L’innalzamento dello sconto sulle accise per i microbirrifici è realtà. Sono stati, infatti, approvati gli emendamenti alla Legge di Bilancio, in corso di discussione a Montecitorio, presentati dai gruppi di Lega e Fratelli d’Italia a prima firma degli onorevoli Mirco Carloni e Mauro Rotelli. La misura, che agevola soprattutto gli impianti di piccola taglia, era già attiva per il biennio 2022-2023. A richiederne l’estensione in più provvedimenti è stata Unionbirrai, l’associazione dei piccoli birrifici artigianali indipendenti.
Gli emendamenti sono stati accorpati nel corso della discussione e comportano una copertura economica complessiva inferiore ai 3 milioni di euro l’anno. I piccoli birrifici artigianali con una produzione fino a 10.000 ettolitri beneficeranno di uno sconto sulle accise pari al 50%. Per le imprese che producono fino a 30.000 ettolitri, lo sconto sarà del 30%, mentre per quelle che raggiungono i 60.000 ettolitri lo sconto scenderà al 20%.
LE DICHIARAZIONI DEGLI ADDETTI AI LAVORI
«Con un intervento economico limitato, il Governo sostiene concretamente le produzioni brassicole artigianali nazionali crescita – dichiara Vittorio Ferraris, direttore generale di Unionbirrai – dando quel supporto che per il settore, fatto di piccole e piccolissime imprese, rappresenta un volano determinante per la crescita».
«L’innalzamento dello sconto sulle accise per i microbirrifici – spiega Teo Musso il presidente del Consorzio Birra Italiana – rappresenta un aiuto per la crescita delle filiere dal campo alla tavola. Filiere che sul territorio nazionale stanno già vedendo lo sviluppo di esperienze importanti. Un indotto importante per l’economia dei territori con la crescita della produzione di orzo e di luppolo italiani».
«Una misura importante sostenuta grazie all’impegno del presidente della Commissione Agricoltura della Camera Mirco Carloni e dei parlamentari che hanno lavorato sull’emendamento e del Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare», fa eco il presidente della ColdirettiEttore Prandini.
IL COMPARTO BIRRA IN ITALIA
Un comparto che vede oggi quasi 1200 birrifici in tutta Italia, di cui circa il 25% è agricolo, ovvero produce da sé le materie prime necessarie. Percentuale in costate crescita secondo l’analisi del Consorzio Birra Italiana. La birra artigianale è entrata sempre più nelle case degli italiani, con una produzione di 48 milioni di litri, di cui quasi 3 milioni di litri destinati all’export. Un valore di oltre 430 milioni di euro sul mercato del fuori casa, garantendo 92 mila posti di lavoro tra addetti diretti e indiretti. Un fenomeno sul quale pesano però l’aumento record dei costi di produzione legati alle tensioni internazionali e gli effetti dei cambiamenti climatici. Siccità e maltempo hanno causato una riduzione importante della produzione di orzo facendo drasticamente calare le rese, pur se il prodotto si presenta comunque di ottima qualità.
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«Il successo della birra italiana è minacciato dall’esplosione dei costi che colpisce tutta la filiera con un balzo negli ultimi due anni che va dal +200% dell’energia al +45% per gli imballaggi al +40% per le bottiglie, mentre le lattine hanno segnato +10%, i tappi +22%, i fusti di plastica +23% e i climatici nel 2022 hanno tagliato di 1/3 il raccolto dell’orzo per il malto». È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti e del Consorzio di tutela e promozione della birra artigianale italiana in occasione della giornata nazionale della birra 100% Made in Italy, che si celebra oggi.
Una ricorrenza celebrata a Palazzo Rospigliosi, a Roma, con la preparazione dal vivo della popolare bevanda con la cotta in diretta di malto e luppolo nazionali. Sono intervenuti il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, il Ministro delle Politiche agricole e della Sovranità alimentare e forestale Francesco Lollobrigida e il presidente del Consorzio di tutela e promozione della birra artigianale italiana, Teo Musso.
IN DIECI ANNI TRIPLICATI I BIRRIFICI ARTIGIANALI IN ITALIA
Il tutto mentre risultano triplicati i birrifici artigianali in Italia negli ultimi dieci anni che superano la quota record di 1085 realtà nel 2022 che fanno volare le esportazioni con un balzo del +12%. Quest’anno i consumi nazionali di birra sono destinati a superare il record storico di oltre 35 litri pro capite per un totale di 2 miliardi di litri, generando un volume di fatturato che, considerando tutte le produzioni, vale 9,5 miliardi di euro. Quasi 2 boccali su 3 sono riempiti con produzioni nazionali.
Eppure, sempre secondo l’analisi, «alle difficoltà di produzione si aggiunge, a causa dei costi dell’energia elettrica, anche la carenza sul mercato di anidride carbonica CO2 ad altissimo grado di purezza utilizzata per l’imbottigliamento».
Per questo, affermano Coldiretti e Consorzio, il progetto presentato per il Pnrr prevede lo sviluppo di una tecnologia che permetterebbe il recupero dell’80%dell’anidride carbonica generata in fase di produzione della birra. Il forte incremento dei costi sta spingendo a riorientare la produzione di alcuni birrifici verso l’uso delle lattine piuttosto che bottiglie di vetro.
In questo scenario è necessario sostenere i piccoli produttori di birra artigianale italiana – affermano Coldiretti e il Consorzio – con la stabilizzazione del taglio delle accise per non mettere a rischio un’intera filiera di alta qualità del Made in Italy con effetti sulla produzione, i posti di lavoro e sui consumi.
Fino ad ora i birrifici artigianali hanno assorbito quasi del tutto l’incremento dei costi che solo una piccolissima parte sta pesando sui prezzi al dettaglio. Ma se i costi non dovessero scendere, diverse aziende rischiano di chiudere definitivamente o di dover sospendere la produzione per almeno tentare di ridurre le perdite».
La costruzione di una filiera 100% Made in Italy per il luppolo, l’orzo e il malto come quella sostenuta da Coldiretti e Consorzio di tutela è quindi strategica per garantire da un lato l’alta qualità delle materie prime da usare e dall’altro le quantità necessarie alla produzione con investimenti in ricerca, macchinari, varietà coltivate creando un rapporto più solido tra i produttori di birra ed i coltivatori di orzo, luppolo e altre materie prime complementari.
Fondamentale per la filiera della birra dal campo alla tavola è anche il sistema nazionale di invasi proposto dalla Coldiretti per conservare l’acqua quando è abbondante o addirittura troppa e la possa poi redistribuire ai campi e agli agricoltori nei periodi di maggiore siccità come quello appena affrontato la scorsa estate.
Così il presidente del Consorzio di tutela e promozione della birra artigianale italiana, Teo Musso: «La valorizzazione della filiera è il punto cruciale che la birra artigianale deve portare avanti in modo sempre piu deciso per avere una forte identità sia sul mercato nazionale che come vero made in Italy nel mondo contribuendo allo sviluppo di un comparto che ha bisogno di crescere».
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È stato fermato il tentativo della Commissione europea di escludere vino, birra, carne e salumi dai finanziamenti della promozione comunitaria. In occasione della riunione della sezione promozione del Comitato di Organizzazione Comune dei Mercati Agricoli (Comitato COM), è stata bocciata la proposta della Commissione che avrebbe tagliato le gambe al Made in Italy agroalimentare.
Esulta, dunque, l’Italia. «La demonizzazione di questi prodotti – sottolinea Ettore Prandini, presidente Coldiretti – coincide in maniera evidente con la propaganda del passaggio a una dieta unica mondiale, dove il cibo sintetico si candida a sostituire quello naturale. Non lo possiamo accettare!».
La politica di promozione dell’Ue deve continuare a sostenere tutti i prodotti agricoli dell’Unione – dichiara Luigi Scordamaglia, Consigliere Delegato di Filiera Italia – respingendo gli atteggiamenti discriminatori verso i prodotti a base di carne e le eccellenze dei settori vitivinicolo e della birra, che a pieno titolo sono inclusi nella dieta mediterranea».
Si tratta tuttavia solo di «una prima battaglia da continuare a combattere nei tentativi successivi che certamente arriveranno dalla Commissione», aggiungono all’unisono Coldiretti e Filiera Italia.
Confagricoltura plaude alla posizione dura espressa dal nuovo governo Meloni, rimarcando «l’ottimo esordio del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, su un tema delicato per il settore agroalimentare italiano, quello dei fondi per la promozione commerciale».
FONDI E PROMOZIONE: SVENTATO L’ATTACCO AL MADE IN ITALY AGROALIMENTARE
Senza la posizione assunta oggi dall’Italia – evidenzia la Confederazione – vini, carni rosse e derivati avrebbero rischiato un drastico taglio dei finanziamenti destinati principalmente alla promozione sui mercati esteri.
È un esordio che lascia ben sperare sulle prossime sfide – aggiunge il presidente Massimiliano Giansanti – perché la proposta presentata dalla Commissione UE rientra nell’ambito di una strategia complessiva che metterebbe a rischio l’insieme del sistema agroalimentare».
«Peraltro – continua il presidente di Confagricoltura – i fondi per la promozione risultano ancora più significativi in questa fase in cui, a seguito del caro energia e dell’aumento dell’inflazione, è in atto un preoccupante calo dei consumi».
A riguardo, Confagricoltura ricorda che nel primo semestre di quest’anno le vendite totali di vino nella grande distribuzione sono diminuite di oltre il 7,5% rispetto allo stesso periodo del 2021. Nei primi tre mercati esteri l’export del comparto è sceso di oltre 10 punti in percentuale.
La tendenza al calo delle esportazioni è certificata anche dagli ultimi dati della Commissione Ue sul commercio estero relativo all’agroalimentare. A luglio, le esportazioni degli Stati membri sono cresciute soltanto del 2% in valore su base annuale. «Il che vuol dire – conclude Confagricoltura – una contrazione in termini di quantità che fa riflettere in un contesto economico di annunciata recessione».
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Sale a 3 miliardi di euro il conto dei danni causati dalla siccità che assedia città e campagne. Tra autobotti e razionamenti, il Po è in secca peggio che a Ferragosto, laghi e fiumi sono svuotati e i campi arsi. I raccolti bruciano sui terreni senz’acqua ed esplodono i costi per le irrigazioni di soccorso per salvare le piantine assetate e per l’acquisto del cibo per gli animali, con i foraggi bruciati dal caldo.
È quanto afferma la Coldiretti nel tracciare l’ultimo drammatico bilancio di un 2022 segnato fino ad ora da precipitazioni praticamente dimezzate e produzioni agricole devastate. Un panorama rovente che peggiora con l’ondata di calore che porta le temperature oltre i 40 gradi con le falde sempre più basse mentre si moltiplicano le ordinanze dei comuni per il razionamento dell’acqua.
In questa situazione di profonda crisi idrica, denuncia Coldiretti, «oltre a prevedere uno stanziamento di risorse finanziarie adeguate per indennizzare le imprese agricole per i danni subiti è necessario agire nel breve periodo per definire le priorità di uso dell’acqua disponibile».
La precedenza, sempre secondo la confederazione, va data al settore agricolo «per garantire la disponibilità di cibo, in un momento in cui a causa degli effetti della guerra in Ucraina l’Italia ha bisogno di tutto il suo potenziale produttivo nazionale».
SICCITÀ, LETTERA DI COLDIRETTI A DRAGHI
Parole che il presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha confermato nella lettera al presidente del Consiglio, Mario Draghi. «Accanto a misure per immediate per garantire l’approvvigionamento alimentare della popolazione – si legge nella missiva – appare evidente l’urgenza di avviare un grande piano nazionale per gli invasi che Coldiretti propone da tempo».
a fronte di una crisi idrica la cui severità si appresta a superare quanto mai registrato dagli inizi del secolo scorso, venga poi dichiarato al più presto lo stato di emergenza nei territori interessati con l’intervento del sistema della Protezione civile per coordinare tutti i soggetti coinvolti, Regioni interessate, Autorità di bacino e Consorzi di bonifica, e cooperare per una gestione unitaria del bilancio idrico».
Una richiesta fatta propria anche dalle Regioni, con l’appello al Governo per lo stato di emergenza nel Nord Italia e per avere il supporto a livello nazionale della Protezione Civile.
UN QUARTO DELL’ITALIA A RISCHIO DESERTIFICAZIONE
Sempre secondo Coldiretti, più di un quarto del territorio nazionale (28%) sarebbe a rischio desertificazione, con una situazione di grave siccità che riguarda le regioni del Sud e del Nord. La grande sete minaccia un territorio del bacino padano che rappresenta più del 30% del Made in Italy agroalimentare.
Il Po, al Ponte della Becca (Pavia), è a -3,3 metri rispetto allo zero idrometrico. Un livello più basso di quello raggiunti a Ferragosto 2021. La siccità che colpisce così i raccolti, dal riso al girasole, dal mais alla soia, ma anche le produzioni di grano e di altri cereali e foraggi per l’alimentazione degli animali.
