promos-milano.it/Informazione/Note-Settoriali/Mappa-Export-Agroalimentare.kl). Un documento che arriva a poche ore da “Milano Food City”, la settimana dedicata al cibo e alla cultura della sana alimentazione, in programma dal 4 all’11 maggio, con oltre 320 eventi.

L’EXPORT DI VINO E UVA
L’export di vino e uva italiana vale 5,6 miliardi e segna un +4,3%. Il maggiori partner sono gli USA (24%), seguiti da Germania (17,4%) e Regno Unito (13,6%). I mercati emergenti sono quelli di Polonia (+27%), Repubblica Ceca (+20,1%) e Cina (+13,8%). Trai primi 20: Svizzera, Canada e Francia.

Per quanto riguarda uva e agrumi, il valore dell’export dell’Italia raggiunge i 3,4 miliardi, con un +2,9%. I maggiori partner sono Germania (29,6%), Francia (9,5%) e Spagna (5,6%). I mercati emergenti Austria (+13,7%), Arabia Saudita (+13,3%) e Slovenia (+12%). Tra i primi 20: Regno Unito, Svezia, Egitto.

L’AGROALIMENTARE
Spiega Giovanni Benedetti, Direttore della Coldiretti Lombardia e membro di giunta della Camera di commercio di Milano: “Expo ha dato un contributo significativo al confronto sul mondo dell’alimentazione che bisogna mantenere come punto di riferimento per le iniziative della città. Non è un caso che nel mondo il patrimonio eno gastronomico italiano sia tra i più copiati, con un valore che ogni anno raggiunge i 60 miliardi di euro, che vengono sottratti all’economia del nostro Paese”.

“Con un export agroalimentare che ha raggiunto i 38 miliardi di euro totali – continua Benedetti – parlare di cibo in Italia non è più solo un tema per addetti del settore, ma significa ragionare su quelli  che possono essere, per tutti, gli sviluppi economici e occupazionali di un comparto sempre più importante”.

Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera concentrano la metà dell’export. Tutte le principali destinazioni sono in crescita, in particolare Stati Uniti (+5,7%), Francia e Germania (+3%). In ascesa anche la Spagna 6° (+7,2%) e i Paesi Bassi 7° (+6,2%). Ma i prodotti “made in Italy” raggiungono anche Giappone (al 10° posto), Canada (11°), Australia (16°) e Cina (20°).

In aumento soprattutto Romania (+16%) e Repubblica Ceca (+13%) ma torna a crescere anche la Russia, +10% (19°). E se la Germania e la Francia sono i primi acquirenti per quasi tutti i prodotti, gli Stati Uniti eccellono per vini, acque minerali e oli, la Spagna per pesce fresco, le Filippine e la Grecia per alimenti per animali.

In forte crescita la Corea del Sud per prodotti da forno e lattiero caseari, l’Austria e l’Arabia Saudita per uva e agrumi, la Cina per gelati e oli, la Romania per cioccolato, caffè, piatti pronti e pesce lavorato, la Libia per frutta e ortaggi, Hong Kong per carni, Etiopia e Kenya per granaglie, la Russia per alimenti per animali, il Belgio per cereali e riso, la Polonia per vini e la Spagna per acque minerali. Emerge da elaborazioni della Camera di commercio di Milano su dati Istat, anni 2016 e 2015.

I PRODOTTI MADE IN ITALY PIU’ ESPORTATI
Cioccolato, tè, caffè, spezie e piatti pronti con 6,2 miliardi di euro, seguiti dai vini con 5,6 miliardi di euro, vengono poi pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro ma anche frutta e ortaggi lavorati e conservati, uva e agrumi con 3,4 miliardi di euro. Gli aumenti più consistenti si registrano per cioccolato, latte e formaggi, pesca e acquacoltura (+6%), oli e gelati (+5%), vini e granaglie (+4%).