L’assenza di precipitazioni aggrava la situazione di dipendenza dell’Italia dall’estero, sul fronte di diverse materie prime. Il Bel paese produce appena il 36% del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci, il 53% del mais per l’alimentazione delle stalle.
Non va meglio per grano duro per la pasta (56%) ed orzo (73%). «Una emergenza nazionale che riguarda coltivazioni ed allevamenti travolti da una catastrofe climatica che si prefigura addirittura peggiore di quella del 2003 che ha decimato le produzioni agricole nazionali».
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La Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali entra nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco. Lo ha annunciato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel corso dell’Assemblea nazionale della principale organizzazione agricola europea.
L’inserimento del nuovo “patrimonio” è stato ufficializzato in occasione sedicesima sessione del Comitato intergovernativo Unesco, riunito a Parigi. Un risultato che è stato festeggiato con un maxi vassoio di tagliolini al tartufo per le centinaia di agricoltori insieme ai leader politici dei principali partiti e movimenti presenti in Assemblea.
«L’ingresso del tartufo tra i patrimoni dell’umanità – sottolinea Prandini – è un passo importante per difendere un sistema segnato da uno speciale rapporto con la natura, in un rito ricco di aspetti antropologici e culturali. Una tradizione determinante per molte aree rurali montane e svantaggiate, anche dal punto di vista turistico e gastronomico».
Non a caso, al tartufo guarda con molta attenzione anche il mondo del vino. Il Consorzio di Tutela degli spumanti piemontesi Alta Langa ha annunciato a settembre 2021 un progetto che intensifica il rapporto delle pregiate “bollicine” Metodo classico con il tartufo.
L’ente, in collaborazione con il Centro Nazionale Studi Tartufo, intende così sensibilizzare i viticoltori, invitandoli a destinare una porzione di terreno alla piantumazione di alberi simbionti del tartufo. Non solo. Ad occuparsi dei terreni sono le associazioni di trifolao, con l’obiettivo di «favorire buone pratiche di sviluppo e mantenimento delle tartufaie sul territorio delle colline alte di Langa».
LA CERCA DEL TARTUFO
Più in generale, l’arte della Cerca del tartufo coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai. A concorrere alla cifra sono 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (Fnati), ma anche singoli tartufai non riuniti in associazioni (44.600 unità). Esistono altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (Anct) coinvolgono circa 20 mila liberi cercatori e cavatori.
Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani. «Il rapporto cavatore-cane – sottolinea Coldiretti – è in armonia con la natura ed è una delle basi della trasmissione di conoscenze e tecniche legate alla cerca e cavatura, individuate come una pratica sostenibile». In ambito famigliare è ancora il singolo tartufaio più anziano, nonno o padre, che insegna alle nuove generazioni i segreti, gli accorgimenti, i luoghi e le tecniche della cerca e della cavatura.
IL TARTUFO IN ITALIA
Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori battuti dai ricercatori. La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive.
Una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore. Ed è il tartufo in sé a poter essere condisiderato un ecosistema. Si tratta infatti di un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi.
Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia – spiega la Coldiretti – il tartufo deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece dipende dal tipo di terreno».
Se soffice, il tartufo si presenterà più liscio. Se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio. I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina il tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico) si gusta a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti.
GLI ALTRI PATRIMONI UNESCO ITALIANI
L’arte italiana della ricerca del tartufo entra nella lista Unesco del patrimonio culturale immateriale dell’umanità al fianco di molti tesori italiani già iscritti. Dall’Opera dei pupi (iscritta nel 2008) al Canto a tenore (2008), dalla Dieta mediterranea (2010) all’Arte del violino a Cremona (2012), dalle macchine a spalla per la processione (2013) alla vite ad alberello di Pantelleria (2014).
E ancora: dall’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017) alla la Falconeria fino all’Arte dei muretti a secco, ma non mancano neppure luoghi simbolo tutelati dall’Unesco come le Colline del Prosecco e le faggete dell’Aspromonte e del Pollino.
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La Commissione Beca – The Special Committee on Beating Cancer del Parlamento europeo ha approvato la Relazione sul Piano europeo di lotta al cancro che dovrà essere votata dall’Assemblea nelle prossime settimane. A nulla sono serviti gli allarmi lanciati dalle associazioni del settore del vino, in merito alla sostanziale equiparazione tra vino, alcolici e sigarette come potenziali veicoli di tumori.
In campo oggi anche Federvini che, sulla scorta di Ceev, ribadisce «l’importanza di basate su evidenze scientifiche evitando scorciatoie e semplificazioni ideologiche di stampo proibizionistico».
Federvini ritiene grave l’affermazione, contenuta nella relazione votata oggi dalla Commissione Beca, secondo cui «non esiste un livello sicuro di consumo di alcol». I dati scientifici a sostegno di tale affermazione sono «isolati, deboli e contestati anche da molti esponenti della stessa comunità scientifica».
Introducendo un riferimento all’assenza di un livello sicuro di consumo di bevande alcoliche – spiega Vittorio Cino, direttore generale di Federvini – la Commissione del Parlamento europeo ha addirittura fatto un passo indietro rispetto all’European beating cancer plan della Commissione europea, che invece prevedeva una chiara differenza tra consumo moderato ed abuso».
«DEMONIZZATI QUASI TRE MILLENNI DI STORIA»
«Il voto di oggi – sottolinea Cino – rischia invece di legittimare una posizione tesa a demonizzare quasi tre millenni di storia, cultura e tradizione della civiltà del bere italiana. Cultura che per noi vuol dire convivialità, socialità, nell’ambito della Dieta mediterranea».
Il documento approvato dal Parlamento Europeo prevede raccomandazioni che vanno dall’introduzione di health warnings in etichetta, all’innalzamento generalizzato di accise e tasse sui prodotti alcolici. Sino a limiti da porre alla promozione e alla pubblicità, in particolare con riferimento alle manifestazioni sportive.
Si va concretizzando il rischio, già paventato da Federvini insieme alle sue associazioni di riferimento europee, come appunto Ceev – Comité Vins e spirits Europe, che «posizioni ideologiche radicali si traducano in decisioni che, lungi dal contrastare efficacemente l’abuso, colpiscono una fondamentale filiera produttiva agroalimentare italiana».
BECA, RELAZIONE APPROVATA TRA LE POLEMICHE
Nel mirino finisce inoltre «la stragrande maggioranza dei consumatori che si rapportano in maniera corretta e responsabile al mondo dei vini, degli aperitivi, degli amari, dei liquori e dei distillati». «Ci appelliamo alle forze politiche italiane presenti nel Parlamento Europeo – dichiara Micaela Pallini, Presidente di Federvini – affinché possano essere superati almeno gli aspetti più radicali di questo documento in occasione del passaggio in Assemblea plenaria, prevista nelle prime settimane del nuovo anno».
Questo è solo l’ultimo di una serie di tentativi che provano ad introdurre misure penalizzanti e discriminatorie nei confronti dei nostri prodotti: ecco perché invitiamo il Governo ad aprire un tavolo di confronto permanente tra Ministero dell’Agricoltura, Ministero della Salute e Ministero degli Esteri per definire al meglio una posizione italiana di equilibrio e moderazione, in vista dei prossimi appuntamenti internazionali».
«Dal Nutriscore allo zucchero, dalle carni rosse ai formaggi ai prodotti alcolici – conclude la numero uno di Federvini – molte categorie di prodotti ed un intero modello di consumo e stile di vita italiano, è messo sotto attacco. Chiediamo inoltre che il Governo tutto, al di là dei Ministeri competenti, a partire dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, inserisca questo dossier tra quelli prioritari nell’agenda istituzionale dei prossimi mesi».
Sull’approvazione da parte del Parlamento europeo della relazione della Commissione Beca – The Special Committee on Beating Cancer interviene oggi anche Coldiretti. «È del tutto improprio assimilare l’abuso di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino», tuona il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
La relazione dell’Europarlamento «colpisce ingiustamente il vino Made in Italy che ha conquistato la leadership in Europa per produzione ed esportazioni con un fatturato record di 12 miliardi nel 2021 – continua -. Il vino in Italia è diventato anzi l’emblema di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre proprio all’assunzione sregolata di alcol».
«Il giusto impegno dell’Unione per tutelare la salute dei cittadini – evidenzia Prandini – non può tradursi in decisioni semplicistiche che rischiano di criminalizzare ingiustamente singoli prodotti indipendentemente dalle quantità consumate. L’equilibrio nutrizionale va infatti ricercato tra i diversi cibi consumati nella dieta giornaliera e non certo condannando lo specifico prodotto».
BECA: PREOCCUPATA ANCHE ALLEANZA COOPERATIVE AGROALIMENTARI
Malumori per Beca anche da parte di Alleanza Cooperative Agroalimentari. «Anche se non siamo ancora davanti a proposte legislative concrete – commenta Luca Rigotti, coordinatore del settore Vitivinicolo – la votazione odierna del The Special Committee On Beating Cancer rappresenta un elemento di grande preoccupazione per il comparto vitivinicolo e per i Paesi produttori».
Introdurre il principio “no safe level” è assolutamente equivoco per il consumatore, oltre che dannoso per un intero settore che guida, in termini di commercio estero e di fatturato, il comparto agroalimentare Made in Italy».
«L’auspicio – conclude Rigotti – è che quando il dossier passerà nelle mani dell’aula plenaria del Parlamento Europeo, gli eurodeputati introducano elementi di maggiore equilibrio che mettano nella giusta prospettiva il consumo del vino, senza demonizzare il prodotto come tale”, conclude il Coordinatore vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari».
LA POSIZIONE DEL BECA -THE SPECIAL COMMITTEE ON BEATING CANCER
L’istituzione del Beca – The Special Committee On Beating Cancer risale al 2020. «Questo comitato mette in risalto l’importanza della lotta contro il cancro per il futuro dell’Ue», spiegava nel settembre dello scorso anno Bartosz Arłukowicz, a capo del Comitato.
Si stima che nel 2020 saranno diagnosticati 2,7 milioni di nuovi casi di cancro e 1,3 milioni di persone saranno morte di cancro nell’UE. Si prevede che oltre 100 milioni di europei riceveranno una diagnosi di cancro nei prossimi 25 anni. Queste cifre mostrano l’immensa portata del problema che ci aspetta».
«L’impegno dei membri del Parlamento europeo nella creazione di un quadro comune di lotta al cancro è un’espressione della nostra solidarietà – continuava Bartosz Arłukowicz – ma anche della nostra responsabilità per il benessere dei nostri concittadini europei. Dovremmo sostenere i ricercatori, i medici, gli infermieri, gli assistenti sociali e fornire un aiuto concreto ai pazienti che lottano contro il cancro e a quelli che ne sono usciti».
Il tutto nell’annunciare che i successivi 12 mesi sarebbero stati «dedicati a stabilire una serie di raccomandazioni concrete per gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue», al fine di «rafforzare la nostra resistenza contro il cancro». Una visione che si scontra con il Made in Italy. Nel terreno della pratica e della stessa scienza.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Secondo il primo Rapporto Coldiretti/Censis sulle abitudini alimentari degli italiani il 68% della popolazione non vede l’ora di tornare a pranzare e cenare fuori casa in occasione delle feste di Natale e Capodanno.
Dato significativo alla luce delle ipotesi di green pass rafforzato e anticipo della terza dose a cinque mesi dalla vaccinazione all’esame del Governo. Con l’avanzare dei contagi e il possibile cambio di colore, infatti, sono a rischio 5 miliardi di spesa per pranzi e cene nelle festività di fine anno.
«Non si tratta solo di bisogno di convivialità ma anche di garantire la ripresa dell’economia e la tenuta dell’occupazione. Occorre non mettere in crisi la filiera. Filiere che dà lavoro a ben 4 milioni di persone in 740 mila aziende agricole e 70 mila industrie alimentari». Denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
L’IMPATTO ECONOMICO DELLE NUOVE RESTRIZIONI
Le chiusure andrebbero a frenare la ripresa della ristorazione, già tra i settori più danneggiati dalla pandemia. I consumi alimentari degli italiani fuori casa nel 2020 sono scesi al minimo da almeno un decennio. Un crack senza precedenti per bar, ristoranti, trattorie e agriturismi che hanno dimezzato il fatturato (-48%). Una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro.
Ma la situazione si ripercuote a cascata sull’intero sistema agroalimentare con oltre un milione di chili di vino e cibi invenduti nell’anno della pandemia. La drastica riduzione dell’attività pesa infatti sulla vendita di molti prodotti agroalimentari che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. Una minaccia anche per le 5333 specialità tradizionali salvate dagli agricoltori che senza il mercato di sbocco di ristoranti, agriturismi ed indotto turistico rischiano di sparire per sempre.