I maggiori esportatori italiani? Verona con 2,9 miliardi di euro, Cuneo con 2,5 miliardi e Parma con 1,6 miliardi, Milano è quinta con 1,4 miliardi, il 4% del totale. Bolzano 4°, Salerno 6° e Modena 7°. Tra le prime venti posizioni la maggiore crescita a Venezia (+15%), Padova (+12%), Firenze, Torino e Bergamo (+11%).

LA LOMBARDIA
Con 5,9 miliardi di export, la Lombardia rappresenta più di un settimo del totale italiano. Oltre a Milano, 5° in Italia, tra le prime 20 ci sono anche Bergamo 12° e Mantova 18°. A crescere di più sono Lodi che raddoppia il suo export (+103,8%), Sondrio (+16,1%), Cremona e Varese (+11%).

La Lombardia per peso sul totale nazionale si distingue in pesci, crostacei lavorati e conservati, con il 38%: Como leader italiana (31%, +12,1%), Brescia 10° e Milano 14°, ma anche in prodotti lattiero-caseari dove rappresenta il 36,8% del totale con Mantova 3°, Lodi 4°, Cremona 6°, Brescia 7°, Bergamo 9°, Pavia 14° e Milano 15°. Pavia è invece al primo posto per granaglie, amidi e prodotti amidacei (16% nazionale).

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Lombardia al Vinitaly sulla spinta dell’export: +66% in 15 anni

Un incremento del 66,8% negli ultimi 15 anni, periodo nel quale il valore dell’export dei vini lombardi ha guadagnato oltre 100 milioni di euro passando da quota 153 milioni di euro a quota 258 milioni di euro. E una crescita proseguita anche nel 2016, con un +1,4% in termini di valore e un +2,6% in termini di quantità rispetto al 2015.

Vocazione sempre più internazionale per le aziende vitivinicole lombarde, che tra il 2000 e il 2015 hanno fatto registrare una crescita dirompente sui mercati esteri. L’incremento più forte in Asia Centrale (+304%) e in Unione Europea (+210,9%), ma anche in Asia Orientale (+132,6%) e America Latina (+85,1%) l’espansione è stata ben al di sopra della media.

A livello Paese le performance di crescita più rilevanti in orizzonte 15 anni si sono registrate verso Cina (+8.686,5%), Hong Kong (+1.508,8%), Spagna (+722,6%) e Belgio (+709,4%). Rilevante anche la conquista di spazio nei mercati di Regno Unito (+437,3%), Francia (+455,8%), Polonia e Russia (+507,9%).

I PRODUTTORI IN SCENA A VINITALY DAL 9 AL 12 APRILE
Un mercato, quello russo, che peraltro ha regalato grandi soddisfazioni ai produttori lombardi anche lo scorso anno. Nei primi nove mesi del 2016 le esportazioni di vini dalla Lombardia verso Mosca sono infatti cresciute del 13,8% in termini di valore e del 21,9% in termini di quantità. Una performance battuta solamente dall’export verso la Francia, il cui valore è lievitato del 24,5%, ma superiore a quelle comunque molto positive segnate verso il Canada (+11,8%), il Giappone (+11,6%) e la Danimarca (+9,6%).

È con questi numeri in crescita che la Collettiva lombarda si accinge a partecipare alla 51a edizione di Vinitaly, il Salone internazionale del vino e dei distillati che si terrà a Verona dal 9 al 12 aprile. Nutrita la presenza di espositori all’interno del Padiglione Lombardia, ospitato come di consueto nel “salotto buono” al primo piano del PalaExpo: circa 200 aziende con oltre mille etichette in degustazione.

L’INTERVENTO DI MARONI
“Parte il Vinitaly, e come tutti gli anni la Lombardia è presente con le tante eccellenze dei suoi territori e la qualità dei suoi prodotti certificati a livello nazionale e internazionale”, ha commentato il Presidente di Regione Lombardia, Roberto Maroni. “I numeri dell’export del vino lombardo lo dimostrano, con l’incremento del 66,8% negli ultimi 15 anni, un incremento della produzione del 6,7% e una balzo del 9% dei vini DOCG”.