Si stima che 330 mila tonnellate di carne bovina, 270 mila tonnellate di pesce e frutti di mare e circa 220 milioni di bottiglie di vino non siano mai arrivati nell’anno della pandemia sulle tavole dei locali. Locali impossibilitati a programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili a causa dei continui stop and go.
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Le esportazioni di olio d’oliva Made in Italy nel mondo sono raddoppiate (+100%) in valore negli ultimi venti anni. Un’accelerazione impressa dalla svolta green a tavola verso il consumo di prodotti salutistici legata alla pandemia Covid. È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti su dati Istat relativi al primo semestre del 2021.
Con 315 milioni di chili l’Italia si colloca come secondo produttore mondiale dietro la Spagna il cui raccolto oscilla fra 1,25 a 1,35 miliardi di chili. Al terzo posto la Tunisia con una campagna normale da 250 milioni di chili. Al quarto posto scende la Grecia in cui si prospetta una delle campagne più brutte dal dopoguerra, con la produzione che dovrebbe sfiorare i 200 milioni di chili come quella in lieve calo della Turchia.
IL MERCATO MONDIALE
A sostenere la domanda mondiale è la ricerca di alimentari sani e sostenibili determinata dall’emergenza sanitaria. Gli effetti positivi sulla salute associati al consumo di olio di oliva provati da numerosi studi scientifici. Effetti positivi che hanno fatto impennare le richieste di quel segmento di popolazione che nel mondo è attento alla qualità della propria alimentazione. Un incremento degli acquisti in valore del 5% nei primi sei mesi del 2021.
Quasi la metà di tutto l’olio tricolore esportato nel mondo finisce nei Paesi dell’Unione Europea, dove gli arrivi sono aumentati del 98% nell’arco del ventennio. Ma è in Asia che si registra l’impennata più significativa, con le esportazioni che sono quasi triplicate (+162%).
Il principale mercato di sbocco per l’extravergine tricolore si conferma quello degli Stati Uniti che assorbono da soli quasi un terzo del totale, con un incremento del 73% in 20 anni. Al secondo posto si piazza la Germania (+95%) davanti a Francia, Gran Bretagna e Giappone.
L’OLIO ITALIANO E LA SANA ALIMENTAZIONE
Il boom dell’olio italiano spinge anche i consumi totali che nel mondo sono arrivati a 3,2 miliardi di chili. Secondo un’analisi Coldiretti su dati Coi relativi all’ultimo anno, sono gli americani in cima alla classifica grazie ai 357 milioni di chili che sono finiti sulle tavole.
Merito anche del fatto che l’extravergine tricolore è il simbolo della Dieta Mediterranea che si è classificata come migliore dieta al mondo del 2021 su 35 regimi alimentari presi in considerazione da U.S. News & World’s Report’s.
Un successo sul quale pesa però la minaccia a livello internazionale dalla diffusione di sistemi di etichettatura fuorvianti, discriminatori ed incompleti. Il traffic light inglese e il nutriscore francese finiscono per mettere il bollino rosso ed escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali. Alimenti da secoli sono presenti sulle tavole. Il tutto per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta.
«Si rischia di promuovere cibi spazzatura con edulcoranti al posto dello zucchero e di bocciare elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva considerato il simbolo della dieta mediterranea», denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Secondo una stima di Coldiretti la riapertura di ristoranti, bar e agriturismi vale 2,5 miliardi per il vino italiano, il settore dell’agroalimentare Made in Italy più penalizzato dall’emergenza Covid a causa della chiusura del canale della ristorazione, primo mercato di sbocco.
Il via alla ripresa delle attività di ristoranti, bar e agriturismi, che riguarda un locale su due ha un impatto rilevante dal punto di vista economico per il settore vitivinicolo poiché interessa soprattutto i prodotti a maggior valore aggiunto come i 526 vini a denominazioni di origine e indicazione geografica, che rappresentano il 70% della produzione nazionale e che sono stati proprio i più penalizzati dalla pandemia.
Secondo l’analisi di Coldiretti su dati Ismea a causa dei lockdown e delle misure di restrizione disposte dai vari Dpcm, dall’inizio della pandemia sono rimasti invenduti oltre 220 milioni di bottiglie col risultato che più di 2 aziende vitivinicole su 3 hanno registrato una perdita di fatturato nel 2020, con punte superiori al 30% rispetto all’anno precedente.
Un crollo che non è stato compensato dall’aumento dei consumi domestici che hanno visto un aumento dell’8,3% dei vini fermi e del 7,5% per gli spumanti nel 2020 rispetto all’anno precedente. All’incremento delle vendite al supermercato si accompagna il vero e proprio boom registrato in quelle on line che, sulla base dati di Wine Monitor Nomisma, sono più che raddoppiate nel 2020 (+105%).
Ma Sul settore vitivinicolo rischia di pesare a partire dalla prossima vendemmia anche il crollo della produzione causato dal maltempo e dal gelo con un calo generale stimato pari a 2,5 miliardi di litri. Le gelate tardive che hanno compromesso almeno il 10% della produzione. Addirittura peggiore la situazione in Francia dove forti gelate hanno danneggiato gravemente le gemme dei vigneti, e in alcune aree ridurranno addirittura del 90% la vendemmia, per un calo complessivo stimato tra il 30% e il 40% del totale.
«Come se non bastasse la pandemia, stiamo registrando anche ingenti danni a causa dell’ondata di freddo, in molte aree senza precedenti, che ha portato alle gelate tardive dei giorni scorsi», conferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare la necessità di «immediati interventi economici straordinari».
«In gioco – conclude Coldiretti – c’è il futuro del primo settore dell’export agroalimentare Made in Italy che sviluppa un fatturato da 11 miliardi di euro e genera opportunità di lavoro per 1,3 milioni di persone impegnate direttamente in campi, cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche in attività connesse e di servizio e nell’indotto che si sono estese negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle bioenergie, da quella degli accessori, come cavatappi, dai vivai agli imballaggi, dall’enoturismo alla cosmetica fino al mercato del benessere».
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Il nuovo spauracchio del vino italiano (ed europeo) ha nome e cognome e non arriva dall’altra parte dell’Oceano, come i dazi di Trump. Si chiama Europe’s Beating Cancer Plan e prevede, tra le altre misure volte appunto alla lotta al cancro, l’intensificazione del «sostegno dell’Ue agli Stati membri e agli stakeholders nel rafforzamento delle capacità di ridurre il danno correlato all’alcol». Nulla di preoccupante, solo a prima vista.
Per comprendere la preoccupazione del settore vitivinicolo occorre consultare agli allegati del documento presentato oggi dalla Commissione europea, alla vigilia del World Cancer Day. Tra le “list of action”, l’attenzione si concentra sul punto 3.3, “Reducing harmful alcohol consumption”.
Tra le misure previste, la «revisione della legislazione dell’Ue relativa alla tassazione dell’alcol e all’acquisto transfrontaliero di prodotti alcolici; la proposta di etichettatura obbligatoria dell’elenco degli ingredienti, della dichiarazione nutrizionale sull’etichetta delle bevande alcoliche (leggasi Kcal, ndr) e delle avvertenze per la salute».
Inoltre, l’Ue prevede di «ridurre l’esposizione dei giovani al marketing online di alcolici bevande attraverso il monitoraggio dell’attuazione dell’Audiovisual Media Service Directive», ovvero la Direttiva sui servizi dei media audiovisivi.
Al punto 3.4 dell’allegato, l’altra potenziale stangata per il settore vitivinicolo e degli Spirits, nell’ambito delle iniziative volte alla promozione della salute attraverso l’accesso a la dieta e l’attività fisica.
Sempre tra il 2021 e il 2025 è infatti prevista la «pubblicazione di uno studio di mappatura delle misure fiscali e delle politiche di prezzo su bevande zuccherate, bibite e bevande alcoliche».
Nello stesso calderone, per intenderci, potrebbero finire Coca Coca e pregiate denominazioni del vino italiano ed europeo, con conseguenze fiscali anche sulla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione europea.
Eppure, nel testo ufficiale del documento presentato oggi in Commissione europea, l’unico riferimento agli alcolici è vago. Forse strategicamente. Il team guidato da Ursula von der Leyen, che ha tra gli obiettivi strategici nel campo della salute proprio la lotta al cancro, parla esclusivamente di «harmful alcohol consumption», tra gli ambiti di prevenzione.
L’alcol viene infatti chiamato in causa tra le ragioni che giustificano l’esorbitante impatto economico complessivo del cancro in Europa, superiore ai 100 miliardi di euro all’anno.
«Senza un’azione conclusiva – sottolinea la Commissione europea – si stima che entro il 2035 i casi di cancro aumenteranno di quasi il 25%, diventando la principale causa di morte nell’Ue. Inoltre, la pandemia Covid-19 ha avuto un grave effetto sulla cura del cancro, interrompendo il trattamento, ritardando la diagnosi e la vaccinazione e influenzando l’accesso ai farmaci».
Sul piede di battaglia le maggiori associazioni agricole e della filiera vitivinicola italiana. La prima a lanciare l’allarme è stata Coldiretti: «L’Unione Europea vuole cancellare i fondi per la promozione di carne, salumi e vino – evidenzia il presidente della Confederazione, Ettore Prandini – prevedendo addirittura etichette allarmistiche sulle bottiglie come per i pacchetti di sigarette».
Con la scusa di tutelare la salute, che va invece salvaguardata promuovendo una dieta equilibrata e varia senza criminalizzare singoli alimenti, si propone di introdurre allarmi per la salute nelle etichette delle bevande alcoliche prima del 2023, eliminando altresì dai programmi di promozione i prodotti agroalimentari, come specificatamente le carni rosse e quelle trasformate, che vengono associati ai rischi di tumore».
Sempre secondo Ettore Prandini, quella dell’Ue è una vera e propria «provocazione nei confronti dell’Italia a dieci anni dal riconoscimento Unesco della dieta mediterranea, fondata proprio su una alimentazione diversificata che con pasta, frutta, verdura, carne, extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari, che hanno consentito fino ad ora agli italiani di conquistare il primato europeo di longevità».
È di oggi la reazione stizzita di Confagricoltura Toscana. Così Francesco Colpizzi, presidente regionale della Federazione Vitivinicola: «Sulla Toscana rischia di abbattersi una stangata epocale, l’Europe’s Beating Cancer Plan intende cancellare i fondi destinati alla promozione di vino, carni e salumi e introdurre etichette dissuasive su questi prodotti, segnalati come cancerogeni».
Confagricoltura chiede immediatamente un intervento di tutela da parte del Governo e della Regione: il presidente Eugenio Giani e i vertici di Stato si facciano sentire. Questo è un colpo diretto alla nostra economia, all’identità gastronomica e produttiva del Paese. Non possiamo accettare alcuna etichetta allarmistica.
Davvero stiamo paragonando un panino al prosciutto o un bicchiere di vino – continua Colpizzi – spesso indicato anzi come salutare, al consumo delle sigarette? Un piano di azione, quello europeo, che si spaccia a tutela della salute senza avere solide basi medico-scientifiche. L’unica conseguenza certa sarebbero le ripercussioni devastanti sulla nostra economia”.
Dura anche Unione Italiana Vini. «La comunicazione del Piano di azione della Commissione europea per combattere il cancro – commenta Sandro Sartor, responsabile tavolo vino e salute di Uiv – è preoccupante. Troviamo forviante il principio per il quale il consumo di alcol sia considerato dannoso a prescindere da quantità e tipologia della bevanda».
«Ancora più inique di questa premessa – conclude – sono le proposte del piano che vedono assimilare il consumo di vino al fumo, con la conseguenza di azzerare un settore che solo in Italia conta su 1,3 milioni di addetti e una leadership mondiale delle esportazioni a volume».
Intanto, proprio negli ultimi minuti, arriva dall’Ue aria di disgelo. La Vicepresidente della Commissione europea Margaritīs Schinasriconosce cheè «del tutto improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino in Italia».
Schinas va oltre e sottolinea che nel Bel paese «il consumo consapevole è diventato l’emblema di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol». Il dibattito, insomma, è aperto. Anche all’interno dell’Ue.
Ma l’ultimo intervento, in ordine temporale, è del Segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), Ignacio Sánchez Recarte: «Rimarremo attenti allo sviluppo delle azioni proposte nel campo della tassazione e dell’informazione dei consumatori per garantire che la riduzione del consumo dannoso di alcol rimanga veramente l’obiettivo e la priorità principale».
Quanto alla promozione, «consente ai produttori di vino di trasmettere al meglio l’immagine qualitativa dei propri prodotti e il legame con un determinato territorio e l’idea di ridurre i danni alcol correlati riducendo il consumo di alcol di per sé è semplicistica, particolarmente pericolosa e incoerente con la politica di qualità dell’Ue».