“Vogliamo continuare a mantenere questo trend di crescita e Regione Lombardia ha in questi anni sostenuto questa vocazione sempre più internazionale delle aziende vitivinicole lombarde”, ha proseguito Maroni. “Il nostro obiettivo è puntare sulla qualità continuando a valorizzare le nostre eccellenze a beneficio dei territori e del loro sviluppo”.

“Ci piace parlare dell’edizione 2017 come dell’edizione 50+1, marcando la differenza tra il wine businnes e il winelover. Con Vinitaly in the city abbiamo tolto da Vinitaly 30 mila persone dalla fiera del businnes. E i futuri investimenti di Veronafiere”, ha commentato Mauruzio Danese, presidente di Veronafiere.

IL PREMIO PER GLI AMBASCIATORI DEI VINI LOMBARDI ALL’ESTERO
Alla luce di queste performance Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia, che realizzano e finanziano in accordo di programma il Padiglione lombardo, hanno voluto istituire per l’edizione 2017 di Vinitaly un premio per le aziende più rappresentative in termini di export operanti all’interno dei singoli consorzi. Un riconoscimento che premia gli “ambasciatori dei vini lombardi all’estero”.

“Nel panorama di forte crescita del vino della Lombardia, espressione di distintività dei propri territori, abbiamo voluto individuare alcuni testimonial che rappresentano dei casi di vivace imprenditorialità sui mercati esteri”, ha spiegato l’Assessore regionale all’Agricoltura, Gianni Fava. “Questo perché dovremo sempre più, accanto al mercato interno, accompagnare le performance commerciali sul mercato estero. Vinitaly è un’occasione importante a livello internazionale, alla quale sono convinto debba essere affiancata un’attività di sostegno alle aziende da parte delle Regioni, perché le recenti teorie sulla gestione centralizzata dei fondi dell’OCM hanno portato a risultati imbarazzanti”.

Uno sforzo, quello per conquistare i mercati esteri, per il quale consorzi e aziende possono contare anche sul sostegno di Regione Lombardia, che solamente negli ultimi quattro anni ha erogato oltre 13 milioni di euro di contributi nell’ambito dell’OCM vino e della misura di promozione volta a rafforzare la competitività delle imprese lombarde, a incrementare la notorietà dei vini di qualità e la loro presenza sui mercati stranieri.

PRODUZIONE E QUALITÀ IN ULTERIORE CRESCITA
Qualità che, insieme alla varietà, è ormai una caratteristica distintiva riconosciuta dei prodotti enologici lombardi non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. Basti pensare che con la vendemmia 2016 (dati Dichiarazione vitivinicola 2016), che si è chiusa con un incremento del 6,7% della produzione rispetto al 2015 e un +9% delle produzioni DOCG, la quota di vini a Denominazione di Qualità (DOCG, DOC e IGT) è cresciuta ulteriormente, arrivando all’89,2%. In sostanza, nove bottiglie su dieci tra gli oltre 182 milioni di bottiglie potenziali dell’annata 2016 saranno a marchio DOCG, DOC o IGT.

“I nostri vini non hanno nulla da invidiare ai migliori prodotti mondiali, né in termini di qualità, né in termini di varietà”, ha sottolineato il Presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio. “La Lombardia vanta un patrimonio enologico unico che, anche grazie a una manifestazione come il Vinitaly, è sempre più apprezzato anche all’estero”.

“L’obiettivo delle Camere di Commercio, che su questo fronte hanno attivato da tempo una fruttuosa collaborazione con Regione Lombardia, è quello di offrire un supporto il più possibile forte e concreto alle imprese”, ha proseguito Auricchio. “Questo perché possano sfruttare il potenziale che il territorio e i suoi prodotti offrono e approfittare degli ampi margini di crescita che ancora esistono”.