Fa eco a Ceev Sandro Boscaini, in qualità di presidente di Federvini: «L’informazione e l’educazione sono i principali strumenti a disposizione per contrastare abusi ed eccessi, anche in un contesto nel quale il consumo di alcol già risulta in costante declino in Europa e in Italia».
«Sono invece da respingere – aggiunge – misure fiscali e regolamentari che tendono a demonizzare la nostra cultura del bere e della socialità e che, lungi dal contrastare efficacemente l’abuso, colpiscono, oltre che l’intera filiera vitivinicola, la stragrande maggioranza dei consumatori che si rapportano in maniera corretta e responsabile al mondo dei vini, degli aperitivi, degli amari, dei liquori e dei distillati».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Meglio tardi che mai. Coldiretti si schiera con Vinarius contro il divieto di asporto di vino da parte delle enoteche dalle ore 18, previsto dall’ultimo Dpcm del Governo. «La chiusura anticipata discrimina ingiustamente le oltre 7 mila enoteche presenti in Italia nei confronti di negozi alimentari e supermercati ai quali resta correttamente consentita la vendita dei vini».
Così il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, nel sottolineare «l’esigenza di una coerente interpretazione dell’ultimo DPCM per evitare di danneggiare un settore da primato del Made in Italy che vale oltre 11 miliardi all’anno». Proprio ieri l’editoriale di WineMag.it che denunciava il silenzio attorno l’assurdo provvedimento.
L’entrata in vigore del DPCM del 14 gennaio che vieta dopo le ore 18:00 la vendita con asporto ai bar senza cucina ed a coloro che esercitano prevalentemente il commercio al dettaglio di bevande rischia di tradursi di fatto, come denuncia la Coldiretti, «in una ingiustificata disparità di trattamento per la vendita di bevande alcoliche a discapito delle enoteche».
Infatti, fino al prossimo 5 marzo, l’acquisto dei predetti prodotti – spiega la Coldiretti – potrà essere effettuato anche dopo le 18 presso la grande distribuzione e altri esercizi di vicinato che non abbiano come codici Ateco prevalenti quelli ricadenti espressamente nel suddetto divieto.
Le enoteche – sottolinea la Coldiretti – hanno avuto negli ultimi anni una forte espansione offrendo opportunità di lavoro a molti giovani, sotto la spinta di nuovi modelli di consumo che valorizzano la ricerca della qualità e del legame con il territorio».
Una tendenza, precisa Coldiretti, che «va sostenuta ed incoraggiata nel rispetto delle norme di sicurezza». Il settore del vino è già tra i più colpiti dagli effetti delle misure restrittive anti Covid con la chiusura della ristorazione. Un settore in cui viene commercializzato più della metà in valore delle bottiglie stappate in Italia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“Con l’elezione del nuovo presidente Usa Biden occorre avviare un dialogo costruttivo ed evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti, che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati, in un momento drammatico per gli effetti della pandemia”.
Lo afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini sui nuovi dazi Usa nei confronti di Francia Germania, che entreranno in vigore dal 12 gennaio 2021. Nella lista, oltre componenti degli aeromobili, anche vino e cognac.
“Gli Stati Uniti – aggiunge Prandini – sono il primo mercato extraeuropeo per i prodotti agroalimentari tricolori per un valore che nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi, con un ulteriore aumento del 2,8% nei primi nove mesi del 2020″.
L’Italia è il principale esportatore di vino negli Stati Uniti, per un valore di oltre 1,5 miliardi di euro nel 2019, in leggero calo del 5% quest’anno per effetto della pandemia Covid-19, secondo l’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi nove mesi dell’anno.
L’annuncio delle nuove tariffs a carico dei prodotti di Francia e Germania avviene proprio in occasione dell’accordo tra Ue e Cina sugli investimenti. Un patto non gradito agli Usa, che ha visto protagonisti i leader dei due Paesi europei, Angela Merkel e Emmanuel Macron.
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Scade nel weekend il termine di 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.230 del Decreto interministeriale sulle Disposizioni per “l’indicazione obbligatoria del luogo di provenienza nell’etichetta delle carni suine trasformate“. Entra quindi finalmente in vigore l’obbligo di indicare in etichetta l’indicazione di provenienza su salami, mortadella, prosciutti e culatello per sostenere il vero Made in Italy e smascherare l’inganno della carne tedesca o olandese spacciata per italiana.
Si tratta di un appuntamento atteso dall’82% degli italiani che, secondo un’indagine Coldiretti/Ixè, con l’emergenza Covid vogliono portare in tavola prodotti Made in Italy per sostenere l’economia ed il lavoro del territorio. Una tendenza confermata dal successo della campagna #mangiaitaliano promossa da Coldiretti e Filiera Italia che ha coinvolto industrie e catene della grande distribuzione.
L’obbligo scatta proprio ad una settimana dalla pubblicazione del decreto Filiera Italia che per la prima volta stanzia un bonus salva Made in Italy a favore della ristorazione colpita dall’emergenza Covid per l’acquisto di prodotti alimentari italiani al 100 % per un importo complessivo di 600 milioni di euro, compresi i salumi da animali nati, allevati e macellati in Italia.
Una norma che consente di fare chiarezza in una situazione in cui 1 prodotto alimentare su 4 sugli scaffali richiama all’italianità, stando ad un’analisi dell’Osservatorio Immagino, senza però avere un legame con la produzione agricola nazionale, dalle coltivazioni agli allevamenti.
“In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta il Paese d’origine di tutti gli alimenti per combattere la concorrenza sleale al Made in Italy – ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – L’Italia ha la responsabilità di svolgere un ruolo di apripista in Europa grazie alla leadership nella qualità e nella sicurezza alimentare”.
Il provvedimento, che consente lo smaltimento delle scorte fino ad esaurimento, è importante per garantire trasparenza nelle scelte ai 35 milioni di italiani che almeno ogni settimana portano in tavola salumi ma anche per sostenere i 5 mila allevamenti nazionali di maiali messi in ginocchio dalla pandemia e dalla concorrenza sleale.
A preoccupare è infatti l’invasione di cosce dall’estero per una quantità media di 56 milioni di “pezzi” che ogni anno si riversano nel nostro Paese per ottenere prosciutti da spacciare come Made in Italy. Si stima, infatti, che tre prosciutti su quattro venduti in Italia siano in realtà ottenuti da carni straniere senza che questo sia stato fino ad ora esplicitato in etichetta.
La norcineria è un settore di punta dell’agroalimentare nazionale che contribuisce al prestigio del made in Italy nel mondo grazie al lavoro di circa centomila persone tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione con un fatturato che vale 20 miliardi.
Il decreto sui salumi prevede che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette le informazioni relative a:
Paese di nascita: (nome del paese di nascita degli animali)
Paese di allevamento: (nome del paese di allevamento degli animali)
Paese di macellazione: (nome del paese in cui sono stati macellati gli animali)
Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso paese, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma:
Origine: (nome del paese)
La dicitura “100% italiano” è utilizzabile dunque solo quando la carne è proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia. Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più Stati membri dell’Unione Europea o extra europea, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma:
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Entra finalmente in vigore l’obbligo di indicare in etichetta l’indicazione di provenienza su salami, mortadella, prosciutti e culatello per sostenere il vero Made in Italy e smascherare l’inganno della carne tedesca o olandese spacciata per italiana. Scade infatti nel weekend il termine di 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.230 del Decreto interministeriale sulle Disposizioni per “l’indicazione obbligatoria del luogo di provenienza nell’etichetta delle carni suine trasformate“.
Si tratta di un appuntamento atteso dall’82% degli italiani che, secondo un’indagine Coldiretti/Ixè, con l’emergenza Covid vogliono portare in tavola prodotti Made in Italy per sostenere l’economia ed il lavoro del territorio. Una tendenza confermata dal successo della campagna #mangiaitaliano promossa da Coldiretti e Filiera Italia che ha coinvolto industrie e catene della grande distribuzione.
L’obbligo scatta proprio ad una settimana dalla pubblicazione del decreto Filiera Italia che per la prima volta stanzia un bonus salva Made in Italy a favore della ristorazione colpita dall’emergenza Covid per l’acquisto di prodotti alimentari italiani al 100 % per un importo complessivo di 600 milioni di euro, compresi i salumi da animali nati, allevati e macellati in Italia.
Una norma che consente di fare chiarezza in una situazione in cui 1 prodotto alimentare su 4 sugli scaffali richiama all’italianità, stando ad un’analisi dell’Osservatorio Immagino, senza però avere un legame con la produzione agricola nazionale, dalle coltivazioni agli allevamenti.
In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta il Paese d’origine di tutti gli alimenti per combattere la concorrenza sleale al Made in Italy – ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – L’Italia ha la responsabilità di svolgere un ruolo di apripista in Europa grazie alla leadership nella qualità e nella sicurezza alimentare”.
Il provvedimento, che consente lo smaltimento delle scorte fino ad esaurimento, è importante per garantire trasparenza nelle scelte ai 35 milioni di italiani che almeno ogni settimana portano in tavola salumi ma anche per sostenere i 5 mila allevamenti nazionali di maiali messi in ginocchio dalla pandemia e dalla concorrenza sleale.
A preoccupare è infatti l’invasione di cosce dall’estero per una quantità media di 56 milioni di “pezzi” che ogni anno si riversano nel nostro Paese per ottenere prosciutti da spacciare come Made in Italy. Si stima, infatti, che tre prosciutti su quattro venduti in Italia siano in realtà ottenuti da carni straniere senza che questo sia stato fino ad ora esplicitato in etichetta.
La norcineria è un settore di punta dell’agroalimentare nazionale che contribuisce al prestigio del made in Italy nel mondo grazie al lavoro di circa centomila persone tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione con un fatturato che vale 20 miliardi.
Il decreto sui salumi prevede che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette le informazioni relative a:
Paese di nascita: (nome del paese di nascita degli animali)
Paese di allevamento: (nome del paese di allevamento degli animali)
Paese di macellazione: (nome del paese in cui sono stati macellati gli animali)
Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso paese, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma:
Origine: (nome del paese)
La dicitura “100% italiano” è utilizzabile dunque solo quando la carne è proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia. Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più Stati membri dell’Unione Europea o extra europea, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma:
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Il terremoto Covid si abbatte sul mondo del vino che per la prima volta in 30 anni registra una frenata dell’export con un calo del 3,2% in valore nei primi sette mesi del 2020 con una storica inversione di tendenza che non ha precedenti. È quanto emerge da una analisi di Coldiretti che ha promosso l’incontro “Covid, la sfida del vino Made in Italy“.
Con il moltiplicarsi dei Paesi che hanno adottato misure di contenimento con la chiusura di bar e ristoranti sale il conto dei danni alle esportazioni di vino italiano, che è il più bevuto nel mondo. Germania, Stati Uniti e Regno Unito che rappresentano i principali mercati di sbocco delle bottiglie tricolori sono infatti in sofferenza per il rapido diffondersi della pandemia che rischia di compromettere anche gli ordini per la fine dell’anno.
Il terremoto sull’economia provocato dal coronavirus mette a rischio il fondamentale motore economico generato dal vino italiano che realizza oltre la metà del proprio fatturato all’estero. Lo scorso anno infatti su un totale di 11 miliardi, che hanno sviluppato 1,3 milioni di posti di lavoro lungo la filiera ora in pericolo, le esportazioni sono risultate pari a 6,4 miliardi.
“Grazie alla azione di Coldiretti sono state adottate varie misure finalizzate a dare liquidità ai produttori e ridurre le giacenze di vini e di uve della nuova vendemmia ma anche sgravi contributivi, incentivi all’acquisto di vino e prodotti italiani” ha affermato il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “c’è incertezza e preoccupazione fra gli imprenditori, ma l’Italia ha le potenzialità per ripartire meglio degli altri. L’internazionalizzazione è dunque una scelta obbligata per il nostro Paese che deve cogliere questo momento di crisi per mettere a punto una strategia più incisiva di presenza sui mercati stranieri”.
Vanno aiutate le imprese a superare questo difficile momento – prosegue Prandini – e va preparata la ripresa con un piano straordinario di internazionalizzazione anche con la creazione di nuovi canali commerciali e una massiccia campagna di comunicazione superando l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse puntando, in primo luogo, ad una regia nazionale attraverso un’agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo, valorizzando il ruolo strategico dell’Ice e con il sostegno delle ambasciate”.
“In questo contesto un primo obiettivo è stato raggiunto – dichiara ancora Prandini – con la presenza di Josè Rallo come primo rappresentante agricolo nel consiglio di amministrazione dell’Ice che viene proprio dal mondo del vino ma anche con l’arrivo per la prima volta nelle ambasciate italiane della figura del Consigliere Diplomatico agricolo come abbiamo chiesto”.
“Serve poi recuperare i ritardi strutturali – conclude Prandini – e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. Una mancanza che ogni anno rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export e una ‘bolletta logistica’ più pesante per la movimentazione delle merci“.