Un sostegno, quello alle imprese, i cui effetti sono rilevanti anche in ambito occupazionale. Negli ultimi cinque anni gli addetti nel settore coltivazione e produzione di vino in Lombardia sono infatti aumentati del 16%, passando dai 5.285 del 2011 ai 6.110 nel 2016 (fonte Infocamere). Le imprese vitivinicole operative sul territorio lombardo sono invece 3.134.

I CONSORZI CUSTODI DI UN PATRIMONIO INEGUAGLIABILE
Il Padiglione Lombardia nel corso di Vinitaly 2017 proporrà un fitto calendario di incontri e degustazioni per buyer, operatori e giornalisti che vorranno conoscere la variegata offerta dei vini lombardi. Una serie di iniziative frutto della collaborazione tra la Regione Lombardia, il Sistema camerale lombardo e i Consorzi di tutela dei vini lombardi.

Questi ultimi sono garanti di un patrimonio che comprende ben l’8% delle Denominazioni di qualità a livello nazionale, a fronte di un contributo in termine di volumi che si ferma al 3%: 5 DOCG, 22 DOC, 15 IGT tutte frutto della varietà di ambienti, di clima e terrori che caratterizzano la Lombardia.

I Consorzi presenti a Vinitaly 2017 sono: Consorzio Franciacorta, Consorzio Lugana, Consorzio Moscato di Scanzo, Consorzio Oltrepò Pavese, Consorzio Provinciale Vini Mantovani, Consorzio San Colombano, Consorzio Terre Lariane, Consorzio Valcalepio, Consorzio Valtellina, Consorzio Valtènesi, ed Ente Vini Bresciani (in rappresentanza dei territori di Botticino, Cellatica, San Martino della Battaglia e Valcamonica).

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Import vino mercati top mondiali secondo Wine Monitor

All’avvicinarsi del giro di boa per il commercio mondiale di vino 2016, l’Italia resta in scia ai diretti competitor, surclassando quelli dell’Emisfero Sud ma arrancando nei confronti degli europei. Nel periodo gennaio-maggio di quest’anno, le importazioni nei primi dieci mercati – che congiuntamente pesano per il 70% dell’import mondiale di vino in valore – sono cresciute del 3,8% riguardo allo stesso periodo dell’anno precedente, superando così i 7,3 miliardi di euro. Stati Uniti e Giappone crescono di oltre il 4%, mentre arretrano Germania e Regno Unito (entrambi con cali vicini al 6%). Ma la vera sorpresa è data in primis dalla Russia che dopo due anni di cali continui nelle importazioni sembra aver riavviato gli acquisti di vino dall’estero (+9%) e soprattutto dalla Cina che, a metà anno, ha già importato lo stesso valore di quanto acquistato dalla Svizzera in tutto il 2015 (1 miliardo di euro). Rispetto a questa dinamica, gli acquisti di vini italiani restano nella media (4%), mentre aumentano sensibilmente quelli spagnoli e francesi, con percentuali superiori all’8% in entrambi i casi. “Le importazioni di vini italiani nei principali mercati mondiali continuano ad essere trainate dagli spumanti. La crescita per questa tipologia nei primi cinque mesi del 2016 è infatti superiore al 20%, mentre nel caso dei vini fermi imbottigliati la variazione è appena dell’1%”, afferma Denis Pantini, responsabile Wine Monitor di Nomisma. Regno Unito e Stati Uniti si confermano i principali mercati di sbocco degli sparkling italiani, dove continua a farla da padrone il Prosecco che nel frattempo inizia a farsi strada anche nel mercato francese, patria del più blasonato Champagne. “Nei primi 5 mesi del 2016, le importazioni in Francia di spumanti Dop italiani – escluso l’Asti – sono praticamente raddoppiate rispetto all’anno scorso, passando da meno di 9 mila a quasi 19 mila ettolitri, per un valore corrispondente di 6,5 milioni di euro” aggiunge Pantini. In questo momento, i vini fermi imbottigliati del Belpaese non stanno invece marciando a grandi passi nel mercato nordamericano (meno del 2% di aumento), ma sembrano recuperare terreno in Cina e in Russia: le importazioni dei nostri vini in questi mercati sono cresciute in valore rispettivamente del 42% e 16%. Al contrario dell’Italia, la Spagna continua a guadagnare posizioni di mercato con la vendita di vini sfusi, in particolare proprio grazie ai ritrovati acquisti della Russia, anche se pure sul fronte dei vini imbottigliati gli spagnoli mettono a segno buoni risultati sia sul mercato statunitense (+8%) che su quello cinese (+42%), consolidando così la loro quarta posizione in termini di vini fermi più importati nel paese asiatico. Ma il vino che più di tutti sta conquistando quote di mercato in Cina è quello australiano. Forte di un accordo di libero scambio entrato in vigore nel dicembre scorso e per il quale è previsto l’azzeramento dei dazi all’import per il vino entro il 2019, nei primi cinque mesi di quest’anno gli acquisti dall’Australia sono cresciuti del 43%, portando così la relativa quota dal 16% di due anni fa al 25% di tutti i vini importati in Cina.