Un duro colpo per l’Italia che ha una produzione di oltre 46 milioni di ettolitri nella vendemmia 2020 che conferma il proprio ruolo di leader mondiale davanti alla Francia. Un primato consolidato grazie a 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi, con le bottiglie Made in Italy destinate per circa il 70% a Docg, Doc e Igt. 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt).
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Il Natale ed il Capodanno senza brindisi costano 1,2 miliardi di euro, cifra spesa lo scorso anno dagli italiani, in casa e fuori, per imbandire con vini e spumanti le tradizionali maxi tavolate delle feste di fine anno e che rischiano di sparire per l’emergenza coronavirus. È quanto emerge da una proiezione di Coldiretti, divulgata nell’ambito dell’incontro “Covid, la sfida del vino Made in Italy“, in riferimento all’invito del premier Giuseppe Conte a festeggiare in famiglia ma con prudenza senza immaginare feste e pranzi affollati.
Il settore del vino e degli spumanti è quello più colpito a tavola dalle limitazioni dei festeggiamenti con gli italiani che dovranno dire addio a pranzi e cenoni, con in media 9 persone, che hanno segnato il Natale ed il Capodanno nel 2019 secondo l’indagine Coldiretti/Ixè.
Le feste di fine anno fanno registrare tradizionalmente il massimo di domanda di spumanti e vino italiani ma a pesare nel 2020 oltre al lockdown per ristoranti e locali pubblici sono soprattutto il divieto alle feste private e ai tradizionali veglioni, i limiti posti agli spostamenti dal coprifuoco e l’invito a non ricevere in casa persone non conviventi. Il risultato è un taglio netto dei consumi rispetto ai circa 74 milioni di tappi di spumante stappati solo in Italia per le feste di fine anno nel 2019.
Le previsioni sull’andamento del contagio preoccupano anche per i divieti posti alla gran parte degli eventi tradizionali che segnano la fine dell’anno a partire da sagre, feste paesane e mercatini natalizi che sono momenti importanti per l’acquisto di regali enogastronomici, come vino, liquori e spumanti. Senza dimenticare l’impatto negativo della mancanza di turisti italiani e stranieri con molti Paesi, a partire dalla Germania, che hanno già messo l’Italia nella black list delle zone più pericolose. Un danno pesantissimo considerato che quasi 1/3 della spesa turistica nel Belpaese è destinata proprio all’enogastronomia.
Il crollo delle spese di fine anno a tavola e sotto l’albero rischia così di dare il colpo di grazia ai consumi di vino degli italiani con quasi 4 cantine italiane su 10 (39%) che registrano un deciso calo dell’attività, con un pericoloso allarme liquidità che mette a rischio il futuro del vino italiano dal quale nascono opportunità di occupazione per 1,3 milioni di persone, dalla vigna al bicchiere.
Ad essere danneggiata è soprattutto la vendita di vini di alta qualità che trova un mercato privilegiato in bar, alberghi e ristoranti. Nel 2020 il vino italiano di qualità perde oltre il 40% delle vendite su questo canale di consumo. Un colpo pesante che si aggiunge a quello derivante da blocchi o limitazioni di altre attività che sono direttamente o indirettamente connesse al consumo di vino, come feste, matrimoni, convegni, congressi, fiere e spettacoli.
“A livello nazionale la Coldiretti è impegnata nella campagna #iobevoitaliano per promuovere gli acquisti ma serve anche sostenere con massicci investimenti pubblici e privati la ripresa delle esportazioni con il vino che rappresenta un elemento di traino dell’intero Made in Italy sui mercati mondiali – ha dichiarato il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini – serve un piano strategico per l’internazionalizzazione necessaria per sostenere la ripresa come abbiamo avuto la possibilità di illustrare al Capo dello Stato Sergio Mattarella nell’incontro che ci ha concesso”.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
La ‘cacciata’ di Trump dalla Casa Bianca non scioglie le incognite sui dazi sul vino e sull’agroalimentare Made in Italy. A sottolinearlo non è solo la Coldiretti. Nel commentare la vittoria del Democratic Party di Joe Biden, anche Michele Geraci, ex sottosegretario allo Sviluppo economico del Governo Conte, Professor of Practice in Economic Policy alla Nottingham University a Ningbo nonché Adjunct Professor alla New York University a Shanghai, invita alla cautela. Un parere autorevole, da testimone diretto delle dinamiche di Asia e Atlantico.
È utile ricordare che una minor pressione sulla Cina, costretta da Trump ad acquistare di più Made in Usa, avrebbe spostato acquisti da parte della Cina dall’America. D’altro lato, però, è probabile che Biden spinga per un approccio sempre più liberista nel commercio, favorendo de-facto i paesi agili, con leggi sul lavoro flessibili, modello anglo-sassone”.
In questo senso, sempre secondo Geraci (nella foto, sotto), “i paesi in ritardo a livello tecnologico o con ancora il mito del ‘lavoro fisso’, come l’Italia, saranno penalizzati se non si adotteranno a livello politico le necessarie contromisure”.
Per questo, ammonisce ancora l’ex sottosegretario, “l’Italia deve quindi essere più proattiva in Commissione Europea dove si decidono le politiche commerciali come dazi e Trattai di libero scambio”.
Deve quindi sviluppare analisi di impatto fattuali, dettagliate e basate sui numeri e non su ideologie. Un approccio che avevo introdotto al MiSE, ma che ora sembra, purtroppo per il nostro Paesi, sia stato abbandonato dal responsabile al governo per le politiche commerciali”.
L’elezione del nuovo presidente Usa arriva di fatto a poco più di un anno dall’’entrata in vigore di tariffs aggiuntive del 25% su una lunga lista di prodotti importati dall’Italia e dall’unione Europea, per iniziativa di Donald Trump.
Era il il 18 ottobre 2019 e il Tycoon reagiva così nell’ambito della disputa nel settore aereonautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus, in seguito all’autorizzazione all’Ue ad applicare dazi, varata dal Wto. Morbida, al momento, la posizione di Ettore Prandini.
Ci sono le condizioni per superare i dazi aggiuntivi Usa che colpiscono le esportazioni agroalimentari Made in Italy – per un valore di circa mezzo miliardo di euro su prodotti come Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello”, è quanto affermato dal presidente della Coldiretti in riferimento all’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden.
“Occorre ora avviare un dialogo costruttivo ed evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti – ammonisce Prandini – che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati in un momento drammatico per gli effetti della pandemia”.
“Gli Stati Uniti sono il primo mercato extraeuropeo per i prodotti agroalimentari tricolori per un valore che nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi, con un ulteriore aumento del 3,8% nei primi otto mesi del 2020″, conclude Prandini.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un tracollo del 70% del consumo di vino è il costo stimato dell’ultimo decreto del Governo che chiude i locali alle 18. L’allarme arriva dal del Consorzio Vino Chianti, ma anche da Coldiretti, che sottolinea oggi i timori per il lockdown in Germania, una delle piazze privilegiate del Made in Italy enologico.
Tremila produttori per 15.500 ettari di vigneto e una produzione di 800 mila ettolitri. Questi i numeri del Chianti, che lancia la carica contro il decreto 24 ottobre, a poche ore dalle nuove misure del governo Conte.
“Il 70 per cento del vino si consuma dall’aperitivo in poi – spiega il presidente del Consorzio, Giovanni Busi – è un colpo durissimo al settore. Tutto questo senza considerare che i ristoratori, i locali e le enoteche si sono adattati puntualmente ad ogni disposizione, accogliendo i clienti in totale sicurezza. Hanno fatto sacrifici economici importanti, anche indebitandosi ulteriormente, pur di restare aperti”.
Nella situazione attuale, continua il presidente, “era necessario adattare le restrizioni alle realtà locali e alle condizioni di lavoro delle attività, per garantire i lavoratori e le aziende. Invece si è preferito agire in maniera dura, anche confusa, per tamponare un oggettivo problema di organizzazione che questo Governo continua a manifestare”.
Di fronte a una situazione critica, “il Governo si è mostrato assente e sordo – aggiunge Busi – Continua questa brutta abitudine di annunciare ristori e misure di sostegno senza poi concretizzare in tempi brevi. Ci sono ancora lavoratori che aspettano la cassa integrazione dei mesi estivi, c’è sempre troppo burocrazia che soffoca le imprese, soprattutto le più piccole”.
Altri paesi europei hanno garantito almeno il 75% dell’incasso, noi ancora siamo troppo indietro. Sarebbe necessario anche garantire un accesso al credito più facile, oggi completamente assente, eliminando temporaneamente gli accordi di Basilea”.
Molta preoccupazione anche per le previsione sul Natale, problema che riguarda anche il settore della birra, come evidenziato dall’intervista esclusiva pubblicata ieri da WineMag.it. “Con il virus dobbiamo convivere ancora per diverso tempo – conclude Busi – ora il Governo deve prendere provvedimenti concreti altrimenti il fallimento di interi settori economici sarà inevitabile”.
COLDIRETTI: “NECESSARIA UN’AGENZIA UNICA”
Con il lockdown in Germania e la chiusura di bar e ristoranti sono a rischio 7,2 miliardi di export agroalimentare Made in Italy, con il Paese di Angela Merkel che è quello che nel mondo apprezza di più la cucina italiana, anche per il record in Europa di locali e pizzerie che si richiamano alla tradizione enogastronomica tricolore.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione dell’inizio del lockdown in Germania, dove la chiusura di bar e ristoranti durerà almeno un mese. Una misura destinata ad avere un impatto sulle esportazioni di cibo e vino Made in Italy con il rischio concreto “di una inversione di tendenza dopo che le spedizioni avevano fatto registrare un aumento del 7% nei primi sette mesi del 2020 nonostante le difficoltà”.
“A preoccupare – continua la Coldiretti – sono in realtà le misure restrittive annunciate per la ristorazione in tutta Europa, dalla Francia dove le nuove chiusura di bar e ristoranti in tutto il Paese sono in vigore dal weekend ma anche in Svizzera, Austria, Grecia e Inghilterra che è il quarto mercato di sbocco dell’italian food nel mondo dopo Germania, Francia e Usa”.
Le esportazioni agroalimentari nazionali avevano raggiunto nel 2029 il valore record di 44,6 miliardi di euro con un aumento del 3,5% nei primi sette mesi del 2020 che difficilmente sarà mantenuto a causa delle misure restrittive rese necessarie in molti Paesi per contenere il contagio.
Un elemento di difficoltà che si aggiunge alla contrazione dei consumi interni con le vendite di cibi e bevande nel settore della ristorazione in Italia che sono praticamente dimezzate (-48%) nel corso dell’anno con un impatto drammatico a valanga sull’intera filiera, dai tavoli dei locali fino alle aziende agricole e alimentari nazionali.
“Per fronteggiare gli effetti della pandemia sull’export – sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – vanno aiutate le imprese a superare questo difficile momento e va preparata la ripresa con un piano straordinario di internazionalizzazione con la creazione di nuovi canali e una massiccia campagna di comunicazione per le produzioni 100% Made in Italy”.
“Occorre superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse puntando, in primo luogo, ad una regia nazionale attraverso un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo con il sostegno delle Ambasciate dove vanno introdotti anche adeguati principi di valutazione delle attività legati, per esempio, al numero dei contratti commerciali”.
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A nulla sono valsi gli appelli del settore della ristorazione e del vino italiano. In base al nuovo Dpcm del 24 ottobre, gli esercizi commerciali dovranno chiudere alle ore 18. Sul nuovo provvedimento interviene anche la presidenza Fipe-Confcommercio, riunitasi d’urgenza ieri.
Il 28 ottobre, la Federazione sarà presente in 21 piazze d’Italia “per ribadire i veri valori del settore (economici, sociali, culturali ed antropologici) messi in seria discussione dagli effetti della pandemia da Covid-19, che sta mettendo a repentaglio la tenuta economica del settore, l’occupazione (a rischio oltre 350 mila posti di lavoro) e il futuro di oltre 50 mila imprese“.
“Fipe – si legge in una nota – esprime nuovamente perplessità e contrarietà alla chiusura dei pubblici esercizi alle ore 18. Per la ristorazione è impedita l’attività del servizio principale della giornata, mentre per i bar si tratta di un’ulteriore forte contrazione dell’operatività“.
La contrarietà si aggiunge alla consapevolezza che non esiste connessione tra la frequentazione dei Pubblici Esercizi e la diffusione dei contagi, come dimostrato da fonti scientifiche, che attribuiscono piuttosto ad altri fattori -mobilità, sistema scolastico e mondo del lavoro- le principali fonti di contagio”.
La Federazione ha preso atto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Conte relativi ad interventi urgenti e specifici a favore del settore. “Pur apprezzando l’impegno dal Governo”, continua la presidenza Fipe, la Federazione si è “immediatamente attivata affinché gli stessi siano economicamente significativi, certi e immediatamente esigibili per tutte le imprese del settore”.
Anche Coldiretti chiede interventi mirati. “Le limitazioni alle attività di impresa – sottolinea il presidente della Ettore Prandini – devono dunque prevedere un adeguato sostegno economico lungo tutta la filiera e misure come la decontribuzione protratte anche per le prossime scadenze superando il limite degli aiuti di Stato”.
Era stato lo stesso premiaer Giuseppe Conte, il 18 ottobre, a confermare l’intenzione del Governo agli aiuti ai settori più colpiti dall’emergenza Covid-19, come turismo e ristorazione. In particolare, Conte ha annunciato “strumenti di tutela dagli effetti economici della crisi”, nella Legge di Bilancio 2021.
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Unione italiana vini e Coldiretti accolgono con entusiasmo la decisione degli Usa di non imporre dazi sul vino italiano, comunicata ieri dall’Ustr. “Ancora una volta – commenta il presidente Uiv, Ernesto Abbona – l’Italia del vino rimane fuori dalla disputa commerciale Airbus. Nell’esprimere soddisfazione e gratitudine per quanto fatto in Italia e negli Usa a vari livelli dal settore, dall’indotto e dalle istituzioni, riteniamo questo un successo della diplomazia, fondamentale ma purtroppo non definitivo, in un mercato che vale circa un quarto delle nostre esportazioni di vino nel mondo”.
Un pericolo scampato che non fa dormire comunque sereni. “L’Unione Europea – evidenzia il presidente Coldiretti, Ettore Prandini – ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che, come ritorsione, proprio all’inizio di agosto di sei anni fa, ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che è costato al Made in Italy 1,2 miliardi. Ora è paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa”.
Al danno peraltro si aggiunge la beffa poiché il nostro Paese si ritrova ad essere punito dai dazi Usa che non riguardano il vino, ma prodotti come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello, nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto francotedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”.
Soddisfatto anche Ivan Scalfarotto, Deputato di Italia Viva e Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale: “Revisione semestrale dei daziAirbus da parte degli Usa senza alcuna tariffa aggiuntiva sui prodotti italiani. Una decisione che premia il lavoro di Farnesina e Ambasciata a Washington a favore delle nostra economia e delle nostre imprese”, ha twittato.
La disputa, però, è ancora lunga. “Ora – precisa ancora Ernesto Abbona – confidiamo che l’azione politico-diplomatica combinata che ha visto protagonisti, tra gli altri, il sottosegretario agli Esteri, Ivan Scalfarotto, e l’Ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio, e oltre 27 mila commenti anti-dazi pervenuti dai Paesi interessati agli uffici del Commercio americano, si concentri sull’indagine Usa relativa alla cosiddetta digital tax approvata l’anno scorso dal Governo italiano”.
L’obiettivo è scongiurare ancora una volta una ritorsione commerciale che si rivelerebbe perdente per l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti. “Per questo – ha concluso il presidente Uiv – servirà intensificare il dialogo incoraggiando, anche in sede europea e internazionale, un percorso di cooperazione con gli Stati Uniti sui due fronti aperti. Dobbiamo assolutamente evitare che il vino possa divenire nuovamente bersaglio di dispute alle quali è completamente estraneo”.
Secondo le elaborazioni su base dogane dell’Osservatorio del Vino di Uiv, gli Stati Uniti rappresentano il primo buyer di vino al mondo e l’Italia è tornata a essere il primo Paese fornitore, con un valore delle vendite nel primo semestre di quest’anno fissato a quasi 1 miliardo di dollari, in crescita sia a volume (+2,9%) che a valore (+1,8%) sul pari periodo 2019.
La Francia, colpita dai dazi aggiuntivi e principale competitor oltreoceano, nello stesso periodo ha registrato una perdita a valore del 25,3%; anche la Spagna ha pagato dazio alle ritorsioni commerciali accusando un -12,3%.
Tra i vini Made in Italy, il cui risultato è ancor più significativo se si considera anche il calo complessivo delle importazioni di vino negli Usa (-10%, a 2,8 miliardi di dollari), gli spumanti (+4,7%) fanno meglio a valore rispetto ai fermi imbottigliati (+1,3%), che rimangono la tipologia più venduta con un controvalore di 742 milioni di dollari.
In forte difficoltà invece i fermi imbottigliati francesi che, vittime dei dazi aggiuntivi, chiudono il semestre a -37%. Tornando all’Italia, i nuovi dazi avrebbero colpito 3 miliardi di euro di cibo Made in Italy, pari a 2/3 del totale in un momento reso già difficile dall’impatto della pandemia sul commercio globale.
Tra l’altro gli Stati Uniti sono il primo mercato extraeuropeo per i prodotti agroalimentari tricolori per un valore che nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi, con un ulteriore aumento del 4,8% nei primi sei mesi del 2020, anche se a giugno le difficoltà causate dal Coronavirus hanno fatto segnare una inversione di tendenza (-0,9%).
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Via libera dell’Unione Europea ha dato il via libera all’etichetta Made in Italy a tutela di salami, mortadella, prosciutti e culatello per smascherare l’inganno della carne straniera spacciata per italiana come chiede, secondo l’indagine on line del Ministero delle Politiche agricole, il 93% dei cittadini che ritiene importante conoscere l’origine degli alimenti.
Ad annunciarlo è la Coldiretti, che ha fortemente sostenuto il provvedimento, dopo la scadenza del cosiddetto termine di “stand still“, il periodo di quarantena di 90 giorni dalla notifica entro il quale la Commissione avrebbe potuto fare opposizione allo schema di decreto nazionale interministeriale (Politiche Agricole, Sviluppo Economico e Salute) che introduce l’indicazione obbligatoria della provenienza per le carni suine trasformate.
L’Italia – sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – ha la responsabilità di svolgere un ruolo di apripista in Europa, anche sfruttando le opportunità offerte dalla storica apertura dell’Ue all’obbligo dell’origine con l’indicazione dello Stato membro con la nuova Strategia Farm to Fork nell’ambito del Green New Deal”.
Una novità importante per garantire trasparenza nelle scelte ai 35 milioni di italiani che almeno qualche volte a settimana, secondo i dati Istat, portano in tavola salumi, e per sostenere la norcineria italiana, settore messo in ginocchio da pandemia e dalla concorrenza sleale, conta oltre cinquemila allevamenti di maiali ed un valore, dalla stalla alla distribuzione, di oltre 20 miliardi.
Il decreto sui salumi, che dovrà essere presto pubblicato in Gazzetta Ufficiale per essere operativo, prevede che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette le informazioni relative a:
Paese di nascita: nome del paese di nascita degli animali
Paese di allevamento: nome del paese di allevamento degli animali
Paese di macellazione: nome del paese in cui sono stati macellati gli animali
Origine: nome del paese – quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso paese,
La dicitura “100% italiano” è utilizzabile dunque solo quando la carne è proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia. Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più Stati membri dell’Unione europea o extra europea, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma:
Origine: Ue
Origine: extra Ue
Origine: Ue e extra Ue
Secondo un’analisi Coldiretti, dall’inizio dell’emergenza sanitaria le quotazioni dei maiali tricolori si quasi dimezzate mettendo a rischio le imprese e la prestigiosa norcineria Made in Italy a partire dai 12,5 milioni di prosciutti a denominazione di origine Parma e San Daniele prodotti in Italia.
A preoccupare è l’invasione dei cosce dall’estero per una quantità media di 56 milioni di pezzi che ogni anno si riversano nel nostro Paese per ottenere prosciutti da spacciare come Made in Italy. Si stima, infatti, che tre prosciutti su quattro venduti in Italia siano in realtà ottenuti da carni straniere senza che questo sia stato fino ad ora esplicitato in etichetta.
Cosce provenienti in larga parte dai grandi mattatoi dei paesi del Nord, come ad esempio la struttura di Rheda-Wiedenbrück, nel distretto di Guetersloh, nel NordReno Westfalia, balzata all’attenzione delle cronache perché più di 1.550 lavoratori sono risultati positivi ai test per il Covid-19.
L’etichettatura dei salumi è l’ultimo capitolo della storica battaglia per la trasparenza che ha portato l’Italia all’avanguardia in Europa. L’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e degli altri derivati del pomodoro era arrivato grazie alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47 del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro.
Il 13 febbraio 2018 è entrato in vigore l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano per la pasta e del riso, ma prima c’erano stati già diversi traguardi raggiunti: il 19 aprile 2017 è scattato l’obbligo di indicare il Paese di mungitura per latte e derivati dopo che il 7 giugno 2005 era entrato già in vigore per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy mentre, a partire dal 1° gennaio 2008, vigeva l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro.
A livello Ue il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto, mentre la Commissione Europea ha recentemente specificato che l’indicazione dell’origine è obbligatoria anche su funghi e tartufi spontanei.
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Via libera dell’Unione Europea all’etichetta Made in Italy su salami, mortadella, prosciutti e culatello per smascherare l’inganno della carne straniera spacciata per italiana come chiede, secondo l’indagine on line del Ministero delle Politiche agricole, il 93% dei cittadini che ritiene importante conoscere l’origine degli alimenti.
Ad annunciarlo è la Coldiretti, che ha fortemente sostenuto il provvedimento, dopo la scadenza del cosiddetto termine di “stand still“, il periodo di quarantena di 90 giorni dalla notifica entro il quale la Commissione avrebbe potuto fare opposizione allo schema di decreto nazionale interministeriale (Politiche Agricole, Sviluppo Economico e Salute) che introduce l’indicazione obbligatoria della provenienza per le carni suine trasformate.
L’Italia – sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – ha la responsabilità di svolgere un ruolo di apripista in Europa, anche sfruttando le opportunità offerte dalla storica apertura dell’Ue all’obbligo dell’origine con l’indicazione dello Stato membro con la nuova Strategia Farm to Fork nell’ambito del Green New Deal”.
Una novità importante per garantire trasparenza nelle scelte ai 35 milioni di italiani che almeno qualche volte a settimana, secondo i dati Istat, portano in tavola salumi, e per sostenere la norcineria italiana, settore messo in ginocchio da pandemia e dalla concorrenza sleale, conta oltre cinquemila allevamenti di maiali ed un valore, dalla stalla alla distribuzione, di oltre 20 miliardi.
Il decreto sui salumi, che dovrà essere presto pubblicato in Gazzetta Ufficiale per essere operativo, prevede che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette le informazioni relative a:
Paese di nascita: nome del paese di nascita degli animali
Paese di allevamento: nome del paese di allevamento degli animali
Paese di macellazione: nome del paese in cui sono stati macellati gli animali
Origine: nome del paese – quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso paese,
La dicitura “100% italiano” è utilizzabile dunque solo quando la carne è proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia. Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più Stati membri dell’Unione europea o extra europea, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma:
Origine: Ue
Origine: extra Ue
Origine: Ue e extra Ue
Secondo un’analisi Coldiretti, dall’inizio dell’emergenza sanitaria le quotazioni dei maiali tricolori si quasi dimezzate mettendo a rischio le imprese e la prestigiosa norcineria Made in Italy a partire dai 12,5 milioni di prosciutti a denominazione di origine Parma e San Daniele prodotti in Italia.
A preoccupare è l’invasione dei cosce dall’estero per una quantità media di 56 milioni di pezzi che ogni anno si riversano nel nostro Paese per ottenere prosciutti da spacciare come Made in Italy. Si stima, infatti, che tre prosciutti su quattro venduti in Italia siano in realtà ottenuti da carni straniere senza che questo sia stato fino ad ora esplicitato in etichetta.
Cosce provenienti in larga parte dai grandi mattatoi dei paesi del Nord, come ad esempio la struttura di Rheda-Wiedenbrück, nel distretto di Guetersloh, nel NordReno Westfalia, balzata all’attenzione delle cronache perché più di 1.550 lavoratori sono risultati positivi ai test per il Covid-19.
L’etichettatura dei salumi è l’ultimo capitolo della storica battaglia per la trasparenza che ha portato l’Italia all’avanguardia in Europa. L’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e degli altri derivati del pomodoro era arrivato grazie alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47 del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro.
Il 13 febbraio 2018 è entrato in vigore l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano per la pasta e del riso, ma prima c’erano stati già diversi traguardi raggiunti: il 19 aprile 2017 è scattato l’obbligo di indicare il Paese di mungitura per latte e derivati dopo che il 7 giugno 2005 era entrato già in vigore per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy mentre, a partire dal 1° gennaio 2008, vigeva l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro.
A livello Ue il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto, mentre la Commissione Europea ha recentemente specificato che l’indicazione dell’origine è obbligatoria anche su funghi e tartufi spontanei.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Confermati i timori dell’Italia. Il vino è stato incluso nella lista definitiva dei prodotti oggetto dei nuovi dazi del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Interessati i 2/3 del valore dell’export agroalimentare che si estende tra l’altro vino, olio e pasta Made in Italy oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffe esportati negli Stati Uniti per un valore complessivo di circa 3 miliardi di euro.