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Anche il Sagrantino per “The Definitive Italian Wine Tasting” 18ma edizione

Si terrà il 28 giugno a Londra, presso la Lindley Hall della Royal Horticultural Halls, dalle 11.00 alle 18.00 la diciottesima edizione di “The Definitive Italian Wine Tasting”, uno degli appuntamenti più attesi d’oltremanica riservato a stampa ed operatori di settore. Nato nel 1999, per sopperire alla carenza di un interlocutore tra i due mercati, l’evento è passato dall’ ospitare 51 espositori a ben 88 del 2011, rappresentanto a tutt’oggi l’unica occasione di incontro tra produttori, Consorzi  ed importatori. Tra le novità di questa edizione previsti tavoli di approfondimento su alcune denominazioni. In particolare il focus sarà su regioni quali Alto Adige , Friuli , Puglia e Veneto . In calendario anche due masterclass con Water Speller esperto di lunga data di vini italiani che vanta un  curriculum da sommelier, buyer , consulente e giornalista. La prima masterclass “Dentro il Chianti Classico – la diversità dei suoi territori e stili”‘ alle 11:30. La seconda alle 15:00 su Conegliano Valdobbiadene e il terroir classico di produzione. Il Regno Unito, secondo i dati diffusi da WineMonitor rappresenta il terzo mercato di export italiano, con una quota del 14% dopo Stati Uniti (24%) e Germania (18%). Primo importatore addirittura di spumanti, secondo i dati Coldiretti e complessivamente quarto paese importatore di prodotti agroalimentari. Un mercato ghiotto al quale si affacciano con interesse anche regioni come l’Umbria.Tra i Consorzi presenti infatti, non mancherà l’appuntamento il Consorzio di Tutela Vini Montefalco con una collettiva di 17 cantine aderenti: Antonelli, Benedetti&Grigi, Colle Ciocco, Colle del Saraceno, Di Filippo, Fattoria Colsanto, Il Colle di Saragan, Le Cimate, Tenute Novelli, Perticaia, Scacciadiavoli, Tenuta Alzatura-Cecchi, Tenuta Rocca di Fabbri, Tenute del Cerro, Terre della Custodia, Tudernum, Viticoltori Broccatelli Galli. Montefalco Bianco Doc, Trebbiano Spoletino, Grechetto, Montefalco Rosso Doc e Montefalco Sagrantino Docg le denominazioni che saranno presentate. “La strada intrapresa verso l’internazionalizzazione delle nostre denominazioni sta portando risultati considerevoli, e la Gran Bretagna rappresenta uno di quei bacini di importazione in cui continuare a investire per promuovere l’eccellenza vinicola umbra – ha dichiarato  Amilcare Pambuffetti, Presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco

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“La nomenclatura danneggia Puglia e Sicilia”: Stefanò chiede un tavolo tecnico

“Dall’importante lavoro svolto da Ismea e di Wine Monitor – Nomisma, sull’export vinicolo delle regioni italiane, emerge quella che a mio avviso è un’evidente ingiustizia, tutta a scapito del Sud e soprattutto a svantaggio di regioni come la Puglia o la Sicilia. I codici di nomenclatura possono aiutare a ‘tracciare’ gli scambi e ricostruire dati più aderenti al vero”.
Lo ha dichiarato ieri, in occasione della conferenza stampa convocata per le 11:30 nella Sala Nassirya di Palazzo Madama, il senatore Dario Stefàno (Sel) a proposito del calcolo dei dati export del vino, attraverso cui si evidenzia una mancata corrispondenza tra il luogo di origine del prodotto e la località di sdoganamento.
“Non mettiamo in discussione il prezioso e puntuale lavoro di Ismea – precisa Stefàno – puntiamo invece i riflettori su quella che appare come una ‘pigrizia burocratica’ che va a pregiudicare le performance di alcune ragioni tra le quali la Puglia”.
“Basta osservare – ha proseguito Stefanò – dal punto di vista statistico, l’incremento della propensione all’export della regione dove avviene lo sdoganamento, a scapito appunto di quella di origine. È il caso palese di regioni come il Piemonte e il Trentino, dove tale propensione è a 3 cifre percentuali (rispettivamente 141% e 173%).
“Quindi – continua Stefàno – se è logico che una regione non possa esportare più del 100% di quanto produce, come opportunamente segnalato nello stesso report di Ismea, tuttavia da questa percentuale ‘dopata’ scaturiscono e si determinano ricadute penalizzanti e pesanti per interi territori”.
Una su tutte, la ripartizione dei fondi Ocm vino che costruisce le sue determinazioni avvalendosi anche dei dati Istat (come quelli in questione) fino ad arrivare a possibili interessi di appeal commerciali o per investimenti che i privati potrebbero realizzare e che le attuali evidenze statistiche, per alcuni casi, potrebbero addirittura scoraggiare”.
“Per sanare questa distorsione della lente statistica – aggiunge Stefàno – intendo proporre la convocazione di un tavolo tecnico presso il Mipaaf, coadiuvato da Ismea, Agenzia delle Dogane e Istat affinché vengano redatti, per le regioni mancanti, i codici di nomenclatura combinata mediante i quali sarà possibile ricostruire il vero dato circa la propensione all’export delle regioni nonché contribuire a migliorare il sistema di informazioni su tali scambi”. “Un’iniziativa – conclude Stefàno – che ribadisce la centralità e l’importanza dell’origine dei prodotti, sulla quale l’Italia non può permettersi alcun tentennamento”.
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Primo CdA Avito: strategie prezzi ed export del vino sul tavolo