Lo rende noto la Coldiretti nel sottolineare l’avvenuta ufficializzazione sul sito del Dipartimento del Commercio statunitense (USTR) dell’inizio il 26 giugno della procedura pubblica di consultazione per la revisione delle tariffe da applicare e della lista di prodotti europei colpiti da dazi addizionali a seguito della disputa sugli aiuti al settoreaereonautico.
Nell’ambito del sostegno Ue ad Airbus gli Usa sono stati autorizzati ad applicare sanzioni all’Unione Europea per un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari dal Wto, che dovrebbe però a breve esprimersi sulla disputa parallela per i finanziamenti Usa a Boeing la quale darebbe a Bruxelles margini per proporre contromisure.
“Occorre impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza coronavirus” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolinerare l’importanza della difesa di un settore strategico per l’Ue che sta pagando un conto elevatissimo per dispute commerciali che nulla hanno a che vedere con il comparto agricolo.
Con la nuova consultazione gli Usa minacciano di aumentare i dazi fino al 100% in valore e di estenderli a prodotti simbolo del Made in Italy, dopo l’entrata in vigore il 18 ottobre 2019 delle tariffe aggiuntive del 25% che hanno colpito per un valore di mezzo miliardo di euro specialità italiane come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.
L’export del Made in Italy agroalimentare in Usa nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi ma con un aumento del 10% nel primo quadrimestre del 2020 nonostante l’emergenza coronavirus. Il vino con un valore delle esportazioni di oltre 1,5 miliardi di euro, è il prodotto agroalimentare italiano più venduto negli States mentre le esportazioni di olio di oliva sono state pari a 420 milioni ma a rischio è anche la pasta con 349 milioni di valore delle esportazioni. Un settore fino ad ora in crescita nel 2020 nonostante l’emergenza coronavirus con un aumento del 10,3% nel primo quadrimestre dell’anno.
Gli Stati Uniti sono il principale consumatore mondiale di vino e l’Italia è il loro primo fornitore con gli americani che apprezzano tra l’altro il Prosecco, il Pinot grigio, il Lambrusco e il Chianti che a differenza dei vini francesi erano scampati alla prima black list scattata ad ottobre 2019. Se entrassero in vigore dazi del 100% ad valorem sul vino italiano una bottiglia di prosecco venduta in media oggi al dettaglio in Usa a 10 dollari ne verrebbe a costare 15, con una rilevante perdita di competitività rispetto alle produzioni non colpite.
Allo stesso modo si era salvato anche l’olio di oliva Made in Italy anche perché la proposta dei dazi aveva sollevato le critiche della North American Olive Oil Association (NAOOA) che aveva avviato l’iniziativa “Non tassate la nostra salute”. Ora però Trump in piena campagna elettorale sembra ignorare le sollecitazioni dall’interno e dall’esterno degli Usa mettendo a rischio il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e sul terzo a livello generale dopo Germania e Francia.
“L’Unione Europea – ha aggiunto Prandini – ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che come ritorsione ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che è costato al Made in Italy 1,2 miliardi in quasi sei anni ed è ora paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa”.
“Al danno peraltro si aggiunge la beffa poiché il nostro Paese – ha concluso il presidente – si ritrova ad essere punito dai dazi Usa nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto francotedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Per salvare i raccolti nelle campagne e spezzare l’assedio dei centri abitati sono state liberate le prime vespa samurai allevate in laboratorio per combattere la cimice asiatica, l’insetto killer alieno che costringe in molte territori i cittadini a barricarsi in casa con porte e finestre chiuse ed ha provocato la strage nei campi.
Ben 740 milioni di danni a pere, mele, pesche e nettarine, kiwi, ciliegi e piccoli frutti, albicocche, susine, nocciole, olive, soia, mais e ortaggi. Lo rende noto la Coldiretti nell’annunciare che è partita in diverse regioni la lotta biologica con il rilascio dei primi esemplari.
Una iniziativa resa possibile dalla firma del Decreto Ministero dell’Ambiente che autorizza le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto, Provincia autonoma di Bolzano e Provincia autonoma di Trento, all’immissione in natura della specie Trissolcus japonicus (Vespa Samurai) quale agente di controllo biologico del fitofago Halyomorpha halys (Cimice Asiatica).
Il provvedimento è stato ottenuto grazie alla mobilitazione della Coldiretti con l’obiettivo di fermare l’invasione della cimice asiatica che ha già iniziato ad attaccare i frutteti in un anno particolarmente difficile con l’addio ad un frutto su tre per il moltiplicarsi nel 2020 di eventi estremi, dal gelo alla siccità fino alla grandine.
Il progetto di lotta biologica appena iniziato, precisa la Coldiretti, si realizza a livello nazionale con ben 712 punti di diffusione nelle campagne Di centinaia di migliaia di esemplari di vespa samurai, un minuscolo insetto di circa un millimetro che proviene da oriente come la cimice asiatica, non punge ed è assolutamente innocua per l’uomo e gli animali, comprese le api.
All’interno di piccoli tubi le piccole vespe sono piazzate sugli alberi da frutto o nei pressi di campi dove sono state individuate le uova di cimice asiatica da aggredire. La “cimice marmorata asiatica” è un insetto alieno arrivato dalla Cina ed è particolarmente pericolosa perché in Italia non ci sono nemici naturali.
È particolarmente prolifica, con il deposito delle uova almeno due volte all’anno con 300-400 esemplari alla volta. Le punture rovinano i frutti rendendoli inutilizzabili e compromettendo seriamente parte del raccolto, con danni che hanno interessato ben 48 mila aziende agricole lo scorso anno.
La lotta alla cimice asiatica è particolarmente difficile perché è in grado di nutrirsi su oltre 300 specie diverse di vegetali, si muove molto per invadere sempre nuovi territori da saccheggiare ed è resistente anche ai trattamenti fitosanitari.
“Il via libera alla vespa samurai, l’insetto antagonista, apre dunque nuove prospettive anche se ci vorrà tempo prima di avere risultati” ha concluso il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che è “per questo motivo che alla lotta biologica con la vespa samurai si deve affiancare il sostegno delle Istituzioni alle imprese, per indennizzare i danni della cimice nel periodo transitorio”.
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Prevenire anziché combattere. C’è preoccupazione nella filiera del vino italiano per l’apertura di nuove indagini degli Stati Uniti sulla Web Tax, provvedimento al vaglio di molti Paesi dell’Unione europea per regolamentare la tassazione di colossi americani del web come Google, Amazon e Facebook.
L’Italia ha già inserito la Web Tax nel testo della Legge di Bilancio 2020, prevedendo maggiori introiti per oltre 100 milioni di euro. Alto, dunque, il rischio di ritorsioni. Donald Trump potrebbe infatti imporre nuovi dazi sul vino e su altri prodotti Made in Italy, come successo in Francia con lo Champagne.
Sarebbe una vera e propria stangata per il Bel paese in un momento già drammatico per le esportazioni, che risultano in calo del 43,4% ad aprile a causa del lockdown utile ad arginare la pandemia Coronavirus.
A condividere la preoccupazione dei produttori del settore vitivinicolo sono Coldiretti e Unione italiana vini (Uiv). La federazione guidata da Ettore Prandini è stata la prima a fare esplicito riferimento all’apertura di nuove indagini sulle tasse sui servizi digitali da parte dell’Ufficio del Rappresentante al Commercio degli Stati Uniti.
Si tratta appunto dell’Ustr, lo stesso organismo che ad agosto 2020, alla scadenza del Docket Ustr-2019-0003 relativo al contenzioso Boeing-Airbus, potrà nuovamente mettere in discussione la lista di prodotti italiani da sottoporre a una tassazione maggiore. Includendo questa volta anche il vino italiano.
“Le difficoltà economiche – denuncia Coldiretti – sembrano far riemergere tentazioni protezionistiche da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, già in difficoltà per le proteste in atto in tutto il paese per la morte dell’afroamericano George Floyd, soffocato durante un arresto a Minneapolis il 25 maggio scorso”.
La minaccia riguarda direttamente l’Italia e l’Unione Europea che nell’ambito del nuovo piano di aiuti da 750 miliardi di euro, il cosiddetto Fondo per la Ripresa o ‘Next Generation Eu‘, potrebbe anche includere una nuova tassa sul digitale, la cosiddetta Web Tax”.
La nuova guerra commerciale rischia di avere effetti devastanti sul settore agroalimentare Made in Italy, già penalizzato dall’entrata in vigore dei dazi il 18 ottobre 2019, con l’applicazione di tariffe aggiuntive del 25% su circa mezzo miliardo di euro di esportazioni di prodotti agroalimentari nazionali.
Si parla di prodotti come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Provolone, Asiago, Fontina, ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.
“Gli Stati Uniti sono il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e il terzo a livello generale dopo Germania e Francia – denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – occorre dunque impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza Coronavirus”.
Sulla possibilità di nuovi dazi sul vino italiano vigila anche Unione italiana vini (Uiv). “Siamo molto preoccupati dall’apertura negli Usa della nuova indagine sulle tasse sui servizi digitali Web Tax perché rischia di colpire i nostri vini, come successo con gli Champagne nell’analoga vicenda subita dalla Francia”, commenta il segretario generale Paolo Castelletti (nella foto) interpellato da WineMag.it
La coincidenza temporale tra questa nuova ‘indagine’ e la riapertura della public consultation del rappresentante del commercio americano (Ustr) sulla vicenda Airbus-Boeing, che porterà a metà agosto al prossimo ‘carosello’ daziario al quale il vino italiano è scampato lo scorso febbraio, rischia di creare una situazione ulteriormente sfavorevole, che dobbiamo in ogni modo disinnescare“.
“Il vino non può pagare il prezzo di dispute estranee al settore – aggiunge Castelletti – tanto più in questa fase così delicata dei mercati, in cui dobbiamo ricostruire in tempi rapidi quel posizionamento internazionale che la vicenda Covid ha indebolito”.
Unione Italiana Vini si è mobilitata con i suoi partner importatori americani. L’obiettivo è quello di pianificare una serie di interventi nelle prossime settimane, utili a scongiurare l’ipotesi di nuovi dazi.
“Siamo in contatto, altresì, con il nostro governo e l’Ambasciata d’Italia a Washington per avere maggiori informazioni sullo stato dell’arte di queste nuove iniziative che potrebbero creare nuovi ostacoli al commercio dei nostri prodotti negli Stati Uniti”, annuncia ancora Paolo Castelletti a WineMag.it.
Non hanno abbassato la guardia neppure i vignaioli italiani promotori di una raccolta firme durante la prima tornata di paventati dazi, a inizio 2020. Le firme dei produttori, giunte a Roma e Bruxelles, sono servite a fare pressioni sul governo americano e oggi tornano utili.
Così la portavoce Marilena Barbera a WineMag.it: “La nuova tornata di investigazioni da parte dell’Amministrazione Trump sulle digital tax non ci coglie di sorpresa, come accadde invece all’inizio di quest’anno. L’esperienza acquisita sul campo, nell’attività di sensibilizzazione e mobilitazione dell’opinione pubblica e degli esponenti politici sia italiani che europei, gioca a nostro favore”.
Giocano a nostro favore anche i risultati positivi che abbiamo ottenuto: quasi 25 mila firme sulla nostra petizione, consegnata a metà gennaio nella mani della Ministra Teresa Bellanova, la risposta diretta e positiva del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, il coordinamento con un gruppo molto attivo di importatori americani, con i quali abbiamo condiviso la battaglia sulle due sponde dell’oceano. Risultati importanti, che hanno contribuito a risparmiare al vino italiano l’imposizione di dazi che ancora gravano, invece, sui vini francesi”.
“Il fatto che la procedura sia ancora agli inizi – ammonisce Marilena Barbera – non deve far assopire la nostra attenzione, al contrario! È proprio questo il momento di agire, coinvolgendo nuovamente tutti gli attori che hanno reso possibile il successo della nostra prima iniziativa, presentandoci compatti ai tavoli delle trattative e chiedendo ai nostri rappresentanti istituzionali di essere determinati, oggi come ieri, in difesa del Made in Italy e del nostro lavoro”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’agricoltura italiana è la più green d’Europa con il taglio record del 20% sull’uso dei pesticidi che al contrario aumentano in Francia, Germania e Austria. Lo rende noto la Coldiretti in riferimento all’ultimo report Eurostat per il periodo compreso fra il 2011 al 2018 che registra invece un aumento del 39% in Francia che si contende con l’Italia il primato agricolo nell’Unione Europea.
Risultato ottenuto grazie a 299 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario, 415 vini Doc/Docg, 5155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 60mila aziende agricole bio, e il primato della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari.