Si è tenuto nella sede della presidenza della Regione Toscana il primo Cda di Avito, associazione che riunisce i consorzi vinicoli della Toscana costituita lo scorso 9 marzo per presentare gli obiettivi di questa innovativa realtà toscana. All’incontro era presente  anche il
Presidente della Regione Enrico Rossi che non si è risparmiato in lodi per quella che ritiene una mossa vincente. ”In un momento in cui i vini toscani piacciono alle classi medio alte che ne consumano in estremo oriente, ma non solo bisogna trovare il modo di essere presenti su questi mercati. I piccoli imprenditori da soli non ce la fanno, i grandi hanno spesso difficoltà, l’unione è la strada giusta. Bisogna considerare che l’export toscano arriva secondo dopo il Veneto ma con un indice di crescita superiore” ha dichiarato Rossi durante la conferenza stampa. Per agevolare le aziende, la Regione Toscana metterà a disposizione alcuni servizi attraverso l’Ente di promozione, facilitando l’accesso ai finanziamenti  europei per l’internazionalizzazione di prodotti, attività molto più semplici con Avito come interlocutore unico. Durante il Cda è stata presentata anche un’ nteprima di una ricerca dell’opinionista Klaus Davi sulla percezione del vino e del brand toscano sui quotidiani all’estero. L’Italia, grazie alle crescenti esportazioni, ma anche al ritorno di immagine di personaggi del mondo dello spettacolo e del cinema come Sting, George Clooney, Brad Pitt, fan e consumatori del vino toscano, risulta essere un paese che emerge anche più della Francia. Vini come  Chianti, Brunello e i Supertuscan sono tra i più citati. La Toscana all’estero è un vero e proprio brand  riconoscibile senza rivali in Italia. Un marchio costruito anche grazie al vino, da sempre prodotto traino del comparto agroalimentare italiano, uno tra i prodotti che meglio rappresenta l’unicità della Toscana. Anticipazioni sull’ordine del giorno del prossimo consiglio che vedrà la questione prezzi sul tavolo della discussione come ha annunciato Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio secondo il quale la Toscana produce buoni vini, ma è timida nel posizionamento prezzi. Una politica di prezzo minimo non può essere imposta per legge o dal Consorzio, ma sicuramente Avito potrà stimolare e farsi portavoce di una strategia comune. ”E’ giusto che i produttori abbiano una fonte di reddito importante a fronte del grande impegno e del duro lavoro svolto. In questo momento è più importante lavorare sull’aumento del prezzo, che non sull’aumento del numero di bottiglie prodotte” ha affermato Bindocci.
Foto Controradio
 

 

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Vino toscano: cresce l’export nei paesi extra Ue

In occasione del convegno sul vino tenutosi oggi a Chianti Banca ”I nuovi sostegni finanziari per la viticoltura toscana” sono stati divulgati i dati relativi alle esportazioni di vino toscano raccolti dall’Osservatorio Business Strategies Paesi Terzi, a cura di Nomisma Wine Monitor, su base Istat anno 2015.  Silvana Ballotta, Ceo di Business Strategies, società fiorentina che cura
l’internazionalizzazione di oltre 500 griffe enologiche del settore ha fatto il punto sulla misura Ocm Vino Promozione. L’Ocm vino è la regolamentazione unica dell’Unione Europea che detta alcune norme riguardanti il settore vitivinicolo, sia in ambito produzione, sia in ambito contributi a fondo perso assegnati alle aziende dal Ministero delle Politiche Agricole. L’Ocm vino paesi terzi, in particolare, assegna contributi a fondo perduto per le spese sostenute per la promozione del vino all’estero (partecipazione a fiere, degustazioni, pubblicità e anche finanziamenti di incoming di potenziali clienti nella propria cantina). ”La Toscana vive una stagione felice del proprio vino, con un aumento complessivo dell’export 2015 del 18,3%, trainato dalle destinazioni extra-Ue. L’export Paesi terzi è cresciuto infatti del 24,9% mentre l’aumento Ue si ferma a un pur lusinghiero +8,5% ” ha dichiarato Silvana Ballotta. Totale fatturato 900 milioni di euro. Nel mirino della campagna promozionale 2015-2016 i paesi dove si stanno concentrando maggiormente le esportazioni:Usa, Cina, Canada, Giappone e Russia con un investimento complessivo di 4,5 milioni di euro per un fatturato di 450 milioni di euro. Tra i risultati resi noti, ha sorpreso la performance della Cina (+53,4%, contro una crescita nazionale del 16,7%) dove è in partenza la Wine Academy curata proprio da Business Strategies, degli Usa (+39%) e del Canada (23,4%).  Quanto alle province toscane, vince la sfida Firenze con una crescita in valore del 27,2% rispetto al 2014, mentre Siena segna un +15,1%. Risultati positivi anche per la provincia di Livorno (+22,3%), Arezzo (+4,8%) Pisa (+8,2%) e Pistoia (+13,5%).
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