Italia leader anche nella biodiversità. Il settore è tra le più sostenibili a livello comunitario con appena il 7,2% di tutte le emissioni a livello nazionale con 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti in Italia, contro i 76 milioni di tonnellate della Francia, i 66 milioni di tonnellate della Germania, i 41 milioni del Regno Unito e i 39 milioni della Spagna. L’Italia è anche il quarto produttore mondiale di biogas con oltre duemila impianti di cui ben il 77% con residui di origine agricola, per un totale di oltre 1.440MW elettrici installati.
Un modello di sviluppo unico che ha garantito all’Italia anche il primo posto in Ue per valore aggiunto con 31,8 miliardi di euro correnti nel 2019, superando la Francia (31,3 miliardi) mentre più distanziata, in terza posizione, è risultata la Spagna (26,6 miliardi) seguita dalla Germania (21,1 miliardi). Nonostante questo l’agricoltura italiana è la meno sussidiata tra quelle dei principali Paesi europei dove in vetta alla classifica ci sono al primo posto la Francia, seguita da Germania e Spagna.
“I primati del made in Italy a tavola realizzati grazie a 730mila imprese agricole sono un riconoscimento del ruolo del settore agricolo per la crescita sostenibile del Paese – afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini – occorre dunque salvaguardare un settore chiave per la sicurezza e la sovranità alimentare soprattutto in un momento in cui con l’emergenza Covid -19 il cibo ha dimostrato tutta la sua strategicità”.
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Nuovo record storico a marzo per l’agroalimentare italiano, dopo i 44,6 miliardi di euro nel 2019. A sottolineare il balzo in avanti è Coldiretti, che parla di aumenti per il cibo e le bevande italiane negli Usa (+10,4%), in Germania (+24,9%), In Gran Bretagna (+3,9%) ed anche in Francia (+9,5%), su base tendenziale. Ma avverte: “Al Made in Italy all’estero serve una regia nazionale”.
“Infatti si tratta purtroppo di una fiammata non confermata nei mesi successivi – evidenzia Coldiretti – con il propagarsi della pandemia in tutto il pianeta con la chiusura delle frontiere e le misure per contenimento che hanno determinato il brusco freno al commercio a livello globale”.
Il risultato è che in Italia 3 aziende agroalimentari su 4 (74%) registrano un calo delle vendite all’estero per effetto di una pioggia di disdette provenienti dai clienti di tutto il mondo, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’.
A pagare il conto più pesante in Italia sono il vino, che realizza più della metà del fatturato all’estero, ma anche il florovivaismo, l’ortofrutta, i formaggi e i salumi. “Serve ora un robusto piano di promozione per sostenere il vero Made in Italy all’estero”, ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
“Per favorire l’internazionalizzazione – ha aggiunto – occorre superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse puntando, in primo luogo, ad una regia nazionale attraverso un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo, con il sostegno delle Ambasciate dove vanno introdotti anche adeguati principi di valutazione delle attività legati, per esempio, al numero dei contratti commerciali”.
“Nell’emergenza in atto e in un’ottica futura di ripresa delle normali attività commerciali sarà fondamentale”, conclude Prandini – impiegare tutte le energie diplomatiche per superare i dazi Usa e l’embargo russo.”
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Con gli acquisti di alcol denaturato quasi triplicati (186%) nell’ultimo mese, anche Coldiretti si aggiunge al coro dei favorevoli alla distillazione volontaria delle eccedenze in giacenza nelle cantine italiane. Una proposta che il numero uno Ettore Prandini ha sottoscritto – assieme a quella della vendemmia verde sui vini di qualità – nell’incontro con la ministra Teresa Bellanova sul “Piano salva vigneti“. Di ieri, la lettera dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari, che chiede assieme ad AssoDistil di poter dare il proprio contributo all’emergenza Covid-19, producendo alcol per prodotti igienizzanti grazie alla distillazione volontaria.
“Attraverso la distillazione volontaria – riferisce l’associazione di categoria degli agricoltori italiani – si prevede di togliere dal mercato almeno 3 milioni di ettolitri di vini generici da trasformare in alcol disinfettante per usi sanitari nelle trincee della guerra al virus da nord a sud del Paese”.
La misura avrebbe inoltre “l’importante effetto di favorire l’acquisto di alcol italiano che sugli scaffali è stato il prodotto che ha registrato il maggior incremento di vendite secondo Iri, ma anche di ridurre le eventuali eccedenze produttive”.
Il piano della Coldiretti prevede anche la vendemmia verde su almeno 30 mila ettari per una riduzione di almeno altri 3 milioni di ettolitri della produzione sui vini di qualità, in modo da evitare l’eccesso di offerta, considerate le conseguenze della pandemia sui consumi internazionali per effetto delle difficoltà logistiche, della disinformazione, strumentalizzazione e concorrenza sleale con la campagna denigratoria sui prodotti italiani.
Una brusca battuta d’arresto per l’enologia Made in Italy, dopo l’incoraggiante dato dell’export 2019 che ha raggiunto i 6,4 miliardi di euro: un record assoluto, pari al 58% del fatturato totale.
A pesare sul mercato interno è stata anche la chiusura forzata di ristorantie bar. Considerato lo stato di crisi, la Coldiretti ha chiesto “specifiche agevolazioni fiscali e previdenziali per tutte le imprese agricole operanti nel settore vitivinicolo, che ha subito effetti particolarmente negativi per l’emergenza epidemiologica Covid-19, senza le limitazioni previste dal decreto ‘Cura Italia’“.
Una necessità, sottolinea Coldiretti, che va sostenuta anche garantendo liquidità alle imprese del settore con interventi emergenziali a livello nazionale e comunitario senza appesantimenti burocratici.
Nel chiedere “un piano articolato di interventi“, il presidente della Coldiretti Ettore Prandini precisa che “bisogna ricostruire un clima di fiducia nei confronti del marchio Made in Italy che rappresenta una eccellenza riconosciuta sul piano qualitativo a livello comunitario ed internazionale”.
Serve pertanto tra l’altro una forte campagna di comunicazione per sostenere i consumi alimentari con il vino che rappresenta da sempre all’estero un elemento di traino per l’intero Made in Italy, alimentare e non”.
“L’Italia – conclude Prandini – che è il primo produttore mondiale di vino, deve farsi portatrice a livello comunitario di un piano di sostegno straordinario di un comparto strategico per il Paese per un fatturato che è salito nel 2019 alla quota record di oltre 11 miliardi”.
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La chiusura delle frontiere scelta per fronteggiare Coronavirus “blocca” quasi un milione di lavoratori stagionali dell’agricoltura. Lo stima Coldiretti, nel ricordare le imminenti campagne di raccolta ortofrutticola. Dalla Germania alla Francia, dalla Spagna all’Italia è allarme per l’Ue, che rischia di perdere quest’anno l’autosufficienza alimentare e il suo ruolo di principale esportatore mondiale di alimenti per un valore si 138 miliardi di euro con un surplus commerciale nell’agroalimentare di 22 miliardi.
La soluzione? “Dopo le merci – afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini – è necessario creare corsie verdi alle frontiere interne dell’Unione Europea anche per la circolazione dei lavoratori agricoli”. A livello nazionale, l’associazione degli agricoltori chiede “una radicale semplificazione del voucher ‘agricolo’“.
L’obiettivo, per Coldiretti, è “consentire da parte di cassaintegrati, studenti e pensionati italiani lo svolgimento dei lavori nelle campagne in un momento in cui scuole, università attività economiche ed aziende sono chiuse e molti lavoratori in cassa integrazione potrebbero trovare una occasione di integrazione del reddito proprio nelle attività di raccolta nelle campagne”.
I NUMERI IN EUROPA E IN ITALIA
A causa del Coronavirus, i 200 mila stagionali rumeni, polacchi, tunisini, marocchini e di molti altri Paesi che ogni anno contribuiscono ai raccolti primaverili francesi non potranno raggiungere il Paese e la Fnsea, la Coldiretti d’Oltralpe, è in allarme con il ministro dell’agricoltura Didier Guillaume che ha invitato quanti si siano ritrovati senza lavoro per via delle restrizioni imposte dal covid-19, ad “unirsi alla grande armata dell’agricoltura francese!”.
Il Ministro dell’Agricoltura tedesco Julia Kloeckner propone di impiegare come lavoratori stagionali in agricoltura i lavoratori del settore alberghiero e della ristorazione per colmare il vuoto di circa 300 mila unità lasciato dagli stagionali polacchi e rumeni.
Un buco che pesa anche sulla Spagna rimasta, ad esempio, senza i soliti 10 mila lavoratori stagionali marocchini impegnati nella raccolta fragole e sta cercando nella popolazione nazionale come coprire questi posti vacanti e quelli delle campagne successive.
In Italia, su sollecitazione del Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, il Ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova è intervenuto per prorogare i permessi di soggiorno per lavoro stagionale in scadenza al fine di evitare agli stranieri di dover rientrare nel proprio Paese proprio con l’inizio della stagione di raccolta nelle campagne.
La proroga, secondo la circolare del Ministero degli Interni dura fino al 15 giugno e riguarda i permessi di soggiorno in scadenza dal 31 gennaio al 15 aprile ai sensi dell’articolo 103 comma 2 del D.L. 18.
“Un’esigenza che – sottolinea la Coldiretti – è stata resa più urgente dal caldo inverno che ha anticipato la maturazione delle primizie come fragole e asparagi proprio nel momento in cui la chiusura della frontiere per l’emergenza sanitaria ha fermato l’arrivo nelle campagne italiane di lavoratori dall’estero”.
IL DOSSIER IMMIGRAZIONE
Con il blocco delle frontiere alla circolazione delle persone resta però a rischio, sempre secondo le stime Coldiretti, più di ¼ del Made in Italy a tavola che viene raccolto nelle campagne da mani straniere con 370 mila lavoratori regolari che arrivano ogni anno dall’estero.
Si registrano infatti disdette degli impegni di lavoro da parte di decine di migliaia di lavoratori stranieri che in Italia trovano regolarmente occupazione stagionale in agricoltura. Fornendo il 27% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore, secondo l’analisi della Coldiretti.
Secondo le elaborazioni Coldiretti, che ha collaborato al Dossier statistico Immigrazione 2019 la comunità di lavoratori agricoli più presente in Italia è quella rumena con 107591 occupati, davanti a marocchini con 35013 e indiani con 34043, che precedono albanesi (32264), senegalesi (14165), polacchi (13134), tunisini (13106), bulgari (11261), macedoni (10428) e pakistani (10272).
Sono molti i “distretti agricoli” del nord dove i lavoratori immigrati rappresentano una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della raccolta delle fragole e asparagi nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva, delle mele, delle pere e dei kiwi in Piemonte, dei pomodori, dei broccoli, cavoli e finocchi in Puglia fino agli allevamenti e i caseifici della Lombardia.
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I territori delimitati dal nuovo Decreto pensato per arrestare la diffusione di Coronavirus (Covid-19) interessano la “food valley” italiana che garantisce l’approvvigionamento sui mercati nazionali ed esteri con la produzione di circa un terzo del Made in Italy agroalimentare. Dal latte alla carne, dai formaggi ai salumi, dal riso alla pasta, dalla frutta alla verdura fino al vino e alle conserve di pomodoro.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in riferimento al provvedimento noto come “DPCM 8 marzo 2020″ varato dal Governo per contenere l’emergenza Coronavirus, che introduce misure speciali per la regione Lombardia e 14 provincie di Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna, dove si concentra il maggior valore della produzione nazionale alimentare di qualità (Dop/Igp).
“Per assicurare le necessarie forniture alimentari al Paese – dichiara il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – è importante che siano stati recepite nel decreto le nostre sollecitazioni al Ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova per dare continuità alle attività produttive nelle campagne dove vanno seguiti i cicli stagionali, dalla semina alla raccolta e garantita la cura delle piante e l’assistenza e l’alimentazione degli animali allevati nelle stalle”.
“Fondamentali – continua Prandini – anche i mercati di vendita diretta, la trasformazione industriale e le consegne per la distribuzione commerciale. Piena disponibilità a collaborare con le autorità regionali e di governo per non compromettere la mobilità di merci e persone necessarie all’attività produttiva, nel rispetto delle norme di sicurezza”.
IL MINISTERO
“L’attività degli operatori addetti al trasporto è un’esigenza lavorativa: il personale che conduce i mezzi di trasporto può entrare ed uscire dai territori interessati e spostarsi all’interno di essi, limitatamente all’esigenza di consegna o prelievo degli stessi prodotti”.
Questo il commento del ministro alle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Teresa Bellanova in relazione all’articolo 1 del DPCM 8 marzo 2020. Bellanova si augura che le Linee Guida sulla movimentazione delle merci, siano messe a disposizione in maniera “auspicabilmente rapida”.
Obiettivo: dare risposte concrete “alle numerose richieste giunte nelle ultime ore dalle Associazioni di categoria del settore agroalimentare al Ministero”. “I prodotti agroalimentari – ha aggiunto Bellanova – possono entrare e uscire dai territori interessati dal decreto”.
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